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Autore: Flappergiuly    13/02/2021    1 recensioni
“Mediante l’esperienza scopriamo una scorciatoia per mezzo di un lungo vagabondare.”
(Thomas Hardy, the writer)
Aspettando la vera sesta serie, vi posterò la mia versione della mia sesta serie.
Genere: Poesia, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Crack Pairing | Personaggi: John Shelby, Nuovo personaggio, Sorpresa, Thomas Shelby
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Threesome, Triangolo, Violenza
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1. GOODMORNING, WOODLANDS PARK
(Dahlia Swan)7 Febbraio 1930. L’alba è sorta già da un pezzo quando scorgo dalla finestra che il sole non ha ancora accarezzato la campagna del piccolo borgo di residenza britannico non assai distante dalla capitale. La luce inonda la stanza preannunciando una nuova giornata di cielo terso. È da un mese che non piove da queste parti, qualcosa d al quanto insolito e raro, si direbbe, specialmente se si tratta di una stagione simile a quella in cui stiamo vivendo adesso, gli inverni di solito sono piuttosto uggiosi o addirittura nevosi a Cobham. Mi giro sull’altro fianco ma niente da fare. I pensieri non mi danno minimamente tregua, troppa tensione per il saggio, l’ennesimo. Giusto ieri abbiamo iniziato a provare i primi passi, Il lago dei cigni è  proprio una grande impresa e se penso che il grande giorno è arrivato mi sento completamente divorata dall’ansia. Una Signora Coreografia come altrettanto la Platea, tutta la Londra reale e nobiliare sarà presente a quel tanto atteso spettacolo di gala preparato non appena in una settimana. Mi raggomitolo per vedere meglio se riesco finalmente a convincere Morfeo ad abbracciarmi, sembra che sia lontano anni luce da qui, da me. Blocco l’angoscia esistenziale  alzandomi dal letto. Con i capelli ancora scompigliati provo a dare un’altra occhiata alla finestra. Un po’ di foschia preannuncia un nuovo dì piuttosto caldo. Non perdo altro tempo aggiustandomi i capelli e abbassando l’elegantissima camiciola in color caffè per una metà in velluto e per l’altra in pizzo stropicciata dalle smanie notturne. Mi è stata regalata dal mio gemello Alexander, in occasione del nostro ventisettesimo e ultimo compleanno. Io gli ho regalato  una boccetta dorata di colonia che ha molto apprezzato d’altronde, chi non riuscirebbe mai a non innamorarsi di un cocktail di muschio, sandalo e patchouli? Fisso la porta della mia stanza dimenticandomi per un attimo che,  prima di uscire, dovrei cambiarmi. È la porta in ciliegio piuttosto elegante di un’ampia camera in stile inglese d’epoca vittoriana come, del resto, tutta la dimora, essendo sorta nel XIX secolo. Al centro, si erge un letto matrimoniale in seta color gianduia con due cuscini di un Borgogna e un altro di un beige con patterns floreali di un color panna pronti a dare quel tocco in più. Accanto, due comodini in mogano sorreggono le  abat-jours in ferro e in seta bianca. Due grandi vetrate illuminano e riscaldano la camera con dei mosaici geometrici, due finestre bianche, in stile Art Nouveau, abbellite da doppia tenda, una velata e una dorata con pomelli color cioccolato. Le due finestre affacciano sull’immenso giardino con prato all’inglese di Woodlands Park. La parete adiacente a quella del letto è riempita da uno scrittoio in noce che sorregge uno specchietto in ferro e una lampada in ferro e in seta color ocra. A ridosso di questa specie di tolettino c’è una poltroncina di un rosa antico e in frassino. Ma la parete decisamente più ricca è quella di fronte a letto dove s’impone in tutto il suo splendore un grande camino color nocciola, sopra il quale è stato posto un centrotavola in legno con delle pigne. A ridosso, c’è un salottino composto da due poltroncine in legno di betulle in seta color avorio con due cuscini violacei chiari e un tavolino in castagno su cui si innalza un vaso in ceramica grigia con delle calle gialle. Accanto al camino si può notare una vetrina a muro, una sorta di cristalliera. Tre altri specchi appesi fanno luccicare l’ambiente, uno è posto sopra il camino, i rimanenti sulla parete del letto, un po’ più in alto dei comodini. Lo fanno luccicare allo stesso modo dei faretti al soffitto. Anche il candeliere non spezza l’incantesimo. Pende da un fregio floreale inciso sul tetto violaceo chiaro a pioggia di candele e cristalli. Uno dei tanti fregi che ingentiliscono il tetto. Lo stemma gentilizio ricorre un po’ più spesso imponendosi in sommità alle pareti del camino e della porta. Pareti color senape che arricchiscono a loro volta l’atmosfera, anche loro fregiati con cornici astratte. Una parete che sembra diventare di seta all’altezza letto. Per terra vi è una moquette di un borgogna con stampe floreali di un giallo canarino che ravvivano totalmente lo spazio. Leggiadra, faccio scivolare giù dal corpo la veste, il cui movimento mi scopre, mi scopre a poco a poco completamente. Mi avvicino alla cabina armadio, un piccolo spogliatoio accanto alla mia stanza separata da tre gradini una porta in vernice bianca, in vetro e in ottone dorato. Un camerino dalle pareti di un giallo pallido e con una piccola finestra. Prendo il body nero, le calze color carne, le scarpe a punta di un rosa antico e lo scalda-cuore tonalità cipria dall’armadio in quercia, accanto del quale c’è un altro scrittoio che sorregge un lume in ferro e in seta azzurrina con uno specchio con cornice argentata e una sedia in abete rivestita in velluto color nocciola. Mi vesto e mi accorgo di non essermi rinfrescata il volto dall’insonnia che mi ha fatto compagnia per tutte le ore di buio. Esco e mi dirigo per la sala da bagno, sempre adiacente alla camera, preceduto da una specie di antibagno, arredato da un grande specchio con cornice dorata e da tre altre porte bianche. Anche nel bagno ogni cosa lascia col fiato sospeso, un bagno con doccia e con una bacinella rotonda e in ceramica. Una saletta tra faretti e tre specchi, pareti color cappuccino e pavimento verdino a scacchiera in marmo di Carrara. Dopo una rapida rinfrescata, il mio ego suggerisce di scendere le scale per avviarmi verso la scuderia, a sinistra di Woodlands Lane, ho deciso di dare notizia cominciando dal Signor Marion Wallace, il domestico tecnico che si è sempre dedicato alla riparazione delle macchine, un uomo sulla sessantina dalla personalità piuttosto sanguigna e accomodante e per me un secondo padre. Esco dalla stanza e trovo i miei genitori, tornati dal loro viaggio in Scozia, in visita a qualche reale del luogo. Li vedo intrattenersi con la domestica Anne Strong, l'addetta alle pulizie del primo piano, una signorina sulla mezz’età all’incirca, piuttosto giovanile nell’aspetto e dai modi costantemente gentili.
 
