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Autore: Doralice    12/05/2021    3 recensioni
“Ciao Cap.”
Gli rivolge il solito sorriso quando lo saluta, tra i capelli sbocciano i soliti girasoli. Poi porta di nuovo la sua attenzione al lavoro e i girasoli si ritraggono, fanno spazio al solito viavai di boccioli multicolore che si intreccia tra i suoi capelli quando sta riflettendo. Steve ormai ci è abituato, ma non smetterà mai di piacergli. Non smetterà mai di meravigliarsi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non ha alcun senso, se non quello di compiacermi all’idea di immaginare Tony costantemente coronato di fiori e Steve che lo venera (anche) per questo.

Per quanto riguarda il significato dei singoli fiori, mi sono liberamente ispirata al tradizionale linguaggio dei fiori.

Buona lettura!



 

All flowers in time bend towards the sun

 

* * *

 

I know you say that there's no-one for you

But here is one, but here is one

Here is one

 

La prima cosa che Steve nota, è il profumo.

Lui è un uomo d’altri tempi, ma è anche il genere di persona che non giudica gli altri. Lo stesso, trova un po’ sconcertante che Anthony Edward Stark profumi di fiori. È una delle ‒ non poche ‒ cose di quell’uomo che lo colgono di sorpresa non appena lo conosce, e certamente non aiuta a far partire col piede giusto il loro rapporto.

Ma ci sono questioni ben più importanti su cui concentrarsi. Tipo una minaccia pangalattica da cercare di evitare a tutti i costi. Così, mentre discutono sul Helicarrier, Steve cataloga quel dettaglio come una delle tante bizzarrie da ricco eccentrico, e la mette da parte.

La seconda cosa, Steve la nota appena qualche giorno dopo.

L’intera umanità è appena scampata all’annientamento per merito di quel gruppetto rappezzato di sedicenti supereroi che si fa chiamare ‘Avengers’. Ma soprattutto per merito di Tony Stark, che al momento giace a terra privo di coscienza. New York è devastata, ma sono salvi, e Steve vorrebbe che Stark lo vedesse, che vedesse ciò che è riuscito a fare. Ma lui non si risveglia. Hulk gli strappa la placca frontale e caccia un urlo e‒ 

Dura il tempo di un battito di ciglia. Stark si sveglia di soprassalto e... i suoi capelli con lui.

Non ha alcun senso, ma Steve crede di averli visti muoversi, come se per un attimo avessero preso vita propria. L’adrenalina è alta, il sollievo nel vedere Stark ancora vivo gli fa girare la testa.

È il post-battaglia, si dice. Deve esserlo.

La terza cosa, Steve la nota talmente tanto tempo dopo che nel frattempo si è dimenticato di tutto il resto.

Stanno discutendo nel cortile dei Barton e nel momento più concitato, quando Steve spacca con le nude mani un ciocco di legno, un lampo bianco e rosa compare tra i capelli di Tony, l’aria tra di loro improvvisamente sa di asfodelo.

Poi arriva Laura a chiedere qualcosa a Tony, e Steve se ne resta lì. Lo osserva senza parole mentre se ne va, con il profumo dei fiori ancora nelle narici.

L’adrenalina è alta, ma non così tanto da immaginare asfodeli tra i capelli di Tony.

Non c’è tempo per indagare, non c’è tempo per riflettere. Hanno in ballo altro ‒ c’è sempre in ballo altro ‒ e Tony ha quasi sempre addosso l’armatura.

Niente profumi, niente fiori ‒ niente che possa far dubitare a Steve della propria lucidità mentale.

Se non che, alla fine di tutto, quando lui e Tony si salutano ‒ quando Steve lo ascolta parlare di come vorrebbe mollare tutto per costruire una fattoria come ha fatto Barton ‒ il vento passa tra di loro portando l’odore dei fiori di campo. E quando Steve lo guarda, pensa, certamente in un momento di totale follia, che ormai non dovrebbe stupirsi. Dovrebbe aspettarselo, di vedere dei fiori di campo sbocciare e svanire tra i capelli di Tony.

No?

Steve va da Helen, qualche giorno dopo. Quando tutti i report sono stati compilati  e tutte le riunioni presenziate e tutte le conferenze stampa affrontate, quando tutti i doveri di Captain America sono risolti, Steve va da lei e le chiede di farsi fare un controllo.

Check-up completo, qualunque cosa le passi per la testa va bene.

Helen è stupita, ma non obietta: non le capita spesso che qualcuno del team si faccia volontariamente rivoltare come un calzino.

“Stiamo cercando qualcosa in particolare?” chiede solamente.

