Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Euridice100    20/03/2021    3 recensioni
"Oggi fa persino più caldo di ieri. Annoiato, Bruno compra un ghiacciolo dal bar all’angolo. Lo mangia in silenzio, poggiato al muro di fronte la villetta, gli occhi fissi sul cancello che, da un momento all’altro, si aprirà e farà uscire Leone. Gli è sembrato di parola, anche se un po’ antipatico (o forse solo molto timido); non immaginava che un secchione potesse essere così ritardatario."
(Storia scritta per la #BruaAbbaWeek2021, prompt #Childhood)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1990
- L’ultima volta non arriva mai -
 
“Every stroke of luck has got a bleed through
it's got a bleed through

you held the balance of the time
that only blindly I could read you,
but I could read you.”
 
Sono quasi le sette di sera, ma il sole non accenna a tramontare. Il vento è ancora caldo sulla pelle, porta con sé il profumo di sale e sabbia. Sui gradini di una villetta bianca, un ragazzino giocherella con l’orlo dei bermuda perfettamente stirati. Si mette le cuffie del walkman per non udire il vociare di coetanei che, in un campetto arrangiato poco lontano, giocano a calcio.
Sarebbe semplice unirsi a loro – basterebbe alzarsi e percorrere quelle poche centinaia di metri che li separano –, ma è da una settimana che ci pensa e che poi, per un motivo o l’altro, lascia perdere. Non ne ha davvero voglia, si dice, ma mente a se stesso. Li ha visti passare: sono tanti, rumorosi, scalmanati, così diversi da lui. Se si avvicinasse, lancerebbero un’occhiata ai suoi capelli chiarissimi dal taglio militare e lo ignorerebbero. Oppure lo deriderebbero, al che lui reagirebbe e finirebbero per fare a botte; e, anche se sa difendersi bene – le note prese da suor Maria lo dimostrano –, loro sono di più e lui finirebbe per avere la peggio. E questo non vuole – non può – sopportarlo. Così come non potrebbe sopportare lo sguardo di suo padre se gli raccontasse di non essere riuscito a conquistare il posto che merita.
Perciò il ragazzino siede e aspetta, mentre i pomeriggi si confondono, densi come i raggi di sole di questo luglio bollente.
All’improvviso la musica si interrompe. Controlla di non aver involontariamente premuto qualche tasto, ma niente da fare: deve rassegnarsi ad andare a prendere delle pile nuove.
Le cicale friniscono. Una bicicletta si avvicina veloce.
Fin troppo veloce.
È un attimo: una buca non vista, una frenata che non arriva e bam! La ragazzina si ritrova a terra con la bici.
Leone scatta in piedi per aiutarla e…
A sua discolpa, potrebbe dire che l’hanno tratto in inganno il taglio di capelli, la frangetta intravista appena prima della caduta. Suo padre lo ammazzerebbe se portasse i capelli così – anche se in realtà a Leone non dispiacerebbe affatto crescerseli almeno un po’.
Perché la persona davanti a lui è un ragazzo.
Decisamente un ragazzo.
Il nuovo arrivato non ha perso tempo: ha già recuperato il vecchio pallone sdrucito che porta con sé e sta rimettendo in piedi la bici.
- Ti sei fatto male?
- Nahhh, – lo sconosciuto si esamina per un istante il palmo sinistro – Non è stata la mia caduta peggiore. Una volta sì che è stata brutta. Mi hanno dovuto mettere i punti, – solleva la gamba destra. Una lunga linea sottile riluce quasi argentea sul polpaccio olivastro.
- È successo anche a me. Mi è uscito un sacco di sangue.
- Sì, un male cane! Che poi, – si fa di colpo più pensieroso – Secondo te non era meglio se le persone avevano le cerniere? Non era più facile così? Ti fai male? Zip! – mima il gesto con le dita e sorride, una smorfia ampia che si trasmette agli occhi vetri di un acquario 1 – Ti ricuci da solo! Bello, no?
L’altro leva un sopracciglio. Questo ragazzino non avrà battuto la testa, ma di sicuro non è tanto in sé.
- Comunque, io mi chiamo Bruno. Bruno Bucciarati.
Gli tende una mano.
- Leone Abbacchio.
Bruno ha la stretta forte, come quella di un adulto. Suo padre sarà sicuramente orgoglioso di avere un figlio la cui sicurezza traspare anche nei più piccoli gesti.
- Leone? Come l’animale?
Il ragazzino trattiene un sospiro. Ha perso il conto di quante volte gli abbiano ripetuto questa domanda, cui ormai annuisce per inerzia.
In famiglia hanno l’ossessione per i nomi imponenti: i suoi fratelli si chiamano come i protagonisti di miti greci e romani. Magari papà l’ha fatto nella speranza di trasmettere ai figli le virtù di quegli eroi leggendari. Beh, col piccolo di casa ha fallito miseramente, perché Leone tutto si sente fuorché coraggioso come il re della savana. E il fatto che resti qui, mentre i ragazzini in lontananza urlano “Palooo!” e intonano cori da stadio, lo dimostra a pieno.
