Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NikoruChan    08/05/2021    1 recensioni
Dal testo:
"Aveva ascoltato una sola parola di quello che gli aveva detto fino a pochi secondi prima? Si preoccupava veramente così poco dei suoi arti inferiori da voler fare comunque quel cazzo che voleva?
Sbattè le palpebre un paio di volte, il corvino, al sentire il proprio sangue ribollire nelle vene all'ennesima sensazione di fastidio.
Fastidio perché non si sentiva capito, fastidio perché nonostante tutto voleva farsi capire. Voleva farsi capire dall'uomo che aveva di fronte, e avrebbe fatto il possibile pur di riuscirci."
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La sera prima della spedizione per la riconquista del Wall Maria, Levi si confronta con la parte più recondita di sè, quella che vorrebbe che Erwin non partisse e che rimanesse al quartier generale lasciando che altri soldati si sacrifichino al posto suo.
Una storiella divisa in due parti senza tante pretese raccontata dal mio punto di vista, ovvero quello che Isayama non ci ha mai raccontato ma che, credo, possa essere successo veramente (ma magari!).
Spero che vi piaccia.
(Presente su Wattpad con lo stesso nome)
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Hai proprio ragione, forse un soldato ferito come me dovrebbe stare lontano dal fronte.-

Osservò di sfuggita il moncone nascosto dalla camicia non totalmente in grado di coprirlo del tutto, Levi, come per confermargli quella frase solo con lo sguardo. Uno sguardo che Erwin aveva visto innumerevoli volte, uno sguardo che valeva più di mille parole; se consideriamo che Levi non fosse molto eloquente, voleva dire sicuramente tanto.

-Ma sai...- continuò il biondo con tono deciso -...nel momento in cui finalmente capiremo la verità di questo mondo, io voglio essere presente.-

Non era una novità vederlo così determinato, eppure Levi non riuscì immediatamente a prenderlo sul serio come faceva solitamente.

Aveva ascoltato una sola parola di quello che gli aveva detto fino a pochi secondi prima? Si preoccupava veramente così poco dei suoi arti inferiori da voler fare comunque quel cazzo che voleva?

Sbattè le palpebre un paio di volte, il corvino, al sentire il proprio sangue ribollire nelle vene all'ennesima sensazione di fastidio.

Fastidio perché non si sentiva capito, fastidio perché nonostante tutto voleva farsi capire. Voleva farsi capire dall'uomo che aveva di fronte, e avrebbe fatto il possibile pur di riuscirci.

-E' così importante per te?- corrucciò lo sguardo, Levi, al fare un passo in avanti –Più delle tue gambe?- 

L'avrebbe fatto senza problemi, anche trattandosi di lui. Gliele avrebbe pure spezzate con il sorriso sulle labbra se questo fosse stato utile al suo scopo.

-Sì.- rispose prontamente Erwin non staccando lo sguardo dal suo, lasciandolo interdetto.

-Più della vittoria dell'umanità?- insistè Levi abbassando ancora di più il proprio, come per scrutarlo da un'altra prospettiva, oppure per mostrargli quanto, quella conversazione, non stesse andando come aveva premeditato. O sperato.

-Sì.- ripetè, questa volta, in un tono che non ammetteva tante repliche, il classico tono che usava quando indossava le vesti del Comandante, un ruolo che gli si addiceva sicuramente.

Levi aveva avuto, però, il privilegio di conoscerlo in altre vesti, quindi non si sentiva minimamente scoraggiato dinanzi a tutta quella sottospecie di autorità.

"Più importante...di noi?"

Non seppe cosa lo costrinse a mordersi la lingua, in quel momento. Normalmente non era il tipo da stare zitto quando qualcosa non lo convinceva o lo infastidiva, anzi, era noto per essere la persona più sboccata e diretta del mondo.

Si trovava pure in un contesto dove poteva farlo tranquillamente, cosa lo stava fermando, quindi?

Abbassò solo lo sguardo, ammettendo indirettamente la sua sconfitta in quella conversazione che desiderava avere in pugno più di qualsiasi altra cosa.

-Ho capito...- emise con un mormorio appena udibile, evitando lo sguardo di Erwin come la peste. Si voltò dalla parte opposta in velocità e impugnò la maniglia della porta come se si fosse trattato di una sorta di ancora di salvezza, una cosa che fino a pochi anni prima non concepiva nemmeno.

-Erwin...- fece girandosi per l'ultima volta verso di lui, espressione stoica in viso per celare il più possibile quello che sentiva nel suo più intimo –Mi fido del tuo giudizio.- 

Una frase che gli aveva ripetuto così tante volte da essersi quasi stufato, una frase che voleva dire tanto, ma che voleva dire nulla. Una frase che, comunque, non avrebbe mai smesso di dirgli perché...

Perché semplicemente si sentiva di farlo.

Aprì la porta, quindi, sgusciando fuori il più velocemente possibile per sfuggire a quello sguardo indagatorio che riusciva a leggerlo più di quanto volesse.

Se c'era una cosa che Levi odiava più dello sporco, era sicuramente l'essere compatito, specialmente da chi non rientrava nelle sue "simpatie".

Se era Hanji a farlo non gl'importava, seppur a fatica, se era Erwin pure. Tuttavia, in quel momento, si sentì come se avesse dovuto nascondere il suo evidente stato d'animo a chiunque, perfino a quell'uomo che conosceva da anni e col quale aveva combattuto innumerevoli volte.

Lo stesso uomo che l'aveva visto sorridere, lo stesso uomo che l'aveva visto piangere, lo stesso uomo che l'aveva visto senza vestiti ormai troppe volte per essere contate, lo stesso uomo che era riuscito a vederlo nella sua interezza senza aprire la bocca per giudicare.

Non l'aveva mai fatto, Erwin, proprio perché si aspettava che nemmeno lui lo facesse.

 

Levi uscì dalla porta con passo svelto trovandosi Hanji ancora presente nel corridoio, precisamente davanti ad una delle tante finestre che davano sulla città.

L'uomo la ignorò completamente, abbassando lo sguardo e facendo per andare nella propria stanza. O meglio, nella stanza che lui e il comandante del Corpo di Ricerca condividevano da anni e che era stata testimone di molti episodi che avevano coinvolto entrambi.

