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Autore: Baudelaire    04/05/2021    2 recensioni
Rebecca Bonner sta per tornare ad Amtara, per il suo secondo anno.
Questa storia è la continuazione della mia precedente "La stella di Amtara".
Cuore di ghiaccio diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rebecca aveva sempre pensato che l’ufficio della Collins rispecchiasse pienamente la sua personalità. Non era la prima volta che vi metteva piede e anche stavolta provò una strana sensazione di disagio. La luce filtrava appena dalla piccola finestra a forma romboidale e l’arredamento era austero ed essenziale. Rebecca sprofondò nella lucida poltrona in pelle, lanciando un’occhiata distratta allo scaffale dietro la scrivania, pieno di libri.
La preside sedette davanti a lei e congiunse le mani. Rebecca aveva abbastanza esperienza di colloqui con lei da sapere che quel gesto significava solo una cosa: l’argomento era serio.
“Verrò subito al dunque.” – esordì.
“Non ce n’è bisogno.” – la interruppe Rebecca. “So già cosa vuole dirmi.”
“Davvero?”
“Vuole parlare ancora del mio Potere, giusto?”
Rebecca si sentiva inquieta. Era già abbastanza difficile sopportare l’idea che il Demone la stesse cercando per ucciderla, senza bisogno che la preside rincarasse la dose con le sue preoccupazioni.
“Esatto, Bonner.  Mi sento in dovere di ricordarti che ti è fatto assoluto divieto di usare il tuo Potere qui ad Amtara. Senza alcuna eccezione.”
“Nemmeno in caso di vita o di morte?”
“Se mi darai ascolto, non ti troverai nella malaugurata situazione di dover scegliere.”
“Come fa a dirlo?” Un lampo d’ira fiammeggiò nei suoi occhi. “Come fa a sapere esattamente cosa accadrà? Per quel che ne sappiamo, Posimaar potrebbe essere là fuori, molto più vicino di quanto pensiamo.”
L’ultima cosa che voleva era intavolare un’altra discussione su Posimaar con la Collins. Era sfiancante discuterne con lei, dal momento che sembrava non voler sentire ragioni.
Ma Rebecca temeva che il suo tentativo di proteggerla, alla fine, avrebbe potuto ritorcersi contro di loro e l’unica a farne le spese sarebbe stata lei. Si sentiva in trappola e senza vie d’uscita.
“Esatto, Posimaar potrebbe essere là fuori, pronto ad attaccare.” – replicò la Collins, senza perdere la calma. “Proprio per questo, tu non gliene darai motivo e non ti Sposterai. Non finchè sarai sotto la mia protezione.”
Rebecca emise una risatina sarcastica. “Crede davvero di potermi proteggere da lui? Crede che questo sia sufficiente?” Si sporse sulla sedia. “Vuole uccidermi. Mi troverà, prima o poi.”
“Se lo farà, lo affronteremo insieme.”
Rebecca non rispose. Respirava affannosamente, in preda alla rabbia.
Aveva bisogno di calmarsi, o avrebbe finito per dire cose di cui poi si sarebbe pentita.
“Il mio compito è proprio questo.” – continuò la Collins. “Impedire che ti accada qualcosa di male.”
“No, il suo compito è istruire le Prescelte a combattere, non metterle sotto una campana di vetro.”
La Collins trasalì a quelle parole.
Ma Rebecca era ormai inarrestabile.
“Si aspetta che io me ne stia qui buona buona, aspettando il momento in cui lui mi troverà. Ma cosa accadrà quando io me ne andrò da qui? Cosa accadrà quando avrò finito i miei studi ad Amtara? Chi mi proteggerà allora?”
“Per allora sarai una Prescelta perfettamente istruita.”
“Proprio come lo era Bonnie?”
Le parole le erano uscite quasi senza rendersene conto.
Rebecca arrossì, consapevole di essersi spinta troppo oltre.
