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Autore: Ghostclimber    18/04/2021    3 recensioni
Kogure ha un problema.
Ok, non ha un solo problema, ma questo è grosso.
Per fortuna Mitsui ha una moto, una gran flemma e un'ottima idea.
MitKo
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kiminobu Kogure
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guess who's back, back again?
Ciaooo quanto mi siete mancati, io vi sono mancata?
Eccomi con una fic che mi sono mantecata in testa per boh tipo un anno e mezzo, ispirata grazie alle fic di lizardiana alle note dei miei amati 883 (voci dalla regia: "Tra questo ed Eminem, adesso di sicuro la gente capirà che sei vecchia." A STRONZI!)
E va bene, la pianto e vi lascio a un po' di fluffosaggine MitKo.
Battete un colpo se gradite!
XOXO




 
"Basta un giorno così
a cancellare centoventi giorni stronzi e
basta un giorno così
a cacciarmi via tutti gli sbattimenti che
ogni giorno sembran sempre di più,
ogni giorno fan paura di più,
ogni giorno però non adesso, adesso, adesso...
che c'è un giorno così."
[883 - Un Giorno Così]





“Sai qual è il tuo problema, Kimi kun?”
“Stai forse insinuando che io ne abbia uno solo, Hisashi?” Mitsui ghignò.
“No, ma questo è il più grosso.”
“Allora è sicuramente il 76 di pagina 394.”
“Nah. Cioè, anche, sono abbastanza sicuro che sia scritto in aramaico antico, ma non c’entra.” Kogure si tolse gli occhiali e si strinse la base del naso con le dita, scocciato.
“Avanti, allora, quale sarebbe il mio problema?” chiese. Quando Mitsui cominciava a fare lo spiritoso era capace di andare avanti per ore, e Kogure non aveva tutto quel tempo.
“Tu ti fai troppe seghe mentali.” rivelò Hisashi Mitsui, ex teppista, MVP del secolo scorso, psicoterapeuta dei poveri.
“Grazie, ora sì che la mia vita cambierà.” ironizzò Kogure, roteando gli occhi. Mitsui mise su un professionalissimo broncio da bambino dell’asilo, incrociò le braccia sul petto e aprì la bocca, poi la richiuse. Infine, si alzò in piedi e si diresse verso la porta della cameretta di Kogure, dove si erano accampati a studiare.
“E dai, Hisashi, scusa, va bene? Non te la pren...”
“SIGNORA MAMMA DI KIMI!” chiamò Hisashi.
“Ma sei scemo?!”
“MI DICA, SIGNOR AMICO DI KIMI!” rispose la donna dal suo ufficio. Kogure si schiaffò una mano in faccia, facendosi inavvertitamente cadere gli occhiali. Mentre li cercava sul pavimento si chiese quando, esattamente, il suo migliore amico e sua madre avessero cominciato a fare comunella.
“Posso portare Kimi a fare un giro?”
“A che livello di stress è?”
“Defcon zero, direi, mi ha risposto con sarcasmo!”
“Vaya con Diòs, amigo.” Kogure non fiatò. Si chiese se per caso sua madre non fosse ubriaca, poi Mitsui lo prese per il polso e lo trascinò fuori di casa.
“Hisashi, aspetta! I compiti!”
“Si fottano i compiti, Kimi, c’è roba più importante. Ecco.” Kogure fissò la moto di Mitsui come se questa potesse morderlo. Non c’era mai salito, e onestamente avrebbe preferito continuare così, ma Mitsui lo stava trattenendo dov’era solo con la sua forza mentale. Una cosa tipo Star Wars, credeva Kogure, nel bel mezzo di una fase di negazione così prepotente che se gli avessero detto esplicitamente che lui era innamorato di Hisashi Mitsui avrebbe semplicemente riso, senza neanche arrossire. A sua insaputa, Akagi stava progettando di farlo a breve, coinvolgendo tutti i membri della squadra e un paio di altri amici fidati. Insomma, prima o poi Kogure avrebbe realizzato che l’acqua calda è calda.