-Ehi, perché mi hai chiusa fuori?- domandò lecitamente lei, girandosi di scatto al notare la sua presenza.

-Fatti i cazzi tuoi, Hanji.- sbottò lui scuotendo la testa. Non aveva tempo di discutere con lei: non aveva tempo nemmeno di riordinare i suoi pensieri, figuriamoci se si fosse fermato a spiegarle perché avesse chiuso quella maledetta porta lasciandola fuori dalla conversazione.

-Almeno stasera ci sarai?- insistè la donna alzando maggiormente la voce al vederlo lentamente sparire –Si festeggia mangiando carne, devi esserci!-

Seriamente erano così tanto idioti da voler festeggiare?
Cosa c'era da festeggiare, esattamente?

Il fatto che sicuramente metà esercito non sarebbe tornato a casa? Il fatto che moltissimi soldati avrebbero acquisito dei traumi dopo una spedizione simile? Il fatto che Erwin avesse disposto tutte reclute e che quest'ultime sarebbero state di sicuro le prime ad essere spazzate via?

Il fatto che ci fosse una buona probabilità che nessuno ce l'avrebbe fatta?

Perché avrebbe dovuto passare del tempo con gente che la pensava in quel modo così superficiale, così stupido, così irrispettoso nei confronti di chi aveva perso la vita sul campo di battaglia?

No, Levi non era avvezzo a quel tipo di eventi, specialmente se si trovava di cattivo umore.

 

La ignorò completamente, quindi, scendendo quel piano per potersi rinchiudere nei suoi alloggi e rimanere da solo. 

Sbattè la porta nel chiuderla, come per far capire ai presenti che fosse incazzato e che sarebbe stato meglio per tutti evitare quella stanza come se al suo interno si celasse il demone più pericoloso e crudele del mondo. Non era così lontano dalla realtà, comunque, dal momento che dentro di sé si sentiva bruciare dall'irritazione e avrebbe potuto seriamente fare del male a qualcuno se solo non si fosse trattenuto.

Fuori la totale calma, illuminata dal sole arancione in procinto di tramontare e rotta, ogni tanto, dal nitrito dei cavalli che mostravano il loro disinteresse nelle stalle poco distanti dagli alloggi dei soldati.

Levi si tolse la giacca verde militare con gesti meccanici, lanciandola sul letto esattamente di fronte alla porta ed imprecando al notare di sfuggita quanto la testiera del suddetto letto fosse piena di polvere.

"Una cosa, gli ho detto, una cosa...", si morse il labbro nel ricordarsi velocemente quante cazzo di volte gli avesse raccomandato di sprimacciare bene i cuscini, di sistemare le lenzuola e di controllare quella fottuta testiera nel momento in cui si fosse alzato dal letto ogni mattina. Ma Erwin sembrava non capire, oppure sembrava far finta di non capire.

E non era la prima volta.

Si slegò il foulard bianco trattenendo imprecazioni variopinte, sia verso sé stesso che verso Erwin. Rimase con una camicia bianca e dei pantaloni neri che non aveva la minima voglia di togliersi, quindi optò per una maglia sempre bianca a maniche lunghe che quel bastardo gli aveva regalato chissà quanti anni prima.

Aveva scoperto che compiva gli anni nel giorno di Natale e, sorprendentemente, aveva deciso di spendere dei soldi per una maglia che non ne valeva nemmeno mezzo: ma a Levi andava bene così, di certo non avrebbe frignato per un modello piuttosto che per un altro.

Cominciò a pensare a quello che gli aveva detto nel suo ufficio, poco prima, e si sentì nuovamente ardere dalla rabbia.

Perché non lo ascoltava? Perché diceva di fidarsi ciecamente di lui eppure seguitava a fare il cazzo che voleva rischiando la vita più di quanto potesse pensare?

Non era la prima volta che succedeva, e per la maggior parte delle volte era stato Levi a risultare forse troppo paranoico. 

L'ultima volta però ci aveva preso, però, dal momento che era tornato da quella spedizione senza il suo braccio destro e per poco non rimaneva secco su quel letto d'ospedale perché aveva perso troppo sangue in troppo poco tempo.

Levi gliel'aveva detto, e ci aveva preso completamente.

Bastò quel ricordo a fargli digrignare i denti, preso un'altra volta dal senso di colpa e dalla rabbia nei suoi confronti.

 

 

-Che c'è, Levi?- gli aveva domandato Erwin al notare la sua presenza sullo stipite della porta aperta dei loro alloggi. Il diretto interessato non aveva risposto, avvolto in quella giacca nera che era decisamente troppo grande e troppo elegante per lui e appoggiato a suddetto stipite con la spalla.

-Sei davvero sicuro di volerlo fare?- domandò con tono basso il corvino, chiudendo la porta alle sue spalle e zoppicando verso di lui. Erwin si stava infilando le imbragature in tutta velocità: Levi si sorprese di come fosse stato bravo a non inciampare.

-Non dobbiamo lasciare che quelli prendano Eren, quindi sì.- rispose Erwin con tono risoluto, lanciandogli un'occhiata eloquente in velocità –E poi, il Corpo di Ricerca ha comunque bisogno del suo comandante.-

-Intendo dire, sei sicuro di volerlo fare senza di me?- rettificò Levi abbassando lievemente lo sguardo. La gamba gli faceva ancora male, faceva fatica a saltare (ci aveva provato giusto un paio di volte in quei giorni beccandosi addirittura delle risatine divertenti da quella quattrocchi di merda e dallo stesso Erwin) e sicuramente non sarebbe stato al massimo delle forze se fosse partito con loro.

Qualunque fosse la sua situazione, il suo istinto gli diceva di partire e di prendere parte a quella sorta di spedizione improvvisata. Erwin però era stato decisamente chiaro su quel punto: Levi non sarebbe dovuto partire conciato in quel modo, era fuori discussione.

-Apprezzo il tuo interessamento, ma non siamo così irresponsabili come ci chiama la maggior parte della popolazione.- il biondo gli rivolse un sorriso lieve, onorato nel vedere come Levi mostrasse la sua preoccupazione.