La Collins avvampò, gli occhi socchiusi come due fessure.
Per alcuni istanti, nessuna delle due parlò.
Rebecca era pentita delle sue parole. Non voleva rievocare il doloroso ricordo di Bonnie Stage, ma la sua morte era la chiara dimostrazione che i tre anni di studio ad Amtara non sarebbero stati una garanzia di salvezza per nessuno. Ormai la Collins avrebbe dovuto capirlo, per quanto quel pensiero potesse farla stare male. Tuttavia, Rebecca sapeva che la preside non avrebbe mai ammesso che la scelta di Calì Amtara avrebbe potuto rivelarsi un clamoroso buco nell’acqua.
“Ascoltami, Bonner.” – riprese la Collins, in tono pacato – “Io non voglio che tu faccia qualcosa di avventato. L’ultima cosa che desidero è che Posimaar riesca a catturarti. So che un giorno, forse non troppo lontano, sarete destinati ad incontrarvi. Ma io non credo tu sia pronta. Non ancora. Non adesso.”
Rebecca sospirò, senza dire nulla.
“E per quanto riguarda la morte di Bonnie Stage…” – aggiunse la preside, abbassando la voce – “ Posso assicurarti che era un’allieva molto preparata. Io stessa le ho insegnato personalmente la maggior parte degli Incantesimi che conosceva. Purtroppo, questo non è bastato. Tuttavia, posso affermare con certezza che molte altre vite sono state risparmiate, grazie alle Prescelte, e sono certa continuerà ad essere così. Mi piacerebbe che tu avessi maggiore fiducia in noi, Bonner.”
Rebecca, punta sul vivo, non rispose.
La Collins le aveva parlato con il cuore in mano, lo percepiva. Sapeva quanto era stata dolorosa la morte di Bonnie per lei, eppure credeva ancora fermamente negli ideali di Amtara. Non si sarebbe mai arresa e avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggerla.
“Professoressa, io non volevo…”
La preside alzò una mano per fermarla. “Non serve che tu aggiunga altro. Non ce n’è bisogno. Sono certa che hai compreso pienamente il senso delle mie parole.”
Rebecca annuì.
“Non intendo rubarti altro tempo prezioso.” – disse la Collins, alzandosi in piedi. “Ricorda quello che ti ho detto… e cerca di stare lontana dai guai.”
Dall’espressione della preside, Rebecca capì che non era il caso di replicare.
Le sue parole dovevano averla ferita, in qualche modo, ma ormai era tardi per rimediare.
Si alzò e si congedò da lei, un po’ abbattuta.
 
Quando uscì dall’ufficio della preside, Rebecca diede un’occhiata all’orologio e si accorse di essere in ritardo per la lezione di Storia della Stregoneria.
Mentre correva verso l’aula di Garou, ripensò a quella breve ma intensa conversazione e all’espressione apparsa sul volto della preside quando lei aveva nominato Bonnie.
Rebecca si morse le labbra. Era stato davvero un colpo basso, da parte sua, ma quelle parole le erano sfuggite a causa di tutta la frustrazione accumulata.
Rebecca non si sentiva più libera e la Collins cercava di rendere quella prigionia ancora più opprimente. Per un istante, pensò che sarebbe stato meglio non usare il suo Potere quel giorno nella grotta. Ora nessuno avrebbe saputo nulla, né la preside, né tantomeno le sue compagne, che non perdevano occasione di fissarla di sottecchi in qualunque momento della giornata. Ma questo avrebbe significato lasciar morire Garou, e Rebecca non se lo sarebbe mai perdonata.
Arrivò in classe per ultima, ma per fortuna il professore non era ancora arrivato.
Ebbe, quindi, il tempo di raccontare a Brenda e Barbara il suo colloquio con la Collins.
“E’ preoccupata per te.” – commentò Brenda.
