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Autore: LostRequiem    21/02/2021    1 recensioni
“Pensi a… loro, vero?” gli chiese una voce gentile. Una sottile scia di polvere blu scintillò nell’aria, dissolvendosi subito dopo.
Fece un mezzo sorriso, guardando la sua compagna di avventure. Ormai lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso.
[scritta in onore del 35° anniversario della saga, basata sulla storia di Ocarina of Time]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Epona, Link, Navi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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The legend of

ZeldaThe prelude of Hyrule




 

 If someone with a righteous heart
makes a wish, it will lead Hyrule to a golden age of prosperity...
If someone with an evil mind has his wish granted, the world will
be consumed by evil... That is what has been told...

 

Una melodia flebile e leggiadra si sparse nell’aria, quasi danzasse, trasportata dal vento verso l’alto, baciando il cielo quasi volesse fondersi col mondo.
Degli occhi blu cristallino si posarono stanchi con lo sguardo su una superficie scintillante d’acqua, mentre degli sprazzi caldi di luce iniziavano ad abbracciare il luogo, bucherellando le nuvole soffici per farsi spazio ed illuminare il lago.
Quei baluginii dorati che spiccavano sulla superficie celeste apparivano eterei e diafani, tanto che gli indebolirono lievemente la vista, costringendolo a sbattere le palpebre per qualche secondo prima che le sue iridi si abituassero a quella visione quasi ultraterrena.
Subito dopo riuscì a scorgere qualche pesce rompere la quiete con i suoi salti, lasciando che tante piccole gocce azzurre si librassero in aria, brillando, per poi scomparire e rifondersi con l’enorme massa acquosa, serena come non mai.
Il vento creava delle piccole increspature sul suo manto, cullandolo come se lo carezzasse, e il profumo d’erba fresca si fondeva con quello della rugiada che riposava in pace sulle foglie dei sottili ceppi di cespuglio radicati nel terreno. Il lento oscillare del ponticello in legno scandiva il tempo.
Una piccola casetta con due alte torri in mattone ai fianchi faceva guardia al posto consacrato dal sole.

La musica, proveniente da una pregiata ocarina in ceramica blu, lucida come uno specchio, suonava una tenera nenia, un suono dolce e rasserenante che avrebbe indotto al sonno anche il più discolo dei bambini di Hyrule. Sopra lo strumento spiccava un simbolo, composto da tre triangoli dorati. Simbolo che risaltava anche sulla mano sinistra di colui che lo stava suonando.
Una fresca brezza fece oscillare affettuosamente i capelli biondo paglia del ragazzo che se ne stava appoggiato ad un vecchio tronco di un antico albero ormai spoglio della sua chioma, mentre le note placide della melodia tramandata dagli Sheikan si facevano più basse, quasi a voler cullare il posto piano piano, fino ad addormentarlo.
Link chiuse gli occhi, lasciando che le proprie dita continuassero a muoversi autonomamente sull’ocarina, segno di come avesse ormai interiorizzato ogni singola nota, quasi facessero parte di lui: quell’oggetto l’aveva accompagnato sin dall’inizio della sua avventura, e l’aveva aiutato innumerevoli volte, oltre a costituire per lui un caro ricordo.
Lo faceva pensare a quando aveva lasciato la Foresta, triste per la morte di colui che considerava un padre, l’Albero Deku.

Quanto gli mancava. 

Stare lì, sotto lo sguardo dell’unico ramo rimasto di quello che ormai non era che un arbusto, gli faceva venire alla mente i giorni di pioggia in cui si rifugiava sotto le sue foglie, per ripararsi, o ancora quando si teneva abbracciato al ruvido tronco, facendosi consolare mentre calde lacrime gli rigavano il viso dopo le ennesime litigate con i sui amici Kokiri.

Lo faceva pensare a Saria, al suo regalo fatto con tanto amore. Lei era stata la prima a capire, ancora prima di Link stesso, come egli non appartenesse a quel luogo. Nei suoi occhi, quel giorno, aveva letto la triste consapevolezza di chi sapeva

Lo faceva pensare a Zelda, al suo viso contratto dal terrore, mentre con Impa scappava in sella al loro cavallo, premurandosi di lanciargli il prezioso oggetto che poi dovette recuperare immergendosi nel fiume. Riusciva ancora a sentire il gelo dell’acqua penetrargli nelle ossa, come tutte le volte che vi si era tuffato in piena notte per sfuggire agli artigli dei mostri.

