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Autore: May Jeevas    18/03/2021    1 recensioni
Si guardò intorno, circondato da oggetti famigliari. Ingialliti, antichi, avrebbero detto la maggior parte della gente. Ma suoi.
Erano la sua realtà, il suo passato. La sua eredità a sé stesso, si rese conto. E da quegli oggetti conosciuti e amati, un’ultima sorpresa era riuscita a fare capolino. Un’eco di quella che era stata l’amicizia più importante della sua vita era riuscito a raggiungerlo, superando il tempo e lo spazio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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1942

Entrò nel suo appartamento a Brooklin affannato, chiuse la porta e ci appoggiò la schiena, ancora incredulo da quello che gli era capitato.
Era nell’esercito! Avrebbe avuto quella possibilità che agognava da sempre!
Corse in camera sua, e quasi inciampò mentre tirava fuori la valigia. Dovette fermarsi per dare tempo ai polmoni di prendere fiato e per non andare in aritmia.
Con gesti veloci e decisi riempì il bagaglio con tutto quello che pensò potesse servirgli, tenendo l’udito sull’attenti nel caso Bucky tornasse. L’ultima cosa che voleva era che l’amico scoprisse che aveva già compiuto qualcosa di stupido, esattamente come gli era stato detto di non fare.
Magari dopo il periodo di addestramento sarebbe partito anche lui per l’Europa.
Magari sarebbe stato affiancato al centosettesimo battaglione.
Magari…
Si fermò, in ascolto. Aveva sentito la chiave girare. Decise che la valigia era pronta: con un calcio la spedì sotto al letto, cercando di non crearsi troppo affanno si infilò sotto le coperte. Sentì dei passi nel corridoio. Cercò di stabilizzare il respiro e chiuse gli occhi, fingendo di dormire.
Era un idiota. Un maledetto idiota paranoico. Insomma, Bucky era tornato, ma che motivo aveva lui di far finta di dormire, come se fosse stato un moccioso di dieci anni?!
Lo schricchiolio della porta della sua camera lo contradisse subito.
Sentì i passi felpati del coinquilino avvicinarsi al letto e fermarsi. Lui rimase immobile, non osando nemmeno muovere le dita sotto le coperte. Sentì un tonfo leggero venire dal comodino, e poi passi che si allontanavano, la porta che si chiudeva.
Permise al suo corpo di rilassarsi.
Fece mente locale delle cose messe in valigia. Sì, non aveva dimenticato nulla. Si rese conto, nonostante tutto quello successo quella sera, che era molto stanco. Dio, se odiava questo lato debole del suo corpo. Affaticarsi in quel modo non era normale. Bucky cercava di non farglielo pesare mai, ma vedeva quanto si preoccupava per lui. Al primo colpo di tosse se stavano camminando rallentava il passo, evitava sempre di parlagli ad alta voce per i suoi problemi di udito… Steve si rigirò nel letto, quasi stizzito. Fosse stato chiunque altro a mostrare tutta quella preoccupazione non si sarebbe fatto problemi a prenderlo a pugni, ma Bucky era un altro discorso. Era sempre stato al suo fianco, in tutto e per tutto. Cercò di non pensare al fatto che la guerra non guardava in faccia nessuno e che c’era una possibilità che...
Con questi pensieri, il ragazzo cedette alla stanchezza, decidendo che si sarebbe svegliato in tempo per salutare Bucky un’ultima volta.

Steve Rogers strinse gli occhi, quasi non volesse cedere alla luce che entrava prepotente dalla finestra. Stava facendo un bel sogno; la guerra era finita, lui era sul molo ad aspettare la nave che avrebbe riportato i soldati in patria. Voleva essere il primo ad avvistarla, gli occhi puntati sull’orizzonte, incuranti del sole alto che li feriva…
Il sole. Di nuovo, quella maledetta luce che lo riportò alla realtà. Bucky aveva insistito che avesse la camera più luminosa, per avere la luce giusta per dipingere. Buona idea, ma quando il sole disturbava in quel modo…
Il ragazzo scattò seduto sul letto.
Luce significava sole.
Sole significava mattina non presto, non quanto avrebbe dovuto essere.
Ritardo!
Bucky!
Inprecando ad alta voce si gettò giù dal letto. Di riflesso prese il suo inalatore dal comodino, travolgendo le poche cose appoggiate sopra. Non se curò e si precipitò in corridoio. Spalancò la porta della camera di Bucky e vedendola vuota proseguì verso il salotto. Arrivò, tanto per cambiare, senza fiato. Inspirò dall’inalatore, prendendo fiato. Si guardò intorno: la casa era deserta. Sentì un dolore arrivare su dal petto, fermarsi all’altezza del cuore, e seppe che non era legato alla sua asma.
Con passi lenti, quasi trascinati, ritornò in camera sua.
Bucky sarebbe tornato. Si sarebbero rivisti.
Se lo ripetè come un mantra mentre si preparava a lasciare l’appartamento. Il suo appartamento, il loro appartamento.
Quando fu pronto raggiunse la porta con la valigia preparata al suo fianco, la giacca che gli cadeva pesantemente sul corpo minuto e dette un’ultima occhiata per memorizzare i particolari di quel posto.
La pila dei libri fantasy preferiti di Bucky di fianco al divano; la scatola delle sue tempere appoggiata sul tavolo; i suoi acquarelli finiti appesi alle pareti.
Torneremo. Torneremo entrambi.
Uscì e chiuse deciso l’uscio alla sue spalle.

