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Autore: Eneri_Mess    20/02/2021    0 recensioni
Il Boss la attende per un colloquio questa sera, Chuuya-san. Ci sono dei cambiamenti improrogabili che richiedono la sua presenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chuuya Nakahara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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COW-T 11, seconda settimana, M1
Prompt: Soldi - Mahmood
Numero parole: 2142
Rating: SAFE
Warning: accenni ad abuso di alcool e menzioni di suicidio. 

 

Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai
Non ho tempo per chiarire perché solo ora so cosa sei

[Soldi - Mahmood]



 

Il Boss la attende per un colloquio questa sera, Chuuya-san. Ci sono dei cambiamenti improrogabili che richiedono la sua presenza. 

Hirotsu era stato un ambasciatore impeccabile, freddo e distaccato. Anche col senno di poi, con la calma di chi, dopo anni, ripensa a certi avvenimenti, Chuuya non avrebbe saputo stabilire se, dalla sua espressione o dai suoi gesti, sarebbe stato in grado di comprendere di quali cambiamenti improrogabili si stesse parlando. Lo aveva seguito e, quello che aveva trovato - o meglio, quello che non aveva trovato - non gli era piaciuto.

Tuttavia, il punto era un altro. 

Chuuya era venuto a sapere cosa fosse successo contro la Mimic circa quarantotto ore dopo che la Port Mafia aveva mandato gli Spazzini a ripulire la villa occidentale teatro dell’ultimo scontro. La notizia, l’intera vicenda, gli era arrivata in faccia come uno schiaffo, non lasciandogli il tempo di assimilare i dettagli. 

Non aveva mantenuto lo stesso aplomb di Hirotsu, neanche vagamente. Alcuni pavimenti del quartier generale della Mafia, anche a distanza di anni, conservavano intatte delle crepe a ricordo della sua esplosione di emozioni.

Nessuno ne parlava apertamente, ma tutti bisbigliavano sul colloquio tra Mori-san e il Dirigente più giovane - l’ultimo rimasto - della Port Mafia. Sussurri che si rincorrevano, ipotizzando cosa ne sarebbe emerso. Si parlava della sparizione del pupillo del Boss, del suo erede. Tutti sapevano, ma nessuno, neanche sotto tortura, avrebbe mai ammesso una verità simile.

Nulla era mai facile quando di mezzo c’era Dazai Osamu. Le circostanze riguardo la sua scomparsa - che, in breve, era diventata la notizia del suo tradimento, ma guai ad alzare troppo la voce - aveva già fatto il giro di ogni rango della malavita. 

In pochi sapevano davvero cosa fosse successo, ma bastava una mano sola a contarli. 

Uno di loro, quello sulla bocca di tutti, si era volatilizzato e non aveva lasciato tracce di sé. Uno aveva tradito, rivelandosi una spia. Uno vagava per la città come il cane randagio che era, alla ricerca dei nemici superstiti e del proprio orgoglio. Uno era seduto sul trono del vincitore, nell’ufficio all’ultimo piano della Port Mafia, girando il cucchiaino in un caffè ormai freddo ascoltando la frustrazione di un appena diciottenne. Uno era morto e la sua tomba non era ancora stata eretta a parlare per lui. 

Chuuya non era tra questi, ma aveva appena ereditato tutta la loro storia sulle spalle. 



 

Ci avrebbe messo diverso tempo ad ammettere di avere un problema. 

Il consumo continuo di vino che stava facendo in quel periodo era un effetto collaterale, ma il sapore di questo era l’unico in grado di sciacquare la bocca di Chuuya e annegare parte dei pensieri che giornalmente lo stavano ossessionando. 

Raramente si ubriacava in pubblico, che fosse con i suoi uomini o con i suoi colleghi. Gli era bastato vedere il disappunto e la delusione negli occhi di Kouyou, una volta che aveva toccato pesantemente il fondo, per imporsi di limitare il consumo di alcolici al privato. Solo lui, la bottiglia, le sigarette e una parete a vetro da cui contemplare le profondità più oscure e beffarde della verità.

