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Autore: BreathE    16/04/2021    3 recensioni
Valanyar è stata portata nella Terra di Mezzo da Gandalf per aiutarlo con il futuro della Compagnia dell’Anello e distruggere Sauron, ma aver letto un libro e vivere una vera avventura sono due cose completamente diverse.
Riuscirà a portare a termine il compito che le è stato affidato, oppure cadrà mutando per sempre il destino dei nostri eroi preferiti?
Tra cambiamenti di copione improvvisati e il mondo degli uomini che la crede un ragazzo, Valanyar cercherà di proteggere a tutti i costi la sua nuova famiglia mentre lotterà per il suo posto nel nuovo mondo.
*
Ragazza dei giorni nostri finisce nell’universo del Signore degli Anelli. Niente di più scontato.
PARING: Legolas/ Nuovo Personaggio
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Faramir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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▌ Capitolo 15  ▌
 
 








 
«  Qualsiasi persona normale di tanto in tanto prova la tentazione di sputarsi nelle mani,
issare la bandiera nera e cominciare a tagliare le gole. »

 
__H. L. Mencker
 









Inginocchiata davanti ad una colonna coperta da un telo, con niente e nessuno a tenermi compagnia se non i miei stessi pensieri, non avevo idea di come stesse andando lo scambio di battute sopra di me.
Avrei giurato, di aver udito la voce di Pipino rimbombare lungo le gallerie, ma era stato un suono così sordo che probabilmente me l’ero solo immaginata.
Sbuffai verso l’alto, cercando di togliermi dalla faccia l’ennesimo ciuffo di capelli che mi ricadeva sugli occhi. Aragorn era davvero un pessimo parrucchiere armato solo di un coltello, e senza l’olio elfico a domare i miei capelli, alcuni ciuffi mi continuavano a cadere davanti il viso irritandomi a morte.
Fu così che mi trovò Denethor ore dopo, irritata dai capelli e dolorante dalla ferita sul fianco.
Quando apparve nel mio raggio visivo, ovviamente non gli dedicai niente di più che uno sguardo annoiato. Non avevo riconosciuto i passi che si erano fatti sempre più vicini nelle gallerie, ma era stato proprio quello a mettermi in guardia. Avrei dovuto immaginare che Boromir non sarebbe tornato immediatamente, probabilmente aveva cercato di avvicinare Faramir, oppure non voleva rischiare di dare troppo nell’occhio continuando a scendere per parlare con un prigioniero, in ogni caso, adesso mi ritrovavo disarmata ed incatenata ad un muro, mentre suo padre mi si stagliava di fronte nel pieno delle sue forze e con un ghigno soddisfatto ad incorniciargli il viso.
Decisi, che le mie possibilità di metterlo al tappeto erano comunque del quaranta per cento, sessanta se solo si fosse avvicinato un po’ di più.
« E questa fu la fine di Gwend, guerriero sconosciuto, dimenticato da tutti. Scommetto che Mithrandir non aveva previsto che avresti fatto una simile fine » commentò con le mani riunite dietro la schiena e sporgendosi leggermente con il viso verso di me, come se parlasse ad una bestia con la quale si sentiva particolarmente misericordioso.
« Se la mia fine vi sembra divertente sovrintendente …  Allora adorerà cosa il destino ha in serbo per voi » risposi guardandolo attraverso le ciglia e concedendomi perfino un sorriso malizioso, che si abbinò alla perfezione con lo sguardo d’odio che mi dedicò subito dopo, seguito da una smorfia piena di rabbia.
« Stai mentendo » soffiò iniziando a fare su e giù davanti a me, ritornando ogni pochi metri al punto di partenza.
Mi limitai a ridacchiare sottovoce, ignorando le sue richieste solo per rispondergli con delle frasi senza senso in elfico che lo irritavano e spaventavano solo di più non essendo in grado di comprendere la lingua.
« Smettila! » urlò tirandomi uno schiaffo con il dorso della mano. Sarebbe stato il primo di tanti, ma io mi limitai a continuare a guardarlo attraverso le ciglia, mentre gli sorridevo, godendomi la furia che prendeva possesso del suo sguardo ogni volta che mi rivolgeva una domanda a cui io non avrei dato risposte.
« Non vuoi dirmi dov’è l’anello? E va bene, come potrà Gondor sovrastare il potere dell’Oscuro? Le sue armate sono a pochi giorni da noi se ti interessa vivere, dovresti dirmelo. » disse assumendo un tono di voce che forse in altri tempi, sarebbe stato persuasivo, ma che oggi era rotto dalla paura e dalla fretta.
« Finalmente una domanda intelligente » risposi bagnandomi le labbra secche con la lingua. Denethor si avvicinò di qualche passo interessato, probabilmente credendo di avermi finalmente piegato.
« Rinuncia alla tua carica, metti Faramir al tuo posto così che Gondor avrà un uomo degno al suo comando per l’arrivo del Re » dissi guardandolo retrocedere di nuovo di qualche passo.
« Gondor non ha bisogno di nessun ramingo da strapazzo. A Gondor non serve un Re! A me, io ne sono il sovrano! » urlò sputando nella foga piccole particelle di saliva.
« Non ti è concessa l’autorità per negare il ritorno del Re. Sovrintendente » gli ricordai sputando l’ultima parola come veleno mentre lui riprendeva a fare su e giù come una folle, inveendo contro me, Gandalf, Aragorn e chiunque ritenesse di averne colpa.
« Qualunque cosa hai passato con Boromir sarà una sciocchezza rispetto a quello che ti farò passare io se non risponderai alle mie domande!!! » urlò infine rabbioso Denethor tirandomi un ceffone sul viso, spaccando con facilità il mio labbro inferiore, a causa del mio lieve stato di disidratazione.
Sorrisi, passandomi la lingua sul taglio che il suo anello mi aveva procurato e continuando a sorridergli, godendo della follia che si faceva sempre più strada nel suo sguardo, frustrato dalla mia mancanza di collaborazione.
« Attento sovrintendente, tutto ciò che mi farai, ti verrà restituito dieci volte tante. Io. Lo. Vedo. » sussurrai pronunciando le ultime parole e imitando uno sguardo da folle.
Non dovetti sforzarmi troppo, poiché l’esempio perfetto ce lo avevo comunque davanti agli occhi mentre mi vedevo riflessa nel suo sguardo, che per un attimo si impregnò di paura, prima di sputarmi in viso, maledicendomi con tutto se stesso ed allontanandosi di qualche passo.
« Non mi fai paura! » mi urlò contro, evidentemente spaventato ma anche pieno di rancore.  « Ti farò rimpiangere la tua supponenza ! Scommetto che vorrai parlare eccome con me, dopo qualche giorno, in sua compagnia! » urlò come un esaltato, scoprendo il colonnino che si trovava a qualche metro da me e rivelandomi finalmente cosa nascondeva il telo bianco.
La sfera di Anor.
« Vedremo se riderai ancora! » disse sputando nuovamente ai miei piedi, mentre si affrettava ad uscire dalla stanza, risalendo per la galleria e lasciandomi una volta per tutte.
 