“Reazioni neurologiche sotto forte stress.”

E i giorni successivi Steve non si annoia di certo. Helen glieli fa trascorrere nel  suo laboratorio, sottoponendolo ad una fantasiosa serie di esercizi di sforzo fisico, con tutto un armamentario di elettrodi e simili appiccicati addosso. E nel mentre, le domande.

Domande, domande, domande.

“Quando fa male da uno a dieci?”

“Racconta il tuo peggior ricordo legato alla malattia.”

“Scegli tra queste tre armi.”

“È caldo o freddo?”

“Fai lo spelling dei nomi di tutti gli Howling Commandos.”

“Stai affondando nei ghiacci con l'aereo. Che cosa provi?”

Le domande fanno più male degli sforzi a cui è costretto, ma Steve non è uno che si tira indietro. L'ha chiesto lui, dopotutto, per cui stringe i denti e risponde. Risponde ad ogni domanda.

Helen gli ronza attorno, leggendo risultati indecifrabili sui monitori e scrivendo appunti su un tablet. Il suo sguardo concentrato non fa trapelare niente. Alla fine lo manda a casa, dicendogli di tornare il lunedì successivo. Deve elaborare i risultati.

Steve attende quel lunedì come negli anni ‘40 attendeva l’ennesimo risultato delle analisi che avrebbero confermato il suo precario stato di salute. Forse il serum ha funzionato sul corpo, ma di contrappeso a rimetterci è stata la mente? O forse quei settant’anni bloccato nel ghiaccio gli hanno danneggiato il cervello?

Quando entra nello studio, Helen è già lì che lo aspetta e non ha una faccia rassicurante. Steve si prepara al peggio.

“Sei perfetto.”

“Scusa?”

“Clinicamente, risulti al di sopra di qualunque essere umano sulla faccia della Terra.”

Steve boccheggia in cerca di parole.

“Grazie, ma... non ha senso.”

“Steve.” Helen sospira e lo fissa con franchezza, “Se mi dicessi chiaramente quale pensi che sia il problema‒ ”

Lui si irrigidisce e lei alza una mano come in segno di pace.

“Non devo necessariamente essere io.”

Steve si acciglia: “Sei il mio medico.”

“Sì, e ho molte specializzazioni. Ma non sono psicologa.”

“Cosa?”

Le parole successive, Helen le dice con molta cautela.

“Se escludiamo qualunque fattore biologico, resta solo questo. E sarei un pessimo medico se non te lo facessi presente.”

Steve si rende conto che lei ha ragione. Si rende anche conto che in un mondo del genere, con tutto quello che lui rappresenta e le incognite che riserva la sua vita, affidarsi ad uno psicologo potrebbe essere una mossa rischiosa.

“Grazie.”

“Steve‒”

“No, dico sul serio. Helen, grazie. Ci penso.”

“Bene.” non sembra convinta, ma comunque evita di insistere inutilmente, “Ho dei nomi di professionisti affidabili, quando vuoi.”

“Grazie.” le ripete.

Steve sa che qualunque scelta faccia sarà azzardata. Ma sa anche che fare una scelta senza aver prima vagliato tutte le possibilità, è un salto nel buio. E non sarebbe un buon stratega se prima di prendere una decisione non ponderasse attentamente ogni aspetto.

Steve si dà un margine. Sei mesi. Stanno dentro un calendario, sei mesi, li può contare con appena più di una mano, e può ritagliarsi il tempo necessario.

Sei mesi. Poi, se non sarà venuto a capo di niente, tornerà da Helen.

 

*

 

Onestamente, Tony tutto si sarebbe aspettato tranne che questo.

Certo, lui e Steve stanno viaggiando bene in quella specie di rapporto. A volte continuano a pestarsi i piedi a vicenza e le discussioni sono sempre una gran fatica da affrontare, ma ogni volta fanno un passo in più e, sì, si può dire che da loro-malgrado-compagni-di-squadra sono passati a più-che-volentieri-colleghi, fino ad approdare a quella che sembra una sincera amicizia.

Non è raro vederli scherzare insieme, nei momenti di tranquillità che intercorrono tra una missione e l’altra. Il che, considerando il deprimente senso dell’umorismo di Cap, sfiora il miracolo. Ma ehi, c’è da dire che si sta sforzando, Tony lo riconosce. E per quanto sia un campione di sarcasmo, beh, trova che sia più soddisfacente assecondare Steve che non percularlo.

E pur avendo programmi completamente diversi e pattern di sonno praticamente agli antipodi, riescono comunque a fare qualcosa insieme, che non sia prendere a calci il villain di turno. Tipo allenarsi in palestra o vedere un film assieme al resto della squadra e cose così.