Come quella notte. 

Erano le tre del mattino e Chuuya stava aspettando una telefonata, osservando il mondo attraverso il rosso un calice di vino. La skyline di Yokohama, delineata dalle luci della città, era un percorso che gli occhi del giovane Dirigente avevano iniziato a tracciare ogni sera. Dei punti fissi capaci di restituirgli un senso di stabilità. 

Un tempo le aveva odiate. 

Erano passati tre anni da quando non viveva più a Suribachi, in un cratere fatto di buio, speranze mal riposte e rassegnazione. Era il piedistallo dell’inferno. Il punto più alto del fondo che una persona poteva raggiungere. Per una banconota stropicciata erano stati uccisi amici e famigliari. 

Fissare le luci di Yokohama da uno dei tetti di quel luogo significava contemplare ogni notte la propria sconfitta, farsi tenere compagnia dalla solitudine di non essere nessuno. Erano stelle finte, che ti fissavano di rimando con una pietà artificiale, silenziosa e beffarda. 

Col senno di poi, sapere di essere il fautore di quel posto, che l’entità che viveva dentro di lui fosse l’artefice di quel buco infernale, aveva solo aggiunto in Chuuya un tassello al puzzle di ricordi che conosceva per sentito dire, ma che non avrebbe mai afferrato. 

Era stato il Re delle Pecore, aveva abitato e vissuto ogni angolo di Suribachi, l’aveva chiamata l’unica casa possibile per qualcuno come lui. Aveva lasciato che il sudiciume e la rassegnazione di quel luogo si iniettassero nelle sue vene e lo paralizzassero al punto di non fargli scorgere altro oltre il bordo della miseria. C’erano i suoi compagni. Aveva vissuto e combattuto per loro, anche quando, alle spalle, le loro parole erano state lame.

La prima volta che, dall’ufficio di Mori, aveva visto Yokohama nella sua interezza, dall’alto, dal trono, aveva capito che c’era altro. La consapevolezza che quelle luci che osservava di notte, le false e uniche stelle di un firmamento nero, fossero vita, fossero opportunità, gli aveva fatto rimescolare quello che credeva di sapere. Gli aveva fatto anelare ad altro. 

Pensava avrebbe odiato la città di Yokohama, i suoi abitanti fortunati. Quelle persone che non sembravano accorgersi dei fantasmi di Suribachi, e che gli sventurati stessi di Suribachi odiavano di rimando. Non capì perché ne rimase affascinato, perché non ritrovò in sé quello stesso odio che i suoi compagni avevano costantemente ricamato nei confronti di perfetti sconosciuti. 

Un’opportunità si era presentata davanti a Chuuya e lui l’aveva afferrata prima ancora di rendersene conto. 

Anche se quell’opportunità si chiamava Dazai Osamu e, a essere precisi, Chuuya l’aveva preso a calci, tentando di ucciderlo. 

Ringraziare Dazai per averlo trascinato in quel mondo, anche quando, a conti fatto, lo aveva incastrato ad accettare la sua proposta, era fuori discussione. Non sarebbe bastato tutto il vino del mondo a farglielo ammettere, a pensare di dovere della gratitudine a quell’idiota. 

Era il contrario. 

Era Dazai che gli doveva qualcosa. Delle risposte

Dove cazzo sei?




 

Il telefono squillò un tempo imprecisato più tardi, svegliando Chuuya. A tastoni recuperò il cellulare che vibrava sul divano, rispondendo senza leggere chi fosse. 

“Pronto…” 

Aveva la bocca impastata dall’alcool e dal sonno, così dovette aggiungerci una discreta dose di minaccia per renderla credibile. “Sei in ritardo, dove cazzo eri finito?”

Le chiedo scusa, Nakahara-san. C’è… voluto più tempo del previsto.

