Capitolo
VI: Così è nelle mente, come fuori di me
In
un’altra vita, in un universo in cui la mente era solo una
parte del corpo,
Temari cascò a terra emettendo un gemito strozzato.
“Temari!”
Shikamaru s’inginocchiò al suo fianco, passandole
una mano dietro la schiena,
madida di sudore ghiacciato. “Che ti prende? È
successo qualcosa?” la donna
stentava a inquadrare il viso del ragazzo, o il profilo imponente degli
edifici
del villaggio. Percepiva a malapena l’aria che le inondava i
polmoni, oppure la
terra asciutta che grattava con le dita, facendosi male sotto le unghie.
Vedeva,
sentiva, tutt’altro: era ancora con Ino,
con le loro mani sopra il
gymnocalycium. Notava il sorriso dell’amica percependone il
calore addosso. Un
ricordo che le spezzò il cuore.
“Sì,
Shikamaru… sto bene… stavo
solo pensando a…” mormorò Temari con la
voce
graffiata dallo sforzo di respirare normalmente. Il ragazzo
sbuffò, aiutandola
a rialzarsi.
“So
cos’hai fatto, Temari… ma non sono convinto che
sia stata una buona idea: la
mente non è un banale ripostiglio. Solo quella svampita che
abbiamo mollato
laggiù sa come cavarsela qui dentro…”
replicò lui toccando con l’indice
la tempia. “E tu hai già attraversato il deserto
evocando i kamatari… Forse
dovresti riposare, intanto che noi cerchiamo…”
“Non
osare tagliarmi fuori!” tuonò la donna,
come se quella lancinante
sensazione di poco prima non l’avesse neppure scalfita,
sebbene fosse stata maledettamente
spaventosa: Temari aveva potuto avvertire il proprio spirito
che
l’abbandonava. Una parte importante dal quale si era
distaccata per sostenere
un animo più fragile del suo.
“Avrò
anche sentito il colpo, ma non sono una kunoichi qualunque, vedi di
mettertelo
bene in testa!” riprese a correre con passo meno spedito. Era
gravata da quella
leggerezza fastidiosa, in cui persino i ragionamenti volteggiavano
senza pace,
procurandole confusione e panico.
Se
penso che Ino sta affrontando anche di peggio…
La
magra consolazione di Temari, da cui emergeva più amarezza
che serenità, fu
allontanata da una ritrovata stabilità. La donna
strabuzzò, meravigliata che
quel pigrone avesse deciso di sostenerla.
Shikamaru
le stringeva la schiena di nuovo, permettendole di restare dritta.
Fissava la
strada di fronte a loro, su cui svettavano mucchi di sabbia abbandonati
dalla
tempesta scomparsa di colpo. Tuttavia, il suo cuore batteva al fianco
della
donna, con un placido ritmo.
“Devo
ammettere che hai più buon senso di me: non so come avrei
fatto a trovare il
nostro obiettivo senza il tuo aiuto… ti fa onore”
un complimento del
genere non se lo sarebbe mai aspettata da parte di Shikamaru. La
kunoichi della
Sabbia arrossì, perdendo interesse per quel viso tanto
bello, sul quale avrebbe
rovesciato volentieri una scarica di pugni.
“Eh
già, ti stavi comportando da sprovveduto… si
direbbe che non hai mai completato
una missione di ricerca!” blaterò Temari,
nonostante fosse certa che il ragazzo
non le avrebbe risposto. Era strano da quando lui e
l’Hokage avevano
parlato. O forse lo era da più tempo, da quando aveva
scoperto quello che lei
aveva fatto per liberarsi di Gaara.
Ma
non ha importanza… conta soltanto scovare il nostro
sospettato.
Temari
rifletté sugli indizi che avevano raccolto, sulla frenesia
da cui erano
sospinti in avanti, nonostante la battuta d’arresto iniziale.
Rivide
le sue gambe che correvano verso la casa della balia, solo per trovarla
vuota e
abbandonata.
“Davvero
non lo sapevi, Temari? La tua tata è morta durante la Quarta
Guerra Mondiale” un
vicino di casa l’aveva narrato
a entrambi da un angolo della strada, ove si era rifugiato con la sua
famiglia,
per paura che il tetto crollasse sulle loro teste. Parole dette con
tono
dimesso, mentre fasciava la testa del figlio.
Temari
non aveva saputo cosa dire di fronte a quella scena di cui si era
sentita
responsabile. Era restata in silenzio ascoltando il motivo della morte
della
vecchia balia, legato al dolore causato dalla devastazione del
conflitto, senza
il dovuto interesse. La giovane aveva pensato al fratello minore, poi a
Kankurō. Si era sentita indegna di condividerne lo stesso sangue.
Era
stato Shikamaru a ridarle un po’ di colorito e speranza. “Avete
visto
qualcuno nei dintorni della sua casa, di recente?”
aveva chiesto con le
mani in tasca e la sigaretta che ardeva intrappolata tra le labbra,
consumandosi in un filo di fumo. Temari aveva scorto i suoi pugni
stringersi,
oltre il tessuto dei pantaloni.
“Be’…
molti di noi sono rimasti sconvolti dalla sua morte: ogni tanto
qualcuno lascia
dei fiori alla porta… Anche se c’è
stato un fatto strano.”
“Parli”
Shikamaru lo aveva incalzato immediatamente, rimanendo
all’apparenza calmo,
eppure alla kunoichi era sembrato che la mascella gli si fosse chiusa
sulla
sigaretta con una certa forza.
“Nulla
di serio, ma sembra che qualcuno si sia introdotto in quella casa
qualche sera
fa… non abbiamo saputo spiegarci perché:
è vuota da tempo… ma mio figlio ha
visto una persona incappucciata aggirarsi lì vicino, prima
che il fatto
accadesse”
neppure il rumore del respiro turbava quel racconto che i due shinobi
ascoltavano intenti. “È andato a
salutarla, sapete come sono i bambini… Gli
ha detto di essere stato qualcuno di cui si era preso cura la donna.
È finita
lì.”
“Shikamaru!”
Temari
era esplosa agguantandogli il braccio, quasi conficcando le unghie
nella pelle.
“Quando lei ha prestato servizio presso la nostra
famiglia… non poteva
uscire dalla Residenza del Kazekage per motivi di sicurezza!”
il ninja
aveva intuito dove il ragionamento della donna li stesse portando.
“Significa
che chiunque fosse… doveva essere parte di una famiglia del
personale di
servizio, o di quelle dei ninja di guardia!”
avevano annuito insieme. Erano
corsi alla Residenza del Kazekage in fretta e, per brevi momenti,
Temari si era
dimenticata delle proprie remore, dell’imbarazzo che provava
camminando a
fianco dell’uomo di cui si era innamorata.
