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Autore: GReina    12/05/2021    3 recensioni
[6/7 raccolta OS omegaverse]
ATTENZIONE: questa fanfic fa parte della serie "A Society to Change - Omegaverse". Consiglio di leggere prima la long in quanto questa OS spoilera il finale. Se non siete interessati alla sakuatsu o a leggere undici capitoli, però, potete benissimo leggere anche solo questa.
Questa OS parlerà di Tsukishima e Yamaguchi ed è ambientata anni dopo la long.
[hurt/comfort; angst]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Omegaverse | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: AU | Avvertimenti: Mpreg
- Questa storia fa parte della serie 'A Society to Change - Omegaverse'
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Tsukishima capì che qualcosa non andava grazie al legame che aveva con Tadashi prima ancora di sentire i suoi lamenti. Si svegliò con il cuore a mille e subito accese la lampada del suo comodino. Suo marito dormiva ancora, ma aveva il volto sofferente, pallido e sudato e si lamentava. Lo scosse appena e bastò quello perché anche gli occhi dell’omega si spalancassero come i suoi. Gli lanciò un’occhiata fugace, poi sbarrò gli occhi accartocciando il volto per il dolore; scostò le coperte e si afferrò con urgenza il ventre. Kei guardò in basso e il terreno sembrò scomparire da sotto i suoi piedi.
“Tadashi…” sussurrò sgomento il biondo. L’omega era incinto di otto mesi, la sua pancia era gonfia e quasi pronta per il parto. Ci avevano provato tanto a lungo e quando finalmente il test era risultato positivo nessuno dei due era riuscito a contenere la gioia. Avevano amato quello che in seguito avevano scoperto essere un maschietto all’istante e con la massima attenzione ogni giorno si erano presi cura di lui non facendo sforzare troppo Tadashi, fornendogli vitamine a sufficienza ed accarezzandolo di continuo. Adesso, un’enorme chiazza di sangue bagnava il materasso mentre l’omega iniziava ad urlare con le lacrime agli occhi.
“Ti porto all’ospedale!” Kei arrancò quelle parole in fretta mentre lasciava il letto ed accendeva la luce a soffitto per vederci meglio. Aiutò suo marito ad alzarsi e senza preoccuparsi di cambiarsi d’abito o di indossare un paio di scarpe al posto delle pantofole si misero in macchina e schizzarono veloci verso qualcuno che potesse aiutarli.
Arrivarono trafelati. Tsukishima tirò il freno a mano e spense a stento il motore prima di correre dal lato del passeggero. Yamaguchi aveva pianto ed urlato per tutto il tragitto con entrambe le mani strette al basso ventre e la cosa non cambiò una volta arrivati. L’alpha tentò di farlo alzare, ma le gambe dell’altro erano troppo deboli e non ci riuscì, quindi lo prese in braccio e camminò il più velocemente possibile verso l’ingresso dell’edificio.
I ricordi del biondo divennero sfocati una volta dentro. Due uomini li intercettarono subito aiutandolo ad adagiare Tadashi su una barella. Una volta appurato che lo staff medico lo stava aiutando, tutta l’adrenalina che aveva fino a quel momento accelerato tutti i movimenti di Kei svanì lasciandolo fiacco e confuso. Seguì i medici che trascinavano suo marito finché una donna non gli mise le mani sul petto dicendogli che non poteva entrare e che avrebbe dovuto aspettare in corridoio. Dopodiché, un’altra donna lo raggiunse per fargli alcune domande. Gli occhi del biondo non avevano lasciato un attimo la porta dalla quale suo marito era scomparso, ma aveva risposto attento e con diligenza alla dottoressa.
Passarono i minuti, poi un’ora e a quel punto Tsukishima smise di contare. Il legame che aveva con Yamaguchi non faceva altro che trasmettergli angoscia e confusione, ma era come disturbato. Kei immaginò che l’altro fosse sotto anestesia e che fosse per quello che le sensazioni trasmesse attraverso il nodo fossero tanto leggere, talmente leggere che andavano quasi del tutto perdendosi sotto le sue forti emozioni di orrore e panico, eppure lui le percepì comunque.
