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Autore: GReina    28/04/2021    3 recensioni
[4/7 raccolta OS omegaverse]
ATTENZIONE: questa fanfic fa parte della serie "A Society to Change - Omegaverse". Consiglio di leggere prima la long in quanto questa OS spoilera il finale. Se non siete interessati alla sakuatsu o a leggere undici capitoli, però, potete benissimo leggere anche solo questa.
Si tratta della storia di Shirabu, del perché ha scelto il suo percorso e come trovarvi Semi abbia migliorato tutto.
Genere: Azione, Fluff, Omegaverse | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A Society to Change - Omegaverse'
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ATTENZIONE!! QUESTA STORIA NON MI APPARTIENE. Quanto state per leggere è stato scritto e pensato da LorasWeasley. Come per ogni mia fanfic di Haikyuu ha letto l’intero long “Against the Society” in anteprima (e mi ha convinto a scrivere questa serie di OS!). Sapendo che non avrei scritto di Shirabu e Semi mi ha chiesto il permesso di – cito (perché adoro) – “scrivere una fanfiction della mia fanfiction”. Io ho solo adattato un minimo lo stile al mio così che non stonasse con il resto, ma si tratta davvero di solo un paio di parole o qualche cambio di punteggiatura. Non mi prendo assolutamente nessun merito.
Tutte le eventuali recensioni/commenti (che spero ci saranno perché se ne merita tante bellissime!) saranno inoltrate a lei così da potervi rispondere.
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Shirabu aveva sette anni quando aveva capito di voler studiare per diventare medico. Aveva avuto la fortuna di nascere beta e, certo, non avrebbe avuto la strada spianata come se fosse stato un alpha, ma nessuno gli avrebbe impedito di fare ciò che voleva. Chi non era stata fortunata invece era stata sua madre, una omega dolce e gentile che aveva sempre trattato il piccolo Kenjiro come se fosse il suo più grande tesoro.
“Il suo piccolo miracolo.”
Veniva considerato un miracolo perché tutti erano convinti che Kenjiro non sarebbe mai nato. Sua madre era sempre stata troppo debole per riuscire a portare a termine un'intera gravidanza, ma con Kenjiro riuscì ad arrivare fino all'ottavo mese prima che il bambino nascesse prematuro. Kenjiro era forte e riuscì a sopravvivere senza problemi con l'aiuto dell’incubatrice fino a diventare esattamente come tutti gli altri bambini.
“Sei il mio piccolo combattente” ripeteva ogni giorno la sua mamma mentre lo stringeva per farlo addormentare “Kenjiro: intelligente, forte e vigoroso”.
Kenjiro rimase figlio unico perché sua madre non riusciva più neanche a iniziarla una gravidanza, il suo corpo era diventato estremamente più debole dopo aver dato alla luce il suo primo e unico bambino. Cercarono di mantenere la situazione il più silenziosa possibile, Shirabu era ancora troppo piccolo per capire tutto quello che stava dietro quella grande macchina chiamata Governo, ma suo padre gli aveva spiegato facilmente che se avessero saputo che la mamma aveva dei problemi avrebbero potuto portarla via. Questo era bastato a far tenere il bambino silenzioso e schivo sulle conversazioni riguardanti la loro famiglia.
Le cose infine cambiarono quando sua madre si accasciò a terra un tranquillo pomeriggio. Kenjiro ricordava di aver urlato il suo nome fino a quando la voce non aveva iniziato a mancargli, ricordava di essere andato a prendere il telefono per chiamare suo padre e ricordava di come tutti e tre si erano diretti in fretta all'ospedale più vicino. Ma soprattutto, la cosa che non avrebbe mai dimenticato, fu come il dottore di turno in quel momento lanciò un solo e semplice sguardo a sua madre e disse con il tono tranquillo di chi stava per leggere la sua lista della spesa:
“Non posso fare nulla per questa omega. Non ho il tempo né la voglia di provare a sistemare qualcosa di già rotto da tempo.” Kenjiro aveva sentito l'odore forte di suo padre che diventava rabbioso, il suo ringhio minaccioso mentre la sicurezza arrivava velocemente e li costringeva ad andare via. Shirabu era convinto che suo padre avrebbe addirittura iniziato una rissa se solo non ci fosse stato lui da proteggere.
