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Autore: Nexys    14/03/2021    1 recensioni
Per un uomo che sa eccellere in tutto senza alcuno sforzo, fare i conti con i propri rimorsi è praticamente un contrappasso. Rimanere da solo, contro la propria volontà, lo ha costretto a rievocare un ricordo dal nome spiacevole e familiare. Suguru Getou.
A libera ispirazione.
[Spoiler!] [Ch. 140] [Gojo/Getou] [OOC?]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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(Per favore, non spoileratevi nulla, non leggete senza essere in pari con il capitolo 140.)





 
Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte – eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

(Emily Dickinson)







 
         Il prezzo da pagare per essere potente, il più potente tra tutti gli evocatori e gli esorcisti, era molto elevato. Gojo Satoru lo aveva imparato sin da subito a sue spese, con gli interessi.
Non aveva scelto di nascere con un dono - chiamarla maledizione sarebbe stato ironico - né tantomeno di primeggiare sul mondo oscuro della magia.
Che parola buffa, magia. I comuni mortali privi di vista chiamavano così tutto ciò che non erano in grado di spiegare, oscillando sempre pericolosamente tra fede e scienza, ignari del perfetto ricamo in cui le loro vite erano indissolubilmente intrecciate. Magia, Dio, energia cosmica.
Molto più semplicemente, maledizioni. Nient’altro che maledizioni, spiriti nati dall’oscurità di ogni individuo incapace di controllare il proprio risentimento. Rabbia, odio, frustrazione, disagio, tristezza, depressione, qualsiasi eccesso di sentimenti negativi dal retrogusto stucchevole ed amaro del fallimento.
Satoru aveva imparato alla svelta a gestire l’energia oscura, a fin di bene, così almeno erano soliti dire sul suo conto. Esorcizzare il male era diventato un impegno, un lavoro, un passatempo, talvolta noioso, divertente, seccante, ma sempre uguale. 
"Sei Occhi", una vista pericolosa, un dono dalle caratteristiche di un’arma a doppio taglio.
Ti stai davvero piangendo addosso?”, sussurrò una voce, risuonando in ogni atomo di solitudine in cui era stato rinchiuso. Essere sigillato era stata una seccatura, rimanere da solo a farsi compagnia con i propri ricordi, una tortura. Aveva senz’altro capito che cosa volesse dire per una maledizione, essere sigillata, e sperava almeno di risparmiarsi una morte inutile.
Ma stare in compagnia del suo rimorso più grande, quella era tutto un altro paio di maniche.
“Vedi qualche lacrima?”, rispose, crogiolandosi nell’eco delle proprie parole, perse nel vuoto soffocante di quel sigillo maledetto.
La voce fuori campo mostrò chiaramente i tratti sonori di un sorrisetto strafottente. Degno del ricordo che aveva di lui, fin nei più piccoli e minuziosi dettagli.
Oh, ho toccato un tasto dolente”, proseguì la voce, prima che Gojo alzasse lo sguardo verso il nulla, una direzione a caso, nessun orientamento. Il mondo aveva cessato di esistere, in quella dimensione priva di colore.
“Non accetto critiche da chi sta lasciando manipolare il proprio corpo da qualche maledizione frustrata”, rispose con tono pacato ed allo stesso tempo tagliente.
Si sentiva frustrato, Satoru, dalla mancanza di rispetto di colui che aveva scelto di assumere le sembianze di Suguru Getou; l’unico al mondo che fosse mai stato in grado di mettere in pausa la sua solitudine e la sua disgustosa superiorità. Il suo ricordo era la punizione ideale, il contrappasso perfetto per non essere stato in grado di fermarlo quando ne aveva avuto la possibilità. Non avrebbe mai espiato la colpa, neanche nella morte, ragion per cui accettava sempre di buon grado quella voce, a tratti cantilenante, rimbombante nella sua ottusa testa. 