-No, infatti.- rispose quest'ultimo incrociando le braccia al petto, trattenendo un sospiro nel vederlo allacciarsi i bottoni della camicia –Siete anche peggio di così.-

-Apprezzo anche la tua sincerità.- rinnovò il sorriso, Erwin, nel lanciargli un'occhiata bonaria –Ma è giusto che il Soldato più forte dell'Umanità rimanga qui, specialmente se è ferito.-

-Smettila di chiamarmi in quel modo, lo sai che mi dà fastidio.- Levi fece schioccare la lingua al palato al percepire una sensazione di odio profondo prenderlo dietro alla nuca –E, per la cronaca, sarei in grado di buttarti a terra anche con la gamba conciata in questo modo.-

-Sì, so che saresti in grado di farlo.- lo appoggiò il biondo andando a recuperare la sua giacca.

Levi rimase lì in piedi a fissarlo con lo sguardo più indecifrabile che avesse mai fatto in tutti quegli anni. Normalmente Erwin era in grado di capire tra le righe, ma in quel momento gli fu difficile.

-Posso...posso anche stare nelle retrovie.- suggerì il corvino con un tono quasi insistente, cosa che fece aggrottare le sopracciglia al biondo di fronte a sé –Se questo può servire a salvare più vite possibili.-

-No, Levi, tu rimarrai qui.- ripetè il comandante con tono fermo, guardandolo interamente negli occhi. Blu e grigio a scontrarsi nuovamente, in quel campo di battaglia che era nientepopodimeno che la stanza dove dormivano da anni.

Il corvino sospirò dalla rassegnazione, causando in Erwin una reazione decisamente perplessa.

-Non sei mai stato così pessimista sulle sorti di una spedizione...- osservò il biondo aggrottando maggiormente le sue sopracciglia folte, entrambe le mani intente ad allacciarsi la mantella verde sulla zona dello sterno.

-Beh, grazie al cazzo, non avevo la gamba conciata così.- sentenziò Levi grattandosi la nuca.

-Pensi che possa succedere qualcosa di grave?- domandò Erwin intimandolo a continuare con lo sguardo. Non era raro che facesse previsioni, eppure il suo sguardo gli parve quasi anomalo.

-No, dico solo che ho un brutto presentimento.- ribattè il corvino con un tono più convinto –E sarei più sicuro se potessi partecipare anch'io.-

-Per quanto la tua presenza possa essere fondamentale, la mia risposta rimane sempre "no".- rimarcò ulteriormente il biondo tornando serio –Non sei nelle condizioni di combattere, ora come ora.-

Levi capì che non sarebbe stato il caso di insistere; sebbene tra di loro si parlassero anche in modo abbastanza informale, era comunque un suo superiore, e si fidava ciecamente di lui a tal punto da lasciare che agisse come meglio credeva. D'altronde, Shadis l'aveva nominato comandante per un motivo.

-Partirete subito?- domandò Levi poco dopo con l'ennesimo sospiro rassegnato, guardandosi la gamba ferita con una sorta d'insistenza nello sguardo come per costringerla a ristabilirsi.
Voleva partire con loro, voleva essere presente a quella spedizione d'emergenza, non voleva che morisse troppa gente a causa della sua assenza.

Non voleva neanche lasciare Erwin da solo.

-No, prima dovrò incontrarmi con Pyxis, poi decideremo cosa fare.- spiegò in velocità il biondo, superandolo per poter aprire la porta e uscire.

Levi, però, fu più veloce.

-Erwin.- lo chiamò senza nemmeno girarsi, con tono fermo e risoluto. Nessun "Signore" o "Comandante", solo "Erwin".

Il diretto interessato lasciò la maniglia, per poi voltarsi di nuovo verso di lui.

-Che c'è?- lo intimò il comandante, sospirando sommessamente sul posto e poggiando le mani sui fianchi.

Anche Levi si girò verso di lui, con calma a causa della gamba dolorante, e completamente in silenzio. Aveva leggermente aggrottato le sopracciglia e teneva la bocca serrata, come se avesse voluto dire qualcosa d'importante ma le parole non gli uscissero perché bloccate in gola.

Si avvicinò, quindi, arrivandogli praticamente di fronte.

Lo guardò un'ultima volta, Levi, prima di impugnare il colletto della giacca e di trascinarlo verso di sé. Si alzò leggermente sulle punte, notando con una sorta di piacere come Erwin avesse già capito.

Lo baciò con tutta la tranquillità del mondo, come facevano quasi sempre, come ad entrambi piaceva, un semplice contatto tra le loro labbra, un gesto che valeva un sacco di cose se solo avessero avuto il tempo di approfondirle. Erwin gli sfiorò la guancia con la mano destra, come per trattenerlo, percependo dentro di sé quanto effettivamente volesse e aspettasse un momento simile.

Fu Levi a staccarsi per primo, tenendo comunque incatenato lo sguardo con il suo. Avrebbe voluto annegare in quegli occhi azzurri come il cielo senza nuvole, così profondi e intensi da sembrare quasi pericolosi, eppure così dolci e comprensivi da fare invidia ad una madre.

Una madre di cui Levi aveva pochissimi ricordi, tra l'altro.

Erwin sfiorava ancora la sua guancia, quasi ammaliato.

-Cerca di riportare qui il tuo culo flaccido.- lo raccomandò il corvino lasciando la presa sul colletto della sua giacca, tornando con i piedi per terra e lanciandogli un'ultima occhiata simil-empatica prima di superarlo e di uscire prima da quella stanza.

Sorrise leggermente, Erwin, nell'imboccare il corridoio e nel mettere piede all'esterno di quell'edificio.

 

Era tornato, effettivamente, ma a che prezzo?

Questo e altro si domandava Levi con l'espressione deturpata dall'orrore al vedere come fosse conciato su quel letto d'ospedale. Pallido in viso, i capelli che erano diventati un tutt'uno con la pelle, il braccio destro mancante e il moncone ricucito "alla meglio", sangue secco sulla cucitura, sangue su altre parti del suo corpo contuso in più punti, sangue sui vestiti.

Sangue, sangue, sangue.