Chissà
cosa ne pensi di tutta questa storia…
Si
domandava la giovane lanciando qualche occhiata sfuggente al ragazzo:
non aveva
la forza di indagare cosa si celasse dietro l’ombra del suo
sguardo assorto.
Forse…
più tardi tutto avrà un senso.
Sperava
Temari, pregando che il tempo fosse meno crudele di quanto non fosse
stato sino
ad allora, con le sue rivelazioni antiche, gli affanni presenti e le
minacce
future. Continuarono a correre fra le strade del Villaggio della
Sabbia,
popolate di persone ferite e case malconce, sperando che Baki potesse
fornire
loro le risposte che cercavano.
Risposte
diverse, eppure collegate alle domande che Kankurō si poneva osservando
la
gabbia fitta di sabbia dentro cui era rinchiuso il corpo inerme di
Gaara. Dopo
aver sorretto Ino per un po’, quasi sperando di sostenerla
contro l’ignoto che
avrebbe trovato nella mente del fratello minore, il ragazzo
l’aveva distesa
infine sulla sabbia, alla scomparsa della tempesta
tutt’attorno a loro.
Essa
permaneva soltanto su Gaara, il quale era crollato a terra come se un
enorme
peso l’avesse schiacciato. Nel buio creato dalla sabbia, che
rimestava in balia
del vento, il Kazekage si distingueva appena nella sua posa supina. La
luna
illuminava tutto il deserto, ma la sua luce veniva risucchiata in
quell’antro
oscuro, senza rischiararne neppure un granello del terreno.
I
ninja della Sabbia e della Foglia si erano avvicinati a quella
minuscola
barriera impenetrabile, ma i loro tentativi di abbatterla erano stati
respinti
da un suono stridulo da cui erano stati colpiti peggio di
un’arma.
Anche
Kankurō l’aveva udito, condividendo con gli altri coraggiosi
una strana
sensazione di vuoto nella cassa toracica e un nodo alla gola che
supplicava
d’esser sciolto nel pianto, come se quel richiamo
incomprensibile avesse la
forza di distruggere l’autocontrollo temprato da anni
d’allenamento. Rimiravano
poi un lampo oscuro, dal vago colore rosso, simile a due occhi che si
burlassero della loro stoltezza.
Soltanto
Kakashi non li aveva intravisti, né aveva avvertito le
sensazioni dei
sottoposti e degli alleati. Era restato al fianco di Ino, sempre in
piedi,
fissando il corpo pallido dell’allieva di uno dei suoi pochi
amici, uno dei
tanti morti. Si leggeva nel suo sguardo una miscela di vorticante
nostalgia e
biasimo, la quale lo rendeva più umano di quanto Kankurō
avrebbe desiderato.
Voleva
ammazzare Gaara… non farti abbindolare!
Così
fu la rabbia a muovere la lingua del fratello maggiore del Kazekage:
“Insomma,
Hokage! Non hai alcuna intenzione di darci una mano?!”
latrò furente
guadagnandosi le ennesime occhiate guardinghe dei ninja della Foglie e
le
contrapposte reazioni degli shinobi della Sabbia, i quali
s’erano già tesi come
corde pronte a spezzarsi.
Kakashi
non rispose subito. Nel sospiro a cui s’abbandonò
pesava un sentimento
sfinente, da cui la sua replica partì priva
d’energia: “Cosa pretendi che io
faccia?” domandò atono, le braccia incrociate
più per stanchezza, anziché per
il desiderio di sfidare il giovane come aveva fatto al principio di
quella
sera. Kankurō non ebbe alcuna intenzione di carpirne la differenza.
“Sei
o non sei il ninja più forte di Konoha? Cosa aspetti a
distruggere questa
barriera con uno dei tuoi fulmini da quattro soldi?”
infierì il ragazzo
avvicinandosi, mentre un folto gruppo di ninja della Foglia lo seguiva
con
attenzione. Alcuni avevano le mani all’altezza di shuriken e
kunai, qualcuno
mimava una posizione delle mani per qualche tecnica.
Kakashi
si prese ancora del tempo per rispondere. Si inginocchiò di
fianco a Ino,
premendo le dita sul collo della kunoichi. Occhiaie violacee si
delineavano
sotto i suoi occhi, inscuriti da ombre che pellegrinavano in essi.
“Non è di
lui che ti devi preoccupare… se lei se
ne va, abbiamo perso
entrambi.”
“Ino!”
il ninja della Sabbia esclamò dimentico della frustrazione
iniziale, mutata con
forza da un’improvvisa ondata di colpa. Corse di fianco
all’amica che aveva
lasciato, rendendosi conto solamente in quel momento di quante cose
fossero davvero
cambiate: trattenendo fra le dita il polso molle della
ragazza, s’accorse
che il battito stava sparendo.
“Cosa
le sta succedendo?!” mormorò il giovane
appoggiando il palmo della mano
sull’incavo del collo di Ino: era ghiacciato, privo di
qualunque calore.
Kakashi
lo ignorò di nuovo, ma questa volta il suo gesto fu
comprensibile: con un cenno
del capo chiamò un ninja medico, il quale si
chinò al fianco della kunoichi
priva di sensi. La donna aveva un volto serio mentre poneva le mani
pregne di
chakra all’altezza della fronte della collega.
“Sta
accadendo quello che immaginavo…” risposte infine
il superiore di Ino, talmente
piano che Kankurō dovette, suo malgrado, accostarsi vicino a lui.
“Qualcuno
o qualcosa sta cercando di fermarla.” mentre lo
spiegava, un filo di sangue
sporse da un angolo della bocca di Ino, colando dal viso al collo.
Sul
volto senza pittura di Kankurō si tratteggiò il turbamento.
“No…
Ino!” sibilò
il ragazzo rimettendosi vicino a lei, stringendo
quella mano così triste e pallida da farlo rabbrividire. Per
la prima volta da
quando si conoscevano, il fratello di Temari e Gaara
s’accorse che sui suoi
palmi, per all’apparenza delicati, poteva percepire le
impronte dei calli.
Sei
uno shinobi in gamba… non mollare!
L’amico
la pregò segretamente, sperando che il Sesto Hokage non gli
facesse pesare quel
fremito da cui era attraversata la stretta alla mano di Ino, appoggiata
al suo
petto.
“Secondo
i miei calcoli… fra poco il suo corpo dovrebbe essere
attraversato dagli stessi
tagli del Kazekage.”
A
che gioco stai giocando, razza di psicopatico!?
Anche
se era arrabbiato, il ragazzo scorgeva la verità nelle
parole dell’uomo: la
mano della giovane era fredda, screpolata come se il deserto le
scottasse la
pelle con gli stessi effetti del ghiaccio.
Cosa
posso fare… cosa…
Kankurō
setacciava la sua mente alla ricerca di qualunque idea lo potesse
servire, lui
che era più abituato ad agire, anziché supplicare
il fato di risparmiarlo.
