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Autore: Placebogirl_Black Stones    22/03/2021    1 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 31: Cena romantica
 
 
 
Quando si svegliò il mattino dopo trovò accanto a lei sul lenzuolo il portafoto che le aveva regalato Shuichi.
La notte prima, dopo essere tornata a casa, si era preparata per andare a letto e appena entrata in camera l’occhio le era immediatamente caduto sul portafoto che aveva lasciato sul comodino prima di andare al club da Clay. Si era coricata a letto riguardando quelle foto e alla fine si era addormentata stringendolo a sé. Anche se le paure e i dubbi non erano svaniti nel nulla, era comunque felice di aver fatto finalmente un passo avanti con Shuichi.
Come ogni mattina, quando giunse in ufficio lo trovò già seduto alla sua scrivania. Quando i loro sguardi si incrociarono, entrambi sorrisero.
 
- Hai dormito bene?- le chiese, non appena si fu seduta alla scrivania.
- Sì, anche se non avrei disdegnato qualche ora di sonno in più-
 
Shuichi si alzò dalla sedia e si avvicinò maggiormente alla sua scrivania, ci si sedette sopra tirando su una gamba e lasciando l’altra ben salda a terra, poi le allungò dei fogli dicendo che erano altre informazioni importanti che aveva trovato sul caso che stavano seguendo. Lei si mise a leggerli, anche se la sua presenza a così pochi centimetri la metteva in imbarazzo dopo gli abbracci che si erano dati la sera prima. Non fece in tempo a terminare neppure le prima dieci righe, poiché lui le prese delicatamente la mano per farle capire che non voleva che li leggesse in quel momento. Si girò verso di lui con le guance rosse e lo guardò negli occhi: in tutta risposta Shuichi continuò a fissarla e a tenerle la mano. Non c’era nessuno nei paraggi, ecco perché si stava sbilanciando così tanto nonostante si trovassero sul posto di lavoro.
 
- Shu…- riuscì solo a dire.
- Ci hai pensato?-
- A cosa?-
- Al mio invito ad uscire-
 
Non ci aveva pensato a dire il vero, aveva solo dormito e basta. Tuttavia non aveva alcun bisogno di sprecare notti insonni a porsi la domanda: anche se una parte di lei avrebbe voluto dirgli di andarsene al diavolo, il suo cuore le diceva che doveva assolutamente accettare quell’invito che aveva desiderato per sei anni.
 
-È da un po’ che ho voglia di un gelato, stasera dopo cena volevo andare a prenderne uno. So che non sei amante del gelato ma se vuoi possiamo andarci insieme- distolse lo sguardo imbarazzata.
 
Lui ci pensò su per un po’, come se stesse rimuginando o pianificando qualcosa, poi le rispose.
 
- Ti spiace se ci andiamo nel week end? Vorrei portarti in una gelateria in particolare e dopo fare un’altra cosa, ma siccome potremmo fare tardi non voglio farlo nei giorni in cui dobbiamo lavorare il mattino dopo. Però se vuoi stasera possiamo fare altro-
- Per il gelato nel week end va bene ma stasera non mi va di fare tardi di nuovo, ho bisogno di dormire- si lamentò.
- Possiamo andare a cena e poi ti riaccompagno subito a casa- propose.
- E se cenassimo direttamente a casa?-
- Per me va bene. Da me o da te?-
- Possiamo fare da me ma non ho molto in casa, quindi ordiamo qualcosa da asporto-
- No, non serve. Faccio un po’ di spesa lungo la strada verso casa tua e cucino qualcosa-
- Ci hai preso gusto vedo-
- Si risparmia e almeno sai cosa mangi-
- Non lo so se mi posso fidare- ironizzò.
- Tranquilla, se volessi ucciderti ti inviterei di notte in un parco nel Queens a vedere uno sciame meteorico. Avvelenare il cibo è troppo banale- stette al gioco, alzandosi dalla scrivania e tornando a sedersi alla sua.
- Allora cosa mi prepari di buono?- chiese entusiasta.
- Deciderò più tardi-
- Cena a sorpresa- batté le mani - Speriamo bene-
 
La loro conversazione fu interrotta da Camel che entrò in ufficio e li salutò. Si misero subito al lavoro e sia lei che Shuichi cercarono di comportarsi come sempre, per non insospettire il collega. Per il momento era meglio lasciare la cosa fuori dall’ambiente di lavoro, visti i precedenti.
Lei e Camel lessero le nuove informazioni sul caso, che si stava facendo interessante: il tutto era cominciato da un omicidio verificatosi un mese prima, la vittima era un uomo facoltoso dell’Upper East Side. Sul luogo del delitto era stato trovato disegnato un simbolo misterioso che poteva però essere la chiave di tutto: un caduceo attorno a cui si avvolgevano, al posto dei consueti serpenti, due teste di cerbero dal collo allungato. La terza testa si trovava in cima al bastone, tra le due ali. Avevano cercato di interpretarne il significato, ma senza altri indizi poteva voler dire tutto e niente al tempo stesso. Negli ultimi documenti che avevano appena letto, correlati da foto, era però emerso un uomo sul cui avambraccio era tatuato lo stesso simbolo. Il suo nome era Viktor Krayevsky ed era stato identificato come membro di un clan mafioso russo.
 
- Brutta storia- disse Camel dopo aver finito di leggere.
- Già, ci mancava solo la mafia russa- sospirò lei.
- Forse dovremmo coinvolgere Yuriy, lui è di origini russe e i suoi parenti vivono ancora là- suggerì Camel.
- Mi sembra una buona idea, tu che ne pensi Shu?-
- Io proverei a chiedere prima a Tara- disse impassibile.
- Tara?- chiese perplessa.
- Beh, anche lei ha origini russe ma credo che di russo le sia rimasto solo il cognome. A differenza di Yuriy non ha più contatti con la sua terra di origine, ormai la sua famiglia è naturalizzata americana da diverse generazioni- spiegò Camel.
- Vedo che sei piuttosto informato André…- gli rivolse uno sguardo infastidito, non certo perché fosse gelosa quanto perché Tara non era propriamente una delle sue migliori amiche.
- In realtà queste cose me la ha dette le stesso Yuriy- si grattò la nuca imbarazzato il collega.
- In ogni caso, se Tara non ha contatti con la Russia è inutile chiedere a lei-
- Io farei comunque un tentativo- insistette Shuichi.
 
Sembrava stranamente sicuro nonostante quello che Camel aveva appena detto, aveva stampato in faccia quel sorrisetto che faceva ogni volta che stava tramando qualcosa o che sapeva già con certezza che le sue deduzioni si sarebbero rivelate esatte. Non riusciva tuttavia a capirne il motivo, dal momento che Tara sembrava essere l’ultima persona in grado di poterli aiutare a trovare informazioni sul caso.
 