Non è stata una mia scelta, vorresti che io ti dicessi, o una conseguenza delle mie azioni”, sussurrò ancora, strappando un sospiro frustrato allo stregone prigioniero. “Eppure io non sono che una tenue eco della tua memoria, e ciò che sto dicendo altro non sono che frammenti dei tuoi pensieri”, spiegò con cautela. 
La pacatezza con cui il ricordo che aveva di lui si esprimeva, era disarmante. Sufficiente a distoglierlo dal pensiero di star rischiando le vite dei suoi allievi e di chissà quanta altra gente, con la stessa forza di un uragano. Dentro di sé, Gojo percepiva una rabbia sconfinata tanto quanto la propria espansione di Dominio. Come potesse nasconderla sotto ad una coltre di notevole vuoto esistenziale, era un mistero anche per lui.
Accaparrare scuse, non ti farà espiare le tue colpe, Satoru.”
Getou aveva ragione, le sue parole erano come stilettate al cuore. Quella voce, quel ricordo, erano la sua maledizione. La dannazione nella vita e nella morte che si sarebbe portato appresso per tutto il resto della sua esistenza, insicuro sul fatto che qualcuno prima o poi vi avrebbe messo fine, forse per pietà.
Essere inarrestabile aveva un prezzo elevato da pagare, e Gojo lo stava pagando permettendo alla propria mente di far assumere al vuoto attorno a sé, anche l’aspetto di Suguru, così come lo ricordava, non di certo come quel branco di maledizioni aveva voluto dipingerlo e manipolarlo, rovinandolo.
Il suo viso candido aveva sempre avuto lineamenti affilati e taglienti come la lama di un coltello, così come gli occhi lo avevamo trafitto tante volte. Tendendo la mano, era sicuro di poter sentire il tepore della pelle della sua guancia, osservando le sue labbra curvarsi in una smorfia leggera. Aveva accarezzato quel viso innumerevoli volte, districato quei lunghi capelli per pigrizia o affetto, lontano dagli occhi di un intero mondo che non avrebbe mai capito l’intensità di ciò che li legava. Competizione, intelligenza, attrazione fisica, comprensione. Getou era stato l’unico al mondo in grado di guardarlo dritto negli occhi senza alcuna paura, con orgoglio e non reverenza. Mai una volta aveva mostrato di voler abbassare lo sguardo, o di piegarsi di fronte alla sua presenza. 
Una scintilla di rabbia fiammeggiò nei suoi occhi color cielo boreale. “Ho sempre odiato le mancanze di rispetto, Suguru”, ammise, sbuffando lievemente dalle narici. Colui che aveva scelto di intrufolarsi nel corpo dell’unico uomo che - a modo proprio - avesse mai amato, l’avrebbe pagata con dolore e sofferenza senza fine.
A costo di chiuderti nel tuo Dominio ad infliggergli le pene dell’Inferno per tutto il resto della tua esistenza?”, Getou concluse il suo pensiero, distendendo le labbra in un sorriso contenuto e glaciale. Un sorriso che Gojo avrebbe baciato via con tutto se stesso, se solo avesse potuto ancora farlo.
“Oltre”, rispose soltanto, rilasciando dentro ogni centimetro della propria pelle, una quantità disumana di energia malefica, sufficiente a far tremare i confini del sigillo. 
Sei sempre stato così emotivo?”, domandò beffarda la voce di Getou. “Mi meraviglio di te, così sentimentale... fondamentalmente uno smidollato”.
E Satoru sapeva che quella era la verità più profonda, custodita nel più recondito antro della sua coscienza. Avrebbe tanto voluto ammetterlo, un’ultima volta, prima di lasciarlo andare per sempre, “Solo per te”.
Il ricordo di Suguru Getou svanì come un sogno evanescente, lasciandosi dietro la blanda eco di una risata ironica. Le pareti del sigillo smisero di tremare solo quando Gojo si coprì gli occhi con entrambe le mani.
Rise a voce alta, di se stesso e della propria finta debolezza.
Non erano forse l’uno la maledizione dell’altro, prigionieri di egoismo reciproco e sentimenti a lungo taciuti?
Uno dei due non avrebbe mai potuto rispondere, non più.
E la colpa sarebbe sempre stata solo sua.












 
  
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