A sette anni Shirabu Kenjiro aveva visto morire sua madre solo perché un dottore non aveva neanche provato a capire cosa avesse che non andava classificandola subito come omega e quindi facilmente sostituibile.
 
Quando finì il liceo si trasferì a Tokyo per poter studiare in una delle più importanti e rinomate università di medicina del Giappone. Fortunatamente suo padre aveva i soldi necessari per mandarlo a vivere fuori e pagargli gli studi senza doverlo costringere a cercarsi un lavoro. Non dovendosi quindi concentrare su nessun'altra cosa, Shirabu studiava tutti i giorni da mattina a sera, prendendo sempre i voti più alti e diventando il primo della classe.
La specializzazione fu più complessa perché era affiancata dal tirocinio in ospedale. Soprattutto quando per tirocinio si intendeva dover fare da schiavi non pagati ai loro superiori. Ma Shirabu era sempre stato intelligente ed era riuscito a imparare moltissime cose semplicemente limitandosi a vederle.
Infine, quando venne preso ufficialmente a lavorare in ospedale all'età di 24 anni, iniziò a fare quello per il quale aveva tanto faticato: salvare la vita delle persone. E non solo quelli che la direzione dell'ospedale gli chiedeva di curare, ma chiunque ne avesse bisogno.
Shirabu sfruttava il fatto che quando la gente arrivava in struttura per chiedere aiuto doveva compilare un apposito modulo dove metteva tutte le proprie generalità, compresi l'indirizzo di casa. Ad ogni fine turno, poi, rubava tutti i moduli buttati della gente che era stata scartata e si presentava in casa loro per aiutarli. Era una vita stressante: dormiva a stento, non aveva alcuna possibilità di stringere relazioni di alcun tipo, aveva il costante terrore di essere scoperto e nessuno lo pagava per tutte quelle ore extra, ma non aveva mai pensato di abbandonare, perché ogni volta c'era sempre qualcuno che lo ringraziava in lacrime, come quel bambino che si era aggrappato alle sue gambe urlando che era un angelo venuto a salvare la sua mamma. Gli aveva ricordato tantissimo sé stesso da piccolo e Kenjiro sapeva che non avrebbe mai potuto smettere, non quando riusciva a dare loro quell'aiuto che alla sua famiglia era stato negato.
La sua vita ebbe una svolta quando andò a visitare casa della famiglia Sawamura.
Quella mattina si erano diretti in ospedale per un controllo dell’omega incinto, ma gli era stato detto che c’era già troppa lista d’attesa e che loro non erano la priorità, quindi erano stati mandati a casa. Shirabu aveva già visitato altre due famiglie e quella sarebbe stata l’ultima della serata visto che si erano già fatte le undici e mezza di sera.
Gli venne ad aprire l’alpha che lo squadrò da capo a piedi con fare sospettoso. Il suo odore era acre e con la fronte corrugata chiese: “Chi sei?”
“Mi chiamo Shirabu Kenjiro, sono un beta.” spiegò subito “Sono un dottore e volevo semplicemente offrirvi il mio aiuto per quello che oggi vi hanno negato in ospedale.” l’alpha sembrò sorpreso, poi si guardò con circospezione intorno.
“Sono solo.” lo rassicurò il castano. L’alpha rimase indeciso per qualche altro secondo, poi sembrò decidere che il benessere del suo omega era più importante di tutto il resto e lo fece entrare in casa.
“Mi chiamo Sawamura Daichi. Puoi chiamare il mio omega Suga.”
Lo accompagnò fino al soggiorno dove l’omega in questione si era addormentato sul divano.
Daichi gli si avvicinò e gli sussurrò qualcosa di inudibile per Shirabu, ma che fece svegliare l’omega con un leggero sorriso in volto.
Quando si accorse di lui si irrigidì. “Chi sei?” chiese come il suo alpha e Shirabu si presentò nello stesso identico modo.
“Qual è il problema?” domandò infine. Suga sembrò fidarsi subito, quindi non perse tempo a rispondere.
