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Autore: Bellis    27/08/2009    3 recensioni
Il celebre investigatore di Baker Street si trova alle prese con un mistero che lo trascinerà nel profondo di torbide acque, un abisso che affonda le sue radici negli oscuri eventi del suo passato. Riuscirà Watson a far luce su un enigma che coinvolge tanto gravemente lo stesso suo amico? Come potrà Mycroft Holmes essere d'aiuto?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone realmente esistite è puramente casuale e non vuole recare offesa alcuna. Nella stesura di questa fanfiction, cercherò di mantenere una certa esattezza storica, per quanto possibile, ciò nonostante ogni nuovo personaggio inserito nel contesto della narrazione è totalmente frutto della mia *ahem* fervida immaginazione.

L'amara vicenda di Tyneside

Capitolo I - Si pone un problema

Durante i lunghi anni attraverso i quali si è protratta la mia stretta amicizia con Sherlock Holmes, solamente in un caso mi è stata data l'occasione di sbirciare oltre quel velo, altrimenti opaco, che separa la sua vita attuale dai misteriosi eventi della sua giovinezza. All'epoca, ero già al corrente dell'esistenza di suo fratello, persona che, durante la sua forzata assenza da Londra, fu per lui un alleato indispensabile ed insostituibile, ma ben poco altro sapevo riguardo alla vita da lui trascorsa precedentemente al nostro incontro.

Solamente nel tardo inverno del 1895 mi fu concesso di venire a conoscenza di una parte rilevante di quegli anni, che, come fantasmi inquieti che emergono dai recònditi meandri del passato, si manifestarono con scioccante veemenza, in una rapidissima successione di eventi che per poco non portarono alla pubblica accusa del mio amico Holmes. Ho registrato nel mio diario le mie impressioni del momento, e attingerò sia al mio resoconto, sia ai suoi stessi taccuini personali, nella speranza di ricostruire ogni tassello di questa grave vicenda.
Sherlock Holmes mi ha dato precise disposizioni riguardanti il silenzio completo su tali fatti, e credo di non contravvenire alla parola da me data, assicurandomi che questo volumetto la cui carta bianca sto vergando della mia grafia possa essere ritrovato e pubblicato solamente dopo la mia dipartita.

Era un giorno freddo, irradiato da un sole di Marzo che non riusciva a intiepidire, con i suoi raggi caldi e delicati, l'aria gelida e pungente di un Febbraio appena concluso. Da pochi mesi avevo venduto a quel giovane francese, il dottor Verner [1], la mia pratica medica; tuttavia rimanevo ancora vicino, per quanto potessi, ai miei pazienti abituali, coi quali avevo sviluppato un legame di fiducia e di inevitabile affetto.
Leggo sul mio diario che proprio il terzo giorno del mese ricevetti notizia che il secondogenito di una mia vecchia conoscenza aveva risentito a tal punto del penetrante freddo da ammalarsi gravemente. Le sue condizioni si aggravarono entro la seguente mattina, cosicchè partii di buon'ora da Baker Street con tutta l'intenzione di passare la giornata al capezzale del mio paziente.

Holmes non ebbe nulla da obiettare, anzi, si espresse a monosillabi durante il breve dialogo da noi sostenuto durante la colazione, immerso in chissà quali pensieri. Non riuscivo a capire da cosa fossero originate le sue preoccupazioni, dato che, per quanto ne sapevo, non era impegnato in alcun caso, anche se aveva ricevuto un telegramma proprio la sera prima. Rispettavo e in un certo senso condividevo la sua attitudine al riserbo, tanto che non gli posi alcuna domanda diretta al riguardo, e, dalle sue affermazioni vaghe e circospette, riuscii solamente a comprendere che doveva fare un viaggio fuori città, cosa che probabilmente lo avrebbe tenuto lontano da Londra fino a sera inoltrata.

Rimasi in Kensington Road per tutta la giornata, sorvegliando l'infermo ed assicurandomi che passasse la giornata tranquillamente, la febbre alleviata dai medicinali e da impacchi freddi. Al termine del pomeriggio, ebbi la soddisfazione di constatare che la temperatura non era salita sopra i trentotto gradi, e che il povero ragazzo era in via di guarigione.
La mia coscienza professionale mi impose di rimanere accanto a lui per controllare che mangiasse qualcosa e che si addormentasse quietamente. Così accadde, e lasciai quel pugno di stanze spoglie e spartane solamente verso le nove e mezza, nel buio e nella nebbia che caratterizzavano così bene la mia città natale. Chiamai una carrozza di piazza, e mi feci portare immediatamente a casa.

