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Autore: Lellaofgreengables    27/02/2021    0 recensioni
Barbegrino. Un finale alternativo a Bologna per Roberta e Marcello. Per loro il Natale del 1964 sarà davvero speciale.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bologna – 24 Dicembre 1964 POV Marcello «Stai tranquillo, amore mio. Il timballo lo so cucinare. Posso affermare con assoluta certezza che è uno dei pochi piatti che mi riescono davvero bene e questa sera non avvelenerò nessuno.» sorride Roberta, mentre assaggia il sugo. Mia moglie è piena di pregi: è una ricercatrice universitaria, un ingegnere ed è dotata di un’intelligenza fuori dal comune, però è una pessima cuoca. Per lei l’abbreviazione q.b. ha il significato di “quanto burro” e ciò rende il suo rapporto con i ricettari alquanto complicato. Non che me ne lamenti, perché vederla inveire scherzosamente contro pentole e ingredienti ogni volta che combina un disastro ai fornelli, è uno dei più grandi piaceri della mia vita. Non che per me questo abbia la minima importanza. Non mi sono innamorato di lei perché speravo di sposare una cuoca o la perfetta massaia. In realtà io non desideravo affatto sposarmi, prima di conoscere lei. Ero un donnaiolo che passava di fiore in fiore, che collezionava non solo avventure e donne, ma anche debiti sui tavoli da gioco con persone poco raccomandabili. Eppure un giorno, una ragazza completamente diversa da me è entrata con prepotenza nella mia vita e in casa di Angela, mia sorella e sua amica e ha stravolto ogni mia certezza. Roberta è una persona luminosa, un sole che penetra nella vita di chi ha la fortuna di incontrarla e la illumina. Lei non mi ha solamente cambiato, lei mi ha ispirato e indicato un cammino, un percorso ricco di valori, onestà, lavoro e tanto amore. Durante i pochi mesi del nostro fidanzamento, mi sono riferito spesso a lei come all’America che ero riuscito a trovare a Milano. Per una volta la sorte era stata dalla mia parte e Roberta non solo era la mia vicina di casa, ma lavorava come commessa a Il Paradiso delle Signore, uno dei grandi magazzini più famosi del capoluogo lombardo, situato a pochi metri dalla caffetteria che ero riuscito a rilevare insieme a Salvo, il mio migliore amico. Mia moglie è la mia stella polare e senza di lei sarei perso, ma non è stata la sola guida che ho avuto e continuo ad avere. Per chi è cresciuto come me, con un pessimo esempio paterno che aveva contribuito a condurmi sulla cattiva strada, avere come coinquilino un uomo onesto e lavoratore come Armando Ferraris nei due anni che avevo trascorso a Milano, aveva fatto la differenza. La frase che ama ripetermi sempre è: Tu sei un bravo fioeu (figlio) e le sue parole mi hanno aiutato a non cadere in tentazione nei momenti più duri e bui. «Dov’è Emma?» domanda Roberta, distogliendo la mia mente da alcuni ricordi non proprio piacevoli. Al solo pensiero di nostra figlia un sorriso illumina di nuovo il mio volto. Esco dalla cucina e percorro il lungo corridoio che conduce fino al soggiorno. Seduto su una poltrona accanto al grande albero di Natale, c’è Armando che tiene tra le braccia una bambina di tre mesi con i capelli neri come l’ebano, che ha ereditato dal sottoscritto e dei grandi occhi celesti, che sono identici a quelli di sua madre e che sono la mia più grande debolezza. Emma ha solo tre mesi, ma sono convinto che abbia preso il meglio da me e da Roberta: è estrosa proprio come me ma anche determinata e razionale come la sua mamma, o almeno mi piace pensarlo. Sa già come far valere le proprie ragioni e vincere le proprie battaglie a suon di vagiti e in questo momento dovrebbe strillare come una disperata ed invece posa i suoi occhioni sorridenti su nonno Armando, che non smette di parlare con lei e di raccontarle di quel lontano 25 aprile in cui lui, ancora giovane, aveva contribuito, insieme ai partigiani, a scrivere la storia di Milano e dell’Italia intera. «Sai, Emmina, quel giorno c’ero anch’io. Le prime barricate, gli