- Vado a chiamarla allora- disse Camel, lasciando l’ufficio.
 
Una volta rimasti soli, ne approfittò per chiarire il suo dubbio.
 
- Perché vuoi chiedere a lei? Stando a quanto dice Yuriy non ci può essere di aiuto-
- Magari non ha detto proprio tutto a Yuriy, non mi piace troppo fidarmi delle parole di terzi, preferisco verificare di persona-
 
La sua risposta non la convinse, sentiva che c’era dell’altro sotto ma sapeva bene che era inutile insistere: se non voleva parlarne non lo avrebbe fatto nemmeno sotto minaccia.
Camel ritornò poco dopo con Tara, che salutò tutti entrando. Il suo aspetto ricordava effettivamente quello di una donna di origini russe: capelli rossi, occhi verdi, piccole lentiggini su naso e guance che cercava di coprire con un leggero strato di fondotinta e statura alta.
 
- Camel mi ha detto che mi avete chiamata per farmi domande sul caso che state seguendo. Purtroppo però non credo di potervi essere di molto aiuto, ormai tutta la mia famiglia si è americanizzata e non so più nulla di come sia la vita in Russia- ammise.
- Sei davvero sicura di non poterci aiutare?- le chiese Shuichi, che sembrava non essere convinto delle sue parole.
 
Si avvicinò a lei e gli allungò la fotografia di Viktor, fissandola per tutto il tempo. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, sembrava quasi volerla interrogare come se lei stessa fosse Viktor o avesse qualcosa a che fare con lui. Volveva chiaramente metterla con le spalle al muro, ma non riusciva a capire il perché. Come poteva Tara essere coinvolta in quel caso di mafia russa? Era un’agente dell’FBI…a meno che non si fosse infiltrata come Shuichi aveva fatto con l’Organizzazione in Giappone. Il pensiero di rivivere la stessa storia la rese irrequieta.
 
- Chi sarebbe?- chiese Tara guardando la foto.
- L’assassino del nostro ricco imprenditore, ma non è questo il punto. Guarda il tatuaggio che ha sull’avambraccio- le allungò un’altra foto con il disegno ingrandito - Ti dice niente?-
- É bello ma è anche parecchio macabro-
- Solo questo?-
- Non saprei. Cosa dovrebbe ricordarmi?-
- Beh, è un disegno molto particolare, la combinazione di due simboli in realtà: un cerbero e un caduceo, due cose che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Perché farsele tatuare insieme? C’è forse qualche particolare credenza russa dietro a questa improbabile unione? Qualche messaggio in codice?-
- Non lo so- scosse la testa - So che esiste la mafia russa e che spesso chi vi appartiene ha parecchi tatuaggi. So che i membri di uno stesso clan si fanno tatuare il simbolo stesso del loro clan di appartenenza, quindi immagino che sia lo stesso per questo tizio, però è difficile interpretarne i significati. Potrebbero voler dire qualunque cosa, bisognerebbe prima capire qualcosa di più sul clan-
- Tutto qui?- insistette Shuichi, non soddisfatto.
- Mi spiace, te l’ho detto che non posso esservi di aiuto- gli restituì le foto.
- Un vero peccato, perché considerando quanto ti piace fare pettegolezzi in bagno sulle questioni personali dei tuoi colleghi, speravo che fossi altrettanto informata anche sulle questioni del tuo paese di origine, soprattutto se possono essere importanti per il tuo lavoro. Pazienza, chiederemo a qualcun altro- si rivolse a Camel, come se nulla fosse - Va’ a chiamare Yuriy, avevi ragione tu sul fatto che potesse esserci più utile-
 
Diede le spalle a Tara e ritornò alla sua scrivania vicino a lei, che per tutto il tempo lo aveva fissato a bocca aperta come un’ebete, esterrefatta da quella frecciata velenosa. Solo in quel momento realizzò che Shuichi aveva organizzato tutto quel teatrino non per avere informazioni sul caso, sapeva perfettamente che non le avrebbe ottenute e che Camel aveva ragione sin dall’inizio, ma per farla pagare a Tara dopo quello che gli aveva raccontato la notte prima. Ora le era finalmente chiaro il perché avesse insistito così tanto nel fare il suo nome.
Tara in un primo momento rimase lì, in piedi, umiliata, imbarazzata e nervosa, poi quando si fu ripresa uscì in tutta fretta dal loro ufficio senza dire nulla. Guardò istintivamente Camel, che invece che andare a chiamare Yuriy era rimasto come lei a fissare la scena senza credere ai suoi occhi. Il collega rivolse poi lo sguardo a Shuichi, che si era seduto e stava guardando le foto come se nulla fosse accaduto, con aria soddisfatta: aveva raggiunto il suo scopo.
Si accorse che lo stavano fissando e fece scorrere lo sguardo su entrambi, prima lei e poi Camel.
 
- Non stavo scherzando, vai a chiamare Yuriy- ripeté al collega, ma senza cattiveria nel tono.
- S-sì, subito!- rispose lui ancora incredulo, affrettandosi ad uscire.
 
Rimasti di nuovo soli, si girò verso di lui e lo guardò in cerca di una risposta.
 
- Che c’è?- chiese lui, come se non avesse fatto nulla.
- Dimmelo tu cosa ti prende! Hai praticamente scavato una fossa, hai convinto Tara ad entrarci e poi hai iniziato a seppellirla viva!- riassunse l’accaduto con una metafora.
- E la cosa ti preoccupa?- ghignò, soddisfatto delle proprie azioni.
- Beh, francamente sì. Vorrei evitare altri pettegolezzi o attirare le antipatie dei colleghi, senza contare che se andrà a lamentarsi dai superiori per il modo in cui l’hai tratta sta sicuro che ti faranno una bella lavata di capo! James s’infurierà!-
- James lo sa che Tara spettegola nei bagni insieme alla sua amica Rachel invece che fare il suo lavoro? Qui non siamo al mercato, il nostro lavoro consiste nel proteggere le vite dei cittadini americani- la guardò serio.
- Shu non mentire, non lo hai fatto né per patriottismo né per senso del dovere o amore per il tuo lavoro. La tua è stata solo una piccola “vendetta” personale: volevi fargliela pagare per quello che hanno detto su di me sei anni fa. Lo so che ieri sera ti sei sentito responsabile dell’accaduto, ma non volevo che prendessi a cuore la cosa a tal punto. Sul serio Shu, è acqua passata ormai. Scusati con Tara e non parliamone più, ok?- posò una mano sulla sua gamba.
- Mi spiace ma non mi scuserò per aver detto la verità. E anche tu non dovresti stare ferma e subire un’ingiustizia senza lottare. Sai essere molto più forte di una che piange chiusa in un bagno per le male parole di due pettegole- posò la mano sulla sua e la fissò dritto negli occhi.
 