Mi aspettavo che il mio amico fosse già rientrato, ma in realtà fui accolto solamente dalla signora Hudson, che espresse immediatamente un forte timore che a Holmes fosse accaduto qualcosa, mentre era fuori città. La rassicurai prontamente, anche se condividevo il suo sentimento. Ad ogni modo, le nostre cogitazioni furono interrotte meno di mezz'ora dopo, quando il detective irruppe nell'appartamento con aria stanca, depositando il cappotto umido sull'attaccapanni e riponendo gli stivali infangati in un angolo.

Era cupo in volto, ancora più pallido del solito, e nel suo sguardo freddo potei scorgere una nitida scintilla di nervosismo. Rabbrividì violentemente, avvicinandosi al fuoco e prendendo posto sulla sua solita poltrona. Distese le mani verso la fiamma che scoppiettava allegramente, invitante, e mi lanciò un brevissimo sorriso, in segno di saluto.

"Tutto bene col suo paziente, Watson?" chiese, rapidamente, sfregando le palme delle mani una contro l'altra, nel tentativo di sciogliere il gelo che le bloccava.

"Oh, sì. La ringrazio." risposi, aggrottando le sopracciglia, "Ma, Holmes - è accaduto qualcosa?"

Scosse il capo lentamente e scrollò le spalle, mentre allungava un braccio magro verso la mensola del caminetto ed afferrava una delle sue contorte pipe, come a indicare che nulla fuori dall'ordinario era successo. Evitava il mio sguardo, però, osservando le figurazioni che il fuoco scolpiva nella legna e nel carbone, il grigio nei suoi occhi duro e inflessibile, come l'acciaio.
Non insistei - non volevo creare imbarazzo a nessuno di noi due - e, dato che ero completamente esausto, mi ritirai per la notte.

Fui svegliato bruscamente alle prime luci dell'alba da una forte scampanellata.
Piuttosto seccato, mi alzai, pensando che si trattasse di un cliente, affranto e scoraggiato da una improvvisa sventura. Sorpreso, d'altra parte, che Holmes non avesse ancora saliti tre alla volta i diciassette gradini che conducevano alla mia stanza da letto, per destarmi ed avvertirmi dell'imminente inizio di una nuova avventura, mi vestii con tutta calma, e con sospetto crescente nel mio animo.

Udii il vociare di una discussione, mentre aprivo con decisione la porta, e discendevo le scale. La scena che si presentò dinanzi ai miei occhi suscitò in me un forte sbalordimento.
L'ispettore Lestrade si trovava in piedi, di fronte alla figura di Sherlock Holmes, serio e scuro in viso. Due bobbies stazionavano ai lati della porta d'ingresso.

Il mio amico pareva sul punto di dire qualcosa, ma, vedendomi entrare, si fermò, serrando le labbra e ritornando a fissare il volto da furetto del poliziotto.

"Holmes?" chiamai, entrando nella stanza ed avvicinandomi alle due sagome, ritte in piedi di fronte al divano. Lanciai un'occhiata interrogativa all'investigatore.

"Ah, buondì, Watson." rispose lui, con un brevissimo sorriso privo di gioia, "Mi dispiace che lei sia stato svegliato a quest'ora incivile."

"Dottor Watson." mugugnò Lestrade, salutandomi, rabbuiandosi, se possibile, ancor più.

"Ispettore." replicai, iniziando ad avvertire una notevole cappa di tensione dilatarsi attraverso la stanza fredda, "Qual buon vento la porta a Baker Street?" chiesi, in omaggio alla buona educazione più che a ciò che le mie sensazioni mi suggerivano.

"Vento di burrasca, dottore." brontolò lo Yarder, "Signor Holmes, abbiamo raccolto prove inconfutabili, purtroppo. Il Procuratore Collins ha già emesso il mandato di cattura."

Sollevai le sopracciglia, piuttosto confuso, "Di quali prove sta parlando, signore?"
Spostai lo sguardo a inquadrare il volto magro di Holmes, ma, con mia gran sorpresa, egli non lo ricambiò, mantenendo gli occhi vacui e sfocati sull'ometto che gli stava di fronte.