Eppure non c’era nulla che potesse aiutarlo: rimaneva coi
suoi pensieri, mentre
la mano di Ino perdeva quel poco calore di cui era ammantata
spaccandosi,
macchiandogli le dita e la maglia con poche gocce di sangue.
Aveva
quasi perso la speranza, quando i polpastrelli della ragazza furono
attraversati da un subitaneo tepore. L’amico,
all’inizio, non capì. Sentiva le
dita di Ino sempre cosparse di tagli, simili a quelli che aveva notato
sul
corpo di Gaara, però c’era qualcosa che la serbava
da un’apparente morte lenta
e crudele.
Era
una forza che poteva sentire vicino al petto, fino a quando fu evidente
nella
luminosità bluastra del chakra di cui le mani della kunoichi
si erano colorate.
Allora, trasportato in una visione quasi identica al sogno ad occhi
aperti di
cui era stato vittima durante la guerra, rimirò Ino e la
sorella con le mani
strette sopra il gymnocalycium dello zio. Osservò il sangue
scendere dalle dita
di Temari.
Temari,
ti prego… aiutami!
Udì
nitidamente la voce dell’amica. Un rimando a una situazione
che non stava
vivendo.
In
preda a quella sensazione sconvolgente, Kankurō sbatté le
palpebre in fretta,
ritornando a scorgere il placido deserto dinanzi a lui e il viso
immobile di
Ino sulla quale si era disteso un sorriso. Il ragazzo
strabuzzò, strisciando le
dita della giovane fra le sue, percependo che le piccole lacerazioni si
stavano
sanando.
Il
chakra, com’era apparso, si dissipò dalla mano e
dal resto del corpo della
kunoichi, depositandosi nel suo animo nascosto ai loro occhi.
Quando
alzò gli occhi da lei, Kakashi lo stava fissando. Il suo
sguardo di pece ardeva.
“Hai visto qualcosa?” chiese con la voce asciutta.
Kankurō deglutì. Senza che
se ne fosse accorto, un rivolo di sudore freddo gli scivolò
lungo la nuca.
Il
Sesto Hokage fu magnanimo. Si rivolse al ninja medico ponendogli la
stessa
domanda, al quale quest’ultima rispose negativamente. Il
ninja della Sabbia si
era ripreso, quando l’uomo gliela rivolse, ancora, in
silenzio.
“Sì…
credo di aver capito bene solo adesso che cosa facessero prima Temari
e…”
non riuscì a proseguire: la sua bocca era secca. Anche se
tentava di schiarire
la voce, avvertiva il tocco pungente della sabbia in fondo alla gola,
per via
della mancanza d’acqua in quelle ore arse dalla sete.
Kakashi
decise di ignorarlo. “Come sta? Le sue condizioni quali
sono?” chiese al ninja
medico, la quale scosse la testa, palesando tutto il suo disappunto.
“Si direbbe
che stia bene, ora che questa ondata di chakra le ha guarito le ferite
che
stavano iniziando ad apparire… anche se… è
strano” concluse chinandosi
sopra il viso della kunoichi. Con delicatezza e occhio clinico, le
alzò la
palpebra sinistra, osservando fenomeni che il superiore e
l’alleato non
potevano comprendere.
Poi
emise dai polpastrelli una piccola dose di chakra, quasi volesse
stimolare una
risposta dai muscoli attorno all’orbita. Non accadde nulla.
Il
ninja medico s’issò a sedere, espirando
rumorosamente. “Prima mi sono chiesta
perché non riuscissi a curarla, nonostante le stessi
riversando addosso tutto
il chakra curativo che ho… adesso penso di aver
capito” sospirò gettando
un’occhiata fugace all’Hokage, sebbene il gesto non
fosse sfuggito allo shinobi
della Sabbia.
“Di
cosa stai parlando?” sibilò il ragazzo avvertendo
quell’improvviso calore
andarsene dalla mano di Ino.
Il
ninja medico fu colto alla sprovvista: Guardò affrettata il
suo leader, ma lui
estinse i suoi dubbi immediatamente. “Parla liberamente. Non
nasconderci
nulla” la donna si strinse nelle spalle, fissando
la sua paziente delle
circostanze.
“Si
direbbe che quella improvvisa emersione del chakra fosse dovuta al
fatto che
lei fosse tornata indietro… e che ora non ci sia
più” di fronte alle
facce perplesse di entrambi, il medico si grattò la guancia,
cercando le parole
per esprimersi al meglio.
“Ho
avuto a che fare con gli Yamanaka durante i loro stati di abbandono
del
corpo, se così possiamo definirli…
anche se subiscono ferite nel corso
della loro tecnica, possono guarire perché mantengono sempre
un legame con il
loro corpo. Reagiscono bene agli stimoli a base di chakra…
ma qui è come se non
ci fosse più nulla, anzi…”
alzò gli occhi sui suoi due ascoltatori,
tossendo come per trovare il coraggio di parlare.
“Sembra
che ci sia una sottospecie… di resistenza a
ciò che viene dall’esterno.”
Kakashi
si dimostrò particolarmente colpito da
quell’ultima osservazione della
sottoposta. “Be’, pare che le mie peggiori
previsioni si siano avverate”
mormorò trafficando con il marsupio alla cinta.
All’inizio, né Kankurō, né il
ninja medico capirono cosa volesse fare. Bastò che
scorgessero la lama lucente
di un kunai per farli agitare entrambi.
“Ehi
Hokage! Cosa diavolo vuoi combinare!?”
esclamò il ragazzo ponendosi in
mezzo all’uomo e all’amica, bloccando ogni
possibilità di tiro.
“Hokage,
non credo siano necessarie misure tanto estreme!” la voce
alta della donna
arrivò alle orecchie degli altri shinobi, spingendoli a
ritornare in prossimità
di Ino. I ninja della Foglia, tuttavia, si limitarono a manifestare
qualche
occhiata apprensiva, mentre i ninja della Sabbia si aprirono a una
protesta
veemente.
“Non
hai sentito cos’ha detto il mio ninja medico, ragazzo?”
il Sesto Hokage apostrofò
Kankurō non dando segno d’aver ascoltato
nessun’altra lamentela. Per un
istante, il giovane fu quasi lusingato.
“Se
non risponde agli stimoli, non significa che tu possa fare quello che
voglia!”
ribatté aspro il ninja della Sabbia, alzando di
più le braccia per impedire che
l’altro potesse scavalcarlo facilmente. Nel frattempo, il
ninja medico
rifletteva, guardando con intensità la sabbia. Aveva il
mento appoggiato alla
mano.
“Non
avevo dubbi… ma se non fossi io ciò di
cui ti dovresti preoccupare?” la
domanda del leader della Foglia ebbe il potere di spiazzare il fratello
di
mezzo di Temari e Gaara. La sua espressione perplessa fu nascosta
dall’esclamazione di aperta sorpresa del medico.