Il tentennamento dall’altra capo del telefono era palese. C’era una paura di fondo, il distintivo tono di chi, anche se maschera tutto con professionalità, prova timore nel riportare i propri risultati, sapendo che non soddisferanno. 

Chuuya si mise seduto, non con la solita agilità. Erano giorni che non riusciva realmente a riposare e i suoi muscoli tesi gli stavano dietro a fatica. Si diede un’occhiata veloce e constatò lo stato disastroso del proprio aspetto. Se quel malcapitato dall’altro capo del telefono avesse potuto vederlo, la sua voce non sarebbe risultata così cauta, tutt’altro. Questo non avrebbe però impedito a Chuuya di essere indulgente. Essere compatito era la prima voce nelle lista Se vuoi farmi incazzare

“Cosa hai scoperto” chiese secco, senza farla neanche suonare come una domanda. 

La bomba sotto la sua macchina…” iniziò l’uomo, tentennante, ma con una cadenza svelta, di chi cerca di togliersi un cerotto. “Non sono risultate impronte. I componenti erano generici, qualcosa che si può fabbricare con pezzi comprati da un ferramenta. Potrebbe essere stato chiunque. Qualcuno che ha del rancore nei suoi confronti o che abbia voluto farle uno scherzo...

Il nome di quel chiunque doveva essere Dazai Osamu. Chuuya aveva bisogno di sapere che fosse lui. Aveva bisogno di una cazzo di traccia da far seguire a quel detective che aveva ingaggiato.

Tuttavia non replicò, afferrando il pacchetto di sigarette dal tavolo e accendendosene una. La nicotina si mescolò al sapore del vino rimastogli sul palato, in un mix che ricordava solo vagamente quanto adorasse entrambi i sapori insieme. Lo disgustò, ma lo aiutò anche a schiarirsi in parte la mente dal sonno. 

Pensa

Pensare era un’arma a doppio taglio quando si parlava di Dazai, perché significava calarsi nei suoi labirinti, dove quel mentecatto si nascondeva e, al contempo, ti faceva credere di averlo a portata di mano. 

Bisognava essere più rapidi di lui, cercare di anticiparlo, immaginare cosa avrebbe combinato. Tentare di prevedere la mossa, le mosse, che aveva in mente. 

Nei tre anni da partner, Chuuya ci aveva provato costantemente, anche se, più volte, aveva gettato la spugna molto presto. Era più semplice ammortizzare le conseguenze, incazzarsi a cose fatte e mandarlo a quel paese. 

I pochi momenti in cui era riuscito a stargli mezzo passo avanti erano quelli che avevano preannunciato un tentativo di suicidio serio da parte di Dazai. 

Quelle volte aveva aveva dovuto sia pensare, pensare molto rapidamente, sia affidarsi all’istinto e sfruttare la piccola finestra di tempo che il partner gli lasciava aperta. Cercare di capire dove fosse la trappola, quale fosse il modo più efficace di raggiungerlo prima che fosse tardi. 

La sensazione che Chuuya aveva alla fine, quando ripescava il partner da un fiume, da una vasca con l’acqua tinta di rosso, o gli toglieva un cappio dal collo, era di afferrare di lui dei frammenti di vetro. Erano i momenti dove credeva di avvicinarsi a Dazai, di carpire qualcosa di lui, ma poi bastava che riprendesse i sensi e lo schernisse per gettare quel barlume di vittoria e si ritornava da punto a capo. 

Eppure, tolto il rafforzare l’opinione di Chuuya che Dazai fosse semplicemente uno stronzo, quei suoi sbalzi avevano costruito un’immagine incoscia che gli aveva permesso di rapportarsi - e sopportarlo - meglio di giorno in giorno. 

Venire a sapere dal giorno alla notte che Dazai fosse sparito a seguito di uno scontro con un’organizzazione nemica non aveva dato il buongiorno a Chuuya. Aveva interrotto quel vago processo di accettazione che il Dirigente stava portando avanti nei confronti dell’altro, se non stroncato sul nascere qualcosa di più. 