Bruno deve aver intuito ciò che gli passa per la testa, perché gli chiede a bruciapelo: – Che ci fai qui?
Per fortuna, questa è una domanda cui può dare una risposta semplice.
- Sono in vacanza con i miei.
Leone tace le mille cose che pure potrebbe aggiungere anche a proposito di queste vacanze.
Papà che ogni sera torna da Napoli, lo saluta con un cenno stanco e inizia a gridare perché già in Questura è tutto un macello, questa è un’indagine seria, un uomo avrà pure il diritto di trovare un po’ di pace almeno a casa sua, e invece no, anche là il caos, ma così non si può, così uno esce pazzo, prima di sbattere la porta e rimettersi a lavoro.
Mamma, i suoi occhi grandi messi in risalto dalla magrezza del volto, i giorni in cui si anima di mille energie e mette sottosopra il mondo e i giorni che trascorre a letto senza riuscire ad alzarsi, senza rispondere a nessuno. Quando pensa che nessuno la senta, mormora appena: – Prima era tutto diverso.
Le zie che, anziché aiutare mamma, aizzano ogni lite e stanno col fiato sul collo del nipote, troppo silenzioso, troppo rumoroso, mai come dovrebbe essere.
In fondo, scuola e mare a parte, non c’è differenza tra vacanze e quotidianità.
Se ci fossero Enea e Achille, almeno potrebbe distrarsi un po’. Ma loro sono in servizio all’altro capo d’Italia, e così Leone si gode l’ennesima estate solitaria della sua giovane vita.
- Sì, intendevo qui per i fatti tuoi. Di là ci stanno gli altri, stanno facendo una partita. Sto andando da loro. Vieni?
Il più alto si stringe nelle spalle.
- Non mi va.
- Ma come? Non ti piace giocare a calcio?
- Sì che mi piace! – Leone è quasi ferito dall’insinuazione – Solo, oggi non mi va.
Bruno gli getta un’occhiata comprensiva.
- Beh, sì, se giochi a calcio con quei pantaloni li rovini. Ed è peccato, perché sono davvero belli.
Leone è sempre più perplesso. Non ha mai conosciuto un coetaneo con un tale occhio per i dettagli.
- Sono stirati bene, eh? Anch’io li portavo sempre così, quando c’era la mamma.
Udendo l’ultima frase, Leone si vergogna di aver mal giudicato il ragazzino nei pochi minuti di conoscenza. Ha perso la madre, forse anche da poco: chissà quanto deve star soffrendo.
- Mi spiace, – mormora goffo, porgendogli nuovamente la mano come ha visto fare agli adulti in queste circostanze. Qual è la parola? Condo… Condo… Condo cosa?
Bruno aggrotta la fronte e fa terra e cielo 2.
- Ohi, guarda che mia mamma è viva e vegeta! – le guance di Leone ormai sono paonazze – Solo, i miei si sono separati e lei vive a Milano. Sono andato a trovarla un mese fa, quando è finita la scuola. Tu ci sei mai stato a Milano? A me mi è piaciuta un sacco! Ho vist-
La rivelazione sconvolge Leone. Malgrado tutto, in nessun scenario, neanche il più assurdo, sua madre potrebbe lasciare la famiglia e andarsene. O almeno, ne è convinto.
No, no: simile ipotesi non si può contemplare, non è neppure un’eventualità.
Ma, in verità, non sa se a turbarlo maggiormente sia la confessione in sé o piuttosto il modo in cui Bruno l’ha fatta: con tranquillità, come se stesse commentando il tempo o un’altra sciocchezza.
Com’è possibile raccontare in simile modo questioni così private? A Leone hanno insegnato che i panni sporchi si lavano in famiglia; parlare in giro dei fatti propri è inopportuno, oltre che maleducato, perché il mondo è grande e la gente ama chiacchierare. Meglio star zitti e fingere che tutto vada bene, anche quando bene è la parla meno adatta a descrivere la situazione. Poi, a porte chiuse, si vedrà il da farsi.
Ma stavolta è quello strano bambino a star raccontando liberamente i fatti di casa sua. Nessuno gli ha chiesto niente, sta facendo tutto da solo. E allora, forse in questo caso non è maleducazione porre almeno una domanda, giusto?
- Ma perché tu non vivi sempre con tua madre?
Sul viso di Bruno cala un velo. Non è tristezza, o meglio, non è solo quella: c’è dell’altro, qualcosa di profondo e antico che Leone ha visto altrove – sui volti dei suoi genitori, è l’unica espressione che ricorda di sua nonna –, ma che non sa definire. Di una cosa però è certo: quel qualcosa stona su un bambino.
- Papà ha più bisogno di me, – risponde con semplicità
In una frase c’è tutto.