 

2011

Steve odiava quel momento tra il sonno e la veglia.
Lo odiava da quando si era ritrovato in quel mondo che non gli apparteneva.
Lo odiava, perché in quel momento il suo inconscio ancora ignaro gli faceva il dono, o la maledizione, dell’ignoranza.
In quel corto, illusorio momento, viveva un secondo in cui pensava ancora di essere negli anni quaranta. Nel suo tempo, tra persone che conosceva.
Gli sembrò che le coltri lo schiacciassero, come a volerlo tenere prigioniero in quell’oblio.
E lui dovette ammettere che non gli sarebbe nemmeno dispiaciuto.
Fu questo pensiero a svegliarlo del tutto.
No, non avrebbe cominciato a scappare proprio adesso.
Si alzò, e si costrinse a prepararsi un caffè e a mangiare un boccone. Dall’altra parte della stanza, i pacchi speditogli da Fury sembravano guardarlo, quasi volessero rimproverarlo. Rispose a quello sguardo inesistente quasi con riluttanza. Si umettò le labbra, a disagio. Fury gli aveva detto che era riuscito a farsi restituire alcuni favori, ed era riuscito a recuperare i suoi effetti personali dal suo vecchio appartmento e anche dai tempi dell’esercito. Stavano lì ad aspettare da una settimana, e fino adesso aveva sempre rimandato. Ripensò a quella sensazione nel dormiveglia e mentre buttava giù l’ultimo sorso di caffè decise che di sicuro non poteva permettersi di fuggire, non dal proprio passato.
Con movimenti decisi, a metà tra l’arrabbiato e il disperato, cominciò a svuotarli. Senza nemmeno guardarli, mise tutto sparso in bella vista. Solo una volta che ebbe svuotato tutta le scatole decise che poteva fronteggiare quella che era ormai la sua vecchia vita.
Vecchia, davvero.
Quello che rendeva ancora il tutto surreale era il fatto che, per quanto sapesse dei decenni che erano passati, per lui gli anni quaranta erano distanti solo una manciata di settimane. Lo schianto dell’aereo dominava ancora i suoi sogni, le strategie di guerra incompiute lo tormentavano anche e soprattutto nei momenti di tranquillita, il dolore per la perdita di Bucky era una costante fitta nel petto.
Adesso, vedere tutte le sue cose, i suoi oggetti più cari segnati inesorabilmente dagli anni, era un confronto con la realtà che non poteva più rimandare.
Sospirò, appoggiandosi al tavolo. Nel farlo, urtò una pila di libri che aveva appoggiato lì vicino. Sbuffando, iniziò a raccoglierli, guardando le copertine; magari poteva già cominciare un ipotetico criterio di organizzazione della libreria. Un libro rapì subito la sua attenzione. O almeno, quello che sembrava essere un libro. La forma lo era, senza ombra di dubbio. Ma era impacchettato con cura, come fosse un regalo. Il ragazzo se lo rigirò tra le mani lentamente.
Non aveva mai visto quel regalo, ne era sicuro. Forse era un regalo che Bucky non aveva fatto in tempo ad aprire.
La fitta nel pettò pulsò senza pietà.
Rigirandolo, notò una scritta nel lato sinistro della carta.
Steve.
Sorpreso, e forse anche un po' timoroso,si decise a scartare il pacchetto, cercando di rivelarne il contenuto misterioso.
Come aveva immaginato, era un libro.
Lo Hobbit, di J. R. R. Tolkien.
E la fitta sprofondò ancora di più. Non soffriva più di asma, ma Dio se il dolore al petto era paragonabile a quando rimaneva senza fiato prima dell’inezione del siero.
Uno dei libri preferiti di Bucky. L’amico aveva provato mille volte a convincerlo a leggerlo, senza riuscirci.
Con mani tremanti, lo aprì.
Sulla prima pagina del libro una calligrafia a lui fin troppo conosciuta spiccava sulla pagina ormai ingiallita.

Per farti vivere la tua avventura personale. Ci riprovo, forse è la volta buona che lo leggi.
Al mio ritorno, se lo avrai letto, magari troverò il coraggio di confidarti un segreto.
Fino alla fine, amico mio.
Bucky
Ps: davvero, dicevo sul serio stasera: non devi dimostrare niente. E cerca di non cacciarti in troppi guai, ti prego.