Tuttavia, Chuuya non ci stava a rimanere appeso a un filo tranciato senza prima delle risposte. 

“Novità dagli ospedali?” chiese quindi, riprendendo il discorso e massaggiandosi la fronte. 

Nessun paziente ricoverato con le sue caratteristiche…” 

Chuuya imprecò. 

“Obitori?” lo disse prima che nello stomaco potesse formarsi la familiare sensazione di negazione a quella possibilità. 

Ho confrontato i cadaveri sconosciuti con la foto che mi ha fornito, ma nessuna corrispondenza.” 

Nella seconda imprecazione che si lasciò sfuggire, il mafioso infuse anche un discreta dose di sollievo malcelato. Quell’idiota era ancora vivo. Nascosto da qualche parte, ma ancora vivo. 

“Voglio dei risultati” iniziò il Dirigente, ciccando nel posacenere e poi allungandosi ad afferrare la bottiglia del vino rimasta aperta e prendendone un sorso senza passare dal bicchiere. “Cerca nelle altre prefetture.” 

Pensa. Pensa come penserebbe lui. Sai di cosa è capace. Chi è

“Lascia perdere gli aeroporti, ma tieni d’occhio i falsari. Un passaporto falso in mano a Dazai è come dargli le chiavi del mondo, ma è troppo pigro per andare molto lontano.”

Ne sei certo? 

No. 

Come si faceva a scegliere un percorso nel labirinto di Dazai e percorrerlo alla cieca? 

“Potrebbe essere benissimo nascosto qui dietro l’angolo. Setaccia gli appartamenti che nessuno sano di mente affitterebbe. Fruga nella spazzatura se necessario. Quell’imbecille campa di sakè e scatolette di granchio.” 

... mi servono altri soldi” riprese la voce al telefono. 

“Non è un problema.” 

Per pagare le informazioni… e i miei collaboratori. E gli spostamenti, ho bisogno di-

Non è un problema” rimarcò Chuuya, accendendo un’altra sigaretta. “Non farmi ripetere. Avrai un nuovo assegno in mattinata al solito indirizzo. Spendi quello che è necessario, ma portami dei risultati.” 

Dimmi dove cazzo è finito Dazai



 

Quattro anni più tardi, quando Chuuya apparve in cima alle scale della sala delle torture, per un breve momento ripensò a quel periodo subito dopo la scomparsa di Dazai. 

Ripensò a quanto avesse toccato il fondo in quell’occasione, a quanto avesse scavato, sperando - gli si chiuse lo stomaco solo a rammentare quel sentimento - di ritrovarlo. A quante energie, fisiche e mentali, a quanti soldi avesse speso per correre dietro a un’ombra, senza mai avvicinarla. 

E in quel momento, quella stessa ombra stava lì, ammanettata a un muro, sbadigliando annoiata. 

Chuuya se ne era fatto una ragione molto tempo prima. Aveva capito che, quando sarebbe stato il momento, Dazai sarebbe ricomparso dal nulla. Era un chiodo conficcato troppo a fondo per poter sparire nel nulla, sparire per sempre. Non voleva perderci altro tempo però, anche se una parte di sé già gli diceva di pensare

Dazai catturato così facilmente dalla Port Mafia? 

Puzzava di fregatura dalla prima sillaba. 

Eppure nessuno e nessun pensiero gli avrebbe tolto la soddisfazione di rifilargli almeno un pugno nello stomaco. 

Bentornato Dazai.



---

Visto che siamo in periodo di COW-T e dato che ieri pareva la giornata mondiale dedicata a Chuuya con l'uscita degli spoiler e dei contenuti di Stormbringer, eccoce qua UU/ 
Uno dei tanti possibili (?) missing moment post Dark Era e i suoi strascichi ~


 
   
 
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