Lo faceva pensare ad un piccolo spiritello a cui aveva donato la tanto agognata faccia, e a come la sua solitudine si fosse un poco spenta, da quando si erano conosciuti.

Gli ricordava l’allegro ballo di Darunia, che si dimenava a ritmo della sua musica come fosse la cosa più bella del mondo, facendolo ridere a crepapelle.

Un sottile velo di malinconia colorò le note di quella ninna nanna, tramandata di generazione in generazione.
Un nitrito contento lo destò dai suoi pensieri, portandolo a riaprire gli occhi. Davanti a lui, la sua fedele Epona.
Sorrise, lasciando che le labbra si staccassero delicatamente dallo strumento, e posando una mano sul muso morbido della cavalla che riposava a terra di fianco a lui.

Aveva lavorato sodo anche lei: gli zoccoli erano rovinati e qualche graffio poteva essere intravisto sul pelo castano, tuttavia poteva vantare una criniera setosa e un manto pulito e sano, dato che Link le riservava premurose cure sin da quando si erano riuniti. Non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di lei. L’affetto che provava nei suoi confronti non era descrivibile a parole, solo le Dee avrebbero potuto conoscerlo: ringraziò interiormente la cara Malon per averlo accolto nel suo ranch, fidandosi di lui nonostante fosse ancora un bambino acerbo ed inesperto.
In realtà Link lo sapeva, di essere ancora un bambino. Per lui, quei sette anni, non erano stati che un soffio di vento, e la sua mente era rimasta quella di sempre, era stato solo il suo corpo a crescere e a divenire più forte in prossimità dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare. Ma il male, che aveva conosciuto e guardato in faccia, che aveva affrontato e pugnalato con la sua lama, quello lo aveva fatto crescere, maturare.
Ed ora, finalmente, poteva dire che corpo ed anima erano un tutt’uno.

Non gli faceva più impressione guardare il mondo da una prospettiva così alta, non era più così strano specchiarsi nei ruscelli per bere e ritrovarsi davanti l’immagine di un adulto, non faceva più così male sapere che nessuno dei suoi amici Kokiri lo riconoscesse, da quando aveva parlato con Mido.
Non era più così pesante essere l’Eroe del Tempo, ora che Ganondorf era stato sconfitto.

Portava ancora i segni della battaglia, l’ultima battaglia, contro il re del male.
Il corpo atletico era segnato da ferite di guerra ancora più profonde di quelle che gli avevano inflitto i nemici precedenti, e ormai il viso intoccato era rimasto contaminato da una cicatrice sulla guancia, presso lo zigomo sinistro. Era successo proprio prima di sferrare l’ultimo colpo, quello decisivo, con la Master Sword.

Ma quel graffietto, tutti quei graffi e quelle ferite che portava sul corpo come ricordi delle sue gesta, non erano nulla in confronto alla pace. Avrebbe sopportato di tutto, pur di vedere la sua Hyrule splendere di nuovo.

Sorrise, per la prima volta dopo tanto tempo. Si ricordava ancora del tremore che l’aveva scosso profondamente negli attimi seguenti alla battaglia, si era lasciato andare solo allora, solo dopo aver condotto la principessa in salvo, e aver visto l’enorme castello di Ganonorf sprofondare sulle sue stesse macerie, verso le più profonde viscere della terra.
L’aria si era fatta rarefatta, ma poi era comparso il 
sole.
Link l’aveva ammirato, incurante di come gli occhi gli dolessero, a causa della forte luce, e il suo cuore si era liberato di un peso, un peso che fino a quel momento gli era parso troppo grande per le sue giovani spalle.

Ma ce l’aveva fatta. E solo allora, per la prima volta, aveva pianto. Aveva pianto, davanti agli occhi orgogliosi della principessa di Hyrule, lacrime che sapevano di sollievo, tristezza, paurastanchezzadoloregioia.

Gli instanti che avevano seguito quel momento gli erano parsi così irreali che anche solo cercare di ricordarsi come si fosse sentito gli era impossibile.
Zelda gli aveva promesso che gli avrebbe restituito la sua infanzia, dopo averlo ringraziato, senza capire a fondo i sentimenti di Link. Quelle parole lo avevano scosso, ma non sorpreso.

Lui si era inginocchiato davanti a lei, con lo sguardo basso e una mano sul petto- come si fa con le principesse- e le aveva fatto una richiesta. L’unica, da quando era stato convocato da lei a palazzo. Un’unica richiesta, un solo desiderio da quando gli era stato ordinato di salvare il regno con le sue sole forze.