Mitsui salì a cavalcioni della moto e porse un casco a Kogure, che dovette farsi aiutare per metterlo. E poi dovette farsi aiutare a salire. E poi a trovare le maniglie. Stava quasi pensando di farsi dare l’infermità mentale temporanea, quando Mitsui accese il motore e si immise nel traffico del primo pomeriggio.
La voce di Mitsui riempì il casco, calma e bassa, quasi seducente: “Mi senti, Kimi?”
“Cosa diamine...?”
“Microfono integrato. Eh, che tecnologia?”
“Beh, devo dire che adesso sono un po’ più calmo. Insomma, se sto male, se mi viene il panico, se...”
“Sei pronto, Kimi?”
“Pronto per co... OH PERDIRINDINA!” la risata di Mitsui invase il casco, mentre la moto scartava di lato per passare di fianco alla sbarra di un passaggio a livello, già quasi completamente abbassata. I solchi dei binari si ripercossero sulle ruote, e gli ammortizzatori riuscirono solo in parte ad attutire i colpi. Il distante fischio di un treno riuscì a penetrare nel casco di Kogure, che si gettò in avanti e strizzò Mitsui in una presa ferrea. E quel bastardo sdentato stava ancora ridendo, maledetto.
“Dai, alza la mentoniera, ne vale la pena.” disse Mitsui dopo un po’, e Kogure eseguì. Una valanga di profumi mescolati tra loro gli aggredì piacevolmente le narici. Kogure emise un flebile “oh...” e si rilassò, trovando finalmente il coraggio di riprendere in mano le maniglie e lasciar andare la vita di Mitsui.
Erano in una zona di campagna che digradava verso la costa, di cui Kogure non sospettava nemmeno l’esistenza: “Dove siamo?”
“Vicino al parco Ryonan.” rispose Mitsui, “Ci venivo a cazzeggiare con Tetsuo. Ti piace?”
“Cavoli, sì, è bellissimo.” Kogure inspirò profondamente l’odore balsamico dei pini, poi dalle sue labbra sfuggì una risata spontanea.
Un motociclista proveniente dalla parte opposta alzò una mano in segno di saluto e Mitsui disse: “Fai ciao, Kimi.” Kogure alzò il braccio e rispose al cenno, poi il motociclista sparì dalla vista, dietro le loro spalle.
Dopo qualche minuto, Mitsui rallentò e accostò la moto vicino ad una spiaggia sassosa, poi smontò e aiutò Kogure a scendere a sua volta e gli tolse il casco. I suoi gesti erano quieti e affettuosi, e Kogure sorrise d’impulso. Mitsui rispose al sorriso, ripose il casco nel sottosella e bisbigliò: “Dai, scendiamo sugli scogli.” Kogure annuì e lo seguì, domandandosi ansiosamente di cosa avrebbero potuto parlare.
Ma Mitsui, ancora una volta, lo stupì: si limitò a guidarlo lungo un percorso poco pericoloso, poi si sedette. Kogure lo imitò e rimasero insieme in silenzio ad ascoltare il rumore delle onde e a respirare il profumo di salsedine. Il traffico era lontano, niente più di un vago sottofondo confuso, e Kogure si rilassò poco a poco.
Lì, di fronte all’enormità del mare, i suoi problemi di esami, compiti e lezioni sembravano insignificanti: insomma, lui era Kogure Kiminobu, il miglior studente dell’anno dalla prima elementare in poi, di che si preoccupava?
Dopo qualche minuto, o forse un paio d’ore, Mitsui appoggiò le braccia sulle ginocchia e la testa sulle braccia, il viso rivolto verso Kogure: “Allora, Pulce, va meglio?” Kogure ridacchiò e arrossì.
“E questo soprannome da dove esce?” chiese, spingendosi gli occhiali sul naso: come al solito, quand’era in imbarazzo le lenti cercavano la fuga.
“Non lo so, m’è uscito così. Ti dà fastidio?”
“Nah, è carino.”
“Allora, va meglio?”
“Sì, molto. Scusa se sono un rompiscatole.”