scontri con i fascisti, che erano degli uomini cattivi e pericolosi come quelli delle fiabe che ti legge la mamma. Ricordo tutto, sai. Quella notte, la notte prima dell’insurrezione, c’era un silenzio rarefatto. Noi aspettavamo ma non sapevamo che cosa. Eravamo incollati tutti alle barricate e non riuscivamo nemmeno a respirare. Ad un certo punto è spuntato il sole ed era l’alba del 25 aprile. Emmina, nella vita bisogna lottare per ciò che riteniamo giusto e per la libertà, anche se abbiamo paura o se veniamo minacciati. La tua mamma e il tuo papà sono stati molto coraggiosi. Hanno affrontato anche loro delle battaglie difficili.» Armando è dolce mentre si rivolge a mia figlia, ma io inizio a tremare. Le racconterà davvero la storia del Mantovano? Emma è troppo piccola e sono certo che non ricorderà nulla dei racconti del nonno. Però il solo pensiero che i momenti più bui del mio passato possano giungere alle sue orecchie, mi fa soffrire. Il problema è che ancora un po’ mi vergogno del vecchio me stesso e non mi considero affatto l’eroe che descrive Armando. Penso solo di aver avuto la fortuna di trovare delle persone disposte a credere in me e a rischiare pur di aiutarmi. Lo so, è Natale e dovrei accantonare i pensieri negativi e fingere di non aver mai incrociato il mio cammino con la malavita lombarda, ma era stato proprio nel periodo natalizio che Sergio Castrese, noto nell’ambiente criminale come il Mantovano, era tornato nella mia vita, reclamando il pagamento di un debito di gioco. 60.000 lire all’epoca erano una somma elevata, soprattutto per chi come me aveva da poco rilevato una piccola attività per la quale stava ancora pagando delle cambiali. Inoltre Roberta ed io avevamo appena deciso di sposarci e di trasferirci a Bologna, dove lei avrebbe iniziato a lavorare come ricercatrice. In quel lontano dicembre del 1961 il ritorno del Mantovano era stato come una doccia fredda per me. Il passato che tornava a bussare proprio quando davanti a me iniziava ad apparire quel futuro pieno di promesse che avevo sempre sognato. Le persone come Sergio Castrese non sono solo interessate al denaro in sé, ma anche e soprattutto a reclutare manodopera, ovvero dei bravi scagnozzi di cui servirsi per compiere dei crimini e ai quali addossare tutte le colpe di fronte alla legge. Per il Mantovano, poi, io ero uno bravo. Vedeva del potenziale in me, qualcosa di completamente diverso dal ragazzo onesto ed eccezionale che ero per Armando e Roberta. Sergio Castrese aveva la capacità di presentarsi in caffetteria sempre dopo l’orario di chiusura e quando ero solo e vulnerabile. Spesso portava con sé anche uno dei suoi scagnozzi più fidati e corpulenti. Inoltre il Mantovano non girava mai senza la sua fidata pistola, che nascondeva dentro al suo cappotto elegante e che sapevo non avrebbe esitato a usare. Quel delinquente, però, non si serviva solo della violenza ma anche di altre forme di persuasione. Sventolava davanti ai miei occhi bustarelle piene di banconote e mi ripeteva che lavorando per lui, una volta saldato il mio debito, avrei guadagnato moltissimi soldi. « Noi due siamo uguali, Barbieri. Insieme faremo grandi cose» continuava a ripetere come un disco rotto, cercando di convincermi. «Non sono come te» rispondevo ogni volta, provando trattenere la rabbia che sentivo crescere dentro di me. «Sono certo che non ti accontenterai di una vita normale. Non ti immagino a sfornare biscotti rinchiuso in un piccolo bar. Non sei nemmeno adatto a una cervellona in carriera e a cambiare i pannolini a un marmocchio. Come me, tu pensi in grande. » ripeteva. In realtà ero davvero cambiato perché il destino mi aveva donato delle persone care da amare e alle quali avevo permesso di amarmi. Roberta, Armando e Salvo mi avevano mostrato l’importanza dell’onestà, del duro lavoro e dei sacrifici. Avevano portato nella mia vita dei sentimenti puri e importanti, come l’amore e l’amicizia. Armando mi aveva parlato di Emma, la sua defunta moglie, che era morta durante un bombardamento, mentre lui era in montagna a combattere con i partigiani. Gli anni trascorsi con lei avevano fatto comprendere al mio amico cosa fossero davvero l’amore e il romanticismo. Una mattina mentre facevamo colazione mi aveva donato una delle sue perle di saggezza. « Per voi giovani il romanticismo è qualcosa di astratto. Posso dirti solo questo. Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore.» Ogni volta che Armando parla della sua amatissima moglie, io mi commuovo. Penso che Roberta sia la mia Emma, quella donna in grado di indicarti il giusto cammino e di far uscire fuori il meglio di te. Non avremmo potuto dare alla nostra bambina nessun altro nome, perché anche se non l’abbiamo mai conosciuta e il destino l’ha strappata dalle braccia di Armando troppo presto, in fondo lei è sempre stata qui con noi. Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore. In quel lontano dicembre del 1961 le parole di Armando rimbombavano nella mia testa, contrapponendosi a quelle del Mantovano, che invece sbatteva davanti ai miei occhi mazzi di banconote. Conoscevo Roberta e sapevo che non aveva bisogno di una vita piena di lussi e agi. Le bastavano i nostri baci sul ballatoio del palazzo popolare in cui abitavamo, un viaggio con la Vespa che mi prestava il lattaio e il sogno di una nuova vita onesta e semplice a Bologna. Quando Castrese si rese conto che il denaro e le lusinghe non avrebbero ottenuto l’effetto sperato, passò alle minacce e da quelle ai fatti. In pieno giorno e nei pressi de Il Paradiso delle Signore, Armando fu picchiato da alcuni balordi che distrussero anche la sua amata bicicletta. L’indomani fu invece il turno di Roberta, che durante la pausa pranzo, rischiò di essere investita da un pirata della strada. Per fortuna la mia fidanzata fu in grado di schivare l’automobile, sbattendo però la testa sull’asfalto del marciapiede. Il Mantovano non tardò a comparire, in compagnia del suo fidato scagnozzo. «Se tieni alla tua ragazza e ai tuoi amici, ti conviene ascoltarmi. Dovrai fare qualche viaggetto in Svizzera.» mi informò il Castrese, con la sua solita, pericolosa arroganza. Il Mantovano aveva fatto carriera, se così potevamo definirla. Aveva iniziato ad occuparsi anche del traffico di valuta e non solo di furti, ampliando notevolmente il suo giro di affari. Sergio Castrese non era stupido e sapeva che non avrei mai potuto tollerare di mettere in pericolo le persone a me più care. Mi aveva in pugno ed era certo che prima o poi l’avrei contattato e avrei accettato di diventare il suo spallone. Non era, però, il solo a conoscermi bene. I miei continui sbalzi d’umore non passarono inosservati allo sguardo attento di Armando e di Salvo. Roberta in quei giorni aveva abbandonato i panni della ragazza razionale e poco romantica e camminava su una nuvola rosa. Organizzava gite di perlustrazione a Bologna, in cerca di una casa per noi e pianificava ogni dettaglio del mio incontro con i suoi genitori, che desideravano conoscermi. Nemmeno a lei, però, era passato inosservato il mio strano comportamento. Così una sera, in caffetteria dopo l’orario di chiusura, invece del Mantovano mi trovai davanti i volti preoccupati del mio socio, del mio coinquilino e della mia fidanzata, che per evitare ogni mia possibile fuga, avevano chiuso il locale e fatto sparire la chiave. «Adesso ci spieghi che cosa ti sta succedendo.» Il tono di Salvo era deciso e così fui costretto ad assecondare quei tre ostinati. Ci accomodammo a uno dei tavolini del bar. «Non ti lasceremo andare finché non ci racconterai ogni cosa. » aggiunse Armando, mostrandosi come un padre severo e disposto a tutto per aiutare il proprio figlio in difficoltà. Roberta fissava il semplice anello di fidanzamento che le avevo regalato. «Se tu avessi cambiato idea, lo capirei. So che non deve essere un passo semplice per te lasciare i tuoi amici e la caffetteria per seguire me, che sono ancora all’inizio della mia carriera. Però è evidente che mi stai nascondendo qualcosa di importante. Le