Sangue che non sapeva nemmeno se fosse il suo o quello di altri soldati morti per proteggerlo, o per proteggersi.

Non riuscì a guardarlo in quelle condizioni, non dopo quello che si erano detti giusto quella mattina nella loro stanza. Non dopo non aver insistito abbastanza per partire con loro, nonostante i suoi ordini, nonostante la sua gamba gli facesse un male terribile, nonostante si fidasse ciecamente di lui.

Levi sapeva che sarebbe dovuto andare con loro, Levi sapeva che sarebbe dovuto andare con lui.

Se fosse partito avrebbe potuto evitare che perdesse un braccio, il suo braccio dominante, tra l'altro, avrebbe potuto farsi del male al suo posto, tanto non gli importava nulla della sua incolumità. Quello che importava a Levi era che quell'uomo potesse raggiungere il suo obiettivo, senza se e senza ma. Non gliene fregava nulla del resto.

Ci mise un bel po' a svegliarsi e a riprendere finalmente conoscenza, allo stesso tempo, Levi impiegò parecchio per riuscire a guardarlo totalmente negli occhi dopo l'accaduto.

Continuava a ripensare al suo braccio che, in quel momento, non c'era più, a tutto il sangue che aveva perso, ai soldati che avevano perso la vita, a come sarebbe andata quella spedizione se lui fosse stato presente con loro.

Quel gigante gli aveva staccato di netto l'arto destro, Erwin fottuto Smith era stato incredibilmente fortunato ad uscirne vivo. Ma...se quella creatura avesse piantato i suoi denti di merda poco più in alto? Se quel gigante non si fosse limitato a staccargli il braccio ma avesse deciso di fare di più?

Se Levi non fosse rimasto lì a farsi i cazzi suoi, le sorti di quella spedizione sarebbero state effettivamente diverse?

-A che pensi, Levi?- domandò Erwin con tono stanco nel sistemarsi debolmente le lenzuola che teneva perennemente fisse sul suo bacino con l'unico braccio che gli rimaneva.

Erano appena usciti Pyxis e la sua assistente, dopo essersi assicurati che andasse tutto bene, che Erwin respirasse, che sapesse ancora parlare e che fosse soprattutto ancora in grado di firmare dei documenti ufficiali che Levi non aveva fatto in tempo a sbirciare. Era costretto a scrivere con la mano sinistra, quella non dominante, uno spettacolo penoso da vedere se messo a confronto con quello che provava il corvino nei confronti del suo comandante in quell'esatto momento.

Alla domanda di Erwin non rispose apposta, per non dichiarargli veramente cosa gli stesse proponendo la sua mente in quell'istante. Si limitò ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra di quella stanza d'ospedale con lo sguardo rigido, assieme alla posa stoica che lo caratterizzava sempre e che sapeva incutere timore alle reclute.

Avrebbe potuto aiutarlo, avrebbe potuto salvargli almeno il braccio, avrebbe potuto limitare il numero di morti dando in cambio la sua vita, magari, a causa della gamba ferita.

Era sempre meglio la sua dipartita di quella dell'uomo che era nella stessa stanza con lui, sdraiato su quel letto con la barba incolta, i capelli da tagliare e il moncone bendato per non causare reazioni di disgusto o di profonda compassione nel prossimo.

-Levi.- lo chiamò ancora il biondo con lo stesso tono di poco prima –Guardami.-

Se n'era accorto nonostante tutto, pensò Levi soffocando una risatina amara che in quel momento avrebbe solo potuto rovinare le cose. 

Non ci riusciva per quanto si sforzasse, il suo sguardo cadeva o su quella parte di braccio che mancava, oppure sul pavimento. Eppure, nonostante tutto, si era offerto più e più volte di aiutarlo a mangiare oppure a fare le cose più stupide del mondo, tipo spostargli leggermente il cuscino che lo teneva sollevato, grattargli la schiena dove le bende gli davano maggiore fastidio, uccidere qualche ragnetto molesto che riusciva a causare nel comandante una reazione piuttosto divertente se solo Levi fosse stato effettivamente avvezzo a ridere.

-Vado a prendere del tè.- annunciò invece il corvino, distanziandosi dalla finestra per potersene uscire in tranquillità.

Venne bloccato dal braccio sinistro di Erwin che, con un movimento rapido ma incredibilmente silenzioso, gli cinse gli spalle per braccare l'uomo in quel punto specifico della stanza.

Quando cazzo si era alzato in piedi? Non l'aveva mai fatto in quelle settimane, o meglio, diceva di sentirsi troppo debole per farlo e quindi non rischiava mai.

La sua presa era ferrea sebbene Levi percepisse che non fosse la stessa che lo caratterizzava normalmente; nonostante tutto, conservava la stessa dolcezza e premura.

Levi sapeva che con quelle braccia (o meglio, con l'unico che gli rimaneva) Erwin non gli avrebbe mai torto un capello, e oltre a saperlo ne era pure sicuro al 100%.

Quel braccio lo aveva stretto più di quanto potesse ricordare, l'aveva accarezzato, l'aveva abbracciato con premura, aveva esplorato il suo corpo con una passione ed una bramosia che Levi non si sarebbe mai aspettati da lui.

Quindi, quella stretta così debole ma così familiare, non gli diede la tentazione di scostarsi come era solito fare quando Hanji, specialmente, ricercava del contatto fisico e andava ad abbracciarlo all'improvviso. Anzi, ebbe il potere di bloccarlo lì, su due piedi, completamente disarmato e indifeso.

-E' da settimane che non mi guardi negli occhi.- mormorò Erwin con tono rauco andando a posare il proprio mento su quel casco di capelli neri lisci come la seta –Che succede?-

"Succede che non ho potuto salvarti il braccio".

"Succede che a causa di questo non riesco a guardarti negli occhi senza sentirmi fottutamente in colpa".

"Succede che non sopporto vederti così".

Queste e tante altre osservazioni avrebbe voluto sputargli addosso con tutta la consapevolezza e il rimorso del mondo, ma le parole sembravano rifiutarsi di uscire da quella bocca solitamente tanto affilata come lo erano quelle sue spade che tagliavano nuche di giganti a destra e a manca senza alcun'esitazione. 