Quelle parole e quel gesto la fecero arrossire, avrebbe voluto avvicinarsi di più a lui ma sapeva che sul posto di lavoro non potevano mostrare apertamente atteggiamenti intimi.
Appena Camel rientrò insieme a Yuriy, le loro mani si separano a malincuore. Salutarono il collega russo e Shuichi gli mostrò subito le foto, senza i giri di parole che aveva usato con Tara. Dall’espressione di Yuriy intuirono che non si trattava di nulla di buono.
 
- Ne sai qualcosa?- gli chiese Shuichi, notando la preoccupazione sul suo volto.
- Sì e non è qualcosa di buono-
- Quanto poco buono è?-
- Tanto. Stiamo parlando di un clan russo parecchio temuto nonostante non sia uno dei più famigerati. Si stanno facendo un nome e molto in fretta, ma non godono certo di un’ottima reputazione-
- Cosa significa il tatuaggio?-
- I tatuaggi dei clan russi sono sempre molto emblematici, hanno significati profondi ma difficili da decifrare, anche se una cosa in comune ce l’hanno tutti: non esprimono mai qualcosa di positivo. Nel caso di questo, mi vengono in mente due cose: cerbero era un cane infernale della mitologia e si diceva avesse appunto tre teste, mentre il caduceo è il simbolo di Mercurio, che nella mitologia romana era il messaggero degli dei. Se unisci le due cose insieme, potrebbero essere interpretate come un messaggio di morte-
- Interessante, credo che tu abbia ragione. Si dice che se una persona guarda un cane infernale negli occhi per tre volte, allora morirà. Forse anche il numero tre, legato alle teste di cerbero, potrebbe avere un significato-
- Non possiamo escluderlo-
- Te la senti di darci una mano con questo caso?-
- Certo, è il mio lavoro in fondo-
- Allora benvenuto a bordo-
 
Si strinsero le mani per sancire quella collaborazione: fu così che Yuriy entrò ufficialmente a far parte della loro piccola squadra per quel caso. Da quel momento avrebbero avuto una persona in più in ufficio oltre a Camel a cui nascondere eventuali atteggiamenti intimi.
 
 
 
Più tardi a casa si fece una doccia e cercò qualcosa di semplice ma carino da mettersi. Dovevano cenare in casa, quindi non doveva certo indossare il suo vestito migliore, ma voleva comunque essere presentabile. Alla fine scelse una camicetta con le maniche corte e a sbuffo e una minigonna aderente sui fianchi. Si mise anche qualche goccia di profumo sul collo e sui polsi.
Apparecchiò il tavolo con i piatti e i bicchieri che riservava solitamente per le grandi occasioni e accese un paio di candele profumate nella sala dove avrebbero cenato, rendendo l’atmosfera più intima e sensuale. Subito dopo averlo fatto si chiese se non fosse troppo e le spense tutte, ma alla fine l’ambiente le sembrava troppo formale e così le riaccese nuovamente, nella speranza che non dessero l’impressione sbagliata. Era molto nervosa anche se si trattava solo di una cena, non voleva certo buttarsi fra sue braccia come se nulla fosse. Se voleva davvero stare di nuovo con lei allora se lo doveva guadagnare: doveva resistere alla voglia di stringerlo a sé tutto il tempo e di baciarlo. Arrossì ai suoi stessi pensieri.
Mentre controllava nuovamente che tutto fosse a posto suonò il citofono: Shuichi era arrivato. Corse ad aprire e attese che salisse e bussasse alla porta, mentre si sistemava i capelli e si aggiustava la gonna sui fianchi. Al primo colpo aprì subito.
 
- Ciao Shu- lo accolse con un sorriso.
 
Notò che reggeva in mano un paio di buste della spesa abbastanza piene, forse aveva comprato anche più del dovuto. Lui la osservò da capo a piedi, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo.
 
- Ma dobbiamo uscire?- le chiese infine.
- No, avevamo detto di stare in casa. Perché?-
- Sei vestita piuttosto bene per una che ha intenzione di passare la serata chiusa in casa-
 
Ecco, primo errore della serata. Eppure non le sembrava di aver esagerato, senza contare che invece che uscirsene con quel commento poteva anche dirle che era carina e che le stavano bene quei vestiti.
 
- Ho messo la prima cosa che ho trovato nell’armadio, è un problema?- rispose stizzita.
- No, anzi, è un bel modo di essere accolti-
 
Pronunciò quelle parole mentre faceva cadere l’occhio prima sulla scollatura della camicetta, da cui si intravedevano le curve dei suoi seni prosperosi e poi sulle sue gambe, che non avevano nulla da invidiare a nessuno. Ciò la mise in imbarazzo ma al tempo stesso le fece anche piacere: il fatto che Shuichi la guardasse così la faceva sentire desiderata.
 
- Vieni, entra- lo invitò appena si riprese dal momento di impaccio.
 
Mentre si dirigevano in cucina passarono per la sala da pranzo, dove lui si soffermò a guardare la tavola che aveva apparecchiato con cura e l’ambiente intimo che aveva ricreato con le candele. Lei si morse il labbro inferiore, chiedendosi a cosa stesse pensando. Alla fine non riuscì a trattenersi, dato il livello di nervosismo che aveva raggiunto.
 
- Se le candele ti danno fastidio posso spegnerle-
- Tranquilla, mi piacciono a dire il vero- sorrise e riprese a camminare verso la cucina.
 
Tirò un sospiro di sollievo e si ripeté fra sé e sé che doveva calmarsi. Lo seguì in cucina e lo guardò mentre appoggiava sul ripiano della cucina la busta della spesa e iniziava ad estrarne il contenuto: patate, carne di manzo all’apparenza di buona qualità, cipolle, carote, fagiolini verdi e un barattolo di salsa di soia. C’erano anche due bottiglie, una di vino rosso e una di Scotch.
 
- Il vino è per la cena, lo Scotch per il dopo cena- precisò.
- Vieni ad ubriacarti a casa mia?- ironizzò.
- In realtà l’idea era di far ubriacare te- stette al gioco.
 
Lo osservò mentre si guardava intorno, probabilmente cercando gli attrezzi per iniziare a cucinare. Si avvicinò a lui e gli fece vedere dove si trovavano le padelle e il resto degli utensili. Era passato parecchio tempo da quando era stato l’ultima volta da lei per una cenetta intima, era molto probabile che non ricordasse la posizione dei vari oggetti, senza contare che il più delle volte andavano fuori a cena.
 