“Dai, scemotto, vuol dire solo che ci tieni, e hai ragione, visto che sei un piccolo genio.”
“Sei sempre così gentile con me...” Kogure distolse gli occhi. Aveva sempre visto Akagi come il proprio migliore amico, ma tra le differenze di carattere e lo studio che li sommergeva entrambi, ultimamente gli sembrava di percepire un allontanamento. Si rese conto in quel momento che Akagi non si stava allontanando, solo che a lui era stato fornito un termine di paragone: Hisashi Mitsui. Lui, il suo caos interiore, la sua determinazione, il modo in cui sembrava sempre capirlo con un margine di vantaggio su lui stesso, tutto ciò lo portavano non già a scalzare Akagi dal suo posto, bensì a occuparne uno simile.
“Torniamo? Tra non molto il sole tramonterà.” Disse Mitsui.
“È già così tardi?” si stupì Kogure.
“Il tempo vola quando si sta bene...” rispose Mitsui con un sorriso dolce.
Kogure sorrise a sua volta e tornarono alla moto. Mitsui accese il motore e Kogure d’istintogli cinse la vita con le braccia. Mitsui si irrigidì per un solo secondo, poi gli accarezzò il dorso di una mano e partì.
Viaggiarono in silenzio verso casa; Kogure notò che gli odori erano cambiati, ora a tutto si aggiungeva qualche profumo di cibarie. C’era anche qualcosa di diverso, una nota più fresca e rilassante, forse causata dal crepuscolo che stava scendendo rapidamente, nulla di specifico o definibile: l’unica certezza di Kogure era che stava bene.
Stavolta, la sbarra del passaggio a livello era già abbassata e Mitsui non poté aggirarla. Frenò, e la moto si inclinò quando lui appoggiò un piede a terra per mantenerla in equilibrio mentre attendeva che il treno passasse; un bambino, sull’auto di fronte a loro, si arrampicò sul sedile posteriore e spiò dal lunotto. Li vide, fece un sorriso enorme e agitò la manina. Mitsui rispose al saluto, seguito dopo un solo istante di esitazione da Kogure, un po’intimorito all’idea di lasciare la maniglia con la moto così inclinata ma desideroso di rispondere al cenno del bambino.
Finalmente, la sbarra si alzò; Mitsui ripartì, e pochi minuti più tardi già accostava davanti a casa di Kogure, che smontò con cautela.
Mitsui disse: “I libri posso recuperarli domani? Tanto non ho mai studiato dopo cena e non ho intenzione di cominciare adesso.”
“Certo. Se vuoi fermarti a studiare anche domani, sei il benvenuto.” rispose Kogure con un gran sorriso.
“Volentieri!” disse Mitsui, poi chiese: “Allora, ti è piaciuto il giro?”
“Sai cosa ti dico, Hisashi?” Mitsui scosse la testa, curioso, e Kogure proseguì: “Basta un giorno così a cancellare centoventi giorni stronzi.”
La risata di Mitsui si levò nell’aria che andava rapidamente raffreddandosi, e il rombo del motore l’accompagnò.
Kogure lo guardò allontanarsi, chiedendosi vagamente come sarebbe stato baciarlo; si rendeva conto, ad un livello puramente accademico, che un pensiero del genere avrebbe dovuto causargli turbamento: in fin dei conti, stava grossomodo ridefinendo il proprio orientamento sessuale mentre già che c’era realizzava di avere una cotta stratosferica per uno dei suoi migliori amici, ma dopo un giorno così riuscì a scrollarsi di dosso tutti i possibili turbamenti.
Avrebbe affrontato una cosa alla volta, con calma e metodo, proprio come Mitsui quando si posizionava appena dietro alla linea dei tre punti, e se fosse arrivato un altro momento in cui la paura prendeva il sopravvento... Kogure scoprì di non riuscire a immaginarselo.
Lui, che pianificava sempre cosa fare in anticipo, si ritrovò a rientrare in casa con il sorriso sulle labbra e una piacevole calma nel petto.
Se la paura avesse preso di nuovo il sopravvento, ci avrebbe pensato.
Un altro giorno, però, non adesso.
   
 
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