 
 
 
 
Bruciavo.
Stavo bruciando ma la mia pelle non si disintegrava e la voce nella mente non mi dava pace, aumentando il fuoco, aumentando il dolore. Anche quando non mi sembrava più possibile continuare a sopportare oltre, il dolore aumentava, ferendomi la gola. O forse erano le mie stesse grida a ferirmi, mentre mi dimenavo, cercando di liberarmi dalle catene che mi imprigionavano i polsi ed ignorando il dolore della pelle che veniva lacerata. Che cosa importava? Era solo un dolore sopra l’altro ed io stavo bruciando.
Sentivo l’Oscuro pormi domande su Frodo e l’unico anello ma io lo ignoravo, serrando gli occhi.
Lui mi continuò a lasciarmi ardere, fino a quando non mi ritrovai ad essere solo un corpo accasciato su se stesso, sfinito e dolorante, tenuta in posizione semiseduta solo dalle catene che mi imprigionavano i polsi.
Il fuoco cessò ma il mio sospiro di sollievo durò poco poiché iniziarono le visioni:
 
Vidi Elrond rinchiuso in una prigione fatta di pietra, il suo viso era illuminata da una luce fioca che non proveniva dall’interno della stanza. Io suo occhi erano spenti e del Re forte e austero che conoscevo non vi era che un pallido ricordo. Il suo viso era smunto e magro, gli occhi infossati. A quella vista, il mio cuore pianse chiedendomi chi avrebbe mai potuto fare una cosa simile ad un signore degli Elfi.
Scossi la testa cercando di ricordarmi che non era reale, era tutto un imbroglio di Sauron.
« Valanyar, figlia mia » mormorò l’elfo nella visione, alzai gli occhi involontariamente, incontrando i suoi. Apparve l’ombra di un sorriso prima che riabbassasse lo sguardo parlando tra sé e sé « No non può essere lei… Valanyar non c’è più. Via … Via … E’ andata via » riprese sottovoce mentre io mi sentivo morire, con gli occhi pieni di lacrime che mi appannavano la vista, ma non riuscivano ad offuscare il dolore che quella visione mi procurava.
Rimasi in quella cella con Elrond per quelli che mi parvero mesi ma alla fine, la scena cambiò.
Vi era la Contea in fiamme, gli hobbit che avevo imparato a conoscere ed amare viaggiavano legati con delle catene. Frustati e costretti al lavoro forzato … Tutto ciò che vi era stato di bello in quella terra, era svanito sotto il passaggio del nemico.
Seguivo Sam con lo sguardo, cercando di non pensare a quello vero, per non guidare il nemico sui loro passi, mentre passava davanti casa Baggins.
Adesso il giardino era in rovina, gli alberi da frutto di Bilbo erano morti, uno Stregone crudele ora vi abitava all’interno. Vidi Grima che dalla finestra incrociò il mio sguardo e mi sorrise: « Ora sai cosa si prova » sembrava dirmi.
 Lo ignorai tornando con lo sguardo sugli hobbit che avanzavano, feriti e doloranti lungo il sentiero lasciandomi lì, inerme, ad assistere alla scena mentre i miei amici veniva frustati davanti i miei occhi.
La scena cambiò ancora, ancora ed ancora.
Ogni tanto la voce di Sauron si faceva viva e mi chiedeva perché continuassi a combattere, arrendersi sarebbe stato così semplice, ma io stringevo i denti e chiudevo gli occhi.
Era una menzogna, tutta una menzogna, solo una menzogna.
Ero più forte di così, potevo farcela. Potevo sopportarlo.
 
“ Fa così male” pensai mentre delle nuove lacrime coprivano la scia di quelle oramai secche  che mi avevano rigato le guance, ed io urlavo con la gola che mi bruciava poiché non potevo sapere se erano passate ore o giorni dall’inizio di quelle visioni.
Balbettavo incoerente, supplicando Sauron di smetterla, mentre cercavo di schermare la mia mente per impedirgli di propormi altre immagini dolorose.
Ma ricordarmi che erano tutte menzogne del nemico, si faceva sempre più difficile mentre gli singhiozzavo di smetterla … E poi, finalmente tutto si fece buio, spengendo insieme tutto il dolore e permettendomi nuovamente di avere pieno accesso ai miei pensieri.
Alzai lo sguardo titubante sulla colonna, scoprendola nuovamente sicura, sotto un telo bianco e davanti ad essa, un hobbit con il fiatone la guardava con un’espressione disperata.
« Pipino! » urlai quando lo riconobbi, facendolo girare su se stesso per riuscire a vedermi incatenata al muro, l’hobbit mi corse incontro abbracciandomi con tutta la forza che aveva in corpo mentre incurante del mio stato mi stringeva a sé, affondando il viso tra mio il collo e la spalla.
« Oh Valanyar sei viva! Che gli Dei siano benedetti lo sapevo » singhiozzò a pochi centimetri dal mio orecchio. Con le mani mi lisciò all’indietro i capelli, osservando il mio viso e ridendo con me una risata piena solo di tutto il dolore che si era portato dietro fino a quel momento.
« Mi dispiace Pipino, ho dovuto farlo capisci? » dissi guardando l’hobbit che ancora piangeva lacrime di felicità, mentre si passava la manica sotto il naso, annuendo vigorosamente.
« Ho capito che c’era qualcosa che non andava. Tu che venivi cattura e proprio per questo Faramir veniva risparmiato … E quando poi Gandalf ha detto che era stata un crudele coincidenza che Boromir avesse usato le stesse parole di Re Théoden …  Beh ti conosco, non esistono le coincidenze » mormorò lui tirando nuovamente su con il naso.
Lo guardai con il cuore che sembrava potermi esplodere da quanto mi sentivo fiera di lui. Pipino non era altro che un ragazzo, troppo giovane per essere lanciato nel bel mezzo di una guerra eppure noi, i grandi, saremmo stati spacciati senza di lui.
« Sei stato bravo Peregrino Tuc » mi complimentai con lui sorridendogli di nuovo e abbassando finalmente lo sguardo sul suo vestiario « Sei una guardia della Cittadella ora? » domandai riconoscendo i suoi abiti. Li avevo visti anni prima indosso a Faramir, anche se già ai tempi all’uomo andavano stretti.
« Boromir mi ha dato l’incarico, ha detto a suo padre che gli avrebbe fatto comodo avere una “leva di scambio”. Non mi piace per niente, ma almeno ha distolto l’attenzione di Denethor da Faramir » aggiunse guardando l’albero bianco, che sulla casacca blu, ora gli ornava il petto.
« Boromir ha convinto suo padre che farti suddito, era un’ottima occasione di rivalsa verso Gandalf. Dato che ha dimostrato tanto attaccamento verso i mezzuomini » gli spiegai mentre Pipino studiava le catene che mi stringevano i polsi, tirando gli anelli al incassati al muro, come se vi fossero speranze che potesse strapparle a mani nude.
« Tu per caso non hai le chiavi per aprire questi cosi vero? » domandò Pipino mentre io gli lanciavo uno sguardo divertito attraverso le ciglia.
« No temo non sia usanza di Gondor lasciare le chiavi ai prigionieri » risposi con uno sbuffo « Perché non provi a chiedere a Faramir? Questa è casa sua saprà come funzionano » proposi mentre il giovane hobbit annuiva, assicurandomi che sarebbe tornato a breve prima di riprendere a correre verso la galleria e poi sù per le scale.
 