Lestrade mi scrutò con attenzione, come tentando di determinare se stessi mentendo, o fingendo, o se invece fossi completamente sincero. Infine parve decidere per l'ultima delle opzioni, perchè abbassò le mani dai fianchi, contro i quali le teneva puntellate e, con quello che a me parve un completo senso di rammarico, replicò.
"Le prove a sostegno dell'accusa di omicidio volontario, emessa a carico del signor Sherlock Holmes questa mattina dal Giudice Collins, di Tyneside."

Rimasi immobile per qualche momento, che si gonfiò e ingigantì sino a riempire tre o quattro minuti, durante i quali nessuno dei presenti osò fiatare.
"Come?" mormorai infine, sentendo le mie ciglia riunirsi alle sopracciglia, "Ma... Lestrade, come può affermare una cosa del genere?" balbettai, spostando lo sguardo incredulo da Holmes all'ispettore, e viceversa. Non riuscivo a credere alle mie orecchie, non potevo farlo, dal momento che avevo completa fiducia nel mio amico e non ritenevo Lestrade un completo idiota.

Il detective, comunque, levò la mano destra distesa, come a suggerirmi di recuperare il mio contegno calmo e tranquillo. La sua freddezza era totale.
"Dalle sue dichiarazioni, Lestrade," esordì, passeggiando attraverso il salotto lentamente, "Devo dedurre che il signor Hamish Berning di Raven Hall, vicino a Tyneside, Sussex... sia deceduto."

L'ispettore accennò un piccolo ghigno, "Vedo che ne sa qualcosa."

Holmes sorrise leggermente nella direzione del poliziotto, "Dal momento che ieri pomeriggio mi sono recato a Tyneside, località da lei menzionata, e questo è stato l'unico evento anormale della mia giornata, e data la... natura del nostro scambio verbale... stabilito che non è avvenuto alcun omicidio di rilevanza nell'area di competenza di Scotland Yard nei giorni scorsi... la deduzione è stata quantomeno banale, mio caro signore."

Lestrade ricambiò duramente lo sguardo condiscendente dell'investigatore, scuotendo il capo, ancora buio in viso, e in qualche modo riluttante, come anche lui sbalordito dalla sequenza di quei fatti che, con la loro improvvisa comparsa, avevano forzato me ad un silenzio assoluto.
"Non credo che l'interazione avvenuta tra lei e Berning sia stata solamente di natura verbale, signor Holmes. Tant'è vero che è stato trovato morto. Ucciso con un forte colpo in testa, che pare esser stato vibrato con l'attizzatoio presente nel suo stesso studio." pareva volesse informare me del fatto, non tanto il mio amico, perchè rivolse i suoi occhi scuri verso la mia persona immobile.

Mi riscossi a questo punto, allargando le braccia, incredulo.
"Ma, Lestrade, il solo fatto che Holmes si sia incontrato con questo... Berning... non lo rende automaticamente un omicida." osservai, con una certa forza.
Il mio amico mi scoccò un'occhiata divertita.

Lo Yarder parve ignorare le mie parole, "I nostri colleghi di Tyneside hanno perquisito quella stanza e hanno trovato, chiuse nella cassaforte del defunto Berning, alcune lettere, signor Holmes... una corrispondenza davvero illuminante. La stava ricattando in qualche modo, non è vero?"

Holmes rimase completamente immobile, serio e pallido. Potevo vedere il profilo del suo viso scarno stagliarsi nitidamente, nel vano della finestra dove egli stazionava.

"Abbiamo la testimonianza dello stalliere di Raven Hall, che l'ha vista arrivare, dopo che lei si era recato a Tyneside col treno del tardo pomeriggio e aveva attraversato i sette chilometri che separano la città dalla villa rurale. Lo stesso uomo ha udito un acceso colloquio svoltosi tra lei ed il signor Berning, mentre costeggiava l'edificio per recarsi nelle stalle. Quando lei ha lasciato il suo studio, era nervoso, visibilmente alterato, ed il suo soprabito recava segni di lotta. Questo ha potuto testimoniare Arthur Derby, il maniscalco, nell'interrogatorio svoltosi presso la centrale di polizia di Tyneside."

Lestrade parlava a scatti, riportando le affermazioni che evidentemente aveva appena ricevute dai colleghi di campagna. Il mio amico era assolutamente calmo, con gli occhi grigi socchiusi. A me, che lo conoscevo bene, il suo atteggiamento diceva che stava elaborando con distacco le informazioni esposte.

