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Autore: Fenici_Bianche    04/04/2021    0 recensioni
Esistono dei miti che provengono da oriente rispetto al Paese del Vento: parlano di un vento di terra e foglie marce che porta con sé qualcosa che aspetta e tortura pazientemente, fino a quando la preda non cade in trappola.
Gaara della Sabbia non ne è a conoscenza, o forse non ci ha mai dato peso. Per questo, si trova a dover fare i conti con ciò che si nasconde nell'ombra.
Ma è difficile sopravvivere quando è il tuo stesso animo a tradirti. Il Villaggio della Sabbia, la sua gente, rischia molto ed ha poco tempo, prima che la tempesta di sabbia s'abbatta su di essa.
Che l'arrivo del Sesto Hokage del Villaggio della Foglia e del suo seguito sia una fortuna, solo il tempo saprà dirlo: Ino Yamanaka sarà in grado di liberare il Kazekage dal suo fato, o forse morirà tentando.
D'altronde, il bene comune è sempre stato più importante dei singoli ninja.
[Post Quarta Guerra Mondiale dei Ninja, GaaraIno, qualche accenno a ShikaTema. Accenno a una one sided KankuSaku. Storia a cadenza mensile]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kakashi Hatake, Kankuro, Sabaku no Gaara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
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Capitolo VI: Così è nelle mente, come fuori di me

 

In un’altra vita, in un universo in cui la mente era solo una parte del corpo, Temari cascò a terra emettendo un gemito strozzato.

“Temari!” Shikamaru s’inginocchiò al suo fianco, passandole una mano dietro la schiena, madida di sudore ghiacciato. “Che ti prende? È successo qualcosa?” la donna stentava a inquadrare il viso del ragazzo, o il profilo imponente degli edifici del villaggio. Percepiva a malapena l’aria che le inondava i polmoni, oppure la terra asciutta che grattava con le dita, facendosi male sotto le unghie.

Vedeva, sentiva, tutt’altro: era ancora con Ino, con le loro mani sopra il gymnocalycium. Notava il sorriso dell’amica percependone il calore addosso. Un ricordo che le spezzò il cuore.

 

“Sì, Shikamaru… sto bene… stavo solo pensando a…” mormorò Temari con la voce graffiata dallo sforzo di respirare normalmente. Il ragazzo sbuffò, aiutandola a rialzarsi.

“So cos’hai fatto, Temari… ma non sono convinto che sia stata una buona idea: la mente non è un banale ripostiglio. Solo quella svampita che abbiamo mollato laggiù sa come cavarsela qui dentro…” replicò lui toccando con l’indice la tempia. “E tu hai già attraversato il deserto evocando i kamatari… Forse dovresti riposare, intanto che noi cerchiamo…”

Non osare tagliarmi fuori!” tuonò la donna, come se quella lancinante sensazione di poco prima non l’avesse neppure scalfita, sebbene fosse stata maledettamente spaventosa: Temari aveva potuto avvertire il proprio spirito che l’abbandonava. Una parte importante dal quale si era distaccata per sostenere un animo più fragile del suo.

“Avrò anche sentito il colpo, ma non sono una kunoichi qualunque, vedi di mettertelo bene in testa!” riprese a correre con passo meno spedito. Era gravata da quella leggerezza fastidiosa, in cui persino i ragionamenti volteggiavano senza pace, procurandole confusione e panico.

Se penso che Ino sta affrontando anche di peggio…

La magra consolazione di Temari, da cui emergeva più amarezza che serenità, fu allontanata da una ritrovata stabilità. La donna strabuzzò, meravigliata che quel pigrone avesse deciso di sostenerla.

 

Shikamaru le stringeva la schiena di nuovo, permettendole di restare dritta. Fissava la strada di fronte a loro, su cui svettavano mucchi di sabbia abbandonati dalla tempesta scomparsa di colpo. Tuttavia, il suo cuore batteva al fianco della donna, con un placido ritmo.

“Devo ammettere che hai più buon senso di me: non so come avrei fatto a trovare il nostro obiettivo senza il tuo aiuto… ti fa onore” un complimento del genere non se lo sarebbe mai aspettata da parte di Shikamaru. La kunoichi della Sabbia arrossì, perdendo interesse per quel viso tanto bello, sul quale avrebbe rovesciato volentieri una scarica di pugni.

“Eh già, ti stavi comportando da sprovveduto… si direbbe che non hai mai completato una missione di ricerca!” blaterò Temari, nonostante fosse certa che il ragazzo non le avrebbe risposto. Era strano da quando lui e l’Hokage avevano parlato. O forse lo era da più tempo, da quando aveva scoperto quello che lei aveva fatto per liberarsi di Gaara.

Ma non ha importanza… conta soltanto scovare il nostro sospettato.

Temari rifletté sugli indizi che avevano raccolto, sulla frenesia da cui erano sospinti in avanti, nonostante la battuta d’arresto iniziale.

 

Rivide le sue gambe che correvano verso la casa della balia, solo per trovarla vuota e abbandonata.

“Davvero non lo sapevi, Temari? La tua tata è morta durante la Quarta Guerra Mondiale” un vicino di casa l’aveva narrato a entrambi da un angolo della strada, ove si era rifugiato con la sua famiglia, per paura che il tetto crollasse sulle loro teste. Parole dette con tono dimesso, mentre fasciava la testa del figlio.

Temari non aveva saputo cosa dire di fronte a quella scena di cui si era sentita responsabile. Era restata in silenzio ascoltando il motivo della morte della vecchia balia, legato al dolore causato dalla devastazione del conflitto, senza il dovuto interesse. La giovane aveva pensato al fratello minore, poi a Kankurō. Si era sentita indegna di condividerne lo stesso sangue.

Era stato Shikamaru a ridarle un po’ di colorito e speranza. “Avete visto qualcuno nei dintorni della sua casa, di recente?” aveva chiesto con le mani in tasca e la sigaretta che ardeva intrappolata tra le labbra, consumandosi in un filo di fumo. Temari aveva scorto i suoi pugni stringersi, oltre il tessuto dei pantaloni.

“Be’… molti di noi sono rimasti sconvolti dalla sua morte: ogni tanto qualcuno lascia dei fiori alla porta… Anche se c’è stato un fatto strano.”

Parli” Shikamaru lo aveva incalzato immediatamente, rimanendo all’apparenza calmo, eppure alla kunoichi era sembrato che la mascella gli si fosse chiusa sulla sigaretta con una certa forza.