 
 

 
A quanto pareva Boromir le chiavi le aveva lasciate proprio a Faramir. Peccato che il giovane non se ne era accorto in un primo momento, troppo impegnato ad insultare il fratello maggiore, chiedendogli come aveva potuto uccidermi solo per ordine diretto del loro padre e perché non capisse che aveva solo cercato di fare la cosa giusta, guidando l’anello lontano da Gondor.
Boromir ovviamente durante la scenata aveva mantenuto la sua parte, additando il fratello come un traditore e ricordandogli quale fosse il suo posto, oppure, non lo avrebbe più potuto difendere con suo padre. Nel frattempo Denethor si era gustato la scena sbocconcellando dell’uva e dando dell’idiota al figlio minore.
Quando Faramir mi vide in catene, impiegò quasi tutta la strada del ritorno per credermi ed accettare il fatto che Boromir mi aveva sì incatenato ma che eravamo tutti dalla stessa parte, contro il loro folle genitore.
Beh questo moderatamente, ovviamente il Capitano di Gondor non voleva saperne niente di Aragorn e di un futuro Re, ma non potevo certo chiedergli di fare pace con tanto odio radicato, in pochi giorni, vi sarebbe stato tempo per dettaglio.
Raggiungere l’ala del palazzo dedicata a Faramir fu più facile del previsto, grazie alla carenza di guardie durante la notte, ma personalmente fu un tortura. La strada pareva non finire mai, il fianco mi faceva male, avevo sete e fame senza contare che non avevo la più pallida idea, di quanto tempo avessi passato in quelle segrete.
Quando finalmente, mi ritrovai sdraiata sulla branda del giovane Capitano, quasi gemetti di piacere.
« Accidenti ma che diamine ti è successo? » mi domandò Faramir mentre sfasciava la mia ferita, scoprendola. Evidente la fasciatura di Boromir non aveva retto, ma non c’era da meravigliarsi dopo quasi ventiquattro ore passata incatenata alla parete.
« Beh tuo fratello mi ha affettato e tuo padre mi ha dato qualche manrovescio » risposi accennando un sorriso ironico, per non caricarlo di troppi rimorsi inutili. Niente di ciò che era successo era colpa sua, e Faramir doveva smetterla di caricarsi sempre di tutto il peso del mondo.
« Comunque non è grave come sembra » aggiunsi tirandomi leggermente su con i gomiti, osservando la ferita da quella strana angolazione.
Aveva ripreso a perdere sangue e anche se non stavo più svenendo come qualche giorno prima, non lo ritenevo un buon segno.
« Non è grave? E’ un miracolo che la lama non ti abbia reciso qualche organo. Saresti morta » disse ricoprendo immediatamente la ferita con delle garze pulite e applicano un po’ di pressione, per non disperdere il sangue.
«Pipino nella cassapanca del bagno, troverai una cesta con delle scatole, dentro di vi sono ago e filo. Sterilizzali e portameli d’accordo? » disse gridando oltre la sua spalla, mentre io trattenevo una rispostaccia. Anche quella non era colpa di Faramir, stava solo facendo il minimo indispensabile per non farmi morire nel suo letto, dovevo apprezzare il suo senso di cavalleria.
 L’hobbit iniziò a trafficare da qualche parte oltre la porta, sicuramente eseguendo gli ordini che gli erano stati impartiti mentre io ripensavo alle parole di Faramir.
« Forse ci sono andata vicina, non posso esserne sicura. So che della mia guarigione se ne è occupato Legolas ma non ho avuto il tempo di porgli domande » aggiunsi schiarendomi la voce imbarazzata. Il giovane Capitano mi lanciò un’occhiata curiosa che ignorai, salvata dall’imbarazzo di dover rispondere ad un possibile interrogatorio, dall’arrivo del giovane Peregrino.
L’hobbit giunse con un vassoio che poggiò alla destra di Faramir, dove aveva preparato ago filo e delle garze, assieme ad una candela accesa ed una ciotola d’acqua calda.
Il soldato lo ringraziò con uno dei suoi splendidi sorrisi, prima di scoprire nuovamente la mia ferita, rivelando nuovamente il sangue che per il momento sembrava essersi nuovamente fermato, anche se adesso mi imbrattava mezzo addome.
« Quello è … sangue? » ebbe il tempo di commentare Pipino prima che gli occhi gli si girassero all’indietro della testa e svenisse, cadendo a terra con un piccolo tonfo sordo.
Io e Faramir ci affacciammo dal letto giusto per assicurarci che non si fosse rotto il capo, prima di riportare la nostra attenzione sulla mia ferita.
« Beh ora che il mio assistente non è più disponibile, toccherà a te aiutarmi » disse divertito mentre io trattenevo un'altra bestemmia tra i denti.
L’ora successiva passò a quel modo, tra Faramir che mi raccontava aneddoti della sua infanzia ed io che rispondevo alle sue domande sulla Contea. Doveva essere rimasto stranamente affascinato dalla creature con cui aveva viaggiato ma soprattutto, oltre ad essersi affezionato aveva imparato a rispettarle molto. Apprezzava la semplicità con la quale affrontavano la vita e la loro capacità di amarsi. Non solo fra di loro, ma anche nelle proprie piccole gioie quotidiane, il giardinaggio, la cucina, la lettura… Comprendevo che per Faramir che aveva vissuto solo una vita di battaglie e risentimenti, quel mondo doveva apparire come un piccolo paradiso.
« Il mondo avrebbe bisogno di meno uomini, e più hobbit » si lasciò sfuggire il Capitano di Gondor mentre mi passava una panno caldo a ripulire la pelle tutt’intorno alla ferita, appena ricucita assieme. Faramir era stato il più delicato possibile, ma ovviamente aveva fatto un male cane, e avevo sentito in modo sempre più allarmante la mancanza di Aragorn.
« Un vecchio amico di Bilbo gli disse “Se fossero più numerosi coloro che preferiscono il mangiare, il ridere e il cantare all’accumulare oro, questo mondo, sarebbe migliore” » recitai con un sorriso amaro.
I ricordi dei pomeriggi passati sotto gli alberi da frutto di Bilbo a bere tea e mangiare pane al latte mi riempirono di nostalgia.
Aveva pronunciato spesso quelle parole ogni qual volta la malinconia dell’avventura gli attanagliava il cuore, lui ovviamente non mi aveva mai detto chi fosse stato a riferirgli quelle parole, ma non ve era stato bisogno, poiché lo sapevo ugualmente. Mi chiesi quanti rimpianti si portasse dietro Bilbo quando ripensava a Thorin e alla compagnia, se fosse stato per quello che si era sforzato tanto di fare il Baggins a casa Baggins.
Sicuramente era per via di quel sentimento che aveva preso Frodo con sé, e mi piaceva pensare che alla fine lo avesse fatto restare, perché quell’amore aveva fatto breccia anche nel suo cuore facendogli avere degli indimenticabili e semplici, attimi di pura felicità.
« Era un amico saggio » commentò Faramir pulendosi  le mani insanguinate nel panno più vicino prima di voltarsi verso il giovane Tuc che era sempre a terra, ma aveva iniziato a russare.
« Adesso andiamo, ti lavo i capelli. Puzzi Gwend » aggiunse con un sorriso a trentadue denti che faticai a ricambiare.  Il viso di Haldir mi passò davanti agli occhi dinanzi a quella battuta e nuovamente quel giorno, compresi il dolore del mio vecchio amico Bilbo. La vita avrebbe continuato a ferirmi in eterno, con piccoli commenti simili, se non fossi riuscita a riavere indietro il mio migliore amico.
« Andiamo » risposi invece a Faramir, scivolando con attenzione giù dal letto e dirigendomi con lui verso il bagno.
 