“Signorina, Ma è impazzita, se si presentasse così a  Westmininster…” borbotta mio padre, il Lord Richard Swan, uno dei Seniors, uno dei membri più sentiti dell’ala tradizionalista ma nello stesso tempo moderata inglese.  
 
“Lord Richard Swan, ma no, Signore, non diciate così, Milord!” lo interrompe tranquillizzandolo con voce gentile la Signorina Strong.  
 
“Ecco, vedete, vedete? Come se ne esce vestita! Ma se è una ribelle…” non desiste ma viene bloccato da mia madre che lo rassicura mettendogli una mano sulla spalla “Va beh che Sua Grazia il Lord Cassius Wesley l’aggiusterà! Il Duca del Sussex sarà un ottimo marito per lei, più che perfetto!” continua con fare più austero.  
 
“No! Io il Duca non lo sposo affatto, piuttosto, che ci fate qui, Padre?” mi lascio sfuggire io fermandolo con decisione.  
 
S'infuria inutilmente.  
 
“Tu e tuo fratello dovete venire a Westmininster…” s'impone ma lo interrompo.  
 
“Ma ho la serata di gala…” vengo interrotta a mia volta.  
 
“Nemmeno per sogno! La politica prima di tutto o siamo al tappeto, che per miracolo e per fortuna siamo rimasti in piedi, molti sono già decaduti, per un pelo non cadevano pure noi! Ci faranno fuori se non ci difendiamo e non mi fare dire altro, il che risulterebbe peggio! Se faranno fuori anche la corona siamo proprio k o e addio onore! Prima la corona, prima noi! Questi nuovi ci soppianteranno, soprattutto i nuovi partiti radicali, hai visto che è successo in Russia, in Irlanda e cosa sta avvenendo in Italia?” chiede più che convinto.  
 
“Io a Londra non ci torno!” affermo e mi dileguo, avrò tante altre cose da fare.  
 
Mio padre, il Lord Richard Swan, un uomo di vecchio stampo, almeno in questo, un patriarca in famiglia, un succube del credo del suo tempo. Classe 1878, ultimo di cinque figli, unico figlio maschio e unico erede. Mio padre vuole che sposi il Duca del Sussex Lord Cassius Wesley, un conservatore in vista, un uomo piuttosto maschilista e arrogante, non lo tollero proprio. Tutto questo per interessi e che senso ha sposarsi senza un minimo di sentimento, la vita di coppia non si compra per nessuna ragione. Dico questo mentre scendo le scale di corsa dirigendosi verso la cucina per la colazione e poi per la sala studio. Ci vado spesso quando non ho niente da fare, come per ammazzare il tempo facendo qualcosa. Aspetto un po' prima di andare dal Signor Wallace. Oggi ho deciso di incominciare l’ennesimo libro di letteratura classica contemporanea, "Tessa dei D’Urberville", un romanzo edito da Thomas Hardy nell’epoca tardo-vittoriana, per la prima volta nel 1891, per essere più precisi.   
 
“Mediante l’esperienza scopriamo una scorciatoia per mezzo di un lungo vagabondare.”  
 