-Levi, guardami...- lo supplicò ancora una volta Erwin, abbracciandolo più stretto con una nota lamentosa nella voce.

Il diretto interessato si domandò come avrebbero potuto giustificarsi entrambi se qualcuno fosse entrato in quel momento, uno di quei mocciosi, magari, oppure addirittura un altro commilitone.

Nessuno sapeva di quella sorta di "legame" che era nato tra di loro, nessuno, neppure Hanji, che pareva sempre conoscere tutto di tutti.

Quel legame che Levi aveva faticato tanto ad accettare, quel legame che non avrebbe mai voluto troncare a causa di un atteggiamento superficiale da parte del suo superiore.

-Non dovresti nemmeno stare in piedi, ora come ora.- lo sgridò il corvino fregandosene altamente del fatto che quella supplica lo avesse leggermente smosso –Poi non lamentarti se ti fa male dappertutto.-

-Non m'importa.- rispose prontamente Erwin abbassando ancora di più la voce, staccandosi leggermente per fare in modo che Levi potesse voltarsi senza problemi.

Finalmente si decise a guardarlo negli occhi, labbra serrate, sguardo affilato e braccia incrociate al petto a dimostrare quanto non fosse contento in quel dato momento. Erwin si trovò a sorridere lievemente, felice e sollevato come pochi davanti a quella visione sebbene sentisse un dolore allucinante nella zona della cucitura.

Gli occhi di Levi, seppur piccoli, erano molto espressivi e riuscivano a dire tutto quello che non riusciva a dire aprendo la bocca. Riuscivano ad esprimere rabbia, agitazione, frustrazione, ma anche un minimo di gioia, compiacimento, soddisfazione, emozioni che su quel viso allungato e diafano stavano a pennello.

Gli poggiò la mano sulla guancia, delicatamente, e cominciò ad accarezzargliela mentre Levi rimaneva impassibile, ma con lo sguardo incatenato a quello dell'uomo di fronte a sé. 

-Sarebbe stato meglio se fossi venuto anch'io.- pronunciò il più basso dei due con tono sprezzante, ma non verso Erwin, solamente verso sé stesso.

Cosa che il diretto interessato non apprezzò completamente.

-Sarebbe potuto succedere a chiunque.- fece nel guardarsi il braccio mancante e bendato con un tono malinconico.

-Sì, ed è successo a te.-

-Sono ancora vivo, non è questo l'importante?- ribattè Erwin continuando ad accarezzargli il viso con una lieve risatina. Levi dovette trattenersi tantissimo per non dare di matto e per non prenderlo a calci ancora convalescente com'era.

-Vallo a dire a quel bestione di merda che ti ha staccato il braccio.- sentenziò scuotendo la testa, come se avesse voluto rifiutarsi in un certo senso di vedere quello che i suoi occhi gli proponevano. Un paio di iridi azzurre come il cielo, splendide, intense, comprensive, degli occhi che Levi non aveva mai visto in tutti quegli anni di vita.

-Sono stato io ad ordinarti di rimanere qui, non darti la colpa.- lo riprese Erwin alzando entrambe le sopracciglia, per poi chinarsi sul suo viso, lanciargli un'altra occhiata empatica e diminuire continuamente la distanza tra i loro sguardi.

Lo baciò ad occhi chiusi, trattenendolo per la nuca con l'unica mano disponibile. Levi non si tirò indietro, anzi, lasciò che le sue labbra cingessero le proprie senza lamentarsi, trattenendolo addirittura per il colletto della camicia bianca aperta che indossava.

Era lì, era lì con lui, poteva sentirlo, poteva toccarlo, poteva viverlo.
Bastarono quei pensieri a fargli sciogliere quella maledetta corazza che si portava dietro da anni e che toglieva solo in sua presenza.

Levi si staccò con un leggero ansimo, conscio del fatto che se avesse veramente potuto avrebbe continuato all'infinito con quella sorta di attività che erano avvezzi fare non in tantissime occasioni, malauguratamente per lui. Chiuse di nuovo gli occhi e poggiò la fronte alla sua, internamente felice di vederlo lì e non nella bocca fetida di un gigante qualunque.

-Ho riportato il mio culo qui, non era quello che volevi?- lo stuzzicò Erwin con un sorriso sardonico, al quale Levi rispose tirandogli un leggero calcio sugli stinchi che lo fece gemere dal dolore.

Non andò oltre con i discorsi perché pensò che soffocare le sue emozioni in un altro bacio avrebbe dato maggiori frutti.

 

 

Certo, aveva riportato indietro il suo culo, ma a che prezzo?

Non riusciva più ad utilizzare il dispositivo di manovra tridimensionale come prima, non era nemmeno in grado di abbottonarsi la camicia da solo senza imprecare ogni tot di secondi, era già tanto se riusciva a stare sopra il suo cavallo senza perdere l'equilibrio, come avrebbe potuto affrontare una missione di per sé suicida come quella che avrebbero intrapreso l'indomani?

Quanto gli costava rimanersene buono nel suo ufficio e lasciare che fossero i suoi sottoposti ad ammazzarsi al suo posto?

Domande a cui Levi non riuscì a dare una risposta immediata, specialmente perché nell'aria cominciò ad aleggiare un vago profumo di carne che riuscì, stranamente, a fargli brontolare lo stomaco e a distrarlo. Fu un'illusione, però, perché subito dopo ricominciò a pensare a lui e al suo cazzo di sogno, raccontato ormai miliardi di volte, in tutte le salse, da ulteriori punti di vista, ogni volta con un aneddoto in più che riusciva sempre a farlo sorridere.

Erwin, ovviamente, non Levi, anche perché normalmente parlava del suo passato subito dopo aver scopato, quindi quando i sensi erano ancora abbastanza inibiti da tutto quel piacere provato.

Era bello sentirlo raccontare di suo padre, ma questo non gli dava di certo il diritto di fare quel cazzo che voleva con la sua vita che era già di per sé a rischio.

Odiava chi non dava valore alla propria esistenza, odiava chi la trattava come una cosa definitiva, che prima o poi sarebbe ritornata se fosse venuta meno.