“Ho scoperto di essere in attesa meno di una settimana fa, ho già avuto un aborto spontaneo…” gli si affievolì la voce “…e sento le stesse fitte dell’ultima volta. La cosa mi sta preoccupando parecchio.” Shirabu annuì e lo fece sdraiare per poterlo visitare con i pochi strumenti che aveva a disposizione. Mezz’ora più tardi si stava togliendo i guanti sospirando per la stanchezza.
“È qualcosa di grave?” domandò l’omega preoccupato con entrambe le mani a tenersi il ventre ancora completamente piatto.
“No.” lo rassicurò subito il castano “Te lo spiegherò in modo facile da capire. Quando si resta incinti il feto si attacca subito al corpo ospitante. Ma ci sono casi in cui questo procedimento avviene in modo lento e la possibilità di perdere il bambino è alta. Ci sono delle punture però che potresti fare una volta al giorno e che impediranno che ciò avvenga. Dovresti farle per tre mesi ogni giorno, sia in questa sia in future gravidanze. Mi rendo conto che sarà stressante e doloroso ma è l’unico modo per non perderlo.”
“Lo farò.” rispose subito risoluto l’omega “Come si chiama il farmaco da mettere nelle punture?” Shirabu glielo scrisse in un foglio e glielo consegnò insieme al proprio numero di telefono. Suga lo fissò stupito, poi domandò:
“Perché stai facendo questo per noi?”
“Non lo sto facendo per voi, lo faccio per chiunque ne abbia bisogno, per tutti quelli ai quali viene rifiutato l’aiuto in ospedale.”
“Stai andando contro il governo, lo sai questo?” Daichi intervenne, fissandolo con uno sguardo che Shirabu non riusciva davvero a comprendere.
“Lo so,” rispose tranquillamente “ma tutti hanno il diritto di essere curati e aiutati. Finché posso salvare una vita in più… come può il governo dire che sto sbagliando?”
“E se ti dicessi che sono un poliziotto?” Shirabu rise e portò i polsi in avanti.
“Vuoi arrestarmi? Ne sarà comunque valsa la pena.” Daichi e Suga si lanciarono uno sguardo profondo, poi l’alpha parlò:
“In realtà volevamo proporti qualcosa.”
 
E fu così che Shirabu entrò in una Resistenza “criminale” che lavorava all’oscuro del governo per proteggere gli omega e cercare un modo per cambiare il mondo.
In realtà le cose non erano cambiate tantissimo da quello che già faceva in solitario. Una differenza era che adesso aveva momenti dove lavorava quasi il doppio, soprattutto quando salvavano gli omega che erano a un passo dalla morte dalle fattorie. Doversi occupare di loro in tutto e per tutto, ospitandoli quasi sempre in casa propria per il primo periodo, era come avere un secondo lavoro a tempo pieno.
La seconda cosa che cambiò furono i legami e le relazioni. Era da quando aveva finito il liceo che non aveva più nessuno da poter definire “amico”. Non aveva comunque tempo per uscire a cena fuori o per parlare al telefono di nuovi scoop, ma avere qualcuno di stabile con cui vedersi settimanalmente anche se solo per delle riunioni illegali era comunque una bella cosa. Soprattutto sapere che queste persone ci sarebbero state se avesse avuto bisogno di aiuto.
Quello che di certo non si aspettava nella sua vita fu l’incontro con Semi Eita.
Due dei membri della Resistenza presenti ancora prima dell’arrivo di Shirabu erano Tendo Satori e Ushijima Wakatoshi. Shirabu li conosceva perché erano andati nello stesso liceo e tutti e due in quegli anni erano leggende della pallavolo. Loro però non conoscevano lui, era un anno più piccolo e non aveva mai fatto nulla di spettacolare da aver attirato la loro attenzione nei due anni che avevano passato insieme nella stessa scuola. Tendo però era sempre stato espansivo e subito amichevole, quindi quando scoprì che avevano frequentato lo stesso liceo iniziò a parlare con lui come se fossero amici da una vita.
E con Tendo arrivò Semi.