“Sì, questo l’ho capito. Resta il fatto che il Potere è mio e di nessun altro. Dovrei essere io a decidere.”
Brenda alzò gli occhi al cielo. “Ne avevamo già parlato, se non mi sbaglio…”
“Già, e la mia opinione non è cambiata.” – replicò seccamente Rebecca.
Le dava sempre sui nervi ogni qual volta Brenda dava ragione ai professori.
Il più delle volte, le veniva voglia di contraddirla quasi solo per il puro gusto di farlo.
“Comunque quella cosa su Bonnie te la potevi risparmiare.” – disse Barbara.
Rebecca si rabbuiò. “Sì, lo so. Mi sono pentita subito dopo averlo detto.”
“Lei come ha reagito?”
“Non ha detto niente. Ma poi mi ha liquidata in maniera piuttosto sbrigativa. Credo davvero che non se l’aspettasse.”
Rebecca era amareggiata. La Collins non aveva raccolto la sua provocazione, ma era sicura che non l’avesse affatto presa bene.
Non ebbero più modo di parlarne, perché in quel momento il professor Garou entrò in classe.
Rebecca lo guardò. Quei tre mesi di vacanza dovevano avergli giovato parecchio. Si era pettinato all’indietro i capelli e indossava un elegante abito grigio. Non c’era più alcuna traccia del colorito pallido e dell’aspetto malaticcio dell’anno prima. Certo, i segni della lotta contro Cogitus spiccavano ancora sul volto scarno, ma i lineamenti marcati erano ora più distesi e a Rebecca sembrò perfino che i suoi occhi brillassero di una luce nuova.
Era davvero così, o era lei a vederlo con occhi diversi?
Senza dire una parola, Garou andrò a sedersi e aprì il libro di testo.
Le Prescelte lo imitarono, senza alcun bisogno che lui parlasse. Ormai sapevano bene come funzionavano le sue lezioni.
“Pagina 235. I mutaforma.” – disse il professore.
“Buongiorno, professore, passate bene le vacanze?” - sussurrò Barbara pianissimo in direzione di Rebecca, seduta accanto a lei. “Anche noi, grazie, è un piacere rivederla.”
Rebecca ridacchiò sommessamente.
Quello che non era cambiato era l’atteggiamento un po’ pomposo e arrogante di Garou, esattamente quello che l’aveva spinta fin da subito a non prenderlo troppo in simpatia lo scorso anno. Ed era anche il motivo per cui, alla fine, l’aveva indotta a credere che fosse lui l’aggressore delle Prescelte.
“I mutaforma sono esseri viventi dotati di un particolare potere.” – spiegò Garou. “Possono cambiare forma e aspetto in qualunque momento, e possiedono una propria identità fissa che può essere modificata a loro piacimento, senza recare danno alla loro struttura fisica.
“Possono diventare animali, esseri umani, vegetali o ultraterreni, ma pare che alcuni riescano anche a trasformarsi in cose inanimate. Essi assumono non solo la forma, ma anche i poteri di ciò in cui si trasformano. Nel mondo della Magia Bianca, vengono considerati degli abomini della natura e, per questo, portatori di sfortuna. Spesso sono reietti della società e non hanno il senso di appartenenza in nessuna razza o comunità. Ma ogni carattere dipende dalla persona e da come è stata cresciuta.”
Il professore fece una pausa e alzò gli occhi sulle allieve che aveva di fronte e che lo fissavano con grande serietà.
“C’è qualcuna tra voi che potrebbe farmi un esempio di mutaforma? Sì, signorina Apple?”
“I… vampiri?” – disse Jessica, un po’ insicura.
“Naturalmente. E sa dirmi in cosa possono trasformarsi?”
“In pipistrelli.”
“Precisamente. Qualche altro esempio?”
Garou fece girare lo sguardo sulle altre.
Rebecca ci pensò su, ma non le venne in mente niente. Non aveva mai letto nulla a riguardo ed era un argomento di cui era totalmente all’oscuro.