 
 
 

Dopo il lavaggio dei capelli, Faramir mi lasciò riposare.
Quando mi svegliai era di nuovo giorno e scoprii di aver dormito per quasi ventiquattro ore e che a breve avremmo avuto ospiti per fare il punto della situazione.
A quel punto mi concessi un altro bagno caldo, dove Faramir mi prestò una delle sue camicie ed un paio di vecchi pantaloni che mi andavano troppo larghi, prima di cambiare tutte le mie fasciature.
Mi lamentai per la metà del tempo, ma controbattere fu impossibile. Il giovane uomo si ritenne soddisfatto, solo quando anche il più piccolo taglio fu medicato e ogni parte esposta fu coperta con delle fasciature. Perfino i miei polsi si ritrovarono fasciati come quelli di un giocatore di tennis, a causa delle escoriazioni lasciate dalla catene.
« Uno stregone come me, alla mia età, costretto a passare dal vicolo di servizio ed entrare dalla finestra, inaccettabile » udii sbuffare Gandalf dalla stanza accanto.
Gli sorrisi non appena entrò dalla porta, facendo ben attenzione a non battere la testa, mentre cercava di ripulire il suo mantello alla belle e meglio.
« Credo che una volta la compagnia di Thorin sia dovuta passare dalle fogne di un bagno. Poteva andarti peggio amico mio » commentai andandogli incontro, mentre lui notandomi nella stanza, si riprese immediatamente venendo verso di me a sua volta, per rinchiudermi in un caldo e delicato abbraccio.
« Oh sì forse hai ragione amica mia » commentò trattenendomi a sé per qualche secondo più del solito, prima di lasciarmi andare, passandomi una mano tra i capelli bagnati « Mi hai fatto prendere un bello spavento sai? Non farlo mai più » aggiunse con uno sguardo affettuoso, mentre io mi limitavo ad annuire con un sorriso e tornavo al mio posto su uno sgabello, dove iniziai ad asciugarmi la testa.
« Dovremmo mascherare in qualche modo la tua presenza » disse Gandalf dopo qualche minuto mentre io mi tamponavo i capelli con un telo, prima di passarci tra le ciocche, qualche goccia di olio elfico, e pettinandomeli all’indietro così che non avrei più avuto problemi con i capelli negli occhi.
« Già, dubito che il mantello degli elfi di Lothlòrien possa niente contro il tuo aspetto oramai » commentò Faramir mentre lanciava un’occhiata turbata al mantello insanguinato buttato in un angolo della stanza la sera prima assieme alla mia camicia verde. Era un vero peccato, avevo adorato quella blusa.
Adesso indossavo una camicia bianca di Faramir da giovane, con Aiantcuil che mi risplendeva nel mezzo al petto, come se anche lui si godesse la sua meritata libertà, dopo tutti quei mesi passati a nascondersi sotto i miei abiti.
« Potremmo travestirla da donna » propose Pipino con un gran sorriso « Sono certo nessuno la riconoscerebbe » ebbe anche il coraggio di aggiungere mentre io gli tiravo addosso l’asciugamano che avevo appena finito di usare, facendo ridere perfino Gandalf.
« Temo Mastro Tuc, che la nostra Valanyar qui, non sia molto abile a tenersi in piedi con degli abiti “appropriati” alla sua figura » commentò lo stregone guadagnandosi anche lui un’occhiataccia da parte mia.
Quando l’hobbit emerse da sotto il telo con uno sguardo confuso, Faramir aggiunse:
«Lei e gli abiti non vanno molto d’accordo, non ricordi a Lòrien? Inciampava ci continuo nella gonna e si lamentava che la stoffa si impigliava tra le sue spade » l’hobbit a quel punto annuì, ricordando i mesi passati quasi con un sorriso, soprattutto adesso che Gandalf era di nuovo con noi, sembrava che potevamo perfino riderne assieme, come se il peggio fosse passato.
Peccato che non lo era affatto, semmai, al peggio, vi eravamo proprio nel mezzo.
« No il problema più grande è nella sua statura, se la travestiamo da soldato, chiunque saprebbe riconoscerla, nessun uomo è così basso » commentò Boromir entrando nella stanza e donandomi un’occhiata che andava da capo a piedi e sembrava esattamente esprimere cosa ne pensasse di me, ovvero niente di buono.
« Allora potremmo vestirla da hobbit! » esclamò divertito l’unico rappresentante della suddetta razza.
« Pipino » mi limitai a dire mentre lui si voltava rivolgendomi un sorriso a trentadue denti, credibile quando una lettera di scuse da parte di Denethor.
 