Entrambi avevano lavorato nella clinica per omega di Tokyo prima che l’albino fosse trasferito nella fattoria a nord della città, e non era stato difficile per il rosso capire che anche Semi era disgustato da tutto quello che stava succedendo.
“Quindi tu sei il dottore.” gli disse il ragazzo più alto e dai capelli chiari la prima volta che si incontrarono. Erano a una delle riunioni a casa di Tanaka e il ragazzo gli si era avvicinato curioso.
“Sono io.” rispose il castano alzando le spalle, come se non fosse nulla di importante.
“Ho sentito un sacco parlare di te. Immagino che non sia facile aiutare tutti quegli omega che ti mandiamo, so in che condizioni sono quando li aiutiamo a scappare.”
“Faccio solo quello che devo.” rispose quasi sulla difensiva, non capendo dove tutta quella conversazione sarebbe andata a parare.
“Ti ammiro un sacco, sai? Sì, insomma, tutti quelli qui dentro hanno delle intenzioni nobili, ma senza di te sarebbero morti in così tanti, e rischi ogni giorno nonostante tu abbia un lavoro stabile. Sei una persona davvero speciale.” e l’unica risposta di Shirabu fu il suo semplice arrossire.
 
Da quel giorno Semi Eita era entrato sempre di più nella sua vita.
Tutto era iniziato dai messaggi che si scambiavano. I primi erano stati di Semi dove il ragazzo semplicemente si informava della salute degli omega che lui stesso aveva aiutato a scappare, ma molto presto questi messaggi si erano facilmente modificati in dei semplici “Come sta andando la tua giornata?” o “Hai cenato correttamente?”. Shirabu era troppo impegnato per poter mantenere una vera e propria conversazione e questo Semi lo sapeva bene, ma ricevere anche un solo suo messaggio migliorava la sua giornata.
Semi poi aveva preso l’abitudine di andarlo a prendere per andare alle riunioni settimanali, aveva usato la scusa che meno macchine si dirigevano tutte nello stesso luogo avrebbero attirato meno l’attenzione. Kenjiro si addormentava la metà delle volte sul sedile del passeggero dopo appena pochi secondi dalla loro partenza e Semi non lo disturbava mai fino a quando non erano arrivati.
Una notte Shirabu era talmente stanco che il più alto decise di accompagnarlo fino a casa. Inizialmente il castano aveva protestato, ma lo ringraziò mentalmente quando stava per cadere dalle scale per colpa di un mancamento dovuto probabilmente alle sole cinque ore di sonno delle ultime 48 ore.
Fu quella sera, dopo due anni di conoscenza, che Semi provò a baciarlo. Shirabu non era stupido, sapeva che i loro comportamenti negli ultimi due anni stavano solo portando a quello, ma quando l’altro era solo a pochi centimetri di distanza lo bloccò poggiando due dita sulle sue labbra.
“Non posso.” sussurrò infine con voce bassa. Non aspettò che l’altro reagisse in alcun modo prima di spiegare meglio: “Non che tu non mi piaccia, al contrario. Ma non ho tempo da dedicarti e ne meriteresti davvero tanto. Insomma, mi addormento anche nei brevi tragitti in macchina e probabilmente la signora delle pulizie che pago conosce casa mia meglio di me. Passo il mio giorno di riposo settimanale dormendo e ho pure dimenticato l’ultima volta che sono uscito per fare qualcosa per me.” Semi sorrise.
“Quindi è vero che ti sei tagliato la frangia da solo? Per questo è tutta storta?” Shirabu mise il broncio.
“È stato un momento di distrazione. Pensi che sia brutta?” il più grande ampliò il suo sorriso mentre gli accarezzava i capelli.
“Penso che sia adorabile.”
“Allora la terrò sempre così.” scherzò prima di tornare serio “Sei importante. Ma anche questa causa lo è e non… non farmi scegliere tra voi due.” Semi non sembrava deluso, né arrabbiato o infastidito da quel rifiuto.
“Va bene.” disse semplicemente “Aspetterò di cambiare il mondo.” Shirabu strabuzzò gli occhi; non era esattamente quello che voleva intendere ma il ragazzo era stato così sicuro quando l’aveva detto che il castano non trovò nulla per protestare.