Leone annuisce. Prima non avrebbe dovuto stupirsi: conosce benissimo ciò che intende il ragazzino.
Chissà, forse sul suo volto c’è la stessa ombra.
Il silenzio tra loro non dura a lungo: i bambini sanno riprendersi in fretta.
O almeno, conoscono il segreto per fingere di andare avanti.
- Quanti anni hai?
- Dieci compiuti a marzo.
- Anch’io dieci. Sì, tra due mesi, ma vabbuò, ormai ce li ho quasi. E dove abiti?
- A Napoli.
- Ahhh! – fischia entusiasta – Ma allora puoi andare sempre al San Paolo a vedere il Napoli!
L’espressione di Bruno è così sognante che Leone quasi si sente male a dire la verità.
Lui andava allo stadio solo quando i suoi fratelli erano ancora a casa. Qualche settimana fa papà gli ha promesso che sarebbero andati a vedere insieme Italia-Argentina, era persino riuscito a trovare i biglietti. Poi, quella mattina presto, una telefonata, “il commissario Abbacchio è richiesto a Roma”, e Leone ha rivisto il padre direttamente dopo due giorni.
I biglietti sono andati sprecati.
Forse meglio così, visto quel disastro di partita.
- Qualche volta, – si limita ad ammettere – Papà non ha molto tempo per portarmici.
- Perché?
- Lavora sempre. È commissario. E un giorno, – aggiunge – Anch’io farò il poliziotto.
Non è che ci siano molte possibilità. Sarà poliziotto, come i suoi fratelli e suo padre, come suo nonno prima di lui, e il nonno di suo nonno prima ancora. Chi nasce in quella famiglia non ha molta scelta.
Per Leone, però, non si tratta di una costrizione. Non è che sogni di diventare, per dire, calciatore o astronauta, come alcuni suoi compagni di scuola.
Uno dei suoi ricordi più belli risale a quando aveva quattro anni – quando il tempo in qualche modo si trovava, quando erano più felici, quando mamma insegnava ancora al Conservatorio, quando lui giocava sempre con Achille ed Enea, quando erano felici. Suo padre lo prendeva per mano e gli raccontava la storia di quella divisa, cucita su meriti e sacrifici, valore e sofferenze.
È così che è cresciuto Leone: imbevuto di retorica inculcata e di senso di giustizia innato.
Ma nella sua mente quelle non sono parole tra le tante, destinate a perdersi nel vento: bene e male esistono, sono inconfondibili e separati da una linea netta impossibile da oltrepassare.
Solo in un modo può fare del bene, proteggere le persone, combattere le ingiustizie. E allora, non c’è neanche da chiederselo: ha già scelto da che parte stare.
Non vede l’ora di indossare la divisa, portarne alto l’onore. Conosce a memoria la formula del giuramento, anche se dovrà attendere molti anni prima di pronunciarla. E tuttavia, lui è impaziente: se chiude gli occhi, già vive quel giorno, già vede la soddisfazione di suo padre, l’orgoglio che ne colora il sorriso.
Vedi, papà? Non ti ho deluso.
Mi vuoi bene, papà?
Mi vuoi bene?
Ne è certo: sarà il miglior poliziotto del mondo.
- Invece io voglio diventare pescatore, anche se mio padre non vuole. Dice che devo studiare, diventare dottore o qualcosa del genere… Mah. Vado a scuola solo per non farlo preoccupare, studiare fa schifo.
- A me invece piace. Soprattutto matematica e musica. Ho bei voti.
Gli occhi di Bruno brillano di furbizia e Leone capisce di essersi fregato con le sue stesse mani.
- Secchione! – gli punta contro un dito ed esplode in una risata – Non ti va nemmeno di giocare, perché devi andare a studiare!
- Cretino.
Lo incenerisce con lo sguardo, ma senza effetto: il bambino continua a prenderlo in giro.
Nonostante il caratteraccio, però, per qualche strano motivo stavolta Leone non si arrabbia sul serio.
- Vabbè, secchione, – Bruno alla fine si calma – Oggi non ti va. E domani?
- Domani cosa?
- Ohu, ma ti sei rintronato per il troppo studio? Domani vieni a giocare con noi, sì o no?
Leone soppesa le possibilità – ma ce n’è davvero bisogno? Non conosce gli altri ragazzini – e, conoscendosi, difficilmente ci andrà d’accordo –, ma ha scambiato due parole con Bruno, che sarà anche strambo, ma tutto sommato sembra ben disposto…
- Ok, – accetta infine – Ma porto il mio, di pallone.
- E che è, c’hai il Super Santos?
- Sì, – non trattiene l’orgoglio quando l’altro spalanca gli occhi incredulo.
- No, vabbè! Tu diventi il re lì in mezzo, te lo sto dicendo! – Bruno si rimette in sella alla bici – Però adesso io vado, o neanche gioco. Allora a domani, Leone.
- A domani, Bruno.
Il più piccolo si volta e sorride un’ultima volta prima di accelerare e sparire verso il campo.
Anche Leone sorride.
Non si sentiva così leggero da settimane.
 