Voleva rivedere la sua terra, Hyrule, per l’ultima volta.

Voleva ammirare un’Hyrule rinata, un’Hyrule priva di terrore, un’Hyrule che risplendesse di luce propria dopo essersi liberata dall’ombra del male. Aveva passato troppo tempo tra quelle lande ormai desolate, piene di mostri e cadaveri, tra natura morta e persone scomparse, aveva visto troppi luoghi che amava decadere o venire distrutti davanti a lui. Voleva constatare di persona che fosse davvero finito tutto.
Lei acconsentì. Non poteva non farlo.
Link lo sapeva, che una volta tornato avrebbe dovuto obbedirle, ma era sicuro che sarebbe stato pronto dopo aver esaudito il suo desiderio.


Epona rispose alla carezza con un nitrito riconoscente, picchiettandogli affettuosamente il busto con il musetto scuro.

“Ti prometto che ci rivedremo…” le sussurrò, con un tono di voce dolce, mentre riavvicinava l’ocarina alle labbra.

“Questa è per te, amica mia.” 

E suonò ancora, stavolta una calda melodia che sapeva di prati e latte fresco, una melodia che aveva portato nel cuore sin dal primo momento in cui l’aveva udita.
Non poteva esserle più grato per averlo accompagnato durante il suo viaggio, e soprattutto per averlo scelto, quel giorno al ranch. Espresse la sua riconoscenza suonando meglio che mai, lasciando che le note si disperdessero soavi intorno a loro.
Il sole si fece più alto nel cielo, baciando di luce i capelli di Link, i quali brillarono come uno dei calici d’oro che erano soliti utilizzare i reali a castello. Link li aveva notati diverse volte, e si era sempre chiesto come fosse bere da un oggetto tanto prezioso, lui che era abituato alle ampolle o al solo utilizzo delle sue stesse mani.
In realtà, non doveva poi esserci tanta differenza.
La prima volta che aveva visto il castello davanti a sé, l’aveva ammirato come se fosse stata la visione più bella e maestosa della sua vita: vi si era intrufolato e l’interno, così grande e curato, l’aveva colpito ancora di più.
Era completamente diverso dalla Foresta… loro, i reali, avevano immense stanze tutte per sé, decorate da opere d’arte della più pregiata fattura, rappresentanti a volte la famiglia regale, altre i più bei paesaggi del regno; avevano sconfinate sale da pranzo, dove allestivano banchetti sontuosi, pronti ad accogliere tra i propri commensali ogni eminenza che fosse stata accettata come degna di tale onore, i corridoi erano ornati da arazzi dipinti, della stessa altezza delle pareti, composti da fili intrecciati a mano dai più abili artigiani che avessero mai varcato le soglie del palazzo, mentre fiori che non aveva mai visto coloravano di vita ogni entrata.

Il giardino era ornato da verdi rampicanti che si avvighiavano sulle pareti in marmo, da statue immacolate che vegliavano come sentinelle su chiunque fosse entrato, e il verde prato poteva vantare un’erba finissima, perfettamente tagliata, circondata da un limpido ruscello. La natura era stata domata per fare spazio agli Hylian.
T
utto questo era stato come un getto d’acqua fredda per Link, lui che aveva sempre sognato di vedere il mondo, di esplorarne ogni meandro. Andava oltre ogni cosa avesse mai immaginato.
Allora non lo sapeva, ma se le cose fossero andate diversamente anche lui sarebbe stato cresciuto così. Anche lui avrebbe vissuto come un reale.
Ma suo padre era deceduto in battaglia, e sua madre si era spenta subito dopo averlo salvato dal gelido soffio della morte. 
Una piccola lacrima scese lungo il suo volto, mentre ripensava ai suoi genitori. La musica cessò.

“Pensi a… loro, vero?” gli chiese una voce gentile. Una sottile scia di polvere blu scintillò nell’aria, dissolvendosi subito dopo.

Fece un mezzo sorriso, guardando la sua compagna di avventure. Ormai lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso.

“Sì. Non ho mai avuto la possibilità di conoscerli… mi chiedo se mio padre abbia provato le stesse cose che ho provato io, in battaglia. Se abbia avuto paura” sussurrò, quasi parlando a se stesso.

“Mi chiedo se il coraggio di mia madre nel portarmi in salvo adesso sia stato ripagato.” concluse, volgendo lo sguardo al lago Hylia. Delle piccole libellule striate si erano posate sulla superficie.