“Nulla di serio, ma sembra che qualcuno si sia introdotto in quella casa qualche sera fa… non abbiamo saputo spiegarci perché: è vuota da tempo… ma mio figlio ha visto una persona incappucciata aggirarsi lì vicino, prima che il fatto accadesse” neppure il rumore del respiro turbava quel racconto che i due shinobi ascoltavano intenti. “È andato a salutarla, sapete come sono i bambini… Gli ha detto di essere stato qualcuno di cui si era preso cura la donna. È finita lì.”

“Shikamaru!” Temari era esplosa agguantandogli il braccio, quasi conficcando le unghie nella pelle. “Quando lei ha prestato servizio presso la nostra famiglia… non poteva uscire dalla Residenza del Kazekage per motivi di sicurezza!” il ninja aveva intuito dove il ragionamento della donna li stesse portando.

“Significa che chiunque fosse… doveva essere parte di una famiglia del personale di servizio, o di quelle dei ninja di guardia!” avevano annuito insieme. Erano corsi alla Residenza del Kazekage in fretta e, per brevi momenti, Temari si era dimenticata delle proprie remore, dell’imbarazzo che provava camminando a fianco dell’uomo di cui si era innamorata.

 

Chissà cosa ne pensi di tutta questa storia…

Si domandava la giovane lanciando qualche occhiata sfuggente al ragazzo: non aveva la forza di indagare cosa si celasse dietro l’ombra del suo sguardo assorto.

Forse… più tardi tutto avrà un senso.

Sperava Temari, pregando che il tempo fosse meno crudele di quanto non fosse stato sino ad allora, con le sue rivelazioni antiche, gli affanni presenti e le minacce future. Continuarono a correre fra le strade del Villaggio della Sabbia, popolate di persone ferite e case malconce, sperando che Baki potesse fornire loro le risposte che cercavano.

 

Risposte diverse, eppure collegate alle domande che Kankurō si poneva osservando la gabbia fitta di sabbia dentro cui era rinchiuso il corpo inerme di Gaara. Dopo aver sorretto Ino per un po’, quasi sperando di sostenerla contro l’ignoto che avrebbe trovato nella mente del fratello minore, il ragazzo l’aveva distesa infine sulla sabbia, alla scomparsa della tempesta tutt’attorno a loro.

Essa permaneva soltanto su Gaara, il quale era crollato a terra come se un enorme peso l’avesse schiacciato. Nel buio creato dalla sabbia, che rimestava in balia del vento, il Kazekage si distingueva appena nella sua posa supina. La luna illuminava tutto il deserto, ma la sua luce veniva risucchiata in quell’antro oscuro, senza rischiararne neppure un granello del terreno.

I ninja della Sabbia e della Foglia si erano avvicinati a quella minuscola barriera impenetrabile, ma i loro tentativi di abbatterla erano stati respinti da un suono stridulo da cui erano stati colpiti peggio di un’arma.

Anche Kankurō l’aveva udito, condividendo con gli altri coraggiosi una strana sensazione di vuoto nella cassa toracica e un nodo alla gola che supplicava d’esser sciolto nel pianto, come se quel richiamo incomprensibile avesse la forza di distruggere l’autocontrollo temprato da anni d’allenamento. Rimiravano poi un lampo oscuro, dal vago colore rosso, simile a due occhi che si burlassero della loro stoltezza.

Soltanto Kakashi non li aveva intravisti, né aveva avvertito le sensazioni dei sottoposti e degli alleati. Era restato al fianco di Ino, sempre in piedi, fissando il corpo pallido dell’allieva di uno dei suoi pochi amici, uno dei tanti morti. Si leggeva nel suo sguardo una miscela di vorticante nostalgia e biasimo, la quale lo rendeva più umano di quanto Kankurō avrebbe desiderato.

Voleva ammazzare Gaara… non farti abbindolare!

 

Così fu la rabbia a muovere la lingua del fratello maggiore del Kazekage: “Insomma, Hokage! Non hai alcuna intenzione di darci una mano?!” latrò furente guadagnandosi le ennesime occhiate guardinghe dei ninja della Foglie e le contrapposte reazioni degli shinobi della Sabbia, i quali s’erano già tesi come corde pronte a spezzarsi.

Kakashi non rispose subito. Nel sospiro a cui s’abbandonò pesava un sentimento sfinente, da cui la sua replica partì priva d’energia: “Cosa pretendi che io faccia?” domandò atono, le braccia incrociate più per stanchezza, anziché per il desiderio di sfidare il giovane come aveva fatto al principio di quella sera. Kankurō non ebbe alcuna intenzione di carpirne la differenza.

“Sei o non sei il ninja più forte di Konoha? Cosa aspetti a distruggere questa barriera con uno dei tuoi fulmini da quattro soldi?” infierì il ragazzo avvicinandosi, mentre un folto gruppo di ninja della Foglia lo seguiva con attenzione. Alcuni avevano le mani all’altezza di shuriken e kunai, qualcuno mimava una posizione delle mani per qualche tecnica.

Kakashi si prese ancora del tempo per rispondere. Si inginocchiò di fianco a Ino, premendo le dita sul collo della kunoichi. Occhiaie violacee si delineavano sotto i suoi occhi, inscuriti da ombre che pellegrinavano in essi. “Non è di lui che ti devi preoccupare… se lei se ne va, abbiamo perso entrambi.”

 

“Ino!” il ninja della Sabbia esclamò dimentico della frustrazione iniziale, mutata con forza da un’improvvisa ondata di colpa. Corse di fianco all’amica che aveva lasciato, rendendosi conto solamente in quel momento di quante cose fossero davvero cambiate: trattenendo fra le dita il polso molle della ragazza, s’accorse che il battito stava sparendo.

“Cosa le sta succedendo?!” mormorò il giovane appoggiando il palmo della mano sull’incavo del collo di Ino: era ghiacciato, privo di qualunque calore.

Kakashi lo ignorò di nuovo, ma questa volta il suo gesto fu comprensibile: con un cenno del capo chiamò un ninja medico, il quale si chinò al fianco della kunoichi priva di sensi. La donna aveva un volto serio mentre poneva le mani pregne di chakra all’altezza della fronte della collega.

“Sta accadendo quello che immaginavo…” risposte infine il superiore di Ino, talmente piano che Kankurō dovette, suo malgrado, accostarsi vicino a lui. “Qualcuno o qualcosa sta cercando di fermarla.” mentre lo spiegava, un filo di sangue sporse da un angolo della bocca di Ino, colando dal viso al collo.

Sul volto senza pittura di Kankurō si tratteggiò il turbamento.