Con l’arrivo di Boromir, la riunione ebbe modo di iniziare.
Gandalf fece presente i piani ed i movimenti del nemico mentre noi mettevamo in conto che Rohan andava avvisata o nessun tipo di aiuto sarebbe mai giunto a Gondor. Senza contare, la questione che secondo me, era la più urgente al momento.
« I soldati di Osgiliath verranno sterminati Boromir, non possiamo rimandare, devi convincere tuo padre ad imporre una ritirata » Faramir si mosse sulla sua sedia, apprensivo, mentre lanciava un’occhiata fuori dalla finestra in direzione del fiume.
« Vi sono abbastanza uomini per proteggere il fiume per qualche altro giorno, dobbiamo rallentare l’avanzata di Mordor » mi ricordò Boromir come se non capissi il suo punto di vista sulla situazione attuale.
Ma io sapevo più di ciò che i comunicati potevano dirci, e avrei solo voluto che l’uomo dinanzi a me, si fidasse abbastanza del mio giudizio per affrontare la decisione in modo differente.
Ma non sarebbe successo, potevo vederlo nel suo portamento, dalle braccia incrociate al petto e lo sguardo che continuava ad evitare al mio, dal sorriso irritato che gli si affacciava in viso ogni volta che parlavamo di tattiche militari, differenti dalla sue.
« Boromir, verranno trucidati. Gli orchi vi colpiranno dal fiume,sarà un attacco diretto, Maldir non avrà speranze » insistetti mentre Gandalf sospirava non azzardandosi ad intromettersi troppo nella discussione. Sapevo che la fiducia di Boromir nello stregone, era pari a zero, come suo padre non si fidava di chi aveva  potere sulle menti altrui. Soprattutto dopo ciò che si era sentito dire su Re Théoden e  Saruman, il Capitano di Gondor manteneva le distanze. Lo rispettava certo, ma non gradiva che mettesse bocca nelle decisioni di Gondor.
« Per questo andrò ad avvertirli. Porterò con me ulteriori duecento uomini, le difese reggeranno » insistette voltandosi verso di me e puntandosi con i piedi. Lessi nei suoi occhi quello che le sue parole non sottolinearono: che lui sapeva quello che faceva, che la sua decisione era la migliore per il suo paese e che quella città non era la mia casa natia quindi non avevo diritto di accusarlo di negligenza. Lui era fedele ai suoi compagni ed io lo sapevo, ma sarebbero ugualmente morti tutti se non si fossero ritirati in tempo.
« Boromir scenderanno in campo i nazgûl e le loro bestie » tentai disperatamente mentre il Capitano di Gondor sembrò sbiancare leggermente, prima di voltare nuovamente lo sguardo verso la finestra, osservando il fiume come poco prima aveva fatto il fratello minore.
« Non importa cosa ci attaccherà, le difese di Osgiliath devono reggere il più possibile vi sono troppo civili a Minas Tirith, è il cuore del regno.
Ho giurato di proteggere questa nazione Gwend se è con la mia morte che riuscirò a farlo, così sia » sancì spostando su di me il suo sguardo che mantenni per qualche minuto, supplicandolo silenziosamente prima di annuire, arrendendomi.
« Fa ciò che devi  » conclusi ricercando con le mani l’elsa della spada con lo stemma della casata di Aragorn, che però non trovai appesa al mio fianco. Sospirai sentendo la mancanza di quel gesto abitudinario. « Nel frattempo noi attiveremo il segnale per Amon Dîn, Rohan deve poter arrivare in tempo ».
Boromir annuì senza controbattere. Sapevo che l’idea di chiedere aiuto al popolo vicino non gli piaceva ma al contrario di suo padre non avrebbe negato una simile occasione di rivalsa contro Mordor. Sapeva che con Rohan e Théoden sarebbe giunto anche Aragorn ma quella probabilmente per Boromir era una discussione che poteva essere rimandata.
 

 
 

 
« Ah ah! » gridai esultante mentre alzavo il capo verso l’alto, imitata dai miei due compagni « Me lo ricordavo da queste parti » aggiunsi indicando con il dito indice, una vetta della montagna che sbucava dopo una lunga scalinata dalla cittadella.
« Cos’è? » domandò Pipino aguzzando la vista e socchiudendo gli occhi per seguire il punto indicato dal mio indice.
« Quello Mastro Tuc, è il segnale di aiuto che va acceso per richiedere aiuto a Rohan » spiegò lo stregone con un sorriso bonario, che non piacque minimamente al giovane della Contea.
« Bello » commentò guardandolo per l’ultima volta prima di voltarsi verso di me.
« Quindi tu vai Val e noi facciamo la guardia? Gandalf è un pugno in un occhio con questi abiti bianchi, si vede lontano un miglio » commentò inconsapevole dell’espressione scioccata che il suo commento aveva portato sul viso delle Stregone.
Ridacchiai, prima di scuotere la testa, ed indicargli l’inizio delle scale.
« Oh no, è la tua occasione per mostrare a tutti il tuo valore. Io sono ferita » gli ricordai indicando il punto dove si trovava la mia fasciatura, anche se al momento are al sicuro sotto vari strati di bende e garze.
« Cosa, quello? » ripeté Pipino indicando la pancia « E’ solo un taglietto » aggiunse scrollando le spalle.
« Ma se sei svenuto quando lo hai visto » gli ricordai inarcando il sopracciglio ed incrociando le braccia davanti al petto.
Pipino aprì bocca, forse per dire qualche altra fesserie, ma fu interrotto da Gandalf, che stufo del nostro battibecco gli dette una bastonata in testa.
« Oh e basta! Ragazzo mio, c'é un compito da svolgere. Un'altra opportunità per uno della Contea di dimostrare il suo valore. Và e non devi deludermi. » disse incoraggiante.
Il suddetto esempio di valore, mi guardò disperato, ma mi limitai ad un sorriso d’incoraggiamento che affranto, lo fece iniziare a camminare verso l’entrata del passaggio.
Io e Gandalf ci spostammo verso il terrazzo dove avevamo una migliore visione del segnale successivo e appoggiati alle ringhiere ammirammo entrambi il paesaggio.
Mi sistemai nuovamente meglio quello che ne rimaneva del mio mantello, che oramai assomigliava più ad un poncho rispetto al dono fattomi da Dama Galadriel a Lòrien.
La foglia era ben nascosta all’interno del tessuto, ma il cappuccio mi tornava particolarmente comodo: avevamo convenuto che alla fine il travestimento migliore, sarebbe stato quello più semplice. Così Faramir si era limitato a prestami un paio dei suoi pantaloni scuri che assieme alla camicia bianca ed un'altra bluse scura sopra, nascondeva perfettamente le mie forme facendomi semplicemente passare per un ragazzino qualunque.
Il “poncho” era stato ovviamente necessario per nascondere i miei occhi bianchi, altrimenti sarei stata facile da sgamare tra la folla,ma con il cappuccio calato fino a metà fronte dei servitori fedeli a Faramir, ci avevano confermato che la magia del mantello faceva sempre il suo dovere.
« Pipino è riuscito nella sua impresa » dissi sorridendo verso l’orizzonte ed alzando lo sguardo verso lo Stregone che come me, aveva le labbra piegate all’insù.
« La speranza, divampa » confermò attorno a noi mentre i soldati di guardia urlavano, facendo girare  tutt’intorno la notizia. Il fuoco di Amon Dîn era accesso, Gondor chiedeva ufficialmente aiuto.
Pregai con tutta me stessa perché Théoden mostrasse al mondo il suo lato migliore, portando Rohan a rispondere alla chiamata.
« Il giovane hobbit mi ha detto che hai avuto molto contro cui lottare durante la tua prigionia » iniziò lo stregone spengendo il mio sorriso e quel momento felice, solo per ricondurmi verso quegli orribili ricordi.
« Vuoi raccontarmi cosa la Sfera di Anor ti ha mostrato? » domandò Gandalf.
Sospirai, sapendo che non era una domanda che avrei semplicemente potuto ignorare, così mi concessi solo quei pochi attimi per ritrovare il coraggio di cui necessitavo, osservando all’orizzonte il fuoco di Amon Dîn.
« Se è stata la sfera veggente a rendere Denethor quello che è oggi non mi sorprenderebbe » iniziai con rammarico, consapevole comunque, che il sovrintendente era sempre stato un pessimo padre nei confronti di Faramir, dalla morta della moglie.
« Ho visto l’occhio per primo. Ha cercato di entrarmi nella mente ed io ho lottato e più opponevo resistenza più Sauron mi bruciava dentro facendomi ardere viva centinaia di volte. Non importava quanto lo supplicassi, che chiudessi gli occhi o che cercassi di ricordarmi che non era veramente lì. Io andavo a fuoco e bruciavo » dissi iniziando a giocare distrattamente con l’orlo del mantello che ora mi arrivava alla vita. 
« Non so quanto tempo abbia lasciato passare, ma alla fine quando non ha ricevuto risposte sull’anello ha iniziato a mostrarmi altre immagini. Il fuoco era meglio » confidai mordendomi il labbro inferiore mentre lo stregone mi poggiava una mano sulla spalla.
« Continua » mi disse, non vi era pietà nella sua voce, troppo preoccupato che io potessi aver rivelato qualcosa al nemico. Qualcosa che lui non aveva visto o previsto, qualcosa che io mi sarei lasciata sfuggire… Come se non avrei preferito morire piuttosto che tradire Frodo.
« Ho visto Elrond, rinchiuso in una torre. La sua pelle era cerulea come quella di un fantasma, mormorava il mio nome come in una preghiera …
Ho visto la Contea bruciare e venire saccheggiata, gli hobbit resi schiavi in catene. Ho visto Arwen morire, mentre la Stella del Vespro si spengeva e le nubi di Mordor raggiungevano Gran Burrone. Ho visto Aragorn perire sul campo di battaglia e mentre cadeva in ginocchio, mi diceva che era stata colpa mia, che io avrei potuto evitarlo … » continuai sentendo la voce spezzarsi in gola. « Sai cosa mi ha mostrato. Il futuro di coloro che amo, se fallissi. Se Frodo fallisse » aggiunsi facendomi forza ed incontrando lo sguardo di Gandalf che imperturbabile mi scrutava gli occhi come alla ricerca della menzogna nel mio racconto.
Sostenni il suo sguardo, poiché sapevo che non vi sarebbe stato altro modo per assicurargli la fedeltà mentre infine, lo stregone annuiva.
« Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tanto dolore amica mia » disse stringendo la mano che aveva posato sulla mia spalla, in un incoraggiamento silenzioso.
« Non importa, non è ancora successo niente di tutto ciò, possiamo impedirlo. Possiamo vincere »
« Già, siamo ancora in tempo ad impedirlo » ripeté lo Stregone portando il suo sguardo verso l’orizzonte. Oltre Osgiliath tra le nubi di Mordor, ma con tono così titubante che mi fece quasi temere che lui ancora una volta, sapeva qualcosa in più e che aveva deciso di tenermene all’oscuro.
 

