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Autore: carachiel    14/02/2021    0 recensioni
Una stanza semplice, sul retro della casa, straordinariamente insignificante.
Solo che sapeva di chi era.
O meglio,
di chi era stata.
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Jason entra dove non è sicuro che dovrebbe stare, ma scopre molto più di quanto non si aspetterebbe.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wish you were here


La porta scricchiolò piano sui cardini quando Jason la aprì. Era ormai notte fonda quando si era alzato, percorso da uno strano nervosismo misto ad inquietudine, che lo spinse a vagare in silenzio per la casa, sino a spingersi verso una stanza in particolare.

Ray gliene aveva parlato quando Jason era venuto, la prima volta. In realtà voleva ospitarlo in quella stanza, farlo dormire in quel letto, ma lui aveva insistito che non poteva, e che il divano sarebbe stato abbastanza comodo. Non era affatto sua intenzione entrare in quella stanza, che ai suoi occhi era un luogo troppo prezioso per essere violato.
Eppure, ora, sembrava il momento giusto recarvisi. Nessuno lo avrebbe saputo.

Sfiorò la parete per orientarsi nell'oscurità, con solo la tenue luce lunare che filtrava dalle finestre del corridoio ad aiutarlo, fino a quando non toccò la maniglia della porta. Il suo cuore si strinse nel petto, mentre soppesava la decisione, ma ormai era fin troppo curioso per fermarsi lì.
Quindi entrò, richiudendo la porta dietro di sé.

La sua mano corse con delicatezza lungo il bordo dello stipite della porta lungo il muro finché non trovò un interruttore e lo premette.
Era una stanza comune, molto simile a tutti gli altri ambienti della casa, quella che gli apparve davanti agli occhi.
Disordinata e caotica, come se l'occupante potesse tornare a casa da un momento all'altro, con solo un leggero odore di chiuso e un velo di polvere che fluttuava nella pallida luce artificiale.
Gli ricordava la sua stanza, a casa dei suoi genitori nel Michigan. Come le stanze degli amici, quando lo invitavano a casa loro, al liceo.
Una stanza semplice, sul retro della casa, straordinariamente insignificante.
Solo che sapeva di chi era.
O meglio, di chi era stata.
Ed è questo che faceva la differenza, provocandogli una stretta allo stomaco.

La prima cosa che vide erano i tanti poster, di tutti i tipi, sparsi sui muri: Lynyrd Skynyrd, Blue Öyster Cult, Pink Floyd, Deep Purple, Motörhead.
Un sorriso gli aleggiò sulle labbra, notando anche dei poster sbiaditi dei Metallica, dai concerti che hanno fatto anni fa, come band di apertura o nelle lineup dei festival.

Girandosi intorno, esplorò con cautela la stanza, trattenendo involontariamente il respiro: in cima al comò, trovò disseminate monete e banconote da un dollaro, un paio di flaconi di pillole vuoti, un pacchetto di gomme da masticare aperto, un paio di occhiali con una montatura di metallo.
C'era anche una pila di fumetti. Non era mai stato molto appassionato di fumetti, ma gli bastò un'occhiata per capire che erano per lo più horror, con zombie, vampiri ed altre creature simili che si stagliavano sulle copertine. Assomigliava molto a qualcosa che Kirk avrebbe letto, essendone appassionato.
O forse era di Kirk – realizzò, mordendosi il labbro– forse Cliff non aveva mai avuto la possibilità di restituirglielo.
Lo rimise giù, sfiorando piano con le dita la copertina.

La scrivania addossata alla finestra era immersa nello stesso disordine. Cassette di musica, penne, matite e quaderni, erano accatastate senza un ordine logico, e in un angolo c'era una lampada da tavolo e una cornice a faccia in giù. Prese una delle tante cassette: era dei Rush, "2112".
Era una delle sue preferite e, per una frazione di secondo, fu tentato dal prenderla, come un ricordo.

Si morse nuovamente il labbro e la ripoggiò assieme alle altre. Non poteva, semplicemente, sarebbe stato un furto.

Sul comodino, accanto al letto, c'era un'altra cornice a faccia in giù e due libri tascabili impolverati. Erano entrambi di Bradbury, e Jason ne prese uno.
Era Fahrenheit 451, e si ritrovò a pensare che era una buona scelta. Aprendo una pagina a caso, notò le sottolineature, e le minuscole note ai margini, appuntate in una calligrafia piccola e aguzza.
Non conosceva nessun altro a cui piacesse Bradbury, e lo addolorava che l'unica persona che potesse non era lì per parlarne. Era una connessione persa, una delle tante.

Ray aveva accennato, una volta, al fatto che Cliff e Jason sarebbero andati molto d'accordo. Tuttavia, lui al tempo si era domandato quanto fosse vero, ma ora gli appariva chiaro che forse c'era davvero qualcosa.