“Hokage! Vuoi forse di che…”
“Proprio
così” Kakashi la interruppe e, subito,
calò un gran silenzio fra tutti i
presenti. Si sarebbe tagliato soltanto con la lama affilata di un kunai.
Lo
stesso che stringeva in mano il Sesto Hokage.
“La
cosa che mi ha messo in guardia è stato vedere lo stesso
tipo di ferite che ha
il Kazekage sulla mano di Ino che stringevi” l’uomo
spostò Kankurō, ponendosi
al fianco di Ino. Lei riposava incosciente, con il petto che si alzava
lieve a
ogni respiro. L’amico la fissò incantato, la bocca
socchiusa, tramortita da
un’emozione difficile da identificare, se non
nell’attesa.
“Ho
pensato che… fosse strano vedere gli stessi effetti di una
persona controllata
da Nocnitsa su di lei” il Sesto Hokage
levò il pugnale in alto,
catturandone con il riflesso lucente gli sguardi di tutti. Il ninja
medico ebbe
un singulto evidente, che gli formò, visivamente, un nodo
alla gola.
“L’unica
cosa che rimane da vedere… è se io
abbia ragione.”
Il
deserto era placido. Da ovest giunse l’odore salato di un
oceano di cui quella
distesa di sabbia era la sua più ampia spiaggia.
“Se
i miei calcoli sono esatti… non vorrà
che lei sparisca prima del tempo”
fu solo per un frangente di secondo che Kankurō udì
chiaramente il germe del
dubbio nella voce del leader della Foglia. Il restante lasso di tempo
fu
dedicato al movimento fluido e rapido del kunai che piombava sul cuore
di Ino.
Una corta scintilla, capace di produrre un incendio.
Lo
shinobi di Sunagakure immaginò che avesse lo stesso colore
vermiglio degli
occhi di Ino quando si spalancarono. Immaginò che quelle
fiamme crescessero
d’intensità in un baleno, divampando con un urlo
violento zampillato dalla
bocca aperta della ragazza, prima che il kunai si conficcasse nella sua
meta.
Fu una vampata d’energia così violenta da
sbalzarli indietro tutti, colpiti da
un’onda d’urto di cui non avrebbero saputo
anticiparne la venuta.
Proprio
come la tempesta…
Il
pensiero di Kankurō rimase inascoltato dalla sua coscienza. I suoi
sensi erano
assaliti dal ronzio nelle orecchie, dal sapore della sabbia in bocca,
per
l’ennesima volta. Erano riempiti dalla vista dei ninja della
Foglia e della
Sabbia, fra cui spiccavano l’Hokage e il ninja medico,
scaraventati a terra.
Poi,
si concentrarono sul corpo inerte dell’amica, che si issava
in piedi piano,
guidato da una volontà che non le apparteneva,
perché soppressa da
quell’agghiacciante sorriso di un mostro,
con la bocca screpolata.
No,
Ino…
Ancora
una volta, quella supplica pervenne in una mente incapacitata a
formularla con
la voce. Kankurō era perso in quegli occhi di fuoco che bruciavano al
posto di
quelli della kunoichi. Gli parlavano. Gli sussurravano qualcosa di
nascosto e
orribile.
Ammettilo…
sei solo un perdente.
L’uomo
si irrigidì sul terreno, i muscoli immobilizzati da un
dolore che non aveva
forma corporea. Arrivava dal passato, da memorie in cui lui era solo un
ingenuo, sprovveduto, bambino. Quello scherno aveva
la medesima tonalità
fanciullesca.
Quella
voce… è mia…
Prima
che potesse riprendersi dalla scoperta, prima che quella creatura
potesse usare
Ino per fargli del male, si rivelò la reale differenza fra
lui e il Sesto
Hokage di Konohagakure.
L’ombra
di Kakashi guizzò da terra in un battito di ciglia.
“Commuovente…
credevo avrei sentito quella voce soltanto nei miei incubi”
le parole dell’uomo
parvero molto vicine a Kankurō, forse per via del fatto che
l’avesse appena
protetto da un colpo partito dal corpo dell’amica. Ne vide il
volto dagli occhi
iniettati di sangue che ringhiava a poca distanza da quello del suo
leader e la
mano stretta a pugno, imbevuta di un chakra… bizzarro.
È
pallido… come se stesse bruciando.
Un
peso crollò sul ragazzo e, quasi, lo schiacciò
impedendogli di rialzarsi.
Credette che non si sarebbe più mosso da terra, attendendo
semplicemente la sua
morte, ma ancora una volta comprese davvero per quale motivo il leader
della
Foglia fosse proprio quel tipo dalla faccia da schiaffi.
“Forza
Kankurō!” Kakashi gli mollò un calcio
allo stinco, tanto si era
approssimato a lui a furia di respingere la sua sottoposta senza
sbalzarla
indietro. “È solo fumo negli occhi… la
tua famiglia ha bisogno di te”
soffiò il capo villaggio mentre il ragazzo avvertiva
l’effetto del suo colpo:
una scarica di dolore e adrenalina gli percorse la gamba, salendo su
fino al
cervello, dove la sua coscienza dimorava.
Allora
il ragazzo si risvegliò. Percepì la sabbia fra le
dita distese. Strinse i denti
sulle labbra, infuriato contro sé stesso, più di
chiunque altro.
Che
un tale bastardo m’abbia dovuto ricordare chi sono…
Il
ninja della Sabbia s’issò in piedi in un lampo,
dimentico del male e di quella
sensazione di vorticante nausea. Non era altro che
un’illusione, perpetrata con
l’inganno.
“Così
ti sei intrufolata nei miei ricordi… speravi davvero di
trovarci qualcosa di
utile, eh mostro?” Kankurō sputò a terra la
sabbia, asciugandosi il mento con
il dorso della mano. La creatura lo fissava furente da oltre Kakashi,
tentando
invano di superarlo. La mano della ragazza era incastrata nella presa
del
superiore.
“Be’…
devo ammettere che mi hai fatto incazzare strega!”
Non
avresti dovuto fare del male né a mio fratello,
né ai miei amici.
Come
se Nocnitsa gli avesse letto il pensiero, l’essere spinse
l’Hokage animata da
quella provocazione, pur venendo trattenuta dalla presa
dell’uomo. Lui irrigidì
la tenaglia del braccio dentro cui le aveva bloccato il pugno,
spingendola a
gridare per il dolore, anziché per la rabbia.
“Bene…
ora che ho rimesso a posto entrambi… Ninja!”