mie amiche continuano a ripetermi che sono io che vedo fantasmi ovunque, ma ti conosco e so che ultimamente non sei del tutto sincero con me.» il tono con cui la mia fidanzata aveva pronunciato quelle parole era triste e preoccupato. «Non vedo l’ora di sposarti e di partire con te per Bologna. Purtroppo è tornato il Mantovano.» Fu così che iniziai a raccontare loro la lunga serie di eventi che avevano legato la mia sorte a quella del Castrese. Osservai lo sgomento, la preoccupazione e il dolore far capolino negli occhi di Roberta e dei miei due amici. Non mi giudicavano e non avevano cambiato opinione su di me, ma volevano solo aiutarmi. «Voi siete le persone più care che ho e non desidero mettere le vostre vite in pericolo.» mormorai alla fine del mio lungo racconto. «Io ho fatto a botte con i fascisti e ho rischiato di esser fucilato dai tedeschi. Credi che mi faccia paura un Mantovano qualsiasi? Lasciati aiutare. Mi raccomando, tu ricordati che se un bravo fioeu (figlio).» le parole che mi rivolse Armando erano piene d’amore paterno. Anche Salvo mi diede il suo sostegno. «Tu non sei solo una fonte di pericoli, Marcello. Sei intraprendente, solare, pieno di fantasia e un amico sempre presente. Non avremmo rilevato la caffetteria se non fosse stato per la tua intraprendenza, che si sposa a pennello con la mia ostinazione a mantenere i piedi ben piantati a terra. Sei onesto e un grande lavoratore e non devi permettere a nessuno di corromperti o ricattarti.» concluse il mio amico abbracciandomi forte. Una sola persona, quella più importante per me, non aveva ancora espresso il suo parere, che era quello che temevo maggiormente. Lei aveva un futuro brillante davanti. Avrebbe mai potuto dividere la sua vita con uno come me, che non aveva praticamente nulla da offrirle? Roberta, però, mi aveva letto nella mente, come era solita fare sempre. «Non pensare nemmeno per un attimo di essere come quel delinquente o di assecondarlo. Guarda quello che sei riuscito a costruire. Hai trovato degli amici veri e hai rilevato un locale. Inoltre non se più il ragazzo scapestrato di cui mi sono innamorata. Sei responsabile, onesto e hai messo la testa a posto. Non puoi non fare la cosa giusta. Devi andare dai carabinieri e collaborare. Affronteremo insieme tutto quello che verrà.» Mi avvicinai a lei e la strinsi in un lungo abbraccio. «Nella buona e nella cattiva sorte.» sussurrò Roberta con dolcezza. Le settimane che seguirono non furono facili. Grazie al suo ruolo di sindacalista sempre pronto a lottare per i diritti dei più deboli, Armando era noto in caserma e mi mise in contatto con il Maresciallo, che era un suo amico. Diventai un collaboratore e mi impegnai ad aiutare le autorità a incastrare il Mantovano, potendo contare sul sostegno dei miei amici e sull’amore incondizionato di Roberta. Quando Sergio Castrese finì in carcere, dove avrebbe trascorso molti anni, io e Roberta partimmo per Bologna e finalmente iniziammo la nostra nuova vita. Il mio coinquilino decise di abbandonare Milano e di venire in Emilia Romagna insieme a noi, trasferendosi in un appartamento non distante dal nostro e trovando lavoro come allenatore della squadra di ciclismo dell’Università. Torno al presente e la voce di Armando giunge di nuovo alle mie orecchie, mentre si rivolge a mia figlia, mostrandole le luci e le decorazioni dell’albero di Natale. «Domani il nonno ti porterà a vedere gli addobbi natalizi a Piazza Maggiore. Sempre se sopravviverò al timballo di tua madre.» Non posso fare a meno di sorridere e mi auguro, per il bene del mio amico, che Roberta non l’abbia sentito. Sono le piccole cose, sono le vicinanze rubate e la quotidianità condivisa che rendono romantica una bella storia d’amore. Come sempre Armando aveva avuto ragione. La felicità è racchiusa davvero nelle piccole cose: una coppia innamorata, una bambina meravigliosa, un uomo saggio che sa donare consigli preziosi e tanto amore e un Natale perfetto
   
 
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