 

“No… Ino! sibilò il ragazzo rimettendosi vicino a lei, stringendo quella mano così triste e pallida da farlo rabbrividire. Per la prima volta da quando si conoscevano, il fratello di Temari e Gaara s’accorse che sui suoi palmi, per all’apparenza delicati, poteva percepire le impronte dei calli.

Sei uno shinobi in gamba… non mollare!

L’amico la pregò segretamente, sperando che il Sesto Hokage non gli facesse pesare quel fremito da cui era attraversata la stretta alla mano di Ino, appoggiata al suo petto.

“Secondo i miei calcoli… fra poco il suo corpo dovrebbe essere attraversato dagli stessi tagli del Kazekage.”

A che gioco stai giocando, razza di psicopatico!?

Anche se era arrabbiato, il ragazzo scorgeva la verità nelle parole dell’uomo: la mano della giovane era fredda, screpolata come se il deserto le scottasse la pelle con gli stessi effetti del ghiaccio.

Cosa posso fare… cosa…

Kankurō setacciava la sua mente alla ricerca di qualunque idea lo potesse servire, lui che era più abituato ad agire, anziché supplicare il fato di risparmiarlo. Eppure non c’era nulla che potesse aiutarlo: rimaneva coi suoi pensieri, mentre la mano di Ino perdeva quel poco calore di cui era ammantata spaccandosi, macchiandogli le dita e la maglia con poche gocce di sangue.

Aveva quasi perso la speranza, quando i polpastrelli della ragazza furono attraversati da un subitaneo tepore. L’amico, all’inizio, non capì. Sentiva le dita di Ino sempre cosparse di tagli, simili a quelli che aveva notato sul corpo di Gaara, però c’era qualcosa che la serbava da un’apparente morte lenta e crudele.

Era una forza che poteva sentire vicino al petto, fino a quando fu evidente nella luminosità bluastra del chakra di cui le mani della kunoichi si erano colorate. Allora, trasportato in una visione quasi identica al sogno ad occhi aperti di cui era stato vittima durante la guerra, rimirò Ino e la sorella con le mani strette sopra il gymnocalycium dello zio. Osservò il sangue scendere dalle dita di Temari.

Temari, ti prego… aiutami!

 

Udì nitidamente la voce dell’amica. Un rimando a una situazione che non stava vivendo.

In preda a quella sensazione sconvolgente, Kankurō sbatté le palpebre in fretta, ritornando a scorgere il placido deserto dinanzi a lui e il viso immobile di Ino sulla quale si era disteso un sorriso. Il ragazzo strabuzzò, strisciando le dita della giovane fra le sue, percependo che le piccole lacerazioni si stavano sanando.

Il chakra, com’era apparso, si dissipò dalla mano e dal resto del corpo della kunoichi, depositandosi nel suo animo nascosto ai loro occhi.

Quando alzò gli occhi da lei, Kakashi lo stava fissando. Il suo sguardo di pece ardeva. “Hai visto qualcosa?” chiese con la voce asciutta. Kankurō deglutì. Senza che se ne fosse accorto, un rivolo di sudore freddo gli scivolò lungo la nuca.

 

Il Sesto Hokage fu magnanimo. Si rivolse al ninja medico ponendogli la stessa domanda, al quale quest’ultima rispose negativamente. Il ninja della Sabbia si era ripreso, quando l’uomo gliela rivolse, ancora, in silenzio.

… credo di aver capito bene solo adesso che cosa facessero prima Temari e…” non riuscì a proseguire: la sua bocca era secca. Anche se tentava di schiarire la voce, avvertiva il tocco pungente della sabbia in fondo alla gola, per via della mancanza d’acqua in quelle ore arse dalla sete.

Kakashi decise di ignorarlo. “Come sta? Le sue condizioni quali sono?” chiese al ninja medico, la quale scosse la testa, palesando tutto il suo disappunto. “Si direbbe che stia bene, ora che questa ondata di chakra le ha guarito le ferite che stavano iniziando ad apparire… anche se… è strano” concluse chinandosi sopra il viso della kunoichi. Con delicatezza e occhio clinico, le alzò la palpebra sinistra, osservando fenomeni che il superiore e l’alleato non potevano comprendere.

Poi emise dai polpastrelli una piccola dose di chakra, quasi volesse stimolare una risposta dai muscoli attorno all’orbita. Non accadde nulla.

Il ninja medico s’issò a sedere, espirando rumorosamente. “Prima mi sono chiesta perché non riuscissi a curarla, nonostante le stessi riversando addosso tutto il chakra curativo che ho… adesso penso di aver capito” sospirò gettando un’occhiata fugace all’Hokage, sebbene il gesto non fosse sfuggito allo shinobi della Sabbia.

“Di cosa stai parlando?” sibilò il ragazzo avvertendo quell’improvviso calore andarsene dalla mano di Ino.

 

Il ninja medico fu colto alla sprovvista: Guardò affrettata il suo leader, ma lui estinse i suoi dubbi immediatamente. “Parla liberamente. Non nasconderci nulla” la donna si strinse nelle spalle, fissando la sua paziente delle circostanze.

“Si direbbe che quella improvvisa emersione del chakra fosse dovuta al fatto che lei fosse tornata indietro… e che ora non ci sia più” di fronte alle facce perplesse di entrambi, il medico si grattò la guancia, cercando le parole per esprimersi al meglio.

“Ho avuto a che fare con gli Yamanaka durante i loro stati di abbandono del corpo, se così possiamo definirli… anche se subiscono ferite nel corso della loro tecnica, possono guarire perché mantengono sempre un legame con il loro corpo. Reagiscono bene agli stimoli a base di chakra… ma qui è come se non ci fosse più nulla, anzi…” alzò gli occhi sui suoi due ascoltatori, tossendo come per trovare il coraggio di parlare.

“Sembra che ci sia una sottospecie… di resistenza a ciò che viene dall’esterno.

 

Kakashi si dimostrò particolarmente colpito da quell’ultima osservazione della sottoposta. “Be’, pare che le mie peggiori previsioni si siano avverate” mormorò trafficando con il marsupio alla cinta. All’inizio, né Kankurō, né il ninja medico capirono cosa volesse fare. Bastò che scorgessero la lama lucente di un kunai per farli agitare entrambi.

“Ehi Hokage! Cosa diavolo vuoi combinare!?” esclamò il ragazzo ponendosi in mezzo all’uomo e all’amica, bloccando ogni possibilità di tiro.

“Hokage, non credo siano necessarie misure tanto estreme!” la voce alta della donna arrivò alle orecchie degli altri shinobi, spingendoli a ritornare in prossimità di Ino. I ninja della Foglia, tuttavia, si limitarono a manifestare qualche occhiata apprensiva, mentre i ninja della Sabbia si aprirono a una protesta veemente.