Non si allontanò mai da quel corridoio. Continuò a passeggiare avanti e indietro con insistenza, torcendosi le mani e senza riuscire ad impedirsi di ringhiare di tanto in tanto. Quel posto era pieno di odori negativi: di malattia, angoscia, paura… e la sua ghiandola non migliorava le cose, probabilmente in tutta la sua vita non aveva mai irradiato tanto terrore come in quel momento. Sarebbe bastato che un alpha gli si fosse avvicinato alle spalle e probabilmente d’istinto gli sarebbe saltato alla gola. Tutto il suo corpo fremeva per proteggere Yamaguchi ed il loro bambino, ma quella minuscola parte di sé in grado di ragionare sapeva che il modo migliore di aiutarli era lasciare che i medici facessero il loro lavoro.
Non sapeva da quanto tempo era in quello stato quando finalmente un beta uscì dalla stanza. Tsukishima spalancò gli occhi e scattò verso di lui; lo sguardo che alternava il viso dell’uomo alla porta.
“Come sta Tadashi!?” urlò con il cuore che accelerava ancora più di prima.
“Suo marito sta bene, si riprenderà.” così il biondo poté sospirare e solo quando questo si sciolse si rese conto del groppo in gola che gli aveva impedito quasi di respirare. Guardò la porta, come se vi potesse vedere attraverso o aspettandosi che il suo amore ne uscisse presto. Quando questo non avvenne, l’alpha tornò a guardare l’infermiere che aveva davanti; l’ansia che tornava.
“Perché non si siede, Tsukishima-san.” il tono mesto e misurato dell’altro unito alla sua espressione fecero subito mettere in allerta l’alpha che – nuovamente con quel groppo in gola – seguì il suggerimento con gambe tremanti. L’uomo si sedette insieme a lui, dopodiché iniziò a spiegare cosa era successo e come erano intervenuti per salvare Yamaguchi. Kei capì la metà delle sue parole, ma non gli interessava. Sapeva che Tadashi stava bene e dall’atteggiamento del beta sapeva anche qualcos’altro… adesso ne stava solo aspettando la conferma.
“Purtroppo il bambino non ce l’ha fatta. Mi dispiace immensamente.” il groppo in gola gli si chiuse definitivamente impedendogli di respirare; impedendogli di urlare. Si limitò a guardare sgomento verso l’infermiere che con tutto il tatto possibile gli ripeté la cattiva notizia una seconda volta e poi una terza con parole diverse. Fu solo a quel punto che Tsukishima poté veramente crederci.
Stava piangendo. Non sapeva neanche lui quando aveva iniziato a farlo e non gli interessava. L’uomo che era accanto a lui era sparito, chissà quando, chissà in quale direzione. Kei sapeva che Tadashi sarebbe stato portato nella stanza 512, quindi immaginò che fosse stato il beta a dirglielo e che il suo cervello avesse immagazzinato l’informazione solo per metterla da parte. Il dolore era troppo forte e lo atterriva. Non riusciva a ragionare, solo a piangere. Provò ad urlare per sfogare la rabbia e la tristezza, ma non ci riuscì. Gli veniva da vomitare, voleva solo chiudere gli occhi e non pensare più a niente. Non essere più niente. Poi, un volto in lacrime gli apparve come in una visione:
“Tadashi.”
Si alzò – quando era finito accasciato sul pavimento non lo sapeva – e si diresse con ampie sebbene tremanti falcate verso la camera 512. Yamaguchi stava dormendo. Il suo cervello gli disse che l’infermiere l’aveva avvertito che sarebbe stato ancora sotto l’effetto dell’anestesia per diversi minuti, quindi Kei non se ne preoccupò, anzi ringraziò per il tempo che gli era stato concesso per riprendersi in modo da potersi concentrare solo sul fare sentire bene suo marito. Pianse ancora accasciandosi sulla sedia sistemata vicino al letto dell’altro ed afferrandogli forte la mano. Dopo un po’ si spostò sul bordo del letto ed annusò il collo del proprio compagno segnato dal suo morso. I loro odori uniti lo aiutarono a calmarsi, ma entrambi erano pregni di paura e dolore, quindi istintivamente la sua mano corse al loro legame più prezioso e stretto che sarebbe stato in grado di calmarlo in ogni situazione: superò il petto dell’omega e si adagiò sul suo ventre. Ventre che, tuttavia, era ben più sgonfio di qualche ora prima. Un urlo disperato abbandonò la sua gola; fu quasi disumano. Si accasciò sul corpo dell’altro e fece risalire la mano per intrecciarla tra i capelli di Tadashi nel vano tentativo di colmare quel vuoto che aveva trovato poco prima al posto di loro figlio.