- Cosa prepari di buono?-
- Nikujaga-
- E che cos’è?-
- Uno stufato di manzo con patate, saporito con altre verdure e salsa di soia-
- Posso aiutarti? Mi sento in colpa ad invitarti a cena e poi farti cucinare-
- Veramente mi sono offerto io di cucinare, quindi non c’è problema-
- Sì ma io non riesco a stare ferma a guardare, fammi fare qualcosa-
- D’accordo, se insisti- sorrise - Sbuccia le patate e taglia ciascuna in sei pezzi, poi immergile per dieci minuti in una ciotola con dell’acqua per fargli perdere l’amido-
- Come siamo professionali- lo prese in giro, eseguendo però i suoi ordini alla lettera.
 
Mentre sbucciava e tagliava, Shuichi si mise al suo fianco a tagliare la carne a pezzetti. Era felice di quel momento così semplice speso con lui, le dava l’impressione che fossero una di quelle coppie sposate dei film che dopo il lavoro cucinavano insieme. Le sembrava rilassato e contento, notò anche che cercava di starle vicino quando più possibile.
Quando arrivò il momento di tagliare la cipolla, provò a farla tagliare a lei che però si rifiutò prontamente. Estrasse da un mobile uno di quegli affettatutto con le griglie intercambiabili e glielo porse, così nessuno dei due avrebbe dovuto piangere a causa dell’odore pungente sprigionato ad ogni taglio.
Una volta preparato il tutto lo misero a bollire in una pentola a fuoco lento, aggiungendo la salsa di soia. Il profumo che si sprigionò nella cucina era davvero invitante.
 
- Sembra che stia venendo bene- gli sorrise felice, sbirciando dentro la pentola.
- Avevi dubbi?-
- Scusa Shu ma trovo ancora incredibile che tu abbia imparato ad essere una casalinga perfetta- alzò un sopracciglio.
 
Lui sorrise e prese un cucchiaio, lo immerse nella pentola ed estrasse un po’ del contenuto, ci soffiò sopra per farlo raffreddare e poi, tenendo una mano appena sotto il cucchiaio, lo allungò verso di lei.
 
- Assaggia-
 
Colta di sorpresa e timorosa si avvicinò lentamente e altrettanto lentamente aprì la bocca, imbarazzata dagli occhi penetranti di lui che la fissavano. Il sapore di quello stufato le fece sgranare gli occhi.
 
- Ma è ottimo!- esclamò.
- Sicura? Non è troppo salato? Verdure poco cotte?-
- Il sale è a posto e le verdure possono cuocere per altri cinque minuti poi è pronto-
 
Mentre lui continuava a mescolare lo stufato, lei aprì la bottiglia di vino e poi andò in sala pranzo e lo versò nei loro rispettivi bicchieri.
Quando finalmente lo stufato fu pronto, Shuichi la raggiunse e lo servì in tavola mettendolo nei piatti a raffreddarsi un po’.  Si sedettero l’uno di fronte all’altro e iniziarono a cenare, chiacchierando tranquillamente.
 
- Se ti fa piacere possiamo tornare al Forest Park- se ne uscì all’improvviso, cogliendola di sorpresa - Ieri sera siamo stati solo alla tribuna dei concerti, ma prima che arrivassi mi sono fatto un giro per tutto il parco e non è male. Ti andrebbe di vederlo?-
 
Arrossì sorridendo: doveva ancora riabituarsi a quegli inviti ad uscire che suonavano di appuntamenti non proprio di natura amichevole fra due colleghi. Non riusciva ancora a credere di essere lì a fare una cenetta a lume di candela con lui che le faceva la corte (a modo suo). Lo aveva desiderato per anni e ora il suo desiderio si era avverato. Si chiese se quella fosse davvero la realtà o se non stesse semplicemente facendo un lungo sogno che sarebbe stato seguito da un brusco risveglio. Aveva paura, ma anche tanta voglia di viversi quei momenti con l’uomo che amava con tutta se stessa.
 
- Mi piacerebbe- annuì.
- Ci andiamo domenica? Credo sia meglio vederlo di giorno piuttosto che di sera-
- Sono d’accordo, domenica è perfetto-
 
Terminarono la cena tra sguardi intensi, sorrisi, il suo imbarazzo e alcune chiacchiere. Si chiedeva cosa avrebbero fatto ora, se avrebbero guardato un film abbracciati sul divano o se avrebbero solo continuato a chiacchierare mantenendo le distanze. Sapeva bene cosa voleva, ma non le era del tutto chiaro cosa volesse Shuichi. Si era fatto avanti, ma forse non voleva affrettare troppo le cose e anche lei a pensarci bene non doveva concedersi con facilità: era giusto che Shuichi si meritasse quello che aveva da offrirgli.
 
- Grazie per la cena, era davvero ottimo- si alzò dal tavolo e iniziò a radunare i piatti.
- Sono contento che ti sia piaciuto- si alzò anche lui per darle una mano.
- No, lascia, faccio io. Tu hai cucinato, sparecchiare e fare la lavastoviglie mi sembra il minimo-
- Allora ti spiace se esco in balcone a fumare?-
- No, ma non ti fa bene- lo rimproverò.
 
Si diresse in cucina con piatti e bicchieri e portò lì anche il vino rimasto. Mise tutto ciò che avevano sporcato nella lavastoviglie e la azionò. Sul ripiano della cucina era rimasta quella bottiglia di Scotch che Shuichi aveva portato per il dopo cena. La prese e se la rigirò fra le mani, chiedendosi se era davvero il caso di bere: quando alzava un po’ il gomito perdeva la lucidità e la vicinanza di Shuichi le faceva perdere lucidità più dell’alcol. Non voleva venire meno al buon proposito di non concedersi troppo, ma se avesse rifiutato forse Shuichi ci sarebbe rimasto male, in fondo quella bottiglia l’aveva portata lui appositamente per la serata. Alla fine si arrese, sospirò e si mise alla ricerca dei bicchieri da liquore nella credenza. Una volta trovati li riempì con dei cubetti di ghiaccio che teneva sempre nel freezer, stappò la bottiglia e li riempì con quel liquido ambrato, per poi portarli sul tavolino basso che stava davanti al divano nel salotto. Gettò un’occhiata alla portafinestra del balcone e vide che Shuichi era ancora fuori a fumare, quindi tornò in cucina a recuperare la bottiglia e portò anche quella sul tavolino. Infine si sedette sul divano e attese, cercando di scacciare il nervosismo che aumentava minuto dopo minuto.
Shuichi rientrò poco dopo, sedendosi sul divano accanto a lei. Si era seduto parecchio vicino, cosa che solitamente non faceva e aveva allungato un braccio stendendolo lungo il bordo del divano, ma più che un gesto di rilassamento sembrava un modo per abbracciarla e averla più vicina a sé. Si accorse che la stava fissando e incapace di sostenere quello sguardo che la mandava in confusione si affrettò a prendere un bicchiere dal tavolino e glielo porse. Nel prenderlo, Shuichi le sfiorò la mano con i polpastrelli. Non sapeva se lo avesse fatto di proposito o se fosse stato accidentale, ma quel gesto le aveva provocato brividi lungo tutta la schiena. Si sentiva stupida, come una liceale al suo primo appuntamento. Stava per compiere ventinove anni e non riusciva a controllarsi davanti a un uomo. Afferrò il suo bicchiere e bevve un sorso, nella speranza che l’alcol l’aiutasse a rilassarsi un po’. Con la coda dell’occhio si accorse che Shuichi sorseggiava il suo Scotch senza toglierle gli occhi di dosso e questo la spinse a bere un altro sorso: forse nemmeno scolarsi da sola l’intera bottiglia sarebbe bastato per cancellare quell’uragano di emozioni che sentiva nel petto. Imbarazzo, amore, felicità, paura e desiderio.
 