 
 

 
Boromir era partito la mattina dopo, e nonostante avessero finito le scorte delle armi di Saruman rubate agli orchi giorni prima, resistette per altri tre giorni e tre notti.
Con Pipino, Gandalf e Faramir, che era stato lasciato a presidiare la città dal fratello maggiore, facemmo a turno per tenere Osgiliath sotto controllo dalle mura. Ovviamente fu all’alba del quarto giorno che vidi l’oscurità farsi sempre più fitta sulle ultime difese al fiume, nonostante il sole stesse sorgendo, i suoi raggi non riuscivano a penetrare attraverso la folta coltre di nubi.
E poi li vidi:
« Gandalf ! I Nazgûl ! Boromir ha bisogno di aiuto! » dissi correndo dentro la stanza dello stregone senza tante cerimonie, poiché non vi era alcun tempo  da perdere per bussare. Avevo visto le creature alate raggiungere la città sul fiume, sapevo che a breve la ritirata sarebbe stata l’unica opzione che restava a Boromir.
Avevano resistito fino all’alba quindi gli orchi non li avrebbero seguiti verso le mura della città dove i raggi del sole li avrebbero accecati, ma gli stregoni portavano con loro l’oscurità di Mordor e avrebbero potuto fare una strage dei cavaliere rimasti.
« Cavalca assieme a me, il tuo cavallo è l’unico che può stare al passo con Ombromanto » avrei voluto chiedergli come faceva ad essere sicuro che il bianco animale fosse già tornato dopo aver accompagnato Legolas, ma decisi che sarebbe solo stata una domanda stupida da parte mia.
Annuii, mentre Pipino mi lanciava uno sguardo pieno di preoccupazione e terrore, e Faramir mi lanciava il suo arco personale mentre io mettevo in spalla la faretra piena di freccia.
« Fai attenzione » si raccomandò prima di seguirci fuori « Io porterò i nostri migliori arcieri sulle prime mura, così a consentirvi del fuoco di copertura » disse mentre io e Gandalf sfrecciavamo lungo le strade della cittadella, superando le prima mura come se fossimo posseduti mentre io urlavo il nome di Bucefalo, certa che ovunque fosse mi avrebbe sentito.
Gandalf invece fischiò, richiamando probabilmente l’attenzione del bianco cavallo dei Mearas che apparve una cinquantina di metri dopo, assieme a Bucefalo.
Il mio cavallo, per fortuna era rimasto sellato, non avevo idea se qualcuno degli uomini di Boromir avesse tentato di prendersi cura di lui, ma conoscendo il carattere dell’animale aveva travolto chiunque avesse tentato di avvicinarlo senza il mio consenso.
« Bravo il mio cucciolo » lo salutai salendo in sella, da destra, per risparmiare lo sforzo al mio fianco ferito, mentre usavo le cinture lungo la sella, per assicurare le mie gambe al cavallo, legandole con delle cinghie.
Mi erano state fatte mettere da Elrond quando avevo iniziato a tirare con l’arco sotto consiglio di Haldir. Era un ottimo addestramento per i principianti che non desideravano cadere da cavallo ogni due minuti mentre provava ad usare l’arco in contemporanea.
Sia io che Gandalf spronammo in avanti i cavalli, non trovammo nessuno ad ostacolare il nostro cammino mentre passavamo attraverso l’enorme cancello di protezione della città, probabilmente aperto sotto ordine di Faramir.
Sentimmo sopra di noi il giovane capitano urlare ordini ai propri uomini, prima che le urla dei nazgûl prendessero il sopravvento ferendomi i timpani.
Ignorai l’istinto di tapparmi le orecchie mentre Gandalf sussurrava un incantesimo sui cavalli, per proteggere le bestie da quelle orrende urla, mentre noi li incitavamo a correre verso la bocca della morte.
 