Passò mezz’ora ancora. In quel lasso di tempo Tsukishima non si era mosso dal bordo del letto, ma era tornato in posizione eretta. Stava stingendo la mano di Yamaguchi quando questi iniziò a svegliarsi. Kei si sporse verso di lui e prese ad accarezzarlo con tenerezza in viso; la sua ghiandola profumata che agiva d’istinto iniziando ad irradiare un odore che potesse tranquillizzare l’omega.
“Kei…” sussurrò quello con voce rotta e roca. Tsukishima sapeva che non avrebbe avuto bisogno di parole: il loro legame gli aveva già detto quello che doveva sapere, così Tadashi iniziò a piangere e l’alpha con lui. Il biondo si chinò sul suo volto e lo baciò in fronte senza smettere un solo secondo di accarezzarlo, ma non s’illudeva che questo potesse aiutarlo.
“Kei…” ripeté con voce ancora più rotta il più piccolo, il biondo non riuscì a rispondere per diversi secondi, ma poi – sebbene sapesse quanto quelle parole sarebbero state vuote e inutili – si costrinse a farlo dicendo:
“Andrà tutto bene.” Tadashi scosse la testa pensando, come lui, “No, non andrà tutto bene”; si portò una mano al ventre vuoto e pianse più disperatamente. L’alpha tentò di asciugargli le lacrime con la sinistra mentre la destra raggiungeva la pancia di suo marito e gli afferrava la mano che tentava – invano – di trovare loro figlio così da allontanarla da quella sofferenza.
“Tadashi.” non disse altro. Non c’era altro da dire. Non una singola parola sarebbe servita per lenire il loro dolore, così rimasero abbracciati a piangere; la ghiandola profumata di Tsukishima del tutto inutile davanti a quel dolore ma in ogni caso sempre presente.
Quando Kei si riprese abbastanza da riuscire a guidare e dopo il via libera dei medici, i due si rimisero in auto e tornarono verso casa. Parcheggiarono come sempre sul retro del loro palazzo e da lì camminarono mesti e con lo sguardo basso verso il portone. L’alpha si arrestò quando vide Yamaguchi fare lo stesso. Si voltò verso suo marito rimasto un passo più indietro, poi seguì il suo sguardo fino ad un cassonetto logoro seminascosto dall’oscurità del vicolo in cui si trovava. Tsukishima corrucciò gli occhi cercando di capire cosa avesse fatto fermare l’altro, e nel cercare di farlo si rese conto che chissà quando aveva escluso tutto il resto del mondo dai suoi sensi. Adesso, non solo la vista ma anche l’olfatto e l’udito lo aiutarono a capire la situazione: non era il cassonetto che Yamaguchi stava osservando, ma il piccolo batuffolo che vi era nascosto subito dietro; percepì l’odore di un animale impaurito ed affamato, poi sentì dei deboli uggiolii. Tadashi si mise in ginocchio a fatica, poi afferrò il batuffolo. Tornò in piedi piangendo stringendosi al petto un piccolo cagnolino tremante, ad occhio di poche settimane. Kei abbracciò l’omega, poi lo baciò tra i capelli e si mise al suo fianco circondandogli le spalle con un braccio.
“Andiamo a mettere al caldo questo cucciolo.” non avrebbe mai sostituito ciò che avevano appena perso, ma non avrebbero lasciato morire anche lui quella notte.
 
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n.a.
BEH, che dire… SCUSATE!
Un pensiero in particolare va a TheSnake che mi ha sempre recensito con costanza e che ormai so essere tremendamente contro l’angst!! Mi sento troppo in colpa! Sappi che ti sono vicina se hai letto fino a qui nonostante i tag della OS!
Quando mi sono resa conto che questo è già il terzo aborto della serie ero tipo “ops…” ma, insomma, può capitare ^^’. Nel caso di Osamu è stato il trauma e la depressione per la “morte” di suo fratello, mentre Suga e Yamaguchi hanno semplicemente purtroppo avuto sfortuna.
In ogni caso mi sento talmente tanto in colpa per tutto questo angst che ho scritto un’altra OS. Nei piani iniziali questa doveva essere l’ultima, ma non potevo chiudere con questo!! Quindi tornerò un po’ per chiudere il cerchio con la sakuatsu la prossima settimana! Spero con quella di riuscire a farmi perdonare ahahah
Ci sentiamo mercoledì prossimo!
xxx
   
 
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