Il leader di Konoha alzò la
voce sul finale, facendo riprendere gli shinobi rimasti a terra e
scombussolati
dall’attacco inaspettato della creatura. Tuttavia, si
alzarono in piedi con
gesti lenti. Alcuni scossero la testa come se un’arte
illusoria li avesse
spediti in un mondo diverso dal reale. Il ninja medico che aveva
soccorso Ino
restò in ginocchio. Kankurō avrebbe giurato che fili di
lacrime gli scendessero
dagli occhi.
“Ascoltatemi
attentamente! Questo essere ha preso il controllo del corpo di Ino e
potrebbe
tentare di entrare nelle vostre menti… di farvi ricordare
qualcosa di
spiacevole… o di farvi ascoltare la vostra voce da
bambini” fu
impercettibile, ma il fratello di Temari e Gaara se ne accorse:
l’uomo aveva
esitato, prima di proseguire: “ma non dovete farvi cogliere
impreparati! Un
intero villaggio dipende dalla vostra prontezza di riflessi.”
“Giusto
Hokage!”
“Noi
della Sabbia non deluderemo la nostra gente!”
Come
diavolo faccia a passare da un estremo all’altro in
così poco tempo lo sa
soltanto lui…
Lo
shinobi di Sunagakure rimuginò assistendo al modo in cui i
suoi colleghi
avevano accettato lo sprono del capo villaggio alleato, anche se pochi
muniti
prima l’avevano squadrato in malo modo. Eppure ne era
comunque contento.
Dobbiamo
restare uniti fino a quando Ino e Gaara non ritorneranno fra noi.
La
speranza aveva cominciato a crescere in lui da quando aveva sentito,
nei
pensieri di Ino, la richiesta d’aiuto verso la sorella. Aveva
compreso che
l’amica non si era arresa neppure nei momenti in cui il suo
corpo era sembrato
spento e privo d’energia.
Sono
in debito con te… Me lo rinfaccerai fino alla fine dei miei
giorni!
Kankurō
si concesse il lusso d’un sorriso mentre i ninja della Foglia
approfittavano
del fatto che l’Hokage avesse ancora salda la presa sul
braccio della collega
per afferrarla, rendendola inoffensiva. Era terribile vedere il volto
di Ino
sfigurato dagli urli mostruosi della creatura. Al ragazzo si strinse lo
stomaco, ma spinse le unghie nei palmi fino a quando il dolore gli
schiarì la
mente.
Devo
essere forte. Ino, Temari, Shikamaru e persino l’Hokage si
stanno impegnando
per fare in modo che il piano funzioni… non sarò
da meno!
Con
quella ritrovata risolutezza, il ninja della Sabbia camminò
verso il gruppo di
ninja da cui la furia di Nocnitsa era controllata, nonostante stessero
pagando
il prezzo dei loro sforzi: vide che uno shinobi aveva morso il labbro
inferiore, facendo sgorgare un rivolo di sangue, mentre le altre due
kunoichi
sembravano sul punto di far uscire gli occhi dalle orbite, talmente
tenevano le
palpebre spalancate.
In
principio, il giovane non intese il motivo, ma ne ebbe una
dimostrazione
esaustiva appena giunse al loro fianco, sbattendo le palpebre per una
frazione
di secondo a causa della sabbia.
Tu…
sei una nullità!
Kankurō
sbarrò gli occhi in un lampo, ritornando con
difficoltà al panorama del
deserto, il quale appariva sfuocato e sconquassato da un terremoto che
riguardava soltanto il suo animo.
Fece
fatica ad ambientarsi in quel mondo dove si rifletteva la luce candida
della
luna, in cui le ombre non plasmavano i contorni di una figura che,
nonostante
gli anni trascorsi, conosceva poco, ma dalla quale non si sarebbe
potuto
separare proprio come non avrebbe potuto staccarsi il cuore dal petto.
Quella
forma minuscola, d’un bambino, l’aveva fissato
arcigno con i suoi stessi occhi.
Con la sua stessa bocca e voce l’aveva udito lanciargli
contro quell’offesa. Ne
avvertì una nuova, sebbene si fosse allontanato da quel
luogo dove l’aveva
scorto. Una diversa brutalità che lo costrinse a sentire i
propri muscoli
fremere.
Ma
tu cos’hai di speciale?! Tanta fatica per diventare un bravo
marionettista… per
essere il più stupido e incompetente della grande famiglia
del Kazekage!
Il
dubbio attanagliò il giovane, come se fosse
quell’affermazione fosse stata una
parte cruciale di tutta la sua esistenza.
No…
non posso averlo pensato sul serio! Vero?
Si
pose una mano di fronte alla bocca, stringendo le dita sulla mascella
quasi la
volesse staccare dal resto del cranio, ma una sulla spalla lo fece
sobbalzare e
desistere dai suoi intenti inconsapevoli.
“Forza
Kankurō… come ho detto, è solo fumo negli
occhi” il ragazzo si volse verso
l’Hokage che fissava la sua sottoposta. Il sospiro di Kakashi
racchiudeva molta
stanchezza, anche se la sua voce non ne era in alcun modo intaccata.
“Lei
sta bene… non è là dentro. Dobbiamo
impedire che questa creatura ci
infastidisca con le sue illusioni” il ninja della Sabbia lo
vide pensieroso per
un attimo, mentre nella testa di Kankurō continuava a serpeggiare la
sua
vecchia voce, ricolma di stridulo sdegno per lui e tutto ciò
che era. Ne era
inebetito.
“Non
so se sia possibile metterla fuori gioco… ma forse conosco un
sistema
che potrebbe ricacciarla dentro il corpo di Ino e bloccarla.”
“Questo
non la metterà in pericolo?” domandò il
fratello maggiore del Kazekage
d’impulso, la voce incrinata da sabbia e
instabilità. C’era qualcosa di
sfuggente nell’aria: la luna piena era ancora larga e
ingombrante in quel cielo
sempre più chiaro, in cui la luce purpurea
dell’alba lambiva l’orizzonte e
consegnava l’odore salmastro di un mare lontanissimo.
Sembrava quasi fosse il
cielo l’oceano dove sarebbero sprofondati in
un’eterna notte.
“Ovviamente,
può essere solo una soluzione temporanea… anche
se non so quanto sia possibile:
questa… Nocnitsa non mi sembra una di
quelle normali creature con cui si
possa stringere un patto di sangue. È…”
persino Kakashi pareva incerto.
Grattò la testa con l’indice, lasciando che la
chioma argenta ondeggiasse come
vele d’una barca.
“Sembra…
più umana del dovuto” Kankurō non seppe
perché, ma un singulto gli
attraverso lo stomaco. Non gli piacque, per niente.
“Be’…
penso che lo scopriremo quando Temari e Shikamaru avranno finito la
loro luna
di miele” detto questo, lo shinobi di Suna seppe
che la conversazione col
Sesto Hokage si era conclusa. L’uomo non aggiunse
più nulla mentre si dirigeva
verso l’allieva del compianto Asuma. In mano, ricomparso
dalla manica della
giubba, ciondolava il kunai.