"Approssimativamente alle otto meno dieci lei ha lasciato lo studio di Berning, imbattendosi nel signor Derby. Poco meno di venti minuti dopo, la moglie e la cameriera hanno trovato la vittima uccisa. La villa è costeggiata da un muro di cinta, la servitù era ancora in piedi: nessun estraneo può essersi introdotto all'interno delle stanze."

Incapace di rimanere in silenzio quando una così oltraggiosa accusa veniva posta al mio amico, proruppi, senza preamboli, "Ma, Lestrade, ragioni. Questi dati non possono essere veritieri. Io posso testimoniare che Holmes, ieri sera, era qui, a Baker Street."

"No, no, Watson." mi interruppe subito Holmes, raggiungendomi e osservandomi, con profonda serietà, "Lei mi ha visto entrare in casa solamente dopo le dieci di sera. All'incirca alle dieci e venti."

Sollevai una mano, annuendo, "Questo è vero, ma, se non ricordo male, Tyneside si trova sulla linea ferroviaria di Reigate. L'ultimo treno di ritorno ferma a Tyneside alle otto. Se lei ha lasciato Raven Hall alle otto meno dieci, non v'è alcuna possibilità che lei abbia potuto coprire sette chilometri in dieci minuti!" esclamai, d'un fiato.
Dopo anni di corse in carrozza insieme al detective consulente di Baker Street per prendere di straforo l'ultimo treno in vista di un entusiasmante caso, avevo sviluppato l'abitudine di memorizzare gli orari ferroviari delle principali linee di collegamento tra Londra e le contee periferiche.

Holmes esplose in una secca risata, "Molto bene, Watson! Davvero molto bene. Ha sentito, ispettore? Quando lei mi avrà cacciato dietro le sbarre, c'è chi prenderà il mio posto!" fece, ironicamente, lanciando un'occhiata a Lestrade, che, mi accorsi, sorrideva appena.
"Ebbene, ha ragione, amico mio. Non v'è modo in cui io possa aver percorso sette chilometri in dieci minuti, nè a piedi, nè con un calesse, nè con un veicolo di altro tipo, non sulle dissestate strade di campagna, almeno. Ma non ha considerato un cavallo. La cavalcatura che ho affittato a Tyneside è un ottimo animale, e, a briglia sciolta, ha potuto facilmente raggiungere una velocità di cinquanta, forse sessanta chilometri orari."

Abbassai lo sguardo, rendendomi conto della pecca nel mio ragionamento, ma ritornai immediatamente a fissare lo Yarder, quando udii la sua insinuazione.
"E' una confessione, questa, signor Holmes?"

Il mio amico scosse il capo con decisione, "Mi dispiace, Lestrade, ma non ho ucciso io Berning." rimasi un po' allibito alla sua scelta di parole, ma focalizzai la mia attenzione nuovamente sul fulcro del discorso, "E non posso darle altri particolari riguardo alla nostra corrispondenza, purtroppo." il suo tono era di irremovibile fermezza.

L'ispettore scosse mestamente il capo, "Resta il fatto che tutte le prove sono contro di lei, signore. Lei aveva il movente, i mezzi, e l'opportunità. I colleghi di Tyneside hanno già emesso il mandato di cattura, come le ho detto, e hanno disposto che l'appartamento di Baker Street sia perquisito, questo pomeriggio, alla ricerca dei documenti menzionati nelle lettere ritrovate... documenti che, pare, sono scomparsi dal cassetto della scrivania di Berning."

Ero piuttosto confuso da quello scambio di battute, che non riuscivo a comprendere sino in fondo.
Di quali documenti parlava Lestrade?
Chi era questo Berning, come faceva a conoscere Holmes, e su che basi stava ricattando il mio amico?
E, se la storia del ricatto era vera, per quale motivo Holmes non ne aveva mai fatto menzione con me e non si era rivolto alla polizia?

Sherlock Holmes scrutò per qualche momento il viso del poliziotto, quindi, lentamente, annuì.
"Ebbene, Lestrade, la seguirò. Non che io abbia molta scelta." replicò, con tono amabile e con un sorriso che non riusciva a dissimulare la profonda preoccupazione nei suoi occhi grigi. Accennò col capo a me, "... permette?"