È questo quanto leggo inciso sulla copertina sotto il titolo e il nome dell’autore. Già questa frase mi incomincia ad ispirare. Un’altra passione che nutro, complementare alla lettura è dipingere e scrivere anch’io, a mia volta, romanzi e libri. È quello che mi ha sempre identificato, sin dalla tenera età, in fondo, sono una laureata. Sono una donna molto attenta ai particolari, una sognatrice ribelle e, per poter far si che tutto ciò si avveri ho bisogno della mia propria libertà, proprio come dice questa frase che sento mia e la mia libertà non è tra la mondanità e il cosmopolitismo metropolitani di Londra dove la società pullula di gente scelta poiché d’alto rango ma mediocre, sempre pronta alla superbia che è una vana gloria. La mia libertà è qui a Woodlands Park, dove ognuno ti apprezza per quello che sei. Ho scelto questo libro anche se è l’ennesima volta che lo leggo, mi piace, già so a memoria ogni singola sua parte, è come se parlasse esattamente di me, mi riconosco in Tessa. È vero che io e Tessa apparteniamo a realtà completamente diverse, soprattutto per il carattere, lei è una povera ingenua, io un'abile filibustiera, lei col capo abbassato e io che non mi sottometto mai a nessuno, cosa di veramente insolito per una donna, soprattutto di una donna come me che deve dare il giusto esempio alla società rosa, parlando di me che sono il vero modello della società femminile, essendo appunto di sangue cobalto ma che non sento pulsi più. Infatti sembrerebbe assurdo eguagliarmi a lei visto che siamo due figure femminili, due donne completamente diverse, anche in questo, ma dovremmo essere diverse, in realtà non lo siamo. Ma in effetti, lei sarebbe una mesta campagnola, io dovrei essere una rispettabile dama. Ma io ho mandato al diavolo tutto e ciò è evidente nel rifiuto che ho deciso di volgere al Duca, che non vedo affatto sincero e nell'avere ritrovato me stessa qui a Woodlands Park. E quindi sono finita per essere come lei. Ma anche lei è come me, abbiamo un esito simile e opposto al tempo stesso. Lei pure era imparentata con gente di un certo livello e alla fine tornò alla vita rurale che conduceva in precedenza. Questo perché siamo figlie dello stesso tempo, di una società che il alcuni casi è cambiata ma ancora non del tutto, figlie di genitori che non ci riconoscono in entità a sé stanti e quell’eguale destino che si stava preparando per noi. Queste sono i punti in cui incontro Tessa, ma ci sono anche dei punti in cui mi scontro con lei o se mi incontro, se la raggiungo è solo per superarla. Questi momenti sarebbero che io appunto non conosco qualche termine ma non per miscredente genuinità. Io misconosco il termine sottomissione e il termine sindrome di Stoccolma solo per principio. Io sono libera, attiva, lungimirante. Il Duca e Alec sono la stessa persona, io so il Duca chi è e io schiaccio lui prima che lui schiacci me. Io ci rinuncio al vigore regale se devo essere quello che gli altri vorrebbero che io sia, io sono quella che sono e non ce niente che possa impedirmi ciò e non ce di niente di più bello di ciò. Non ho bisogno di Angel di aspettare nella più piena incertezza di qualcosa o qualcuno che è ancora più incerto. Perché se io devo esserlo non devo essere, io non sono una principessa che deve essere salvato ma sono una regina che sa benissimo come salvarsi da sola, che sa benissimo di essere già salva perché, so rialzarmi perfettamente da sola, so che cado all’in piedi, so che non cado mai, so che non conosco sconfitta né la conoscerò mai. Ho finito di leggere, ho fatto anche colazione e poi ancora sono stata dal Signor Wallace, nella scuderia appena di fronte alla proprietà e ho anche fatto una grande cavalcata con Ohana, la mia