Kankurō
vide a rilento la scena, al punto da credere d’esser vittima
di una delle
famose arti illusorie di Kakashi dello Sharingan. Non provava quel
senso di
lealtà che l’aveva indotto a frapporsi fra
l’uomo più micidiale di Konohagakure
e il corpo inerte dell’amica. C’era attesa, forse
persino speranza.
Osservò
il leader del villaggio alleato impartire ordini ai ninja medico. Li
vide
accorrere e formare un sigillo sulla pelle di Ino, in grado di
contenere
all’interno lo spirito di Nocnitsa. L’Hokage si
muoveva piano. La lama del
kunai era rilucente di chakra.
Il
fratello di mezzo di Temari e Gaara non aveva alcuna idea in merito.
Del resto,
c’erano così tanti misteri in quella strana storia
che lo stesso riflesso della
luna gli appariva semplice come un chiaro segno.
Ma
di cosa?
Si
chiedeva il giovane scorgendola sempre più grande e chiara,
quasi li dovesse
inghiottire tutti in un suo cratere grigio.
L’unico
che ci capirebbe qualcosa sarebbe Gaara!
Quella
riflessione, arrivata un po’ per gioco, leggera
nell’intento di evocare
un’immagine del fratello più serena, si
tramutò in un’improvvisa sentenza di
condanna.
“Attento
Hokage!” urlò di getto fiondandosi verso
l’uomo che stava puntando il kunai
contro il petto di Ino.
Udì
le grida arrabbiate degli shinobi di Konoha, i loro piedi che
scattavano per
raggiungerlo. Non avevano dubitato nemmeno un istante delle loro
più tristi
previsioni. Ma non sarebbero stati abbastanza veloci da fermarlo, non
con
Sasori che gli copriva le spalle. Non con la sabbia che afferrava le
loro
caviglie, ostacolando ciascuno di loro.
Arrivò
appena in tempo per sbalzare il Sesto Hokage lontano dalla linea di
tiro d’un
dardo di sabbia. Lo comprese perché la cassa toracica
sbatté contro la sua
pelle, spezzandosi lungo la costola sorpresa direttamente
dall’attacco.
Kankurō
annaspò cercando l’aria. Trovo il dolore nel gesto
del respiro, nell’osso rotto
che pungolava i suoi organi vitali. Precipitò a terra
deviando col braccio, per
pochi centesimi di secondo, un’altra scarica di dolore alla
schiena. Gemette
con il fiato mozzato.
Kakashi
era in piedi di fronte a lui, salvato da quella caduta rovinosa grazie
al suo
sconsiderato gesto di generosità.
“Spostatevi!”
lo sentì gridare girato verso i
ninja medico, ma entrambi non ebbero modo di vederli eseguire
l’ordine del loro
superiore: un’ondata di sabbia li travolse, liberando
Nocnitsa dalla sua
prigione. Fu la rivelazione mediante cui compresero appieno chi
si era
nascosto fino a quel momento.
Una
mano minuscola si sporse dai limiti della gabbia di sabbia dentro il
quale
Gaara era rinchiuso. Fra fitte di dolore e rabbia, Kankurō ne riconobbe
l’incarnato pallido e, quando il proprietario
dell’arto si discostò del tutto
dal suo nascondiglio, il ragazzo ne distinse istintivamente i
lineamenti del
viso, dello sguardo azzurro. Era ciò che si era annidato nei
suoi ricordi alla
stregua di incubi e che, in quel momento, non poteva più
rinnegare.
Forse
è stato meglio così… Temari non ce
l’avrebbe fatta.
Il
piccolo Gaara del Deserto lo fissò come se gli avesse letto
i pensieri. Gli
sorrise con quell’aria dolce di bambino quale appariva,
sebbene fosse lezioso, vuoto,
quanto un dipinto su cui poggiasse la luce. La sabbia gli scorreva
attorno.
Senza che Kankurō o l’Hokage se ne fossero accorti per tempo,
aveva rivestito
gli altri ninja presenti serrandoli in gabbia simili a quella del
Kazekage.
Quel
ricordo vivente era apparso dal nulla e dal nulla parlò
mentre la sua creatrice
lo raggiungeva facendo sì che sul corpo di Ino
aleggiasse lo spettro di un
chakra che non le apparteneva, carico di una negatività che
penetrava nella
testa, quasi impedendo a Kankurō di sentire la voce del fratello minore.
“Ciao
fratellone” lo apostrofò quel
bambino del passato. Ancora bloccato a
terra, il ninja della Sabbia ne fu alzato da una spinta di sabbia dura
come
pietra, che lo tenne in piedi contro la sua volontà.
Avvertiva
i muscoli e le ossa doloranti. Con la coda dell’occhio
mirò Sasori inerte a
distanza da lui. Ma i suoi erano tramortimenti di poco conto in
confronto a quel
sorriso, a quella voce gelida con cui
aveva sperato di non dover
convivere mai più.
“Pronto
a morire?” un soffio sfuggito da labbra innocenti per
età, non per inesperienza
nel pronunciare quel tipo di minacce. Kankurō ne fu profondamente
ferito, per
motivi tanto diversi fra loro.
“No,
Gaara… non lo sono mai stato” rispose sentendo la
propria voce malinconica.
Il
bambino non replicò. La sua reazione fu il guizzo
d’un dardo di sabbia che
partiva per il cuore del fratello maggiore.
Il
crepitio viola d’un fulmine a ciel sereno ne distrusse la
forma, spargendo
granelli di sabbia ovunque. L’Hokage era in piedi, respirava
a fatica, ma un
altro fiotto purpureo gli scoppiettava fra le mani. Lo
scagliò al suolo,
inondando la sabbia tumultuosa di lampi con cui disfò la
consistenza delle
gabbie da cui gli shinobi erano fermati, rigettandola nella spuma di un
deserto
oceanico.
Parve
che un unico sospiro s’issasse dai loro polmoni compressi. Lo
stesso Kankurō
ritrovò un po’ di vigore percependo i muscoli
delle braccia e delle gambe
scarcerati dalla presa della sabbia di Gaara.
In
momenti come questi… vorrei che ci fossi tu al mio fianco.
Il
ragazzo sorrise. Il suo pensiero raggiunse il ricordo di una kunoichi
che
l’aveva medicato tante volte, salvandogli addirittura la vita
una volta. Pensò
a quei capelli rosa che gli cadevano sul viso quando stringeva una
fasciatura
sul suo braccio, a quegli occhi verdi che s’alzavano sul suo
viso e gli
sorridevano ancor prima di compiere il gesto con la bocca.