Lestrade alzò le spalle in un poco elegante cenno di indifferente assenso, ed il mio amico si rivolse a me, mentre lo Yarder ordinava ai suoi agenti di precederlo in strada.

"Watson." chiamò Holmes, con infinita serietà, infilando il soprabito nero. "Queste sono acque molto, molto profonde. Lei non deve intraprendere alcuna investigazione personale... capisce? Lasci fare alla polizia."

Sgranai gli occhi, indignato, "Ma - Holmes!"

"Ha inteso bene." mi interruppe, cupo, "Deve darmi la sua parola d'onore, Watson, che non farà di testa sua, che non prenderà l'iniziativa. Ho la più completa fiducia nel sistema giudiziario della nostra Inghilterra. Svelto, prometta."

Interdetto da quella richiesta così inaspettata, saettai il mio sguardo intorno, nella stanza, come in cerca di una qualsiasi giustificazione per disobbedire ad un ordine così preciso. Infine, crollai.
"... e va bene, vecchio mio. Se vuole questo... ha la mia parola."

Il detective sorrise brevemente, battendomi piano sulla spalla, "Bravo, Watson." esclamò, attraversando poi la stanza a passi lunghi e lasciando l'appartamento, di fronte ad una spaesata signora Hudson, che ricambiò solo per cortese istinto il saluto portole dai due uscenti.

Un gruppo di sfaccendati si era già radunato intorno alla carrozza della polizia, il cui sportello nero rinforzato si aprì per lasciar entrare Holmes, l'ispettore e i due agenti. Io, attonito, scuotevo il capo, come per svegliarmi da quello che speravo fosse un incubo, confuso e sbalordito dal corso impetuoso degli eventi che si erano abbattuti sulla reputazione - e sulla vita stessa - del mio amico, come acqua che sgorga dalla roccia, affilando ed inasprendo con la sua impetuosità la lama informe dell'esistenza umana.

Mille interrogativi mi ronzavano in testa, mescolandosi alle impressioni di quel dialogo inaspettato, turbinandomi vorticosamente nella memoria, sfidando spavaldamente la mia scarsa capacità deduttiva, che non riusciva a mettere ordine in quel guazzabuglio.
Ogni passo che avrei potuto fare, per tentare di ricostruire il complicato puzzle di quel mistero, ogni tentativo che avrei potuto compiere per prendere informazioni, mi era stato vietato dallo stesso Holmes.
Mi lasciai cadere sulla poltrona, di fronte al caminetto, mentre il rumore di zoccoli ed il persistente rumore metallico della vettura della polizia si estinguevano lontano, nello smog mattutino.


************************************

[1] : "Un giovane medico, un certo Verner, aveva rilevato il mio piccolo studio a Kensington senza sollevare, stranamente, alcuna obiezione al prezzo altissimo che mi ero avventurato a chiedergli - e capii il perchè qualche anno dopo, quando venni a sapere che Verner era un lontano parente di Holmes e che a sborsare la somma era stato, in realtà, il mio amico."
da L'avventura del costruttore di Norwood, "Il Ritorno di Sherlock Holmes", trad. Nicoletta Rosati Bizzotto. -- [Torna SU]

Note dell'Autrice

Quivi comincia il viaggio periglioso
Del gentiluomo che abbiam nominato
Spero che non sia un racconto noioso
O tu, Lettore, cadrai addormentato!


Ebbene, ebbene. Non so quanto riuscirò ad andare avanti con questo mio piccolo esperimento di letteratura gialla. Però, provo, soprattutto grazie all'incoraggiamento dell'impareggiabile Jo March, alla quale molte delle mie storie devono la loro pubblicazione - adesso sai chi incolpare, contento, Lettore? ghgh :P
Ora, prego chiunque trovi errori, orrori, terribili mancanze di qualunque tipo - geografico, ortografico, grammatografico (uh?), storiografico - di segnalarmele all'istante, e senza pietà! Sto tentando di imparare qualcosa di nuovo, durante la stesura di questa long-fic. :)
E, vediamo - cosa sta succedendo a Baker Street? Chi sarà questo fantomatico signor Berning? E quale parte avrà in tutta la vicenda il buon maniscalco Derby?
Ma soprattutto: cosa farà Watson? Sarà disposto a mancare alla parola data pur di aiutare il suo amico e camerata?
Al prossimo capitolo!


   
 
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