Erwin non capiva che, in realtà, nel momento in cui si fosse trovato tra i denti fetidi di un gigante del cazzo non avrebbe avuto nulla indietro, nulla. Sarebbe morto come tanti altri, basta, finito, puf!

 

Insieme al profumo invitante di carne si alzò nell'aria il suono di un urlo collettivo di gioia, segno che i soldati si fossero riuniti finalmente a festeggiare, come anticipato da Hanji poco prima.

Avrebbe potuto distrarsi un po', magari bevendo qualcosa che non l'avrebbe comunque fatto ubriacare, magari insultando quella quattrocchi di merda fino allo sfinimento, magari insultando quel coglione di Erwin, magari mandandolo al diavolo, magari rimpiangendo quella volta in cui si era lasciato sopraffare da quelle cose sconosciute che gli esseri umani normali chiamavano "emozioni" e si era lasciato toccare in punti che non sapeva di avere, magari rimpiangendo di averlo baciato e di essersi lasciato baciare così tante volte da aver ormai perso il conto.

Magari rimpiangendo di aver lasciato che gli fottesse il cuore, oltre che il corpo, con quella dolcezza e quella premura che normalmente lo avrebbero fatto vomitare, ma che con lui riusciva a metabolizzarle e accettarle.

Accettava ogni lato di lui: quello infantile, quello manipolatore, quello sadico, quello affettuoso...ma non avrebbe mai accettato il suo lato superficiale, quello che l'indomani l'avrebbe spinto a salire a cavallo e dirigere le truppe verso Shiganshina.

Tirò un pugno, Levi, andando a colpire il muro esterno di quella mensa che ospitava un centinaio di nuove reclute e non intente a gustarsi, probabilmente, le ultime ore di vita prima dell'inevitabile trapasso. Per quanto ci ebbe messo gran parte della sua forza, non sentì nulla perché era troppo occupato a inibire quella cazzo di bruttissima sensazione che sentiva all'altezza della gola e che lo faceva sentire in procinto di soffocare.

Moltissimi soldati dicevano di sentirsi così quando si trovavano davanti ad uno di quei cosi, inermi e impotenti, magari dopo aver assistito alla morte di un loro commilitone, di un loro amante, di un loro amico, proprio davanti ai loro occhi. 

Moltissimi soldati si mettevano a piangere in quelle occasioni, con tutta la forza che avevano in corpo perché poteva trattarsi dell'ultima volta, l'ultima volta in cui avrebbero potuto palesare le loro emozioni.

Levi non avrebbe pianto, no, non lo faceva mai se non in casi particolari.

L'aveva fatto da piccolo, parecchie volte, quando aveva cominciato a vedere la sua figura materna diventare sempre più debole, sempre più pallida, sempre più magra, fino a quando non la vide distesa sul letto immobile, palpebre chiuse e bocca socchiusa, come se avesse emesso un ultimo respiro profondo prima di lasciare quel mondo che non era mai stato così tanto clemente con lei.

L'aveva fatto dopo aver perso Farlan e Isabel, alla loro prima spedizione.

L'aveva fatto con Erwin, la prima volta in cui si erano lasciati andare alle loro pulsioni carnali e avevano consumato un momento lento, silenzioso, bellissimo, di passione su quel letto dove lui non dormiva mai perché dormire lo inquietava maggiormente che rimanere sveglio in quel mondo infame. Erwin era stato un signore, ma Levi non era riuscito a contenere le lacrime (un paio, non di più) all'idea che quel bastardo lo stesse baciando con una dolcezza infinita, lo stesse toccando in punti così nascosti che Levi stesso si domandò se effettivamente esistessero, gli stesse parlando con quel tono così ammaliante quando in tutta la sua vita non aveva mai dato la possibilità a nessun altro di trattarlo in quel modo.

Cosa trovava di così affascinante in uno come Erwin Smith da portarlo ad incazzarsi così tanto con lui se non rispettava i suoi desideri intrinsechi in quello sguardo che agli occhi di tutti poteva sembrare normale, ma che nascondeva più di quanto potesse immaginare?

 

Senza farsi troppo vedere, riuscì ad intrufolarsi all'interno di quella mensa per soffiare dagli occhi distratti dei suoi commilitoni qualche bocconcino di carne che, comunque, non guastava.

Si ritrovò a mangiare in silenzio, nascosto in un angolino di quel posto che era diventato anche troppo rumoroso per i suoi gusti. I mocciosi urlavano, sbraitavano per chissà cosa, si litigavano addirittura qualche salsiccia mentre quell'idiota di Hanji ridacchiava senza alcun pudore.

Tch.

La rabbia aveva ricominciato a solleticargli il cervello nel momento in cui cominciò a pensare che, se Erwin si fosse trovato lì con loro, avrebbe riso anche lui con quella quattrocchi, con gli occhi chiusi di chi se la sta proprio godendo e le gote arrossate di chi ha bevuto troppo vino in poco tempo.

Serrò i pugni, Levi, mentre il suo orecchio risaliva alle voci di due mocciosi idioti che si stavano urlando le peggio cose, causando nei presenti risatine accondiscendenti e grattate di nuca imbarazzate non indifferenti.

Eren e Jean si stavano prendendo a pugni, e la cosa gli stava dando parecchio fastidio.

Lui non si stava "divertendo" come avrebbero voluto tutti gli altri, e la cosa gli stava dando fastidio.

Erwin sarebbe partito l'indomani.

E la cosa gli dava parecchio fastidio.

 

Non rifletté nemmeno quando si avvicinò a quei due idioti e colpì con un calcio ben assestato lo stomaco di Eren e con un pugno la zona addominale di Jean. Avrebbe tanto voluto che ci fosse stato Erwin, dall'altra parte. Pensò a lui mentre affondava il suo piede e la sua mano in quei corpi insulsi e intrisi di tutta quella gioventù che lui non aveva ricordi di aver vissuto.

Ma quel figlio di puttana si era chiuso chissà dove, probabilmente per scrivere gli ultimi settecentocinquanta rapporti prima del suo inevitabile trapasso con quella mano che non riusciva ad impugnare nemmeno una forchetta.