“Non hai sentito cos’ha detto il mio ninja medico, ragazzo?” il Sesto Hokage apostrofò Kankurō non dando segno d’aver ascoltato nessun’altra lamentela. Per un istante, il giovane fu quasi lusingato.

“Se non risponde agli stimoli, non significa che tu possa fare quello che voglia!” ribatté aspro il ninja della Sabbia, alzando di più le braccia per impedire che l’altro potesse scavalcarlo facilmente. Nel frattempo, il ninja medico rifletteva, guardando con intensità la sabbia. Aveva il mento appoggiato alla mano.

“Non avevo dubbi… ma se non fossi io ciò di cui ti dovresti preoccupare?” la domanda del leader della Foglia ebbe il potere di spiazzare il fratello di mezzo di Temari e Gaara. La sua espressione perplessa fu nascosta dall’esclamazione di aperta sorpresa del medico. “Hokage! Vuoi forse di che…”

Proprio così” Kakashi la interruppe e, subito, calò un gran silenzio fra tutti i presenti. Si sarebbe tagliato soltanto con la lama affilata di un kunai.

 

Lo stesso che stringeva in mano il Sesto Hokage.

“La cosa che mi ha messo in guardia è stato vedere lo stesso tipo di ferite che ha il Kazekage sulla mano di Ino che stringevi” l’uomo spostò Kankurō, ponendosi al fianco di Ino. Lei riposava incosciente, con il petto che si alzava lieve a ogni respiro. L’amico la fissò incantato, la bocca socchiusa, tramortita da un’emozione difficile da identificare, se non nell’attesa.

“Ho pensato che… fosse strano vedere gli stessi effetti di una persona controllata da Nocnitsa su di lei” il Sesto Hokage levò il pugnale in alto, catturandone con il riflesso lucente gli sguardi di tutti. Il ninja medico ebbe un singulto evidente, che gli formò, visivamente, un nodo alla gola.

“L’unica cosa che rimane da vedere… è se io abbia ragione.

Il deserto era placido. Da ovest giunse l’odore salato di un oceano di cui quella distesa di sabbia era la sua più ampia spiaggia.

“Se i miei calcoli sono esatti… non vorrà che lei sparisca prima del tempo” fu solo per un frangente di secondo che Kankurō udì chiaramente il germe del dubbio nella voce del leader della Foglia. Il restante lasso di tempo fu dedicato al movimento fluido e rapido del kunai che piombava sul cuore di Ino. Una corta scintilla, capace di produrre un incendio.

 

Lo shinobi di Sunagakure immaginò che avesse lo stesso colore vermiglio degli occhi di Ino quando si spalancarono. Immaginò che quelle fiamme crescessero d’intensità in un baleno, divampando con un urlo violento zampillato dalla bocca aperta della ragazza, prima che il kunai si conficcasse nella sua meta. Fu una vampata d’energia così violenta da sbalzarli indietro tutti, colpiti da un’onda d’urto di cui non avrebbero saputo anticiparne la venuta.

Proprio come la tempesta…

Il pensiero di Kankurō rimase inascoltato dalla sua coscienza. I suoi sensi erano assaliti dal ronzio nelle orecchie, dal sapore della sabbia in bocca, per l’ennesima volta. Erano riempiti dalla vista dei ninja della Foglia e della Sabbia, fra cui spiccavano l’Hokage e il ninja medico, scaraventati a terra.

Poi, si concentrarono sul corpo inerte dell’amica, che si issava in piedi piano, guidato da una volontà che non le apparteneva, perché soppressa da quell’agghiacciante sorriso di un mostro, con la bocca screpolata.

No, Ino…

Ancora una volta, quella supplica pervenne in una mente incapacitata a formularla con la voce. Kankurō era perso in quegli occhi di fuoco che bruciavano al posto di quelli della kunoichi. Gli parlavano. Gli sussurravano qualcosa di nascosto e orribile.

Ammettilo… sei solo un perdente.

L’uomo si irrigidì sul terreno, i muscoli immobilizzati da un dolore che non aveva forma corporea. Arrivava dal passato, da memorie in cui lui era solo un ingenuo, sprovveduto, bambino. Quello scherno aveva la medesima tonalità fanciullesca.

Quella voce… è mia…

Prima che potesse riprendersi dalla scoperta, prima che quella creatura potesse usare Ino per fargli del male, si rivelò la reale differenza fra lui e il Sesto Hokage di Konohagakure.

 

L’ombra di Kakashi guizzò da terra in un battito di ciglia.

Commuovente… credevo avrei sentito quella voce soltanto nei miei incubi” le parole dell’uomo parvero molto vicine a Kankurō, forse per via del fatto che l’avesse appena protetto da un colpo partito dal corpo dell’amica. Ne vide il volto dagli occhi iniettati di sangue che ringhiava a poca distanza da quello del suo leader e la mano stretta a pugno, imbevuta di un chakra… bizzarro.

È pallido… come se stesse bruciando.

Un peso crollò sul ragazzo e, quasi, lo schiacciò impedendogli di rialzarsi. Credette che non si sarebbe più mosso da terra, attendendo semplicemente la sua morte, ma ancora una volta comprese davvero per quale motivo il leader della Foglia fosse proprio quel tipo dalla faccia da schiaffi.

Forza Kankurō!” Kakashi gli mollò un calcio allo stinco, tanto si era approssimato a lui a furia di respingere la sua sottoposta senza sbalzarla indietro. “È solo fumo negli occhi… la tua famiglia ha bisogno di te” soffiò il capo villaggio mentre il ragazzo avvertiva l’effetto del suo colpo: una scarica di dolore e adrenalina gli percorse la gamba, salendo su fino al cervello, dove la sua coscienza dimorava.

Allora il ragazzo si risvegliò. Percepì la sabbia fra le dita distese. Strinse i denti sulle labbra, infuriato contro sé stesso, più di chiunque altro.

Che un tale bastardo m’abbia dovuto ricordare chi sono…

 

Il ninja della Sabbia s’issò in piedi in un lampo, dimentico del male e di quella sensazione di vorticante nausea. Non era altro che un’illusione, perpetrata con l’inganno.

“Così ti sei intrufolata nei miei ricordi… speravi davvero di trovarci qualcosa di utile, eh mostro?” Kankurō sputò a terra la sabbia, asciugandosi il mento con il dorso della mano. La creatura lo fissava furente da oltre Kakashi, tentando invano di superarlo. La mano della ragazza era incastrata nella presa del superiore.

“Be’… devo ammettere che mi hai fatto incazzare strega!”

Non avresti dovuto fare del male né a mio fratello, né ai miei amici.