Quando era con i Flotsam e Jetsam* aveva incontrato Lars un paio di volte, ricordò, ma non Cliff. Lo aveva visto, solo una volta, quando i Metallica erano stati l'ultima volta a Phoenix, nell'86. Doveva essere stato ad aprile di quell'anno, ricordando il calore primaverile della serata.
Si era presentato presto, davanti al palco, e ha aspettato per ore e ore, chiacchierando casualmente con le persone che gli si stringevano intorno, fino all'inizio dello spettacolo. Non ricordava molto dello spettacolo o delle canzoni, ma ricordava Cliff – una raffica di capelli ramati e jeans a campana, di come non se ne vedevano da anni – tanto era concentrato sulle mani del bassista che volavano sulle corde e su e giù per il manico del basso.
Ricordava distintamente come avesse desiderato ardentemente poter suonare come lui un giorno, e che i ragazzi dei Flotsam potessero essere come i Metallica un giorno e condividere il palco.
E questo ora suonava terribilmente ingiusto.

Il letto era fatto, notò, spegnendo la luce e restando solo col chiarore lunare.
Passò la mano sulle lenzuola di flanella, ma non gli venne in mente di sedersi o sdraiarsi sul letto, per non voler infrangere il placido incantesimo che aleggiava in quella stanza, donando alla stanza un'aura surreale, ma serena.

Come se lui non fosse neppure realmente lì.
Si sedette sul pavimento, poggiandosi all'indietro finché non si sdraiò sulle piastrelle fredde. Sotto il letto, nascosto vicino alla scrivania, c'era uno skateboard e un paio di riviste di Playboy.
Sospirò, godendosi la quiete del silenzio, mentre solo la fioca luce lunare illuminava la stanza, dipanandosi dalla finestra.
C'era un poster dei Black Sabbath attaccato al soffitto, realizzò osservandolo, di "Sabbath Bloody Sabbath", ed era solo un'altra connessione persa**.
Lo fissò a lungo, tracciando le lettere una dopo l'altra, osservandone lo strappo nell'angolo in alto a sinistra – e non potè fare a meno di chiedersi quante volte Cliff avesse fatto la stessa cosa.

Chiuse gli occhi, ripercorrendo mentalmente tutto ciò che aveva visto.

Quella stanza, gli era ormai chiaro, esigeva il rispetto e la riverenza di un cimitero. Dopo tutto, che cos'erano altrimenti tutti quegli oggetti, se non le ossa di chi che non era più lì?
Uno scheletro fatto delle persone che lo avevano amato e lo amavano, delle cose che amava, dei ricordi che tutti hanno da condividere di lui. Dei rimasugli di ciò che era.
E che cos'era lui in quel luogo, – ponderò silenziosamente – se non qualcuno che era venuto a rendere omaggio all'uomo la cui sorte aveva determinato il suo destino?
Era un estraneo, eppure era tutto ciò che aveva cambiato la sua vita.
E lui sapeva fin troppo bene che era quello il prezzo da pagare, per essere là. Riempire delle scarpe, solo perché qualcun altro, prima di lui, non aveva potuto. Era nei Metallica solo perché Cliff era morto, per una tragica casualità.

Sebbene ormai la morte fosse quasi un'astrazione per chi rimaneva – considerò tra sé – si tendeva a sentir parlare di disastri, incidenti e malattie e dimenticare che c'era molto più di una perdita di vite umane.
E in quel momento ciò gli appariva dolorosamente chiaro: c'era sempre quel che restava, delle persone, altrettanto reale quanto lo erano state esse.
Altrettanto tangibile quanto lo erano gli oggetti che rimanevano, tristemente ignari della sorte umana, senza sapere quando i proprietari se ne sarebbero ormai andati.
Dei testimoni muti e impassibili.

Si morse le dita, alzandosi da terra, e asciugandosi sbrigativamente gli occhi umidi, per poi uscire, non prima di essersi guardato indietro un'ultima volta. "Buonanotte Cliff" sussurrò.


* Flotsam e Jetsam: il gruppo thrash progressive in cui suonava Jason prima di unirsi ai Metallica
** Sabbath Bloody Sabbath è uno dei dischi preferiti di Jason. Questa connessione, per questo particolare disco, l'ho già ripetuta nella mia long "...And Justice For All", per chi di voi la segue ^^


Angolo Autrice: Questa storia doveva uscire il 10 febbraio, in onore di Cliff, ma avendo avuto dei giorni a dir poco infernali e deleteri per me, ho dovuto rimandare, quindi eccovela qui!
Il Ray menzionato nel testo è, ovviamente, Ray Burton, il padre di Cliff.
Detto questo, ringrazio chi recensirà ~ ci vediamo la prossima settimana con l'aggiornamento di "...And Justice For All"

   
 
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