Lo avrebbe anche picchiato a sangue se solo non si fosse trovato nella condizione di dovergli comunque obbedire, nonostante tra di loro non ci fosse più quel rapporto estremamente formale che c'era all'inizio, nonostante spesso e volentieri dormissero assieme (inteso nello stesso letto, perché Levi normalmente "dormiva" seduto allo scrittoio) e nonostante si comportassero da amanti sebbene non si fossero mai accordati seriamente a riguardo.

Era ovvio che sarebbe morto, oppure ferito gravemente, nel migliore dei casi.

Allora perché cazzo non lo capiva? Perché cazzo voleva rischiare così tanto?

Perché cazzo non voleva ascoltarlo?

-Andate a dormire.- ordinò a quei due, intenti a respirare profondamente agonizzanti per terra, e a tutta la mensa che sembrava essersi paralizzata dopo il suo intervento.

Pace, calma, finalmente, dopo minuti interminabili di urla, risate sguaiate e atteggiamenti di chi non avesse minimamente paura per la missione suicida del giorno dopo. Oppure di chi avesse effettivamente paura, ma che fosse tanto bravo a nasconderlo.

-Erwin non è venuto?- domandò Hanji nell'avvicinarsi a lui, evitando accuratamente di toccargli la spalla perché sapeva quanto gli desse fastidio.

Eppure quando era Erwin a toccarlo non sentiva quella sensazione sgradevole all'altezza dello stomaco.

Levi non rispose, andò però a recuperare un bicchiere e lo riempì d'acqua. Bevve come se avesse voluto estinguere quel marasma infinito che continuava a stringergli la gola con le sue mani affusolate e forti.

-Mi stai ascoltando?- insistè lei, mettendoglisi davanti con le braccia aperte. Hanji aveva notato la sua espressione, c'era sicuramente qualcosa che non andava in lui.

-Vuoi che prenda a calci anche te?- la minacciò lui alzando un sopracciglio e guardandola dall'alto del suo metro e sessanta d'altezza, ma che sapeva incutere timore a chiunque –Levati dal cazzo, Hanji.- la liquidò con un'occhiataccia prima di incamminarsi nella direzione opposta, sentendo quell'acqua stranamente disgustosa e pesante.

Aveva bisogno di un posto tranquillo dove stare senza che nessuno venisse a disturbarlo con ogni minima cazzata. In quel momento più stava da solo meglio era, si disse mentre si dirigeva verso una delle tante porte che davano sugli scalini che portavano in centro città.

 

-Quando ci saremo ripresi il Wall Maria e avremo eliminato tutti i nostri nemici, potremo tornare indietro?-

Riconobbe immediatamente la voce di Mikasa, e notò con la coda dell'occhio la presenza di Eren e di Armin mentre si sedeva appoggiato al muro portante, stando attento a non fare rumore.

Non seppe cosa lo spinse a rimanere lì quando avrebbe potuto benissimo andarsene.

-Li faremo tornare.- sancì Eren con tono deciso, lo stesso che aveva anche quando sapeva benissimo di aver torto –Ma non sarà tutto come prima. Proprio per questo dobbiamo fargliela pagare.-

-Non è tutto.- s'intromise Armin, con una sfumatura misteriosa e sospesa nella voce –Il mare.-

Quella parola riuscì ad accendergli un qualcosa che non riuscì a capire, Levi, mentre spalancava gli occhi e tratteneva momentaneamente il respiro.

Parlava esattamente come lui...

-Un enorme lago salato che i mercanti non potranno mai prosciugare, nemmeno mettendoci una vita.- Erwin gliel'aveva spiegato, sempre raccontandogli le teorie del suo padre defunto –All'esterno delle mura non ci sono solo i giganti.- continuò il biondino alzando maggiormente il tono di voce, palesando la sua euforia –Acque infuocate, continenti di ghiaccio, distese di sabbia...-

A Levi parve di vedere chiaramente quelle cose come se gli fossero apparse lì, davanti ai suoi occhi in quel punto della mensa che era diventato improvvisamente buio. 

Erwin gli aveva detto le stesse identiche cose, con lo stesso tono euforico, speranzoso, ricco di aspettative. Il tono di un bambino che non era mai cresciuto del tutto. Il tono di un sognatore, un aspetto che aveva avuto anche lui un tempo, quando era costretto a vedere quella fottuta voragine da casa sua che dava sulla capitale e sapeva che non sarebbe mai riuscito ad andarsene da quello schifo di posto.

Il suo sogno era di potersene andare con i suoi amici, mandando a fanculo tutta quella gente che per anni l'aveva trattato come un ratto di fogna, per respirare aria di libertà, un'aria pulita almeno, non che sapeva di piscio e risentimenti.

-Sono entrato nel Corpo di Ricerca per andare a vederli di persona!- continuò poi il ragazzino abbozzando un sorriso, a giudicare dalla voce.

Per cosa era entrato, Levi?

Ah, sì, per ammazzare Erwin e per potersi riservare un posto in superficie.

Ironico come le cose fossero cambiate anche per lui, come quell'uomo che gli avevano ordinato di uccidere fosse diventato il motivo per cui continuare a combattere, a vivere.

Levi aveva sempre bramato la libertà, fin da quando aveva ricordi, e odiava il fatto che moltissima gente potesse permettersi di uscire dalla città sotterranea mentre lui era costretto a fuggire, a nascondersi e a lottare anche per un misero pezzo di pane.

Dopo anni ci aveva fatto anche il callo, ma a che prezzo?

 

-Allora, per prima cosa raggiungiamo il mare!-

Questo aveva esclamato Armin nell'alzarsi in piedi con tutta la gioia di cui potesse disporre. La stessa gioia che aveva lui stesso quando riusciva a pulire una stanza come voleva e senza perdere troppo tempo...

La stessa gioia che aveva Erwin nel raccontare gli aneddoti che riguardavano suo padre e nel confermare le sue idee. Il fatto che fuori dalle mura ci fosse altro, che non esistessero solo loro e che fosse un segreto così grande da portarli a temere addirittura il governo.