- Come mai lo Scotch?- chiese, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
- Perché? Non ti piace?- replicò, stranito da quella domanda.
- No, è solo che non ti vedevo bere Scotch da un pezzo. Di solito prendevi Bourbon o altro-
- Capisco- sorrise - Ho solo pensato che era ora di riprendere con lo Scotch-
- Perché avevi smesso di berlo?-
 
Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui Shuichi fissò il bicchiere che stringeva in mano, facendo roteare il liquore e il ghiaccio al suo interno. Dall’espressione sul suo volto capì di aver toccato un tasto dolente e maledisse la sua curiosità, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. Non seppe spiegarsi il perché, dal momento che non aveva alcuna certezza, ma nella sua testa ritornò insistente il pensiero di Akemi, come se ci fosse anche lei seduta su quel divano insieme a loro. Istintivamente, strinse forte il bicchiere che reggeva con entrambe le mani.
Bastò che Shuichi le accarezzasse con i polpastrelli la nuca, facendoli passare fra i sui corti capelli, perché si rilassasse nuovamente.
 
- Mi dispiace, non volevo intromettermi nelle tue questioni personali- si scusò, guardandolo negli occhi.
- Ti ricordi di quel poliziotto amico di Amuro Tooru, il nostro amico Bourbon? Quello che si era infiltrato nell’Organizzazione quando ne facevo parte anche io?-
- Sì, ci avevi parlato di questa storia. Amuro ti incolpava della sua morte. Ma cosa c’entra?-
- Ti ricordi come si chiamava?-
 
Ci pensò un attimo e infine sgranò gli occhi quando finalmente ricordò.
 
- Scotch…- sussurrò.
- Esatto-
- Shuichi tu…- non riuscì a terminare la frase, non sapendo quali parole usare.
- Mi sentivo responsabile della sua morte in qualche modo, quindi ho smesso di bere quel liquore che portava il suo stesso nome per evitare di farmi divorare dai rimorsi-
 
Si sentì un’idiota quando le rivelò quella confessione così intima: si era costruita un intero film nella sua testa e aveva messo in mezzo la sua ex ragazza deceduta, quando in realtà non c’entrava nulla. Non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato che fra i tormenti interiori di Shuichi ci fosse spazio anche per altri defunti oltre ad Akemi. In quel momento capì quanto fosse grande il fardello che aveva dovuto portarsi dietro, quanto fosse alto il prezzo che aveva pagato per essersi infiltrato nell’Organizzazione.
Una parte di lei però era felice che si fosse aperto in quel modo, raccontandole qualcosa che si teneva nel cuore da tempo. Si era fidato di lei e questo era il regalo più bello che potesse farle. Spinta da quell’emozione così forte, staccò una mano dal bicchiere che stava ancora stringendo e la portò sul volto di Shuichi, accarezzandogli una guancia.
 
- Non è stata colpa tua Shu. Adesso smettila di tormentarti, non ne hai motivo- gli disse dolcemente, fissandolo negli occhi.
- È quello che ho intenzione di fare- intensificò le carezze che le stava ancora facendo dietro la nuca, spingendola delicatamente un po’ più vicina a lui - Da stasera si cambia-
 
Fece tintinnare il bicchiere contro il suo, come se volesse fare un piccolo brindisi in onore di quella svolta che aveva voluto finalmente dare alla sua vita. Anche lei faceva parte del suo cambiamento, anzi, forse era la parte più importante. Shuichi aveva detto addio ai suoi fantasmi e ora voleva solo ricominciare a vivere serenamente: era suo dovere fare il possibile per dargli ciò che non aveva più da tempo.
Staccò gli occhi da lei solo per posare il suo bicchiere sul tavolino; poi le prese il suo dalle mani e posò anche quello. Seguì ogni movimento con sguardo attento, chiedendosi perché lo stesse facendo, anche se poteva intuirlo da sola data l’atmosfera che si stava creando. Si era ripromessa di non lasciarsi andare troppo, non al primo appuntamento almeno, ma i suoi buoni propositi stavano andando in frantumi alla velocità della luce.
Shuichi fece scorrere delicatamente le dita della mano sulla sua coscia lasciata scoperta dalla corta gonna e con il braccio che fino a quel momento era rimasto posato sul bordo del divano le cinse le spalle, attirandola a sé. Si sentiva avvampare dentro, mentre il desiderio di essere amata da lui cresceva. Posò le mani sul suo petto e nascose il volto nell’incavo del suo collo, incapace di sostenere il suo sguardo. Se lo avesse fissato avrebbe perso quel briciolo di lucidità che ancora le restava. Shuichi le accarezzò la testa per un po’, ma poi la cosa non lo soddisfece più e le prese delicatamente il mento tra il pollice e l’indice, costringendola ad alzare la testa e a guardarlo negli occhi. Non sapeva descrivere quanto fossero belli quegli occhi, così verdi e intensi da scavarle nell’animo. Le tolse delicatamente gli occhiali, piegandoli con cura e appoggiandoli sul tavolino. Sapeva quanto ci tenesse e pertanto li aveva trattati con speciale riguardo: questo fece sì che lo amasse ancora di più. Tornò a fissarla e lei fece lo stesso, con gli occhi resi lucidi dal desiderio. Sentì la sua mano accarezzarle la guancia, mentre avvicinava il volto al suo. Iniziò a respirare profondamente e più velocemente, mentre i battiti del suo cuore acceleravano: ormai era chiaro quali fossero le sue intenzioni, in netto contrasto con quanto si era ripetuta dal momento in cui lo aveva fatto entrare. Se lo avesse baciato la prima sera, sarebbe stato come cancellare tutto ciò che era stato e in un certo senso non voleva che fosse così. Che diamine, l’aveva piantata in asso, ora doveva sudarsi anche un suo bacio! Ma mentre nella sua testa si ripeteva questo, il resto del suo corpo desiderava solo che le loro labbra si unissero (e probabilmente non solo quelle). L’amore è irrazionale e questa è la sua parte peggiore.
La fronte di Shuichi si posò contro la sua e sentì il suo respiro caldo sulla bocca. Se voleva fermarlo doveva farlo in quel preciso istante. Ma quando le abili dita di lui le sfiorarono il collo dietro e sotto l’orecchio, non potè fare altro che lasciarsi andare ad un sospiro ansimando e avvicinando ancora di più le labbra alle sue, questione di millimetri e si sarebbero toccate. Evidentemente ricordava ancora i punti del corpo che più le suscitavano piacere. Si rese conto di non poter resistere, di essere solo una preda nelle sue mani.
Stavano per baciarsi quando la suoneria di un cellulare interruppe quel momento. Si allontanarono e lei si guardò intorno alla ricerca del suo telefono, ricordandosi solo dopo di averlo lasciato in camera da letto a caricare. Inoltre quella non era la sua suoneria, pertanto doveva essere per forza quella di Shuichi. Lo vide estrarre il cellulare dalla tasca dei pantaloni e quando lesse il nome sul display non potè fare a meno di ghignare.
 