giovane puledra purosangue. È un altro mio diversivo quello dell’equitazione l’ho sempre amato. Ora sono in camera, a cambiarmi, in attesa di divorarli. Sentivo una domestica, la Signora Wilson che oggi ci saranno i noodles e ho capito pienamente perchè ma non vedo l’ora di divorarli ugualmente. Ho indossato un vestito di velluto rosso sfrangiato, stile anni ‘20. Scendo le scale e mi accomodo nel salotto. Prima di dirigermi verso la sala da pranzo mi metto a cavalcioni con la disinvoltura sul divano di pelle turchese e sfoglio un magazine di moda e di gossip boccheggiando una lunga sigaretta nera. Scorro le pagine e i poster si accavallano l’uno all’altro, bombardando a più non posso. Vedo lo scatto della giovanissima Vivian Leigh, la posa dell’affascinante trentenne Zelda Seyre-Fitzgerald insieme ad altre flapper girls a fumare ancora la stessa sua sigaretta lunga di circa dieci anni fa. E poi ancora Marlene Dietrich, Cary Grant, Betta Davis, l’appeal di Humphrey Bogart, Greta Garbo, il sensuale Clark Gable, James Cagney, Fred Astaire, il simpaticone di Charlie Chaplin, il temperamento di Henry Fonda, lo charm di Gary Cooper e tanti altri. La chiamano l’altra élite, quella nascente, quella di un posto che si chiama e si presenta assai simile a questo, quello che, al di là dell’oceano porta il nome di  Hollywoodland. Un posto che sognano tutti, un posto che sa proprio di moderna libertà. A destra il deserto del Far West degli Yankees, a sinistra l’oceano di Santa Monica, Beverly Hills, Malibu, Santa Barbara, in alto San Francisco, in basso la Baja California e n el  Mexico. Un territorio più o meno suddiviso come questo in Contee quello della California statunitense, diviso politicamente in contee, la contea di Pasadena, dove vivono i più grandi magnati del tempo e la Contea più grande ormai la metropoli del futuro dal nome di Los Angeles. E ora possiamo aggiungere anche due altre nuove grandi invenzioni, le vie della modernità, una è la strada di residenza dei vip, la famosa Mulholland Drive e l’altra la Route 66, che collega Chicago al Pacifico. Incomincia la fame a crescere e incomincia a sentirsi sempre di più, anticipo non aspettando che qualcuno, la troupe mi chiami per prendere posto a tavola che ci vado io personalmente di proposito. Entro nella sala da pranzo e vedo già mio fratello seduto a capotavola, lui è peggio di me. Lo osservo, lui è troppo intento ad aggiustarsi la cravatta a tal punto da non avermi visto ancora. Com’è elegante. Prendo posto e lo guardo ancora si gira a sinistra alzando la mano in segno di saluto verso qualcuno che ancora non sono io. Attira la mia attenzione mi giro anch’io e vedo un uomo abbastanza raffinato, di un narcisismo maniacale. Per dire questo significa che l’abbia riconosciuto certamente, ahimè. È il Signor Oswald Moseley, menomale che non si è accorto della mia presenza, è troppo, come dire, esuberante, vanitoso, superbo. Ora si è fatto crescere anche un leggero baffo che gli dà ancora più quell’aria di, che ne so, "so tutto io". Ancora vedo mio fratello fargli cenno di prendere posto, oh mio dio, no, non lo sopporto proprio a quell’uomo, è un pessimo modello e mio fratello si fa l’amichevole con lui, non lo tollero proprio. Mio fratello continua a parlottare con il tipo senza notarmi ancora, tutto intento chissà di cosa staranno dibattendo mai, di cavalli? Mi chiedo. Era un altro Alec, mi stava sempre in mezzo ai piedi ma nemmeno lui farebbe per me. Mi giro indietro, verso la porta e vedo che entrano anche i miei genitori, mio padre è un po’ rilassato meno impettito e meno sulla difensiva come prima, il suo volto è più sereno. Mia madre è affabile come sempre, lei mi capirebbe, sicuramente più di lui.   
 