“Sì, signorina Watson?”
Jennifer Watson, una ragazza minuta con folti capelli ricci, aveva alzato la mano.
“I licantropi.” – disse.
Il cuore di Rebecca fece un balzo. Lei, Brenda e Barbara si scambiarono un’occhiata nervosa e, istintivamente, si girarono verso il professore.
Senza volerlo, Jennifer aveva toccato un nervo scoperto.
Garou era visibilmente impallidito e Rebecca provò un istintivo moto di pietà per lui. Durante la loro conversazione, Garou non era entrato nei dettagli, ma Rebecca aveva capito quanto dovesse essere dolorosa per lui la sua condizione fisica. Nessuno ne era a conoscenza, naturalmente, a parte lei, le gemelle e la Collins.
Rebecca si augurò che nessuna delle compagne avesse notato il suo improvviso turbamento che, ai suoi occhi, era fin troppo evidente.
Ma, con suo grande stupore, il professore si riprese quasi subito e alzò la testa, rivolgendosi direttamente a Jennifer.
“Sono spiacente di doverla contraddire, signorina Watson.” – replicò con voce ferma.
Jennifer, evidentemente convinta della sua tesi, lo fissò, contrariata.
“I licantropi, o lupi mannari,” – spiegò Garou, con voce neutra, “si trasformano solo nelle notti di luna piena e lo fanno perché sono stati contagiati dal morso di un altro licantropo. A differenza dei mutaforma, quindi, non possono mutare il proprio aspetto a loro piacimento.”
Questa, pensò Rebecca, era esattamente la differenza tra Garou e Cogitus. Cogitus era stato maledetto da Posimaar, le aveva detto sua madre, ed era diventato un mutaforma in grado di trasformarsi in lupo in qualsiasi momento, come aveva avuto modo di constatare lei stessa con i suoi occhi.
Garou, purtroppo, non aveva scelta. Ad ogni plenilunio, il suo corpo mutava aspetto, indipendentemente dalla sua volontà. Rebecca si domandò chi fosse stato ad infliggergli quella sorte dannata. Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo e, probabilmente, non l’avrebbe mai fatto, a meno che non fosse stato lui a dirglielo spontaneamente.
Jennifer Watson aveva cominciato a prendere appunti, ascoltando con grande attenzione il professore.
“I lupi mannari,” – continuò Garou, “sono da sempre considerati esseri abominevoli, fautori del Male, creature demoniache. Alcuni ritengono, addirittura, che la loro condanna sia una sorta di punizione divina, per qualche peccato imperdonabile da essi commesso.” Si lasciò sfuggire una smorfia di disgusto. “Leggende metropolitane. Purtroppo, l’origine di questa specie si perde nelle leggende antiche. Nessuno conosce la verità e, forse, non la sapremo mai. Quel che è certo, è che i licantropi non hanno niente a che vedere con i mutaforma. Non sono altro che vittime di un destino avverso. Una maledizione che sono costretti a portare con sé fino alla tomba.”
Calò un gelido silenzio.
A Rebecca non era sfuggita l’enfasi con la quale Garou aveva pronunciato quelle ultime parole. Era chiaro che l’argomento provocava in lui sentimenti contrastanti e poco piacevoli.
Lanciò un’occhiata a Brenda e Barbara e capì che stavano pensando la stessa cosa. Quanto tempo ci avrebbero impiegato altre persone ad intuire che le assenze mensili di Garou avevano un motivo ben preciso?
Ai suoi occhi, soltanto un cieco avrebbe potuto non capire il nesso.
“Altri esempi di mutaforma?” – domandò Garou.
Nessuna alzò la mano.
“Bene, vi suggerisco di leggere tutto il capitolo. Troverete molti altri esempi. Per la prossima lezione voglio un riassunto, poi approfondiremo l’argomento.”
   
 
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