“Vai a dormire, adesso.” gli prese le chiavi dalla mano e aprì la porta al posto suo “Nessuno vuole che tu svenga domani mentre stai operando qualche alpha brutto e scorbutico.”
“Idiota.” borbottò in risposta mentre si dirigeva dentro casa e soffocava uno sbadiglio. Semi rise.
“Vuoi che ti aiuti a cambiarti o ce la fai?” il suo volto andò a fuoco e, mentre sbraitava un “Buonanotte!” troppo forte, gli chiuse la porta in faccia.
 
“Aspetterò.”
Semi lo stava davvero aspettando. Non gli fece alcuna pressione per vedersi al di fuori delle riunioni o per sentirsi di più al telefono. Shirabu era convinto che le cose sarebbero cambiate, che un giorno si sarebbe stufato di aspettare, che pian piano si sarebbe allontanato dopo aver capito che disastro era Kenjiro. Avrebbe potuto avere chiunque, perché aspettare lui? Ma così non era stato e Shirabu si rese conto che poteva davvero innamorarsi di uno come lui.
Ne ebbe la conferma quando morì un omega che era sotto le sue cure da più di un anno, si era affezionato a lui e alla sua famiglia, soprattutto ai suoi bambini, ma stava troppo male e Kenjiro non aveva l’attrezzatura adatta. Era l’una di notte quando si trovò fuori dalla casa di quella famiglia, seduto sul marciapiede a piangere. Senza riflettere chiamò Semi e in lacrime lo supplicò di raggiungerlo. Il ragazzo era arrivato dopo pochi minuti, Shirabu gli diede il tempo di spegnere il motore della macchina prima che aprisse la portiera del passeggero e si precipitasse dentro.
Non ci fu bisogno di parlare, Kenjiro aveva solo bisogno di piangere e Semi era lì per consolarlo. A un certo punto della notte il dottore era finito nello stesso sedile del più alto, incastrato tra le sue gambe e accoccolato contro il suo petto.
È tutta colpa mia.
“Non è colpa tua.”
Avrei potuto fare di più.
“Hai fatto il possibile. So che l’hai fatto.” i sussurri che continuava a dirgli mentre lo teneva stretto e gli accarezzava il volto e i capelli erano così seri, la serietà di chi ci credeva davvero e non lo diceva perché erano le solite frasi di circostanza da dire in questi casi.
“Farò tutto il necessario per aprire gli occhi alle persone. Per non permettere mai più che una cosa del genere sia ritenuta normale. Finirà di essere tutto sulle tue spalle, te lo prometto Kenjiro.”
Rimasero in quel modo fino all’alba. Shirabu era distrutto, ma si sentiva anche amato e confortato.
Fu in quel momento che arrivò la consapevolezza di essere innamorato di lui, così come iniziò a credere davvero che l’altro stesse aspettando la fine di tutto quello schifo prima di iniziare una nuova vita insieme a lui.
Mi fa sentire come se ne valessi davvero la pena.
 
Infine, il giorno del colpo arrivò e, nel bene o nel male, tutto sarebbe finalmente finito.
Fin dal momento in cui i primi omega iniziarono ad arrivare, Shirabu si concentrò solo ed esclusivamente sulla praticità, sul rendere tutto il più veloce possibile ma farli sentire allo stesso tempo a proprio agio e in un luogo sicuro.
Meno di un'ora dopo dovette anche occuparsi della ferita da arma da fuoco che Suga aveva ricevuto sul fianco, ma si era preparato anche a una situazione del genere, quindi riuscì a rimanere lucido e aiutarlo prima ancora che entrasse in una situazione critica. Diversi ragazzi del gruppo originario della Resistenza si erano proposti di aiutarlo, ma era comunque Shirabu a doversi occupare di ogni cosa, e non era per niente facile doversi prendere cura di settanta omega da solo.