Navi lo osservò un attimo senza dire nulla. Ne era passato di tempo da quando aveva scoperto la verità, ma quella era solo la seconda volta in cui nominava i suoi genitori. La prima era stata con Sheik, l’unico momento in cui si era mostrato vulnerabile di fronte a lei. Le aveva confessato di sentirsi fuori luogo, di non riuscire ad accettare che sette anni della sua vita fossero stati persi nel nulla. Le aveva confidato quanto fosse stato doloroso scoprire di essere un Hylian. 

Lei aveva risposto che essere un eroe era difficile.

Navi era rimasta scossa da quella conversazione: era arrabbiata con Sheik per non averlo consolato, era triste per Link, ma era anche rassegnata perché sapeva che era compito dell’Eroe del Tempo sacrificarsi per il bene di Hyrule. Come era compito suo sacrificarsi per lui.
La piccola fatina era rimasta in silenzio quando il ragazzo aveva sorriso alla principessa ancora sotto mentite spoglie, ringraziandola e promettendole che avrebbe salvato Zelda ad ogni costo.

“Tutti hanno paura Link. Gli eroi sono coloro che vincono la paura per il bene di chi gli sta attorno, come hanno fatto i tuoi genitori”

“E come hai fatto tu.” aggiunse, con uno sfarfallio.

Le orecchie dell’Hylian si incurvarono leggermente verso l’alto, segno di come quelle poche parole l’avessero confortato. Fece per risponderle, ma Navi lo interruppe, continuando a parlare come suo solito.

“E certo che il loro coraggio è stato ripagato, hai battuto Ganondorf, il re del male! E anche la sua forma bestiale, Ganon! Hai salvato tutti quanti” esclamò, fiera di lui, svolazzandogli intorno per tirarlo su di morale.

Solo quando udì quelle parole Link realizzò finalmente ciò che aveva fatto, gli era sembrato irreale fino a quel momento. Sorrise, rivolgendole uno sguardo pieno di affetto. Di nuovo, la fatina lo interruppe prima che potesse proferire parola:

“E non provare a ringraziarmi okay?? Non mi piacciono le frasi sdolcinate” disse, arrossendo leggermente.

Un nitrito di consenso da parte di Epona gli fece capire che la pensava come lei.
Link rise, e la avvicinò dolcemente a sé, stringendola contro la guancia sinistra.
Navi gli era rimasta sempre vicina, giorno e notte, da quando le era stato chiesto dall’Albero Deku, ma sapeva che non era rimasta solo per dovere: quello che si era creato tra loro era un solido legame di amicizia che nessuno avrebbe potuto recidere.
Gli era rimasta accanto quando era in fin di vita, l’aveva incoraggiato tutte le volte in cui avrebbe voluto cedere e lasciarsi morire, dissanguato o strozzato dai nemici, l’aveva tirato su quando era fin troppo depresso per muovere un solo muscolo, l’aveva confortato quando credeva che tutti i suoi amici fossero mortilo aveva aiutato a fuggire quando credeva che di lui non sarebbe rimasto che uno scheletro nella lercia prigione dei Gerudo.

Gli aveva fatto luce quando tutto ciò che vedeva era il buio.

 

“Grazie Navi…” disse ugualmente, chiudendo gli occhi. 

Lei non rispose, ma contrariamente a quanto aveva affermato prima, un piccolo sorriso le illuminò il volto.

 

Link non si pentiva di niente.

La prima volta che aveva visto il castello si era chiesto come sarebbe stato vivere in un posto tanto confortevole, ma poi aveva capito che non era mai stato quello che voleva. Non gli serviva alcun calice d’oro da cui bere vino, gli bastavano il latte appena munto e l’acqua scorrere tra le dita, il cui gelo gli ricordava di essere vivo, non desiderava alcuna stanza immensa, il suo letto era sempre diverso ed era di legno, di paglia, di roccia, di ghiaccio, non sognava banchetti sfarzosi o abiti pregiati, il suo cibo lo raccoglieva dagli alberi e lo mangiava in mezzo ai campi, i suoi vestiti erano tuniche allegre, verdirosse e blu, la bellezza degli arazzi non lo invitava come facevano le stelle del firmamento, il suo giardino era la pianura, ed i suoi araldi la sua amata ocarina e la voce di Malon.

Lui era libero.

L’Uomo del Deserto era morto, e adesso Link era libero.

 

“Hey, ascolta! Suoni anche le altre canzoni?? Abbiamo ancora un po’ di tempo” gli chiese Navi, volandogli allegramente intorno.