It's like you told me
go forward slowly,
it's not a race to the end.
 
Il pomeriggio seguente, come da accordi, Bruno Bucciarati attende Leone Abbacchio sotto casa. Si chiede se sia il caso di citofonare per annunciare il proprio arrivo, ma decide di pazientare un poco.
Inganna l’attesa palleggiando. Alla fine ha deciso di portare comunque il suo pallone: non sarà un Super Santos, ma gliel’ha regalato suo padre e lui ne va orgoglioso. 
Oggi fa persino più caldo di ieri. Annoiato, compra un ghiacciolo dal bar all’angolo. Lo mangia in silenzio, poggiato al muro di fronte la villetta, gli occhi fissi sul cancello che, da un momento all’altro, si aprirà e farà uscire Leone. Gli è sembrato di parola, anche se un po’ antipatico (o forse solo molto timido); non immaginava che un secchione potesse essere così ritardatario.
Gioca col bastoncino del ghiacciolo, lo tiene in equilibrio tra le dita.
Se scopre che è andato al campetto senza aspettarlo, lo picchia, poco ma sicuro.
Un suo compagno di classe arriva in bicicletta.
- Ohi, Bru! Che fai?
- Ehi! Aspetto Leone.
- E chi è?
- Uno di Napoli che sta in vacanza coi suoi. Vive qua.
- Qua? Ma qua non ci sta nessuno.
Bruno alza gli occhi al cielo. Non ama essere contraddetto.
- Che, me lo sono sognato, allora? Ieri ci ho parlato, se ti dico che c’è, c’è.
- No, sto dicendo che quelli che stavano qua se ne sono andati stamattina. Mio padre li ha visti che caricavano tutte le cose. Ma quindi tenevano un figlio? E tu lo conoscevi? Io manco sapevo che esisteva!
Bruno non risponde. Continua a fissare il cancello, la voce dell’amico un brusio di sottofondo.
E così Leone sapeva che se ne sarebbe andato e non gli ha detto niente. Bastava essere sinceri, rifiutare l’invito e basta così, amici come prima, anzi, come mai.
Stupido lui che ha perso tempo a parlargli, a cercare di farci amicizia. Sua mamma ha ragione quando gli ripete che si preoccupa troppo per gli altri e che prima o poi passerà i guai per questo. Deve assolutamente diventare più menefreghista, sì.
(La rabbia genera sempre le migliori illusioni.)
Menomale che ha portato il pallone!
Inforca la bicicletta e riparte alla volta del suo gruppo.
Leone omm’e merda!
Se lo rivede, lo distrugge.
 
Well, you look like yourself,
but you're somebody else,
only it ain't on the surface.
 