Erwin diventava incredibilmente euforico quando gli tornava in mente qualche indizio lasciatogli da suo padre in uno dei tanti meandri della sua mente. E Levi, in cuor suo, adorava vederlo così sereno, così infantile, senza quell'aria stoica che lo rappresentava e che era costretto ad indossare come il cravattino smeraldo che definiva il suo ruolo.

-Tu ancora non ci credi, vero? Vedrai, sono sicuro che esiste!-

Anche Erwin ne era più che convinto, glielo diceva sempre.

Ma...sarebbe riuscito a vederlo con i suoi stessi occhi? Sarebbe riuscito a goderselo appieno?

O sarebbe morto prima di poterci anche solo pensare?

"Nel momento in cui finalmente capiremo la verità di questo mondo, io voglio essere presente".

Levi strinse entrambi i pugni e serrò i denti con tutte le forze che aveva in corpo, sentendosi stupido, inutile, troppo paranoico per i suoi gusti.

Non era programmato che s'incazzasse così tanto per una sua decisione, non era plausibile per uno come lui. Fino a quel momento l'aveva sempre lasciato fare senza fiatare, aveva ubbidito, aveva fatto quello che voleva...perché quel cambiamento improvviso?

Perché solo l'idea di lasciarlo partire senza un braccio e palesemente più debole riusciva a metterlo così tanto in apprensione?

E poi...era veramente solo una mera preoccupazione quello che provava dalla loro ultima conversazione avuta qualche ora prima?

Levi non capiva, e odiava non capire come odiava quel suo atteggiamento del cazzo, da menefreghista bastardo e da masochista.

Sentiva di odiarlo in quel momento, così tanto che l'avrebbe costretto a rimanersene all'interno delle mura anche con la forza, se necessario.

 

-Esploreremo il mondo esterno! E' grande mille volte più dell'interno di queste mura!- esclamava ancora Armin in sottofondo finchè cercava di fare mente locale e di dimenticarsi il suo volto sorridente mentre ribatteva le stesse identiche cose seduto alla sua scrivania con il sole che batteva su quelle spalle che avevano sopportato parecchio, ma che, a quanto pareva, non sembravano aver raggiunto il limite sopportabile.

Erwin voleva ancora combattere contro un nemico che era sicuramente più potente di lui, per una causa per era sicuramente più grande di lui. 

Chi era lui per fermarlo?

Chi era, Levi Ackerman, per poterlo trattenere al quartier generale e costringerlo a rinunciare all'inseguire il suo sogno, quella battaglia iniziata da suo padre anni ed anni prima?

Chi era per Erwin fottuto Smith?

Un compagno di battaglia? Un amico? Un confidente? 

Un amante?

Inghiottì uno dei tanti nodi amari che si portava in gola da ore, e chiuse velocemente gli occhi mentre lasciava abbandonare la testa su quel muro che, francamente, sperava fosse abbastanza pulito.

Avrebbe dovuto affrontarlo per forza quella sera, ma non voleva farlo. Non voleva e non poteva, perché sapeva che se ci avesse provato sarebbero volati solo che insulti perché non era in grado di esprimersi come voleva.
Insomma, come poteva dirgli con così tanta franchezza che quando scopavano si sentiva bene, che non aveva paura di dormire qualche ora in più con lui al suo fianco, che quando lo baciava riusciva a vedere le stelle, che la sua presenza non gli dava minimamente fastidio, anzi, che lo faceva sentire finalmente vivo?
Come avrebbe potuto, un asociale, brontolone e facilmente irritabile come lui, aprirsi così tanto e rivelargli quelle cose che per anni aveva volontariamente o involontariamente soffocato all'interno di sé per paura di ferire gli altri, ma anche sé stesso?

Come avrebbe potuto dirgli che lasciarlo partire lo spaventava di certo maggiormente di dover affrontare un gigante da solo e senza appigli abbastanza alti per poter usare il dispositivo di manovra nel modo corretto?

Non era mai stato bravo con le parole, mai, per questo motivo non si tirava mai indietro quando si sentiva di baciarlo in un certo modo o di toccarlo con una sorta di bramosia che non aveva ricordi di aver mai posseduto. Lo baciava con una certa urgenza per dirgli di chiudere quella cazzo di bocca, gemeva in modo incontrollabile per dirgli che gli stava piacendo, lo teneva stretto a sé per implorargli di non andarsene.

Avrebbe dovuto comportarsi allo stesso modo, quella sera?

O sarebbe stato meglio, per entrambi, che quella bocca l'avesse usata nel modo più convenevole?

Sbuffò rumorosamente nel tirarsi su in piedi a fatica, guardando di sfuggita all'esterno e notando che ci fosse miracolosamente un silenzio quasi tombale, rotto ogni tanto da risatine indefinite in sottofondo e dalle ultime carrozze che percorrevano la città indisturbate.

Non sapeva che ore fossero, ma sapeva che doveva tornare nei suoi alloggi.

Sperava vivamente di non trovarselo già sdraiato sul letto.

Perché in caso non aveva la minima idea di come avrebbe reagito.











Spazio dell'autrice:
Era da ben 5 anni che non pubblicavo qualcosa su questo sito e mi sento un po' arrugginita, in realtà, ma sono contenta di aver ripreso coraggio dopo tutti questi anni di completo silenzio.

In realtà era programmata per essere una semplice one-shot, ma essendo che mi dilungo troppo spesso e volentieri ho deciso di dividerla in due parti anche per ragioni di trama (?).
Non avevo mai scritto un'EruRi prima d'ora anche se shippo questa coppia da tanto tempo: semplicemente non mi sono mai ritenuta all'altezza di poterne scrivere una, anche perchè mi rendo conto di quanto possa essere complicato, soprattutto se ambientata nell'universo canonico dove l'amore, seppur esistente, non sarebbe molto contemplato.
Spero di essere riuscita a ritrarre entrambi il più fedelmente possibile (tra gli avvertimenti ho inserito anche "OOC" proprio perchè non sono sicura al 100%) e spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto.
Ovviamente critiche e/o opinioni varie sono ben accette, anzi, mi aiuterebbero molto a capire se sto andando per la strada giusta o se sto solo sparando cavolate allucinanti.
Vi ringrazio per aver letto questo piccolissimo delirio.
Ci si vede al prossimo capitolo!





 

  
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