Come se Nocnitsa gli avesse letto il pensiero, l’essere spinse l’Hokage animata da quella provocazione, pur venendo trattenuta dalla presa dell’uomo. Lui irrigidì la tenaglia del braccio dentro cui le aveva bloccato il pugno, spingendola a gridare per il dolore, anziché per la rabbia.

“Bene… ora che ho rimesso a posto entrambi… Ninja!” Il leader di Konoha alzò la voce sul finale, facendo riprendere gli shinobi rimasti a terra e scombussolati dall’attacco inaspettato della creatura. Tuttavia, si alzarono in piedi con gesti lenti. Alcuni scossero la testa come se un’arte illusoria li avesse spediti in un mondo diverso dal reale. Il ninja medico che aveva soccorso Ino restò in ginocchio. Kankurō avrebbe giurato che fili di lacrime gli scendessero dagli occhi.

“Ascoltatemi attentamente! Questo essere ha preso il controllo del corpo di Ino e potrebbe tentare di entrare nelle vostre menti… di farvi ricordare qualcosa di spiacevole… o di farvi ascoltare la vostra voce da bambini” fu impercettibile, ma il fratello di Temari e Gaara se ne accorse: l’uomo aveva esitato, prima di proseguire: “ma non dovete farvi cogliere impreparati! Un intero villaggio dipende dalla vostra prontezza di riflessi.”

“Giusto Hokage!”

“Noi della Sabbia non deluderemo la nostra gente!”

 

Come diavolo faccia a passare da un estremo all’altro in così poco tempo lo sa soltanto lui…

Lo shinobi di Sunagakure rimuginò assistendo al modo in cui i suoi colleghi avevano accettato lo sprono del capo villaggio alleato, anche se pochi muniti prima l’avevano squadrato in malo modo. Eppure ne era comunque contento.

Dobbiamo restare uniti fino a quando Ino e Gaara non ritorneranno fra noi.

La speranza aveva cominciato a crescere in lui da quando aveva sentito, nei pensieri di Ino, la richiesta d’aiuto verso la sorella. Aveva compreso che l’amica non si era arresa neppure nei momenti in cui il suo corpo era sembrato spento e privo d’energia.

Sono in debito con te… Me lo rinfaccerai fino alla fine dei miei giorni!

Kankurō si concesse il lusso d’un sorriso mentre i ninja della Foglia approfittavano del fatto che l’Hokage avesse ancora salda la presa sul braccio della collega per afferrarla, rendendola inoffensiva. Era terribile vedere il volto di Ino sfigurato dagli urli mostruosi della creatura. Al ragazzo si strinse lo stomaco, ma spinse le unghie nei palmi fino a quando il dolore gli schiarì la mente.

Devo essere forte. Ino, Temari, Shikamaru e persino l’Hokage si stanno impegnando per fare in modo che il piano funzioni… non sarò da meno!

Con quella ritrovata risolutezza, il ninja della Sabbia camminò verso il gruppo di ninja da cui la furia di Nocnitsa era controllata, nonostante stessero pagando il prezzo dei loro sforzi: vide che uno shinobi aveva morso il labbro inferiore, facendo sgorgare un rivolo di sangue, mentre le altre due kunoichi sembravano sul punto di far uscire gli occhi dalle orbite, talmente tenevano le palpebre spalancate.

In principio, il giovane non intese il motivo, ma ne ebbe una dimostrazione esaustiva appena giunse al loro fianco, sbattendo le palpebre per una frazione di secondo a causa della sabbia.

Tu… sei una nullità!

 

Kankurō sbarrò gli occhi in un lampo, ritornando con difficoltà al panorama del deserto, il quale appariva sfuocato e sconquassato da un terremoto che riguardava soltanto il suo animo.

Fece fatica ad ambientarsi in quel mondo dove si rifletteva la luce candida della luna, in cui le ombre non plasmavano i contorni di una figura che, nonostante gli anni trascorsi, conosceva poco, ma dalla quale non si sarebbe potuto separare proprio come non avrebbe potuto staccarsi il cuore dal petto.

Quella forma minuscola, d’un bambino, l’aveva fissato arcigno con i suoi stessi occhi. Con la sua stessa bocca e voce l’aveva udito lanciargli contro quell’offesa. Ne avvertì una nuova, sebbene si fosse allontanato da quel luogo dove l’aveva scorto. Una diversa brutalità che lo costrinse a sentire i propri muscoli fremere.

Ma tu cos’hai di speciale?! Tanta fatica per diventare un bravo marionettista… per essere il più stupido e incompetente della grande famiglia del Kazekage!

Il dubbio attanagliò il giovane, come se fosse quell’affermazione fosse stata una parte cruciale di tutta la sua esistenza.

No… non posso averlo pensato sul serio! Vero?

Si pose una mano di fronte alla bocca, stringendo le dita sulla mascella quasi la volesse staccare dal resto del cranio, ma una sulla spalla lo fece sobbalzare e desistere dai suoi intenti inconsapevoli.

 

“Forza Kankurō… come ho detto, è solo fumo negli occhi” il ragazzo si volse verso l’Hokage che fissava la sua sottoposta. Il sospiro di Kakashi racchiudeva molta stanchezza, anche se la sua voce non ne era in alcun modo intaccata.

“Lei sta bene… non è là dentro. Dobbiamo impedire che questa creatura ci infastidisca con le sue illusioni” il ninja della Sabbia lo vide pensieroso per un attimo, mentre nella testa di Kankurō continuava a serpeggiare la sua vecchia voce, ricolma di stridulo sdegno per lui e tutto ciò che era. Ne era inebetito.

“Non so se sia possibile metterla fuori gioco… ma forse conosco un sistema che potrebbe ricacciarla dentro il corpo di Ino e bloccarla.”

“Questo non la metterà in pericolo?” domandò il fratello maggiore del Kazekage d’impulso, la voce incrinata da sabbia e instabilità. C’era qualcosa di sfuggente nell’aria: la luna piena era ancora larga e ingombrante in quel cielo sempre più chiaro, in cui la luce purpurea dell’alba lambiva l’orizzonte e consegnava l’odore salmastro di un mare lontanissimo. Sembrava quasi fosse il cielo l’oceano dove sarebbero sprofondati in un’eterna notte.

“Ovviamente, può essere solo una soluzione temporanea… anche se non so quanto sia possibile: questa… Nocnitsa non mi sembra una di quelle normali creature con cui si possa stringere un patto di sangue. È…” persino Kakashi pareva incerto. Grattò la testa con l’indice, lasciando che la chioma argenta ondeggiasse come vele d’una barca.