Egli annuì, stringendo l’ocarina tra le mani, le dita che coprivano perfettamente i buchi dello strumento.

 

Minuet of Forest

 

Richiudendo gli occhi, riusciva a vedere davanti a sé le fronde degli alberi cullate dal vento, una foresta che aveva di nuovo raggiunto la pace. Uno spiritello felice superare la paura degli adulti, dei piccoli folletti danzare di gioia. Saria e Mido sorridere.
Lui e la Foresta erano stati un tutt’uno, e le loro voci erano state più forti di quelle nascoste nell’ombra fantasma.

Amici per sempre.

 

 

Bolero of Fire

 

Sentiva di nuovo il rombare deciso della lava del Monte Morte, i sassi infuocati fuoriuscirne della bocca ed infrangersi contro il proprio scudo, l’odore di roccia tanto appetitoso per i Goron, tanto fastidioso per gli abitanti del villaggio Kakariko. Il fuoco aveva arso nei suoi occhi più di quanto avesse fatto nel vulcano, ed era esploso con passione distruggendo il drago.

Fratelli di roccia.

 

 

Requiem of Spirit

 

Poteva sentire la sabbia del deserto Gerudo incespicargli gli occhi, ed il caldo rinsecchirgli la gola, poteva risentire il sole cocente contro la pelle, e provare l’emozione del mare di rena modellarsi sotto il proprio peso, per poi prendere la forma dei suoi stivali.
Amava lasciare le proprie orme sulla sabbia. Era una sostanza così diversa dal terreno fangoso ed erboso a cui era stato abituato nella foresta, si era chiesto numerose volte come sarebbe stato poterci giocare con i propri amici Kokiri, invece di doversi solo limitare ad evitarla o domarla per paura di rimanerci sepolto.
Era stato un guerriero forte come una donna, ed aveva sconfitto l’arsura della landa incolta con le braccia di un bambino.

Guerrieri indomabili.

 

Nocturne of Shadow

 

Percepiva il vociare degli abitanti ripopolare il villaggio, ristrutturare le case distrutte e ballare nuovamente insieme a ritmo di musica.
Aveva afferrato l’ombra e l’aveva piegata al suo volere, specchiandosi in essa con la luce del suo coraggio.

Protettori del regno.

 

 

Serenade of Water

 

Il ghiaccio si era sciolto e ormai gli Zora erano liberi di nuotare ovunque volessero. Il re avrebbe sistemato tutto, la principessa avrebbe trovato qualcuno che la amasse.
Specchiandosi sulla limpida superficie dell’acqua aveva lottato contro se stesso/ossets es, e si era sconfitto, uccidendo il proprio gemello prima che egli potesse farlo con lui.
Lo scorrere del fiume aveva ripulito il sangue, ed il calore del sole aveva baciato un lago rimasto ghiacciato fin troppo a lungo.

Promessi sposi.

 

 

Sorrise.

“L’ultima la suonerò prima di riporre la Spada Suprema nel piedistallo.” esordì, interrompendo il flusso di note che li aveva avvolti.
Il sole era ormai perfettamente alto in cielo.

Si alzò in piedi, ripulendosi la tunica verde e la calzamaglia dall’erba, e osservò l’albero sotto al quale si era riparato fino a quel momento. Sfiorò il legno chiaro con i palmi ormai cicatrizzati delle mani, e poi vi si aggrappò, iniziando ad arrampicarsi.
Avrebbe potuto benissimo utilizzare il rampino, ma sarebbe stato troppo semplice: voleva risentirsi come quando era bambino, e cadeva impacciatamente dai rami dell’Albero Deku, senza mai farsi realmente male. Ora non scivolava più, era troppo allenato, e mettendo i piedi nelle giuste fessure della corteccia riuscì a raggiungerne la cima in pochi attimi, senza fatica.

“Che stai facendo??” Navi lo raggiunse ancora più velocemente, osservandolo curiosa.

Link rise, grattandosi timidamente la testa.

“Era da tanto che non mi arrampicavo, ho pensato che sarebbe stato divertente” disse innocentemente, col tono di un bambino.

Navi sorrise. Si sentì sollevata nel vederlo così sereno, dopo tutto quello che avevano affrontato.
L’Hylian guardò verso il sole, e poi afferrò il fedele arco di legno restando in piedi, mantenendo perfettamente l’equilibrio.