Il viaggio che qualche giorno prima, aveva richiesto varie ore, adesso fu compiuto in nemmeno mezzora, mentre Bucefalo ed Ombromanto sfidavano il vento stesso portandoci sempre più vicini agli uomini di Boromir.
Quando lo vidi tirai un sospiro di sollievo prima di incoccare la prima freccia del mio arco mirando alla bestia alata più vicina. Dovevo fare attenzione o avrei rischiato di colpire gli uomini che cercavano di fuggire dal nazgûl.
Scoccai la freccia nello stesso istante in cui il potere di Gandalf si riversò nella pietra in cima al suo bastone, riempiendo di luce il terreno dinanzi a noi fino al cielo, riempiendo i cuori di speranza e fiducia mentre io seguivo il moto della mia freccia fino all’ultimo che si conficcò nel collo della cavalcatura del nazgûl.
Non ero Legolas, non avevo speranze di riuscire abbattere una di quelle creatura con una sola freccia, quindi non persi tempo a felicitarmi del colpo appena piazzato e continuai a scoccare una freccia dopo l’altra, mirando dove lo ritenevo più a portata. Due tre, quattro frecce si conficcarono nell’ala sinistra dell’animale in capo al gruppo fino a quando gemendo, non si ritirò invertendo la sua rotta.
Adesso ne mancavano solo altri due.
Mirai immediatamente al secondo mentre vedevo Boromir voltarsi oltre le sue spalle e vedere gli uomini a piedi disperati, cercare di raggiungere la salvezza. Ma colpi di freccia spuntavano dalle loro spalle, da Osgiliath, uccidendoli a decine ogni pochi minuti.
Bastò quel momento di distrazione del Capitano di Gondor, perché finisse preda della bestia alata, che si rovesciò sulle prime file della cavalleria, spazzando via i vari cavalieri tra cui Boromir.
« Noro lim Bucefalo! Noro lim beria- Boromir ! [ Cavalca Bucefalo! Cavalca a proteggere Boromir!] » urlai consapevole di star chiedendo l’impossibile al mio cavallo, ma sorprendendomi Bucefalo nitrì, spingendo al massimo i suoi zoccoli mentre Gandalf gridava il mio nome alle mie spalle ma io lo ignoravo, spingendoci sempre più avanti e incoccando l’arco per mirare agli orchi che cercavano di abbatterci dalle mura.
Passai nel mezzo alla cavalleria di Gondor che si aprì facendoci passare, mentre noi raggiungevamo il loro Capitano che stava continuando ad urlare ai suoi uomini la ritirata, trascinando in spalla un soldato ferito ad una gamba, mentre Boromir stesso era ferito poiché riconobbi una freccia spezzata, incastrata nella piega della sua armatura sopra la spalla.
« Il tuo cavallo non potrà portarci tutti » mi urlò Boromir mentre Bucefalo curvava bruscamente. Udii le parole di Boromir ma mi costrinsi solo ad abbattere gli orchi nelle mura, mentre l’animale sotto di me invertiva la direzione, gioendo internamente quando udii due grida di dolore, comprendendo di aver abbattuto i miei bersagli.
Bucefalo era finalmente riuscito a girarsi, dando ora le spalle al nemico ed obbligandomi solo a contare sulla sua abilità, poiché non potevo girarmi per mirare all’indietro.
Affiancammo Boromir che  caricò in groppa a Bucefalo il soldato ferito mentre io lo guardavo furiosa, allungandogli nuovamente il braccio.
« Forza sali idiota che non sei altro! » gli ordinai mentre vedevo Gandalf ricacciare via il secondo nazgûl.
A breve non saremmo più stati a favore della sua luce. Ma proprio mentre Boromir stava per riaprire bocca e dirmi di andarmene un’altra voce si intromise tra di noi.
« Le tue battaglie sono inutili mortale, la tua fine è vicina. Il nostro signore lo sa, lui l’ha visto » risuonò una voce dall’alto mentre il cavaliere dei nazgûl si faceva sempre più vicino minacciando di investire nuovamente con la sua bestia, gli uomini che arrancavano a piedi, desiderosi solo di raggiungere le lontane mura di Minas Tirith.
« Il tuo stregone si sta ritirando, dimmi chi verrà adesso in tuo aiuto sciocca mortale? » sibilò nuovamente mentre la sua bestia stava per atterrare davanti a tutti noi. Mi voltai, lanciando un’occhiata disperata a Mithrandir ma come aveva detto il servo di Sauron, Gandalf era troppo lontano impegnato a potare tutti gli altri cavalieri al sicuro.
La bestia atterrò davanti a noi, mentre io facevo riscendere da cavallo il soldato ferito, consegnandolo nuovamente al suo capitano. L’uomo gemette quando toccò terra, ma cercò immediatamente di mettere più distanza possibile tra se stesso e la bestia che ora si era posata a terra, spalancando le sue fauci su tutti noi mentre Bucefalo si faceva strada tra gli uomini, così che noi fossimo tra la cavalcatura del nazgûl e gli uomini di Boromir.
« Gwend » disse il Capitano di Gondor alle mie spalle ma non mi voltai, mentre incoccavo l’ennesima freccia, davanti alle risate del nazgûl.
« Corri Boromir, correte tutti. Verso le mura presto! » gli ordinai mentre l’uomo ferito urlava « Non ce la faremo mai! » in quello stesso istante Bucefalo nitrì, così forte che superò persino il frastuono del ruggito  della bestia alata impennandosi su due zampe più volte, e ogni volta che ricadeva, nitriva più forte. Come un grido di guerra di cui io non avevo mai sentito parlare.
« I cavalli! » urlarono alcuni degli uomini attirando l’attenzione anche dello stregone nero, che come me si voltò verso il cancello di Minas Tirith che era ora spalancato, mentre un’intera mandria di cavalli si stava riversando, correndo verso il nazgûl come non avrebbero mai potuto fare.
Perché i cavalli di Gondor era cavalcature meno nobili di quelle di Rohan, più selvatiche e facilmente si spaventavano in guerra. Ma in quel momento, mentre Il Bianco Stregone aumentava il potere della sua pietra infondendogli coraggio e determinazione la voce di Ombromanto riempì i miei pensieri.
Correte amici miei, aiutate colui che vi chiede aiuto. Riconoscete il suo coraggio, fatelo vostro, affrontate le tenebre e salvate i vostri cavalieri! “ la frase veniva ripetuta, ancora ed ancora, mentre diventava un sussurro di sottofondo nei miei pensieri. Mi voltai nuovamente verso lo stregone, che urlò di frustrazione quando la sua bestia alata spiccò in volo per non venire travolta dai centinai di cavalli che gli galoppavano incontro.
« Ci rivedremo mortale. Tutti coloro che ami, subiranno la mia vendetta! » mi ruggì contro mentre Bucefalo nitriva per l’ultima volta, sbuffando nel cielo alle parole del servo dell’Oscuro mentre i soldati salivano a cavallo, aiutando i compagni feriti fino a quando tutti non riprendemmo la nostra corsa verso Minas Tirith.
« Che cosa è stato? » mi domandò Boromir guardando sconcertato il cavallo che sotto di lui, galoppava verso casa senza che lui dovesse dargli alcun ordine.
Lanciò un’occhiata verso Gandalf, che per primo aveva raggiunto la sicurezza delle mura della capitale mentre io accennavo un sorriso stanco, dando delle breve pacche sul collo al mio cavallo, ringraziandolo.
« Ci sono molte forze che muovono il destino di molti Boromir. Gli uomini hanno iniziato a perderne memoria, portando così se stessi ad una vita più povera, ma potreste ricordare le vecchie leggende portare onore agli altri abitanti della Terra di Mezzo. Puoi iniziare oggi, ringraziando Ombromanto, il signore dei Cavalli. » dissi non appena la maestosa bestia bianca entrò nella mia visuale.
Boromir mi guardò di nuovo, probabilmente pronto a ricacciare i miei ringraziamenti verso il cavallo in un posto dove non mi batteva il sole, ma poi il suo viso impallidì, come neanche le ferite della guerra erano riuscite a fare.
Il Capitano di Gondor si voltò verso il cavallo dei Mearas probabilmente richiamato in una conversazione telepatica che non avrebbe mai più dimenticato.
Io invece, decisi di ignorare i due, per concedere la mia attenzione al vero eroe della giornata mentre mi slacciavo le cinghie che tenevano i miei polpacci ancorati alla sella, scendevo e mi portavo davanti a Bucefalo per abbracciarlo, mentre il cavalo sbuffava soddisfatto.
Quando mi ritenni soddisfatta mi allontanai, continuando ad accarezzargli distrattamente il muso mentre ci dirigevamo assieme verso le stalle.
« Ti meriti almeno un secchio di mele » gli annunciai soddisfatta mentre il cavallo sbuffava, annuendo con la testa e strappandomi una lieve risata.
« Va bene hai ragione, facciamo rubare a Pipino anche un po’ di zucchero. Che importa se ti fa male? Te lo sei decisamente guadagnato » aggiunsi mentre il cavallo mi sbandava leggermente addosso con il muso, come se cercasse di darmi una pacca amichevole con il naso. Ombromanto aveva ragione, ero proprio fortunata ad avere un amico tanto fedele, il suo tris-nonno, sarebbe stato fiero di Bucefalo.
 