Sembra… più umana del dovuto” Kankurō non seppe perché, ma un singulto gli attraverso lo stomaco. Non gli piacque, per niente.

“Be’… penso che lo scopriremo quando Temari e Shikamaru avranno finito la loro luna di miele” detto questo, lo shinobi di Suna seppe che la conversazione col Sesto Hokage si era conclusa. L’uomo non aggiunse più nulla mentre si dirigeva verso l’allieva del compianto Asuma. In mano, ricomparso dalla manica della giubba, ciondolava il kunai.

 

Kankurō vide a rilento la scena, al punto da credere d’esser vittima di una delle famose arti illusorie di Kakashi dello Sharingan. Non provava quel senso di lealtà che l’aveva indotto a frapporsi fra l’uomo più micidiale di Konohagakure e il corpo inerte dell’amica. C’era attesa, forse persino speranza.

Osservò il leader del villaggio alleato impartire ordini ai ninja medico. Li vide accorrere e formare un sigillo sulla pelle di Ino, in grado di contenere all’interno lo spirito di Nocnitsa. L’Hokage si muoveva piano. La lama del kunai era rilucente di chakra.

Il fratello di mezzo di Temari e Gaara non aveva alcuna idea in merito. Del resto, c’erano così tanti misteri in quella strana storia che lo stesso riflesso della luna gli appariva semplice come un chiaro segno.

Ma di cosa?

Si chiedeva il giovane scorgendola sempre più grande e chiara, quasi li dovesse inghiottire tutti in un suo cratere grigio.

L’unico che ci capirebbe qualcosa sarebbe Gaara!

Quella riflessione, arrivata un po’ per gioco, leggera nell’intento di evocare un’immagine del fratello più serena, si tramutò in un’improvvisa sentenza di condanna.

“Attento Hokage!” urlò di getto fiondandosi verso l’uomo che stava puntando il kunai contro il petto di Ino.

Udì le grida arrabbiate degli shinobi di Konoha, i loro piedi che scattavano per raggiungerlo. Non avevano dubitato nemmeno un istante delle loro più tristi previsioni. Ma non sarebbero stati abbastanza veloci da fermarlo, non con Sasori che gli copriva le spalle. Non con la sabbia che afferrava le loro caviglie, ostacolando ciascuno di loro.

 

Arrivò appena in tempo per sbalzare il Sesto Hokage lontano dalla linea di tiro d’un dardo di sabbia. Lo comprese perché la cassa toracica sbatté contro la sua pelle, spezzandosi lungo la costola sorpresa direttamente dall’attacco.

Kankurō annaspò cercando l’aria. Trovo il dolore nel gesto del respiro, nell’osso rotto che pungolava i suoi organi vitali. Precipitò a terra deviando col braccio, per pochi centesimi di secondo, un’altra scarica di dolore alla schiena. Gemette con il fiato mozzato.

Kakashi era in piedi di fronte a lui, salvato da quella caduta rovinosa grazie al suo sconsiderato gesto di generosità.

“Spostatevi!” lo sentì gridare girato verso i ninja medico, ma entrambi non ebbero modo di vederli eseguire l’ordine del loro superiore: un’ondata di sabbia li travolse, liberando Nocnitsa dalla sua prigione. Fu la rivelazione mediante cui compresero appieno chi si era nascosto fino a quel momento.

 

Una mano minuscola si sporse dai limiti della gabbia di sabbia dentro il quale Gaara era rinchiuso. Fra fitte di dolore e rabbia, Kankurō ne riconobbe l’incarnato pallido e, quando il proprietario dell’arto si discostò del tutto dal suo nascondiglio, il ragazzo ne distinse istintivamente i lineamenti del viso, dello sguardo azzurro. Era ciò che si era annidato nei suoi ricordi alla stregua di incubi e che, in quel momento, non poteva più rinnegare.

Forse è stato meglio così… Temari non ce l’avrebbe fatta.

Il piccolo Gaara del Deserto lo fissò come se gli avesse letto i pensieri. Gli sorrise con quell’aria dolce di bambino quale appariva, sebbene fosse lezioso, vuoto, quanto un dipinto su cui poggiasse la luce. La sabbia gli scorreva attorno. Senza che Kankurō o l’Hokage se ne fossero accorti per tempo, aveva rivestito gli altri ninja presenti serrandoli in gabbia simili a quella del Kazekage.

Quel ricordo vivente era apparso dal nulla e dal nulla parlò mentre la sua creatrice lo raggiungeva facendo sì che sul corpo di Ino aleggiasse lo spettro di un chakra che non le apparteneva, carico di una negatività che penetrava nella testa, quasi impedendo a Kankurō di sentire la voce del fratello minore.

“Ciao fratellone” lo apostrofò quel bambino del passato. Ancora bloccato a terra, il ninja della Sabbia ne fu alzato da una spinta di sabbia dura come pietra, che lo tenne in piedi contro la sua volontà.

Avvertiva i muscoli e le ossa doloranti. Con la coda dell’occhio mirò Sasori inerte a distanza da lui. Ma i suoi erano tramortimenti di poco conto in confronto a quel sorriso, a quella voce gelida con cui aveva sperato di non dover convivere mai più.

“Pronto a morire?” un soffio sfuggito da labbra innocenti per età, non per inesperienza nel pronunciare quel tipo di minacce. Kankurō ne fu profondamente ferito, per motivi tanto diversi fra loro.

“No, Gaara… non lo sono mai stato” rispose sentendo la propria voce malinconica.

Il bambino non replicò. La sua reazione fu il guizzo d’un dardo di sabbia che partiva per il cuore del fratello maggiore.

 

Il crepitio viola d’un fulmine a ciel sereno ne distrusse la forma, spargendo granelli di sabbia ovunque. L’Hokage era in piedi, respirava a fatica, ma un altro fiotto purpureo gli scoppiettava fra le mani. Lo scagliò al suolo, inondando la sabbia tumultuosa di lampi con cui disfò la consistenza delle gabbie da cui gli shinobi erano fermati, rigettandola nella spuma di un deserto oceanico.

Parve che un unico sospiro s’issasse dai loro polmoni compressi. Lo stesso Kankurō ritrovò un po’ di vigore percependo i muscoli delle braccia e delle gambe scarcerati dalla presa della sabbia di Gaara.

In momenti come questi… vorrei che ci fossi tu al mio fianco.

Il ragazzo sorrise. Il suo pensiero raggiunse il ricordo di una kunoichi che l’aveva medicato tante volte, salvandogli addirittura la vita una volta. Pensò a quei capelli rosa che gli cadevano sul viso quando stringeva una fasciatura sul suo braccio, a quegli occhi verdi che s’alzavano sul suo viso e gli sorridevano ancor prima di compiere il gesto con la bocca.