Kankurō
ne restò rapito più a lungo di quanto avrebbe
dovuto, smarrito in una
sensazione di perduta speranza che lo accomunava a quella visione. Ne
udì un
fugace momento, tratto da una chiacchierata di cui ricordava ben poco,
se non
il desiderio inespresso d’abbracciare quella giovane e quella
sua voce dolce,
dentro cui dimorava uno spettro che non era mai riuscito a scacciare
via da
quei momenti.
“Coraggio
Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage
così dolorante!”
Hai
ragione… come potrei darti torto?
A
quel punto, il giovane rialzò gli occhi dal terreno
incrociando la figura
eretta dell’Hokage. Lui guardava davanti a sé il
fianco del piccolo Gaara e il
corpo di Ino posseduto da quegli occhi rossi e da quella bocca contorta
in un
ghigno. Poteva avvertirne l’incanto sul suo cervello appena
riscossosi da quel
suo rifugio personale e ne notava l’effetto anche sui ninja
liberi dalla presa
della sabbia, i quali sembravano ondeggiare a un vento impalpabile,
travolti da
riflessioni che si leggevano sui loro sguardi affranti.
Alcuni
piangevano. Il ninja medico che aveva soccorso Ino era rannicchiata a
terra,
scossa da tremori. Erano tutti vinti dalle immagini di quella strega.
Restiamo
solo io e l’Hokage…
Sasori
schizzò al suo fianco, guidato dal richiamo del chakra fra
le dita del suo
padrone. Per un istante, la marionetta gli rammentò come
l’avesse ottenuta e,
soprattutto, chi l’avesse sconfitta
rendendola solo il ricordo della
persona che, un tempo, era stata. Sakura aveva sempre la forza di
ritornargli
nella mente.
“Ehi
moccioso… pensavi che sarebbe bastato così poco
per fermarci?” Kakashi parlò
con tono di scherno, però la situazione e il suo corpo lo
tradivano: i suoi
shinobi e gli alleati non erano in grado di sostenere nessuno scontro e
le sue
spalle rabbrividivano sotto il peso respiro, quasi questo potesse
spezzarsi da
un momento all’altro. Le ombre da cui le sue orbite erano
circondate
contrastavano con il suo sguardo sgranato a forza.
Gaara
non trovò necessario scrutarlo. Fissava il fratello maggiore
con una strana
furia che indusse il ragazzo a indietreggiare. Gli incubi di Nocnitsa,
i
sussurri della sua voce da bambino, picchiavano i limitari del suo
inconscio,
ma non lo avevano piegato.
“Credevo
che un assaggio ti avrebbe sistemato, ma mi sbagliavo… vuoi
essere colpito dove
ti farà più male”
replicò il Gaara del passato avanzando verso il suo
obiettivo, mentre la creatura da cui il corpo di Ino era guidato si
dirigeva
verso Kakashi.
Così
deve essere…
Kankurō
esalò un sospiro, portando le mani vibranti di chakra
all’altezza del viso.
Sasori seguì i cenni delle sue dita, frusciando davanti al
suo marionettista.
Scintille di fuoco già scoppiettavano dalla schiena
dell’arma.
“Morirai
per mano di un tuo ninja…” sibilò Gaara
un’ultima volta contro il suo pari
grado. Poi, ordinando alla sabbia un balzo immenso, chiuse
definitivamente i
rapporti con quella figura che non lo interessava granché,
rispetto a Kankurō.
“Allora
fratellone… dove eravamo
rimasti?” domandò il bambino mentre la
sua sabbia copriva il cielo issando un muro tramite il quale
sigillò quello
scontro privato dal resto del mondo. Una discussione fra
fratelli.
Il
maggiore tese i muscoli, armeggiando con la tasca dei pantaloni dove si
trovavano
le pergamene con cui poteva evocare le altre marionette. Solo il cielo
poteva
sapere quanto gli sarebbero servite!
“Al
fatto che tu sei solo un brutto ricordo del passato… e che mi
dispiace
considerarti tale” Gaara rise mandandogli un
brivido lungo la schiena.
Aveva un che di quella risata di cui si sarebbe ammantato una volta
cresciuto:
eterea, come l’ultimo sogno prima di svegliarsi.
“È
un po’ tardi per credere a certe cose, non trovi?”
chiese il bambino
accarezzando un fiotto di sabbia che lo stava affiancando.
L’unico contatto che
aveva avuto per tanti, troppi anni.
“In
questo mondo esisteremo soltanto io e la sabbia, fratellone…
adesso
muori e lasciami respirare”
finì così il loro scambio, quasi fosse stato
un’espressione tardiva di quell’epoca vissuta
scrutandosi con rabbia e timore
alteri. Iniziò quella lotta a cui non erano mai davvero
giunti.
La
sabbia di Gaara scattò dappertutto, causando una mareggiata
polverosa
impressionante per un bambino tanto piccolo e per un obiettivo singolo.
Con
Gaara le cose non sono mai state semplici…
Rifletté
il fratello amaro. In circostanze diverse si sarebbe messo a ridere.
Invece,
indurì il viso balzando in aria, deviando parte della sabbia
con lo Scudo di
Luce Meccanica inserito nel braccio di Sasori. Riuscì a
evitare che la sabbia
gli ostacolasse il salto, o che penetrasse fra i delicati ingranaggi
della
marionetta.
Ma
chissà per quanto tempo riuscirà a tenerti
testa…
Kankurō
si muoveva in automatico, condotto da fili che non erano fra le sue
mani,
eppure connessi al suo istinto e alla sua esperienza. Con
un’unica e fluida
articolazione delle dita, dallo stomaco di Sasori fece guizzare il cavo
imbevuto di veleno, mediante cui bersagliò il fratello al
suolo. Un attacco
inutile, privo di mordente. L’aveva già capito.
La
sabbia si era scontrata con l’arto artificiale della
marionetta. Il piccolo
Gaara del Deserto aveva fissato lo spettacolo a braccia incrociate.
In
fin dei conti… sei o non sei il Kazekage dalle difese
impenetrabili?
Kankurō
si scoprì a sorridere. Un misto d’orgoglio e
compassione che lo portò oltre i
confini di quella battaglia già scritta, perché
la sua conclusione era
scontata.
Mi
dispiace, fratellino… credo davvero di essere stato la tua
più grande
delusione.
Il
ragazzo evocò Karasu e Kuroari, in modo tale che le
marionette s’insinuassero
nel mezzo della piccola tempesta di sabbia aizzata da Gaara contro di
lui.
Dovevano intrappolarlo, ma il fratello maggiore conosceva il risultato
di quel
nuovo tentativo. La sua spinta verso l’alto stava scemando.
L’unico modo per
difendersi dal tumulto creato da Gaara era pregare che le difese di
Sanshōuo
non saltassero.
Almeno
Temari aveva la scusa di essere un bersaglio avvincente… ma
di un fratello che
manda avanti le sue marionette cosa te ne saresti dovuto fare?