- Che tempismo- commentò.
- Chi è?- chiese lei, curiosa di sapere chi l’avesse salvata ma al tempo stesso disturbata.
- La tua amica-
 
Aggrottò le sopracciglia, cercando di dare un senso a quella risposta. Chi era la sua amica e perché se era sua amica chiamava Shuichi invece di chiamare direttamente lei? Rimase col dubbio fino a quando lui non rispose al telefono, azionando il vivavoce.
 
- Ero in pensiero, oggi non mi avevi ancora chiamato- esordì, lasciandola ancora più perplessa.
- Non fare lo spiritoso, sei sparito da ieri sera!-
 
Riconobbe immediatamente la voce dall’altro capo: era Shiho.
 
- Ho avuto da fare- si giustificò.
- Allora, com’è andata con Jodie?-
 
Si girò a guardarla, mentre lei arrossiva e moriva di imbarazzo: non aveva idea che Shiho fosse a conoscenza di quanto era accaduto la sera prima o meglio di quelle che erano le intenzioni di Shuichi. La stupì il fatto che si parlassero così apertamente, Shuichi di solito non lo faceva nemmeno con lei o con altri che conosceva da molto più tempo di Shiho. D’altra parte quella ragazza aveva un posto speciale nel suo cuore, oltre ad essere a tutti gli effetti parte della sua famiglia.
 
- Vuoi chiederlo direttamente a lei? È qui di fianco a me in questo momento-
 
Spalancò la bocca e lo fissò come se le avesse proposto qualcosa di indecente. Come gli veniva in mente di essere così diretto?! Ma soprattutto perché si stava divertendo a metterla in imbarazzo?!
Scosse la testa e anche le mani, per fargli capire che non voleva esporsi.
 
- Sei con lei? Allora è andato tutto bene? Passamela, voglio sentirlo da lei!-
 
Shuichi ignorò i suoi cenni di dissenso e le allungò il telefono. Sospirò, lanciandogli un’occhiataccia contrariata.
 
- Ciao tesoro- la salutò, cercando di sembrare la solita di sempre - Come stai?-
- Jodie!- rispose entusiasta- Ho provato a chiamarti più volte prima ma non hai risposto…-
- Scusami, ho lasciato il cellulare in camera da letto per ricaricare la batteria e me lo sono scordato là. Probabilmente non ho sentito la suoneria-
- Aspetta un momento- la interruppe - Sei a casa tua?-
- Sì, perché?-
- Con Shuichi?-
- Beh, sì…-
- Ti ha parlato ieri sera? Ti ha detto finalmente cosa prova?- sembrava un fiume in piena.
- Ti spiace se ne parliamo in privato più tardi? È un tantino imbarazzante…-
- Insomma, uno dei due mi può dire se vi siete messi insieme oppure no?-
- Ti possiamo dire che ci hai interrotti con la tua telefonata, non potevi aspettare?-
 
Quella frase suonò come un rimprovero ma senza cattiveria nel tono. Lei invece avrebbe voluto sotterrarsi e non riemergere mai più. Come gli era venuto in mente di rispondere in quel modo così ambiguo?!
 
- Shu ma che dici?!-
- Perché, non è forse vero?- disse con nonchalance.
- No, ma se dici così penserà che stessimo facendo chissà cosa!- avvampò.
- Siete già a quel punto?- chiese, con una vena di ironia nella voce - Prima ci mettete anni e poi in ventiquattr’ore arrivate al sodo. Scusate se vi ho disturbati, poi mi racconterai i dettagli Jodie-
 
Prima che potessero ribattere, Shiho aveva già interrotto la chiamata. Se l’atmosfera era già imbarazzante prima, dopo quella telefonata aveva raggiunto un livello imbattibile.
Shuichi sorrise beffardo e rimise il cellulare in tasca, voltandosi a guardarla. Non seppe come reagire, in quel momento voleva solo sprofondare sottoterra dalla vergogna.
 
- Immagino che ora spargerà la voce in famiglia- le disse infine, divertito da quella situazione al contrario di lei.
 
Sgranò gli occhi a quell’affermazione: non aveva minimamente pensato a Tsutomu, Mary e tutto il resto della famiglia Akai. Pregò con tutta se stessa che Shiho non raccontasse loro di quella conversazione, non voleva che mezzo Giappone fosse al corrente della sua vita sessuale, che fra l’altro in quel momento era inesistente.
 
- Ti spiace se esco in balcone?- chiese a Shuichi, che continuava a guardarla.
- Perché vuoi uscire? - chiese sorpreso.
- Vado a buttarmi giù e se per caso dovessi sopravvivere prendo l’ascensore e torno su- fece un sorriso forzatissimo che evidenziò appieno il suo imbarazzo.
 
Shuichi si lasciò andare ad una risata, cosa che non faceva quasi mai e pertanto era da ritenersi bella quanto rara. Adorava vederlo ridere e sapere di essere stata lei a farlo divertire la riempì di gioia, facendole dimenticare per un momento la vergogna provata fino a poco prima.
 
- Non c’è niente da ridere, si è fatta un’idea completamente sbagliata!- lo rimproverò ma stando attenta a non rovinare il suo divertimento.
- Tranquilla, poi avrai modo di chiacchierare con lei e spiegarle se vorrai-
 
Mentre pronunciava quelle parole si riavvicinò a lei, eliminando la distanza che si era creata e cingendole la vita con entrambe le braccia per attirarla a sé. Adesso si ritrovava premuta contro il suo torace muscoloso, messo in evidenza dalla t-shirt che stava indossando.
 