Kankurō ne restò rapito più a lungo di quanto avrebbe dovuto, smarrito in una sensazione di perduta speranza che lo accomunava a quella visione. Ne udì un fugace momento, tratto da una chiacchierata di cui ricordava ben poco, se non il desiderio inespresso d’abbracciare quella giovane e quella sua voce dolce, dentro cui dimorava uno spettro che non era mai riuscito a scacciare via da quei momenti.

“Coraggio Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage così dolorante!”

 

Hai ragione… come potrei darti torto?

A quel punto, il giovane rialzò gli occhi dal terreno incrociando la figura eretta dell’Hokage. Lui guardava davanti a sé il fianco del piccolo Gaara e il corpo di Ino posseduto da quegli occhi rossi e da quella bocca contorta in un ghigno. Poteva avvertirne l’incanto sul suo cervello appena riscossosi da quel suo rifugio personale e ne notava l’effetto anche sui ninja liberi dalla presa della sabbia, i quali sembravano ondeggiare a un vento impalpabile, travolti da riflessioni che si leggevano sui loro sguardi affranti.

Alcuni piangevano. Il ninja medico che aveva soccorso Ino era rannicchiata a terra, scossa da tremori. Erano tutti vinti dalle immagini di quella strega.

Restiamo solo io e l’Hokage…

Sasori schizzò al suo fianco, guidato dal richiamo del chakra fra le dita del suo padrone. Per un istante, la marionetta gli rammentò come l’avesse ottenuta e, soprattutto, chi l’avesse sconfitta rendendola solo il ricordo della persona che, un tempo, era stata. Sakura aveva sempre la forza di ritornargli nella mente.

“Ehi moccioso… pensavi che sarebbe bastato così poco per fermarci?” Kakashi parlò con tono di scherno, però la situazione e il suo corpo lo tradivano: i suoi shinobi e gli alleati non erano in grado di sostenere nessuno scontro e le sue spalle rabbrividivano sotto il peso respiro, quasi questo potesse spezzarsi da un momento all’altro. Le ombre da cui le sue orbite erano circondate contrastavano con il suo sguardo sgranato a forza.

Gaara non trovò necessario scrutarlo. Fissava il fratello maggiore con una strana furia che indusse il ragazzo a indietreggiare. Gli incubi di Nocnitsa, i sussurri della sua voce da bambino, picchiavano i limitari del suo inconscio, ma non lo avevano piegato.

“Credevo che un assaggio ti avrebbe sistemato, ma mi sbagliavo… vuoi essere colpito dove ti farà più male” replicò il Gaara del passato avanzando verso il suo obiettivo, mentre la creatura da cui il corpo di Ino era guidato si dirigeva verso Kakashi.

Così deve essere…

Kankurō esalò un sospiro, portando le mani vibranti di chakra all’altezza del viso. Sasori seguì i cenni delle sue dita, frusciando davanti al suo marionettista. Scintille di fuoco già scoppiettavano dalla schiena dell’arma.

“Morirai per mano di un tuo ninja…” sibilò Gaara un’ultima volta contro il suo pari grado. Poi, ordinando alla sabbia un balzo immenso, chiuse definitivamente i rapporti con quella figura che non lo interessava granché, rispetto a Kankurō.

 

“Allora fratellonedove eravamo rimasti?” domandò il bambino mentre la sua sabbia copriva il cielo issando un muro tramite il quale sigillò quello scontro privato dal resto del mondo. Una discussione fra fratelli.

Il maggiore tese i muscoli, armeggiando con la tasca dei pantaloni dove si trovavano le pergamene con cui poteva evocare le altre marionette. Solo il cielo poteva sapere quanto gli sarebbero servite!

“Al fatto che tu sei solo un brutto ricordo del passato… e che mi dispiace considerarti tale” Gaara rise mandandogli un brivido lungo la schiena. Aveva un che di quella risata di cui si sarebbe ammantato una volta cresciuto: eterea, come l’ultimo sogno prima di svegliarsi.

“È un po’ tardi per credere a certe cose, non trovi?” chiese il bambino accarezzando un fiotto di sabbia che lo stava affiancando. L’unico contatto che aveva avuto per tanti, troppi anni.

“In questo mondo esisteremo soltanto io e la sabbia, fratellone… adesso muori e lasciami respirare” finì così il loro scambio, quasi fosse stato un’espressione tardiva di quell’epoca vissuta scrutandosi con rabbia e timore alteri. Iniziò quella lotta a cui non erano mai davvero giunti.

 

La sabbia di Gaara scattò dappertutto, causando una mareggiata polverosa impressionante per un bambino tanto piccolo e per un obiettivo singolo.

Con Gaara le cose non sono mai state semplici…

Rifletté il fratello amaro. In circostanze diverse si sarebbe messo a ridere. Invece, indurì il viso balzando in aria, deviando parte della sabbia con lo Scudo di Luce Meccanica inserito nel braccio di Sasori. Riuscì a evitare che la sabbia gli ostacolasse il salto, o che penetrasse fra i delicati ingranaggi della marionetta.

Ma chissà per quanto tempo riuscirà a tenerti testa…

Kankurō si muoveva in automatico, condotto da fili che non erano fra le sue mani, eppure connessi al suo istinto e alla sua esperienza. Con un’unica e fluida articolazione delle dita, dallo stomaco di Sasori fece guizzare il cavo imbevuto di veleno, mediante cui bersagliò il fratello al suolo. Un attacco inutile, privo di mordente. L’aveva già capito.

La sabbia si era scontrata con l’arto artificiale della marionetta. Il piccolo Gaara del Deserto aveva fissato lo spettacolo a braccia incrociate.

In fin dei conti… sei o non sei il Kazekage dalle difese impenetrabili?

Kankurō si scoprì a sorridere. Un misto d’orgoglio e compassione che lo portò oltre i confini di quella battaglia già scritta, perché la sua conclusione era scontata.

Mi dispiace, fratellino… credo davvero di essere stato la tua più grande delusione.

Il ragazzo evocò Karasu e Kuroari, in modo tale che le marionette s’insinuassero nel mezzo della piccola tempesta di sabbia aizzata da Gaara contro di lui. Dovevano intrappolarlo, ma il fratello maggiore conosceva il risultato di quel nuovo tentativo. La sua spinta verso l’alto stava scemando. L’unico modo per difendersi dal tumulto creato da Gaara era pregare che le difese di Sanshōuo non saltassero.