La parte del post-scriptum era stata aggiunta in un secondo momento.
Stasera
Steve sentì un altro colpo al cuore. Stasera. Bucky aveva scritto quelle ultime parole appena prima di partire. Le sue ultime parole prima di venire catturato, prima che lo vedesse con il siero del supersoldato…
Le sue ultime parole per Steve Rogers.
Ma quando..?
Chiuse gli occhi, cercando di capire quando e dove l’amico avesse potuto lasciare quel presente. Si ricordava fin troppo bene gli ultimi momenti del loro appartamento, in salotto era sicuro che non c’era. Si concentrò ancora di più. La sera prima che entrambi partissero aveva sentito Bucky entrare in camera sua, mentre faceva finta di dormire.
Aveva sentoto un tonfo delicato sul comodino.
Il comodino!
Il ricordo nitido si formò nella testa: nella furia di vedere se Bucky non fosse ancora partito, aveva preso l’inalatore per l’asma. La sua mano era andata dritta e sicura, la prepotenza di chi ha fretta. Aveva fatto cadere le cose per terra.
E dopo…
Dopo era così abbattuto di non aver potuto dare all’amico un ultimo saluto che mettere a posto quelle due cose cadute dal comodino non gli era sembrato importante.
Aprì gli occhi, fustigandosi mentalmente. Che imbecille che era stato. Bucky aveva avuto tutte le ragioni a chiamarlo così.
Girò la pagina. In alto a destra, sempre la scrittura quella scrittura delicata e decisa aveva segnato una data: Dicembre 1937. Steve strinse gli occhi, un’altra stillettata nel petto.
Bucky gli aveva lasciato la sua copia de Lo Hobbit.
A volerne quasi trovarne conferma lo sfogliò velocemente. Alle fine di molti capitoli vi erano delle scritte. Appunti che l’amico aveva scritto durante le varie letture.
Steve si diresse verso il divano, e per quanto il suo fisico da super soldato glielo permettesse, sprofondò tra i cuscini, facendosi piccolo piccolo.
Rilesse la dedica, ignorando il dolore che causava.
Al mio ritorno. Quella era la parte che faceva più male. E il ricordo del treno in corsa, del braccio di Bucky proteso verso di lui arrivò spietato.
Per un secondo, il pensiero di mollare tutto prese forma nella sua mente. Come una nube nera, un stato d’animo che urlava che non è più lì il suo posto, non è più il suo tempo.
Rinunciare, per una volta.
Scappare, per una volta.
Forse l’ultima.
Di colpo, quasi avesse capito il pericolo, una voce nella sua testa gridò, spazzando via quella nube con tutti i pensieri.
Una luce brillò nei suoi occhi, le mani strinsero ancora più forte il libro, quasi fosse un’ancora di salvezza.
No.
Steve Rogers non era un codardo. Steve Rogers non sarebbe scappato. Non davanti all’ennesima sfida che la vita aveva deciso di fargli affrontare.
Non si sarebbe perdonato se avesse cominciato a fuggire proprio adesso. Si guardò intorno, circondato da oggetti famigliari. Ingialliti, antichi, avrebbero detto la maggior parte della gente. Ma suoi.
Erano la sua realtà, il suo passato. La sua eredità a sé stesso, si rese conto. E da quegli oggetti conosciuti e amati, un’ultima sorpresa era riuscita a fare capolino. Un’eco di quella che era stata l’amicizia più importante della sua vita era riuscito a raggiungerlo, superando il tempo e lo spazio.
Seppe in quel momento che quel libro lo avrebbe letto e riletto Era l’ultimo regalo di Bucky, gli aveva affidato la sua storia preferita.
Rilesse la dedica.
Forse un’avventura era quello di cui aveva bisogno. Un’avventura prima di affrontare questo nuovo, strano mondo in cui si era risvegliato.
Andò al primo capitolo.

In un buco nel terreno, viveva uno Hobbit…”

 

 

 

 

 

 

Angolino di May
Prima di tutto: io era da anni, ANNI, che io aveva l’headcanon di Bucky fan di Tolkien. Grazie, Falcon and the Winter Soldier per averlo reso Canon! May tanto, tanto, tanto felice
Detto questo, è da quando ho visto quello spot che questa idea ha preso pian piano forma nella mia testolina malata. E questo è quello che ne è uscito.
Spoiler: non è per niente la prima idea che ho avuto. Inizialmente doveva essere una fic incentrata su Bucky e sulla sua passione per il fantasy. Ma dettagli. Non escludo di scrivere altro sull’argomento, ma conoscendo le tempistiche della Santa Ispirazione… non prometto nulla!
Altro spoiler: non mi convince. L’ho scritta di getto, tra una lezione di musical, la cena e orari impossibili notturni (il tutto in questa sequenza. Il multitasking è una benedizione e una maledizione allo stesso tempo.), quindi perdonate eventuali sviste. Non l’ho fatta betare, la pubblico “nuda e cruda”, e commenti, critiche, suggerimenti su come migliorare sono più che ben accetti!
Intanto ringrazio chiunque sia arrivato fin qui e abbia sopportato questo delirio.
Io vado a prepararmi psicologiacamente per Venerdì.

   
 
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