La metà di loro erano affetti da disturbo Post Traumatico da Stress per tutto quello che avevano subito. Alcuni avevano iniziato a presentare i sintomi della febbre, probabilmente per le vicende avvenute durante la fuga e lo shock di essere fuori dal luogo dove avevano passato quasi tutta la loro vita. Altri ancora avevano delle ferite che non gli erano mai state curate e che stavano iniziando a presentare sintomi di infezioni. Shirabu correva da un posto all'altro, talmente concentrato nel suo compito da non rendersi conto delle ore che passavano o dei suoi bisogni fisiologici.
Ricordava vagamente di gente che gli portava bottigliette d'acqua o barrette energetiche, aveva avuto una sola pausa bagno più lunga di un minuto che gli permise di cambiare la maglietta sudata e ancora sporca del sangue di Suga.
Devi salvarli tutti.
Ancora un altro e poi potrai riposare.
Queste persone hanno bisogno di te.
Andava avanti solo grazie a quei pensieri e il ricordo fisso di sua madre, una omega come tutti quei settanta di cui si stava occupando.
Fu solo quando stava raggiungendo le 60 ore di veglia che Semi fermò tutti i suoi movimenti mettendo le mani sulle sue. Solo grazie a quella presa salda si rese conto che le sue mani stavano tremando, probabilmente già da diverso tempo.
“Basta così. Devi riposare, adesso.” Shirabu fissò con disperazione il ragazzo più alto.
“No, fammelo solo curare, non posso riposarmi mentre loro…” Semi lo zittì, poi gli indicò un punto dietro le sue spalle.
Il sollievo invase il corpo di Kenjiro quando si accorse che un gruppo di dottori aveva raggiunto la struttura abbandonata e stava varcando le porte proprio in quel momento. Riconobbe un suo collega, poi un altro e un altro ancora. La consapevolezza di non essere più da solo per poco non lo fece svenire dalla stanchezza. Uno dei nuovi dottori si guardò intorno, poi lo riconobbe e gli si avvicinò a grandi falcate. Shirabu era talmente stanco che non riusciva a ricordare neanche il suo nome.
“Shirabu!” disse sorpreso mentre lo scrutava “Ti sei occupato da solo di tutti loro per tutto questo tempo?” l'unica cosa che il castano riuscì a fare fu annuire, il nuovo arrivato si inginocchiò al suo fianco prendendo il suo posto con il paziente che stava visitando “Vai a riposare, adesso. Ci pensiamo noi.”
Ci pensiamo noi.
Perse tutta l'adrenalina e la paura di vederli morire che aveva accumulato, si accasciò colpendo il petto di Semi, non scivolò a terra solo perché questi aveva stretto le braccia intorno a lui. Si sentì alzare da terra e trasportare come se fosse senza peso.
Di norma avrebbe protestato per una cosa tanto imbarazzante, ma in quel momento era talmente stanco da non riuscire neanche ad arrossire. Inoltre, era sicuro che nessuno stesse facendo caso a loro due.
Semi lo portò in uno degli angoli più appartati cercando un posto per farlo riposare tranquillo, Kenjiro era sicuro che si sarebbe addormentato anche in mezzo al rumore di una sparatoria in quel momento, ma non lo disse e accettò tutto quello che l'altro ragazzo aveva intenzione di offrirgli.
Venne fatto stendere dentro un sacco a pelo mentre una coperta extra gli veniva drappeggiata sopra. Semi rimase al suo fianco, Shirabu non sapeva dire se fosse sdraiato o seduto, aveva già gli occhi chiusi e gli sembrava una fatica enorme anche solo provare ad aprirli. Però sentiva la sua mano che gli accarezzava con dolcezza i capelli e la sua voce bassa e vicina che sussurrava come in un mantra:
“Sei stato così bravo. Così bravo, Kenjiro. Hai salvato tante vite… sei un eroe. Sono così innamorato di te.” Kenjiro si sentì finalmente in pace con sé stesso. Borbottò tra il sonno e la veglia:
“Mmh… adesso puoi portarmi ad un appuntamento.” mentre cadeva nell'oblio sentì la risata dell'altro e la sua risposta.
“Prima dormi, poi ti porto ovunque tu voglia.” sorrise mentre si addormentava pesantemente.
Andava tutto bene. Poteva finalmente riprendere in mano la sua vita.
   
 
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