Almeno Temari aveva la scusa di essere un bersaglio avvincente… ma di un fratello che manda avanti le sue marionette cosa te ne saresti dovuto fare?

Sanshōuo sbucò dalla restante pergamena, la sua ultima risorsa. Si avviluppò attorno al padrone come un fedele sottoposto disposto a dargli la vita. Quando precipitarono a terra, il ragazzo capì che stava rimandando l’inevitabile.

La tempesta sbraitava contro le pareti della marionetta, scovando qualche spiraglio dove intrufolarsi. Il ninja ne sentì l’odore marcescente che lo spinse ancora più a fondo nel suo stato quasi semicosciente.

In fondo… sono solo una tua brutta copia.

 

Lui e la marionetta si schiantarono. Le ossa rotte s’impadronirono del suo cervello, scagliandogli addosso un macigno di dolore. Kankurō urlò, le dita rattrappite nei palmi delle mani. Il fiato entrava nei polmoni solo per prolungare la sua sofferenza.

Sakura… dove sei?

La domanda ebbe un’improvvisa risposta al suo fianco, ove confluirono tutti i suoi ricordi della kunoichi: accanto a lui, non poteva nulla per il male che stava cominciando a sfaldare i suoi sensi, fino a farla rassomigliare al miraggio che era. Eppure, la sua voce era dolce e chiara come la rammentava, piena di malinconia.

“Coraggio Kankurō! Non fa bene al morale vedere il fratello del Kazekage così dolorante!”

 

A quel punto, una risata arsa secca gli uscì dalla gola dentro cui cresceva la quantità di sabbia. Con essa, l’immagine della ragazza sparì dalla sua memoria, salvandolo da quel mondo fatto solo di puro dolore.

Hai ragione… come potrei darti torto?

Il male passò. Venne respinto da quel ritrovato coraggio che gli aveva concesso di rialzarsi in piedi scardinando la placca con cui era chiuso il dorso di Sanshōuo, simile a un’enorme lucertola. La tempesta di sabbia non era più tanto persistente: aspettava, pazientemente. Plasmava uno spiazzo in cui l’atmosfera era immobile. Un luogo dove poté incrociare gli occhi di Gaara senza paura di restare accecato dal pulviscolo. Quella memoria vivente lo fissò con un sorriso beffardo, il quale non si estese oltre i limiti delle labbra.

“Delle difese banali, Kankurō. Avresti dovuto imparare meglio la lezione delle mie armature di sabbia.”

Il ragazzo esplose in una risata fragorosa, quasi inducendo un sobbalzo al fratello minore. Il ninja della Sabbia aveva un male tremendo. Ogni muscolo si contraeva, portando col suo moto un osso spezzato che lo feriva internamente.

Ma non poteva smettere. Sentiva la voce di Sakura che lo incoraggiava da dentro il suo cuore. Avrebbe persino pianto dal ridere, se il rischio di un fraintendimento da parte di Gaara non avesse respinto le lacrime indietro.

“Hai ragione, fratellino... ma cosa sarebbe l’artista senza un imitatore?” la sua voce era ilare, pur avvertendo il suo corpo che si ribellava alla volontà. La sua mente, invece, ripensò a quei pomeriggi d’infanzia passati a fare e disfare i marchingegni di Karasu. Era sempre pronto a immaginare con quale sistema riprodurre meglio le abilità difensive di Gaara, o quali armi inserire nei meccanismi per superare le abilità offensive di Temari.

Fratelli miei… sono solo una marionetta che si finge umana.

 

Gaara aveva perso il sorriso. Scrutò a lungo il viso di Kankurō, quasi desiderasse perforare quegli occhi bruni e lucidi, in cui scintillava uno spirito indomito. Eppure, quello sprovveduto fratello maggiore non poteva nulla contro il potere di quel Gaara infantile, che non aveva né la forza, né la volontà di fermare.

Lasciò che la sabbia lo circondasse e risalisse il suo corpo stanco, sebbene fosse all’apparenza fiero. Scorse gli occhi di Gaara un’ultima volta, prima che il buio si chiudesse su di lui.

“Allora farò in modo che la copia sparisca da questo mondo, lasciando intatti gli originali… spero che la sabbia non ti uccida troppo presto” udì la voce di Gaara ovattata nelle orecchie già piene di sabbia. Gli stava perforando i timpani.

Kankurō sentiva un dolore atroce, ma non poteva gridare. La sabbia s’infilava nelle fessure della bocca, cercando una breccia fra i denti serrati.

I miei peggiori incubi si stanno avverando…

Negli occhi ormai completamente rivolti indietro, rivissero i volti atterriti di tutti gli shinobi che avevano incontrato la morte nelle tombe di sabbia predisposte da Gaara. Rammentò il rumore delle loro carni che si spappolavano e il clangore delle loro ossa. Si chiese se anche il suo corpo avrebbe subito lo stesso disgustoso effetto.

Almeno… la mia morte non sarà dovuta a una schifosa strega.

Kankurō ebbe un singulto alla cassa toracica, proprio mentre la sabbia gli spezzava qualche altra costola. Eppure, i suoi pensieri lo abbandonavano solo per andare agli unici due ninja di cui conservasse la memoria, in quegli istanti di veglia.

Dove siete?

Il buio inghiottì il suo corpo, ma non la sua domanda.

 

Ino… dove sei?

In un altro universo oscuro, la kunoichi della Foglia udì quelle parole pronunciate da una voce familiare. Non era la sua, né di qualche altro ninja che fosse rimasto con lei nel deserto. Quando aprì gli occhi, si spalancarono dallo stupore.

Temari la fissava dall’alto, sorridendo. Non era veramente la donna che conosceva. Lo distingueva chiaramente dall’alone bluastro da cui era circondata, quasi rendendo il suo corpo informe. Aveva, inoltre, la capacità di riversarle nel corpo un gran tepore, da cui era sospinta a mettersi a sedere.

“Dove siamo?” chiese Ino rammentando tutto quello che aveva fatto prima che svenisse. L’immagine di Temari giunta in suo aiuto non rispose, forse non ne aveva la capacità Lasciò che la kunoichi alleata percepisse sotto i palmi gli spigoli del suo ventaglio d’acciaio e, fra i capelli, il vento.

Siamo in alto… ma in quale parte della mente di Gaara?

Osservò la giovane. S’affacciò da uno dei bordi dello strumento sopra cui entrambe viaggiavano. La sorpresa ebbe modo di afferrarla nuovamente.

“Questo… Questo è…”

 

“Proprio così, Ino. È l’Assalto al Villaggio della Foglia.”

 

Continua nel Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce

 

 

 

 

 

 

 

  
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