- Noi avevamo un discorso in sospeso o sbaglio?-chiese, con le labbra a pochi centimetri dalle sue.
 
Sentì nuovamente il desiderio crescere in lei e la sua forza di volontà l’abbandonava sempre più. Sapeva che se non lo avesse fermato in quel preciso istante non sarebbe più riuscita a farlo.
Fece scorrere le mani dal suo petto fino al suo collo, cingendogli le spalle con le braccia e iniziando a giocare con i capelli della nuca che uscivano dal berretto, mentre si perdeva nei suoi occhi.
 
- Shu…io non…- cercò di parlare.
- Non ti senti pronta?- le chiese, il tono della voce basso e profondo, mentre le accarezzava una guancia con il pollice.
- No, non è questo…-
- Guarda che non voglio fare quello che pensi-
- Non vuoi baciarmi?- chiese stupita.
- Certo che voglio farlo, ma non voglio spingermi oltre a quello. Un passo alla volta, giusto?-
- Oh- riuscì solo a dire, per poi abbassare lo sguardo.
- Per te va bene?- chiese, alzandole il volto delicatamente.
- Certo, mi sono solo lasciata suggestionare troppo dalla conversazione con Shiho- ammise - Sono d’accordo sull’andarci piano. In realtà non volevo nemmeno baciarti questa sera-
- Perché?-
- Beh, perché ho pensato che cedere al primo appuntamento non mi faceva onore, senza contare che dopo il modo in cui ti sei comportato con me negli ultimi anni se vuoi qualcosa te lo dovrai guadagnare sodo- gli picchiettò sul petto più volte con l’indice.
- Interessante. Quindi cosa dovrei fare per meritarmi un tuo bacio?- sembrò divertito da quella specie di sfida.
- Continua a fissarmi così e ad accarezzarmi e non dovrai fare proprio niente- scosse la testa, nascondendola nell’incavo del suo collo per la vergogna di non avere un briciolo di autocontrollo di fronte a lui.
 
Lo sentì ridacchiare silenziosamente, senza emettere suoni. Era ovvio che si stesse divertendo, sapeva che avrebbe ottenuto ciò che voleva e senza il minimo sforzo.
 
- Se vuoi posso andare via, non voglio spingerti a fare qualcosa che non vuoi- disse facendosi serio.
- No!- esclamò, guardandolo dritto negli occhi -Ti prego resta…-
 
Bastarono quelle parole per far sì che Shuichi annullasse completamente ogni  distanza rimasta fra loro catturando le sue labbra in un bacio delicato, come se volesse chiederle il permesso un’ultima volta. In risposta lei dischiuse la bocca, invitandolo ad approfondire quel bacio che aveva atteso per troppo tempo. Dopo pochi secondi le loro lingue si ritrovarono intrecciate l’una all’altra in una danza senza musica ma piena di ritmo. Esplorava lentamente la bocca di Shuichi, le papille stuzzicate dal mix di alcol e tabacco. Sentiva un vortice di emozioni nello stomaco, il cuore che le batteva forte: quel bacio non aveva nulla a che vedere con quello di Clay, non aveva provato nemmeno un quarto delle emozioni che stava provando in quel momento mentre lui le dimostrava concretamente il suo interesse.
Avrebbe potuto baciarlo fino all’alba senza mai stancarsi delle sue labbra o del loro sapore, ma Shuichi interruppe il bacio, forse per riprendere aria o forse per rispettare la promessa di andarci piano. Allontanò di poco il volto dal suo, per poterla guardare meglio.
 
- Allora, me lo sono meritato?- chiese, riferendosi a quel bacio e al discorso affrontato poco prima.
- Per niente, ma io sono molto buona e te l’ho dato lo stesso-
- Beh, in fondo ho cucinato per te-
- Se la metti così allora d’accordo, te lo sei meritato-
 
Sorrisero e si baciarono nuovamente, accarezzandosi a vicenda ma senza esagerare troppo. Shuichi si stava dimostrando molto rispettoso, ma che fosse un tipo serio ed elegante lo sapeva già da tempo.
 
- Dove hai messo il portafoto che ti ho dato ieri? Prima mi sono guardato un po’ intorno ma non l’ho visto- le chiese, quando interruppero il bacio.
- Sul comodino in camera da letto. Ieri sera quando sono tornata ho riguardato le foto e poi mi sono addormentata, quindi alla fine l’ho lasciato lì-
- Capisco, vorrà dire che vedrò come lo hai sistemato a tempo debito-
 
Abbassò lo sguardo sorridendo, consapevole che aveva appena fatto un’allusione al momento in cui sarebbero entrati in intimità a tal punto da necessitare di un letto. L’idea di fare l’amore con lui dopo così tanto tempo la spaventava e la emozionava contemporaneamente; tuttavia era ancora troppo presto per pensarci.
Restarono abbracciati ancora per un po’, parlando e baciandosi, fino a quando Shuichi non si accorse dell’ora tarda. A malincuore si alzarono dal divano e lo accompagnò fino alla porta.
 
- Vuoi portare a casa un po’ del cibo avanzato e la bottiglia di Scotch?-
- No, il nikujaga finiscilo tu domani, io ho altri avanzi a casa. E lo Scotch tienilo per la prossima volta- sorrise.
- Non lo so se ci sarà ancora la prossima volta, potrei bermelo tutta da sola-
- Vorrà dire che ne porterò un’altra bottiglia- le cinse la vita con le braccia e l’attirò a sé.
- Grazie per la cena, era deliziosa- soffiò sulle sue labbra.
 
Si scambiarono un ultimo, lungo bacio e si augurarono la buonanotte, poi Shuichi uscì dalla porta diretto a casa. Non appena rimase sola, si mise a sorridere e a saltellare per la stanza come una matta, incapace di contenere la felicità che stava provando. Le sembrava di aver appena vissuto un bellissimo sogno, l’uomo che amava l’aveva tenuta fra le sue braccia e l’aveva baciata. Voleva urlare la sua gioia a tutto il mondo, ma sapeva anche che doveva restare con i piedi a terra: non era ancora sicura dei sentimenti di Shuichi. Quello che provava per lei poteva già definirsi amore o non era ancora arrivato a quel punto? Doveva considerarsi la sua ragazza oppure soltanto la ragazza con cui si frequentava? Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo, in fondo quello era solo il primo appuntamento e fino a ventiquattrore gli aveva rinfacciato il passato. Dovevano ricostruire il loro rapporto a piccoli passi, in fondo non erano più gli stessi di sei anni prima e pertanto anche il loro rapporto non era qualcosa che si potesse recuperare da dove si era interrotto, ma qualcosa che andava ricostruito da capo su nuove basi, più solide.
Ripulì il tavolino del salotto, mettendo nel lavello i bicchieri e riponendo lo Scotch nel mobile della cucina dove teneva qualche altra bottiglia di vino per le occasioni; poi si preparò per la notte e andò a coricarsi. Prima di addormentarsi prese il telefono e chiamò Shiho.
 