Rossana sta peggio del solito. Non può reggere tutto da sola. Non ne è proprio in grado, stralunata com’è. Del resto, cos’aspettarsi da una musicista? Sempre persa in un mondo tutto suo, fatto di note e Dio solo sa cos’altro. Una donna ha dei doveri precisi, ma lei questo non l’ha mai capito, nemmeno coi figli. Un caso perso. E, a proposito di figli, il piccolino pare fatto della stessa pasta: sempre imbronciato, sempre con le cuffie, s’impegna solo se c’è qualcosa a fare con la musica e sciocchezze simili. Ma per fortuna non è troppo tardi per lui: ha appena dieci anni, c’è ancora modo per raddrizzarlo e farlo diventare un uomo come si deve.
E così, dopo tutti questi discorsi, che si può fare? Si ritorna tutti insieme a Napoli.
Leone non oppone resistenza. È una decisione del padre e delle zie, un ordine dei suoi superiori; e agli ordini, si sa, bisogna obbedire. L’ammutinamento sarebbe controproducente, oltre che vano
Raccoglie i vestiti, le musicassette. Per ultimo prende il Super Santos che avrebbe dovuto portare all’incontro del pomeriggio. Gli spiace non avvisare Bruno, ma non ha modo di farlo. Conosce appena il suo cognome, e in simili circostanze non può certo pretendere che il padre lo aiuti a rintracciare un ragazzino come tanti.
Anche se Bruno non gli ha dato l’impressione di essere un ragazzino come tanti. Ha uno strano potere, Bruno. È gentile, ma segretamente insistente. In un qualche modo induce il prossimo a seguirlo. È… Magnetico, ecco. Come una calamita. Parlare con lui non è stato difficile.
Magari, se avessero avuto la possibilità di conoscersi meglio, sarebbero diventati amici. Forse, nonostante gli insegnamenti ricevuti, Leone avrebbe potuto confidagli il caos in casa. Bruno non l’avrebbe giudicato.
E comunque, gli sarebbe piaciuto trascorrere qualche pomeriggio giocando a calcio.
Peccato, è andata così.
Ma c’è sempre la prossima estate.
Giusto?
 
Well, you talk like yourself,
no, I hear someone else
though.
 
Trascorreranno molti anni prima che si rincontrino. Le chiacchiere di un pomeriggio estivo finiranno sepolte sotto mille rivoluzioni e ancora più giorni.
Neanche Leone e la sua maledizione di ricordare saranno in grado di rievocarle.
Sarà inverno, non estate, quando si rivedranno, e non saranno più bambini col sole nell’anima, ma uomini dalle mani sporche di sangue.
Il mondo sarà cambiato, le loro vite ancor di più.
Ci sarà la morte di un padre, un’esplosione interstellare 3.
Ci sarà un giuramento pronunciato e tradito con le lacrime agli occhi.
Vite tanto diverse quanto simili che si rimescoleranno.
Per alcune rette parallele, l’infinito non esiste.
 
I saw the part of you that
only when you're older
you will see too,

you will see too.”
 
 
Il titolo della fanfiction viene dall’anno in cui è ambientata e da un verso de “Per me lo so” dei CCCP. La canzone usata è "You're somebody else" di Flora Cash.
 
1Occhi vetri di un acquario” viene da “Paolo e Francesca” di Murubutu, Claver Gold e Giuliano Palma.
2 Terra e cielo è la versione campana delle classiche corna, fatte però con una mano verso l’alto e l’altra verso il basso.
3C’è la morte di tuo padre, un’esplosione interstellare” è un verso da “Chakra” de Le luci della centrale elettrica.
 
 
N.d.A.: Salve!
Per una volta niente angst (vabbè… quasi niente!), ma un po’ di dolcezza. Mi sono cimentata in una piccola child!fic, in onore del prompt #Childhood della BruAbbaWeek. Come al solito scelgo un tema e lo sviluppo, un po’ per esercizio e un po’ perché la mia fangirlaggine necessita una valvola di sfogo.
Due precisazioni veloci:
- l’uso di un linguaggio molto colloquiale e alle volte con errori è una scelta dovuta alla giovanissima età dei protagonisti – uno dei quali, oltretutto, nella storia ammette di non amare la scuola;
- i piccoli Bruno e Leone sono molto diversi dalle loro versioni adulte: del resto, il racconto è ambientato ben prima dei drammi che li hanno portati a divenire i personaggi che conosciamo. Ho cercato da un lato di immaginarne un background ulteriore a quello che ci viene narrato e dall’altro di ricostruire i loro caratteri “alleggerendoli” – nei limiti del possibile –, visto che si tratta pur sempre di ragazzini. Il risultato non sarà perfetto, ma ci ho provato e spero di essere andata OOC solo per lo stretto necessario. In ogni caso, il vostro parere è sempre benvenuto, positivo o negativo che sia: non abbiate alcuna remora!Ringrazio di vero cuore chi ha letto, recensito e/o aggiunto in una lista le precedenti storie nonché chi eventualmente farà altrettanto con questa new entry. Il vostro calore mi emoziona più di quanto possiate immaginare, credetemi! ♥ ♥ ♥
Come sempre, potete trovarmi su Twitter e Tumblr come “Euridice100”, su Ao3 (dove pubblico le traduzioni) come “Euri100Dice” e su Facebook alla pagina “Euridice’s World”. Quando sono dell’umore, si fangirla e si discute di trash e di ciò che mi sta a cuore.
Grazie ancora per essere arrivat* fin qui! A presto, spero! :)
Euridice100
   
 
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