“Ciao, Dahlia, come sei bella!” mi saluta con una pacca sulla spalla.  
 
“Madre, grazie!” ricambio.  
 
Mia madre prende posto a sedere accanto a me e incominciamo a parlare.   
 
“Com'è andato il viaggio?” domando.
 
“È stato incantevole! A dir poco, che ti sei perso, cara! La Scozia è fantastica!” esclama completamente meravigliata “E tu che hai fatto?” continua.  
 
“Letto, suonato il piano, cantato, cavalcato, giocato a tennis e a scacchi, ballato, lavorato a maglia, scritto, cucinato, dipinto…” rispondo con un lungo catalogo di trascorsi.  
 
La sala si è riempita rapidamente e anche per i tanto graditi e apprezzati noodles non dovetti aspettare tremendamente a lungo. Dopo una spolverata veloce di assaggini di entrées, antipastini della terra  prodotti dai domestici e dagli affittuari, arrivarono finalmente pure loro.  
 
“Alex, tu che hai fatto?” chiede un’altra volta lei gridando per farsi sentire da lui dall’altra parte della tavola a tal punto da attirare l’attenzione  di più di qualcuno facendoli girare tutti.  
 
“Madre, Dahlia!” replica Alexander.  
 
Rispondo anch’io con un cenno di mano.  
 
“Milady, ciao, Lady Dahlia Swan e un saluto alla Signora!” ed ecco che anche il Signor Moseley si accorge di me.  
 
Rispondo al saluto a malincuore ma senza darlo a notare.   
 
“I noodles sono una rarità qui a Woodlands Park!” esclamo.  
 
“E una delizia!” aggiunge mia madre "Dopo io lo so che c’è, il beef!” continua deliziata “E infine il cheesecake di confettura alle albicocche, è Domenica, ragazzi! offre la casa!” continua ancora più eccitata.  
 
La tavola decorata, imbandita, profumata e non solo di cibo. Il vino era l’incenso di quel pasto, un vino rosso nostrano, coltivato nella nostra terra. Il pranzo è volato e io sono ancorata a terra sazia. Annaffio un po’ la gola con un ottimo digestivo gin, qualcuno chiede whiskey irlandese, chi brandy, chi tè inglese senz’aspettare le cinque pomeridiane com’è solito fare secondo la tradizione inglese.  
 
“E adesso ce la farò a ballare?” chiedo ironicamente.  
 
“Tuo padre ha fatto rinviare tutto, finché non si risolve la faccenda politica non si fa niente ha detto!” interviene mia madre che mi ha sentita.  
 
Sbuffo. No. Io non me ne vado di qui, qui io ci rimango, non voglio tornare a Londra.  
 
 
 
 
   
 
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