 
 


Ovviamente la gioia non durò a lungo.
Pipino venne a cercarmi qualche ora dopo, dicendomi che Denethor aveva richiamato Faramir dall’infermeria, dove ora si trovava Boromir per richiedergli udienza.
Niente di strano, se non fosse stato, che tutti quelli presenti in sala erano stati fatti uscire, ed ora tra le strade il terrore viaggiava veloce nei visi dei cavalieri sopravvissuti a causa delle voci di una nuova spedizione verso Osgiliath.
La decisione di intrufolarmi a palazzo, per sentire in cosa consisteva la conversazione padre-figlio, venne da sé.
 
« … Non dovremmo con tanta leggerezza abbandonare le difese esterne, difese che tuo fratello a lungo ha tenuto intatte. » stava dicendo Denethor a Faramir non appena riuscii ad arrivare a portata d’orecchio, nell’oscurità della sala, illuminata solo vicino al trono e lungo la navata.
Il sovrintende parlava facendo restare il suo stesso figlio in ginocchio, con il capo chino come se non fosse neppure degno neppure di guardarlo in viso.
« Cosa vuoi che faccia? » domandò Faramir mentre io mi sporgevo lievemente dalla mia colonna. Ero in perfetta penombra e nonostante non scorgessi molto di Denethor a causa del folto mantello di pelliccia e la prospettiva, la figura di profilo rientrava perfettamente nel mio cono visivo.
Il giovane uomo strinse in pugni, chiudendo gli occhi, come se si preparasse a ricedere dei colpi fisici e non degli ordini dettati da un genitore.
« Tuo fratello crede che la tua fedeltà appartenga ancora a Gondor, quindi questa è la tua occasione per dimostrarmelo. Non cederemo il fiume nel Pelennor senza combattere. Osgiliath va riconquistata. » spiegò senza che io potessi vedere la sua brutta faccia. Eppure non faticavo ad immaginarmi la sua espressione: un sorriso sadico che gli fioriva in volto, con la stessa velocità con cui il panico prendeva possesso dei lineamenti di Faramir.
« Mio signore. Osgiliath è stata invasa » lo supplicò il Capitano mentre io stringevo i denti.
Lo aveva chiamato mio signore. Non padre.
Mi chiesi se il suo amato genitore non gli avesse tolto anche quella concessione, come se avesse perso ogni diritto dal suo ritorno da Gran Burrone. Mi chiesi che tipo di incubi aveva dovuto affrontare Faramir mentre Sauron rendeva reali i peggiori che avessi mai avuto nella mia testa, probabilmente il giovane uomo li aveva affrontati come realtà al piano superiore.
« Molto deve essere rischiato in guerra, tuo fratello lo sa, hai visto le ferite che si è procurato per proteggere la sua patria. Dimmi, tu credi di riuscire a fare altrettanto? » domandò sarcastico Denethor, schioccando la lingua sulle ultime parole, come se trovasse ridicola la sola ipotesi.
Mentre osservavo Faramir stringere i pugni e guardare suo padre con gli occhi lucidi di rabbia, mi chiesi per quale motivo il sovrintendente fosse diventato un uomo tanto crudele nei confronti di una persona meravigliosa come suo figlio.
Forse, se fosse stato un buon padre, il Capitano di Gondor non sarebbe stato chi era oggi, forse sarebbe stato più meschino ed egoista ma non ne sarebbe valsa la pena, per fargli sapere che sì, anche lui era speciale ed amato?
« Farò quello che posso in sua vece mentre è in convalescenza, ma devo comunque avere il suo permesso prima di smuovere le truppe, d’altronde il Capitano della Torre Bianca è ancora lui » disse Faramir tirando un po’ più in su il mento, osservando l’uomo sopra il trono con quasi un’aria di sfida.
« Come ho sempre saputo. Un vigliacco, un pezza nelle mani di uno stregone … Tu non vali niente » e con quelle amabili parole si congedò, mentre io osservavo il soldato inchinarsi rispettosamente l’ ultima volta, prima di tirarsi in piedi e dargli le spalle incamminandosi verso l’uscita.
Non appena udii la porta chiudersi alle sue spalle, uscii lentamente dall’ombra, accertandomi con discrezione che non vi fossero ulteriori guardie nella grande sala mentre mi avvicinavo silenziosamente al sovrintendente che bofonchiava qualcosa tra i denti che suonavano come ulteriori insulti verso Faramir.
Mi avvicinai fino a quando noi gli fui accanto, sfilando senza far rumore le mie lame da sopra lo schienale del suo trono e aspettando pazientemente che notasse la mia ombra, che creata dalla torcia alle mie spalle, si allungava oltre i suoi piedi.
Non servirono che pochi altri minuti, prima che l’uomo tremasse, sussurrando un « Chi va là? » e si voltasse di scatto, incontrando la punta delle mie lame a pochi centimetri della sua carotide.
« Salve Denethor, è giunta l’ora di pagare il conto » gli dissi imitando il sorriso sadico che lui poco prima aveva rivolto al suo stesso figlio.
« Tu- Qui come… come è possibile? » balbettò guardando le mie lame davanti a sé come se fossero dei serpenti pronti a morderlo.
« Mica avevi veramente creduto, che sarei morto nelle tue segrete, dimenticato da tutti, vero Denethor? » dissi mentre gli facevo cenno di alzarsi, spingendolo poi bruscamente nella direzione delle gallerie che grazie a lui avevo imparato a conoscere.
 
 
 




 
 
 
NdA : Ce  l’ho fatta!!!! E’ venerdì gente! Sono tornata sulla retta via! xD
Pare impossibile ma possiamo gioirne assieme.
Sono anche stata brava, niente finale pieno di suspense o roba simile. Anzi il capitolo è decisamente mediocre, poiché è l’ennesimo intermezzo prima della battaglia. Poiché siamo così vicini alla fine, mi chiedo se avete capito dove prima o poi andrò a parare xD
Comunque manca poco alla fine del libro, ma non così tanto alla fine della storia, spero vi interesserò a sufficienza, da farvi continuare a leggere e commentare, mi dispiacerebbe lasciarla inconclusa : )
Detto ciò, vi ringrazio per tutte voi che invece mi commentate tutte le settimane, siete delle belle anime e vi mando a casa una Faramir per uno in omaggio se resterete fino in fondo! T.T
A presto! <3
   
 
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