- Pronto Jodie?- rispose la voce dall’altro capo.
- Ciao, scusami se non ho risposto alle tue chiamate ma come ti ho detto quando hai chiamato Shu avevo il telefono in carica in camera da letto e non ho sentito-
- Tranquilla, se avessi saputo che eri con lui non avrei disturbato-
- Non hai disturbato affatto-
- Shuichi ha detto che vi ho interrotti-
- Non stavamo facendo nulla di quello che pensi, non ci siamo arrivati fino a quel punto!- precisò.
- Certo che no, ci ha messo una vita a chiederti di uscire figuriamoci a portarti a letto-
- Ma chi te le insegna certe cose?!- si scandalizzò.
- Guarda che ho diciotto anni, quasi diciannove e sono una scienziata, lo so come nascono i bambini-
- Beh in ogni caso non è solo Shuichi, anche io voglio andarci piano. Insomma, se vuole dormire nel mio letto deve guadagnarselo!-
- Sono assolutamente d’accordo-
 
Non poté vedere l’espressione sul suo volto ma immaginò che stesse facendo uno di quegli sguardi diabolici che faceva sempre quando voleva farla pagare a qualcuno.
Le raccontò poi di ciò che era successo la sera prima, di quello che si erano detti e di ciò che era successo poche ore prima. Shiho stette in silenzio ad ascoltarla fino alla fine.
 
- Quindi è tutto chiarito? State insieme?-
- Non abbiamo ancora definito la natura del nostro rapporto, per ora ci frequentiamo e vediamo come va a finire-
- Tu sei felice?-
- Ovvio, come potrei non esserlo?-
- Se sei felice lo sono anche io, ma quell’inconcludente dovrebbe chiederti ufficialmente di essere la sua ragazza-
- Non è detto che non lo farà, in fondo quello di stasera era solo il primo appuntamento-
- Sì ma visti i suoi tempi se lasciamo fare a lui te lo chiederà al cinquecentesimo appuntamento-
 
Scoppiò a ridere a quella battuta, che in fondo nascondeva anche una verità.
 
- Sai, ti devo ringraziare- ammise - Se non fosse stato per te credo che Shuichi non si sarebbe convinto ad andare avanti-
- Tifavo per voi sin dall’inizio, ho solo fatto il mio dovere di fan-
 
Le venne nuovamente da ridere, quella ragazzina sapeva essere davvero divertente quando voleva.
 
- Adesso ti devo salutare, è tardissimo e domattina lavoro-
- Ok, tienimi aggiornata sugli sviluppi. Io continuo a lavorare dietro le quinte per te, voglio che alla prossima telefonata tu possa definirti la sua ragazza senza dubbi-
- Va bene, mi fido di te- stette al gioco.
 
Si salutarono e finalmente chiuse gli occhi, addormentandosi cullata dai sentimenti che aveva provato quella sera, ancora caldi nel suo petto.
 
 
………………………..
 
 
Coricato a letto con le braccia incrociate dietro la testa, fissava il soffitto e ripensava alla serata appena trascorsa. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta che si era sentito così, sereno e in pace con se stesso. La maglietta che indossava era ancora impregnata del profumo di Jodie, pertanto aveva deciso di usarla per dormire. Gli tornarono in mente i loro baci, le labbra così morbide di lei, le sue gambe lunghe e toniche. Aveva scordato quanto fosse bello il desiderio di avere una donna per sé, di stringerla e toccarla. I suoi occhi azzurri che lo fissavano, desiderosi di attenzioni ma al tempo stesso impauriti all’idea di poter soffrire ancora. Non aveva mai voluto ferirla, eppure era stato costretto a farlo e sapeva che Jodie ne avrebbe portato per sempre le cicatrici. Se n’era accorto più volte durante la serata, di come lei cercasse di trattenersi nonostante la voglia di lasciarsi andare completamente a lui. Doveva fare del suo meglio per non ferirla più, per riconquistare la fiducia che le aveva fatto perdere. Tutti coloro che avevano lottato contro l’Organizzazione avevano perso qualcosa, ma alla fine si erano anche riscattati ottenendo qualcos’altro da cui ripartire: Jodie era il suo lieto fine, il suo nuovo punto di partenza insieme alla sua famiglia riunita.
Girò la testa dal lato del comodino e guardò le due foto che li ritraevano insieme, racchiuse in un portafoto a libro con un elegante cornice d’argento decorata: ne aveva acquistata una identica anche per lui quando aveva preso quella per Jodie, perché potessero avere entrambi lo stesso ricordo comunque fosse finita la storia fra loro. A lei però non lo aveva detto, voleva che fosse una sorpresa. Gliel’avrebbe mostrata a tempo debito il giorno in cui sarebbe entrata nella sua camera da letto, proprio come lui avrebbe fatto con lei.
Mentre osservava il sorriso della donna che presto avrebbe definito come la sua donna, ringraziò mentalmente quella ragazzina dai capelli ramati che era stata la sua guida in quei mesi: senza di lei probabilmente non si sarebbe mai convinto a lasciarsi il passato alle spalle e a darsi una seconda occasione. Aveva promesso di proteggerla e starle vicino e aveva mantenuto la sua parola, ma alla fine della storia anche lei aveva salvato lui. Gli piacque pensare che Shiho fosse l’ultimo regalo di Akemi per lui, il suo modo di dirgli “continua a vivere e sii felice”.
Allietato da quei pensieri, chiuse gli occhi e si addormentò.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
E finalmente abbiamo il primo appuntamento fra Jodie e Shuichi (a cui prometto che ne seguiranno altri nei prossimi capitoli)! Spero vi sia piaciuto, non sono mai stata brava nel descrivere scene fluffy, romantiche ecc. (non ho uno spirito molto romantico di base, sono un po’ come Shuichi XD)
Per chi fosse interessato, il nikujaga esiste davvero, trovate facilmente la ricetta su diversi siti.
Per quanto riguarda invece la prima parte del capitolo, non è stata solo una descrizione casuale quella della faccenda della mafia russa, ma ho intenzione di svilupparla un pochino in futuro. Tutte le info sul caduceo, sul cerbero e le sue leggende e sul simbolismo dei tatuaggi nella mafia russa non sono frutto della mia invenzione ma tutte info che trovate sul web.
Spero che il capitolo non vi abbia annoiato nonostante l’eccessiva lunghezza rispetto a tutti i precedenti (non volevo dividere in due parti l’appuntamento, mi sembrava brutto).
Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qui!
   
 
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