Lo tenne fermo con la mano destra, mentre con la sinistra afferrava una delle sue tante frecce. La incoccò, tenendo tesa la corda, ed espirò profondamente, respirando a pieni polmoni.

Mirò esattamente al centro dell’astro più luminoso di tutti, e scoccò.
Quella freccia sapeva di libertà, ed era l’ultima che avrebbe mai scoccato.
Si sentì rinascere, mentre contemplava l’indimenticabile panorama che aveva davanti.

Dopo qualche secondo sentì il rumore della freccia che cadeva in acqua, ma non se curò: per lui aveva raggiunto il sole, ed era bruciata facendosi avvolgere dalle fiamme, senza timore. La punta, però, quella no, quella si sarebbe conficcata nell’astro e non l’avrebbe mai più lasciato.

Quella freccia era lui. Forse nessuno si sarebbe ricordato della sua esistenza, ma il suo operato sarebbe rimasto vivido, come vivida sarebbe stata la terra, i suoi abitanti, le loro costruzioni.

Si sedette sul ramo, e restò lì, facendosi cullare dalla brezza profumata.

 

“Dovremmo andare adesso…” disse fievolmente Navi, dispiaciuta nel dovergli dare quella brutta notizia.

Link annuì consapevolmente, richiamando Epona con un fischio. La cavalla rizzò le orecchie e si alzò da terra, posizionandosi esattamente sotto l’arbusto.
Con un salto, atterrò precisamente sulla sella, e vi si sistemò mentre con la mano destra accarezzava dolcemente la fedele amica.

Link ripose l’arco e sospirò, senza staccare gli occhi dal lago.
Da quando l’aveva scoperto, era rimasto il suo posto preferito: gli aveva sempre trasmesso un puro sentimento di pace. Nel momento in cui aveva constatato con i propri occhi che neanche quello era sfuggito alla furia di Ganondorf gli si era stretto il cuore. Ma adesso era ancora più bello di prima.
Lo mangiò con gli occhi, come se fosse l’ultima volta.

“Noi… non ci rivedremo più… lo sai, vero?”

Un velo di tristezza coprì lo sguardo di Link. La voce addolorata di Navi tradiva la fermezza con cui aveva cercato di pronunciare quelle parole.

“Sì, lo so.”

Afferrò le redini, stringendole saldamente. Poi si morse il labbro e scosse la testa, facendo oscillare i capelli biondi.

“Verrò a cercarti. Ti troverò, Navi.”

La fatina lo osservò sconvolta, restando senza parole per la prima volta nella sua vita. Sorrise amaramente, guardando l’amico con tutta la dolcezza del mondo.

“Non mi troverai Link, io…”

“Ti troverò.” la interruppe lui, con tono fermo. Poi sfoderò uno dei suoi confortanti sorrisi.

“Fidati di me.”

Navi non rispose, appoggiandosi alla sua spalla. Lo strinse in quello che per lei era un abbraccio.

Poi Link spronò Epona al trotto, cavalcando in direzione del Santuario del Tempo.

 

 

 

Era iniziata una nuova epoca. Di pace, prosperità, e amore. Tutto grazie a lui, a Navi, ed ai suoi amici.

Link sentiva ancora il bruciore delle cicatrici sulla pelle. 

Solo che, adesso, non facevano più male.

 

 

Quello, era il preludio di Hyrule.

 


 

Sorrise.

Era il momento di tornare a casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Ho scritto questa fanfiction per festeggiare il trentacinquesimo anniversario della nascita di Zelda, la mia serie di videogiochi preferita in assoluto, e stavolta, per onorare un gioco che ha portato tanto nella mia vita sin da quando ero piccola, ho provato a mettere da parte l’Angst e scrivere qualcosa di felice (più o meno, ci ho provato). Perché è questo che la saga mi trasmette da ormai ben dieci anni, mi ha sempre sollevato il morale e così fa tuttora: quando la Nintendo ha annunciato l’uscita di Skyward Sword per Switch sono come rinata dopo una giornata decisamente da dimenticare. Non ho mai giocato a questo titolo non avendo la Wii, e sono felicissima nel sapere che potrò finalmente farlo. Non potrò mai ringraziare i creatori abbastanza per averci donato una serie così bella come The legend of Zelda.
Questa storia è ambientata nell’Hyrule di Ocarina of time, essendo esso il primo Zelda a cui abbia mai giocato, non a caso anche il mio preferito in assoluto.
Vi ringrazio se siete arrivati fin qui, e vi auguro tutto il bene possibile.

   
 
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