Sanshōuo
sbucò dalla restante pergamena, la sua ultima risorsa. Si
avviluppò attorno al
padrone come un fedele sottoposto disposto a dargli la vita. Quando
precipitarono a terra, il ragazzo capì che stava rimandando
l’inevitabile.
La
tempesta sbraitava contro le pareti della marionetta, scovando qualche
spiraglio dove intrufolarsi. Il ninja ne sentì
l’odore marcescente che lo
spinse ancora più a fondo nel suo stato quasi semicosciente.
In
fondo… sono solo una tua brutta copia.
Lui
e la marionetta si schiantarono. Le ossa rotte
s’impadronirono del suo
cervello, scagliandogli addosso un macigno di dolore. Kankurō
urlò, le dita
rattrappite nei palmi delle mani. Il fiato entrava nei polmoni solo per
prolungare la sua sofferenza.
Sakura…
dove sei?
La
domanda ebbe un’improvvisa risposta al suo fianco, ove
confluirono tutti i suoi
ricordi della kunoichi: accanto a lui, non poteva nulla per il male che
stava
cominciando a sfaldare i suoi sensi, fino a farla rassomigliare al
miraggio che
era. Eppure, la sua voce era dolce e chiara come la rammentava, piena
di
malinconia.
“Coraggio
Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage
così dolorante!”
A
quel punto, una risata arsa secca gli uscì dalla gola dentro
cui cresceva la
quantità di sabbia. Con essa, l’immagine della
ragazza sparì dalla sua memoria,
salvandolo da quel mondo fatto solo di puro dolore.
Hai
ragione… come potrei darti torto?
Il
male passò. Venne respinto da quel ritrovato coraggio che
gli aveva concesso di
rialzarsi in piedi scardinando la placca con cui era chiuso il dorso di
Sanshōuo, simile a un’enorme lucertola. La tempesta di sabbia
non era più tanto
persistente: aspettava, pazientemente. Plasmava uno
spiazzo in cui
l’atmosfera era immobile. Un luogo dove poté
incrociare gli occhi di Gaara
senza paura di restare accecato dal pulviscolo. Quella memoria vivente
lo fissò
con un sorriso beffardo, il quale non si estese oltre i limiti delle
labbra.
“Delle
difese banali, Kankurō. Avresti
dovuto imparare meglio la lezione
delle mie armature di sabbia.”
Il
ragazzo esplose in una risata fragorosa, quasi inducendo un sobbalzo al
fratello minore. Il ninja della Sabbia aveva un male tremendo. Ogni
muscolo si
contraeva, portando col suo moto un osso spezzato che lo feriva
internamente.
Ma
non poteva smettere. Sentiva la voce di Sakura che lo incoraggiava da
dentro il
suo cuore. Avrebbe persino pianto dal ridere, se il rischio di un
fraintendimento da parte di Gaara non avesse respinto le lacrime
indietro.
“Hai
ragione, fratellino... ma cosa sarebbe l’artista
senza un imitatore?”
la sua voce era ilare, pur avvertendo il suo corpo che si ribellava
alla
volontà. La sua mente, invece, ripensò a quei
pomeriggi d’infanzia passati a
fare e disfare i marchingegni di Karasu. Era sempre pronto a immaginare
con
quale sistema riprodurre meglio le abilità difensive di
Gaara, o quali armi
inserire nei meccanismi per superare le abilità offensive di
Temari.
Fratelli
miei… sono solo una marionetta che si finge umana.
Gaara
aveva perso il sorriso. Scrutò a lungo il viso di Kankurō,
quasi desiderasse
perforare quegli occhi bruni e lucidi, in cui scintillava uno spirito
indomito.
Eppure, quello sprovveduto fratello maggiore non poteva nulla contro il
potere
di quel Gaara infantile, che non aveva né la forza,
né la volontà di fermare.
Lasciò
che la sabbia lo circondasse e risalisse il suo corpo stanco, sebbene
fosse
all’apparenza fiero. Scorse gli occhi di Gaara
un’ultima volta, prima che il
buio si chiudesse su di lui.
“Allora
farò in modo che la copia sparisca da questo mondo,
lasciando intatti gli
originali… spero che la sabbia non ti uccida troppo
presto” udì la voce
di Gaara ovattata nelle orecchie già piene di sabbia. Gli
stava perforando i
timpani.
Kankurō
sentiva un dolore atroce, ma non poteva gridare. La sabbia
s’infilava nelle
fessure della bocca, cercando una breccia fra i denti serrati.
I
miei peggiori incubi si stanno avverando…
Negli
occhi ormai completamente rivolti indietro, rivissero i volti atterriti
di tutti
gli shinobi che avevano incontrato la morte nelle tombe di sabbia
predisposte
da Gaara. Rammentò il rumore delle loro carni che si
spappolavano e il clangore
delle loro ossa. Si chiese se anche il suo corpo avrebbe subito lo
stesso disgustoso
effetto.
Almeno…
la mia morte non sarà dovuta a una schifosa strega.
Kankurō
ebbe un singulto alla cassa toracica, proprio mentre la sabbia gli
spezzava
qualche altra costola. Eppure, i suoi pensieri lo abbandonavano solo
per andare
agli unici due ninja di cui conservasse la memoria, in quegli istanti
di
veglia.
Dove
siete?
Il
buio inghiottì il suo corpo, ma non la sua domanda.
Ino…
dove sei?
In
un altro universo oscuro, la kunoichi della Foglia udì
quelle parole
pronunciate da una voce familiare. Non era la sua, né di
qualche altro ninja
che fosse rimasto con lei nel deserto. Quando aprì gli
occhi, si spalancarono
dallo stupore.
Temari
la fissava dall’alto, sorridendo. Non era veramente la donna
che conosceva. Lo
distingueva chiaramente dall’alone bluastro da cui era
circondata, quasi
rendendo il suo corpo informe. Aveva, inoltre, la capacità
di riversarle nel
corpo un gran tepore, da cui era sospinta a mettersi a sedere.
“Dove
siamo?” chiese Ino rammentando tutto quello che aveva fatto
prima che svenisse.
L’immagine di Temari giunta in suo aiuto non rispose, forse
non ne aveva la
capacità Lasciò che la kunoichi alleata
percepisse sotto i palmi gli spigoli
del suo ventaglio d’acciaio e, fra i capelli, il vento.
Siamo
in alto… ma in quale parte della mente di Gaara?
Osservò
la giovane. S’affacciò da uno dei bordi dello
strumento sopra cui entrambe
viaggiavano. La sorpresa ebbe modo di afferrarla nuovamente.
“Questo…
Questo è…”
“Proprio
così, Ino. È l’Assalto al Villaggio
della Foglia.”
Continua
nel Capitolo VII: Dall’ombra
ti presi e ti trassi alla luce