Tutto bene, tutto perfettamente comprensibile. Il ragazzo si è svegliato dopo 70 anni di surgelamento e non ha più niente in comune con la realtà odierna, non ha più nessuno. Normale che sia felice di appoggiarsi emotivamente a loro. Tony sa cosa significa essere solo, sa cosa significa cercare disperatamente affetto al di fuori dei legami strettamente famigliari, e a dispetto di un carattere diffidente. Per cui, no, di certo non si metterà a giudicarlo.

Non è che lo giudica, infatti. Cioè, al massimo può essere perplesso riguardo alcune sue scelte, ma niente di più.

È perplesso quando Natasha gli chiede se gli va di allenarsi con lei e lui risponde che ha voglia di rilassarsi e leggere un libro. Lo sventola in mano, il libro. Poi però quello che succede è che Steve scende in laboratorio a ‒ fare non si sa bene cosa?  Il libro di solito dura poco e più tardi Tony dovrà mandare Dum-E a restituirglielo. Il resto del tempo Steve lo passa a ronzargli attorno, toccando cose che non deve toccare, facendo domande che lo distraggono dal lavoro. Tony apprezza la compagnia, davvero, ma non capisce.

Non capisce perché, quando gli altri decidono di andare a mangiare fuori, lui declina l’invito dicendo che non ha fame. Quando di fatto dieci minuti dopo si presenta da lui con qualcosa da mangiare, e Tony, che togliendo il caffè e le barrette energetiche non mangia da circa ‒ dieci ore? ‒ ci si avventa sopra famelico. Qualunque cosa stia facendo può aspettare che il suo stomaco sia di nuovo pieno. Steve sembra soddisfatto, Tony non capisce come mai lui si senta soddisfatto del fatto che Steve sembri soddisfatto.

Si chiede cosa gli passi per la testa quando se ne sta lì a disegnare sotto le luci artificiali del laboratorio. A Tony sembra del tutto fuori posto in quell’ambiente. E pensa oggettivamente di essere noioso mentre lavora. Noioso e scostante e selvatico. Insomma, di certo niente di affascinante. Niente che valga la pena starsene al chiuso per ore, circondato da cavi e computer e la continua litania di Tony che borbotta tra sé. Uno come Steve è fatto per stare fuori, all’aria aperta, sotto il sole. Gli viene la claustrofobia a vedere un ragazzone come lui chiuso lì.

È tutto piuttosto confuso.

“FRIDAY chiama l’Ornitorinco.”

Tony è steso sul divanetto del laboratorio, una pezza bagnata sugli occhi bruciati dal troppo lavoro e un bicchierone di centrifugato in mano. Lo finisce appena prima che la telefonata venga presa e allunga il contenitore vuoto a Dum-E.

“Tu credi che possa piacergli?”

“Tony? Sono le due di notte!”

Tony scosta un lembo della pezza giusto per guardare l’orologio.

“Oh. Scusa. Ma secondo te potrebbe essere che lui‒”

“Seriamente?! Vallo a chiedere a lui, una buona volta!”

“Chi è?”

“Ciao Pepper. Ti ho svegliata?”

“Oddio ma sono le‒”

“Due di notte, lo so. Senti, stavo chiedendo a Rhodey‒”

“Buonanotte, Tony.”

“No! Aspetta!”

“Stacco il telefono!”

“Non mi siete di alcun aiuto!”

La linea va giù e Tony vorrebbe avere un cellulare da chiudere con stizza. A volte la tecnologia Stark è troppo avanti persino per lui.

Si alza dal divanetto, muovendosi per la stanza alla cieca, con la pezza ancora premuta sulla faccia.

“Butta via tutto. Non voglio trovare più niente.” ordina a Dum-E gesticolando verso la postazione di lavoro, “E stavolta davvero. Non ti voglio vedere con feticci nascosti in giro.”

Il braccio robotico si accinge a svolgere il suo compito con quello che sembra poco entusiasmo.

“‘Vallo a chiedere a lui’ gne gne gne.”

Tony esce dal laboratorio diretto alla cucina, si libera della pezza nel primo bidone che trova lungo il percorso. Sono le due di notte, come ormai sa. Non che per lui faccia alcuna differenza, ma a quanto pare per il resto del mondo sì.

È tranquillo alla Torre. Ed è anche per questo che gli piace fare tardi. I corridoi sono vuoti e silenziosi, illuminati appena. Non c’è pericolo di incappare in nessuno.

Tony ha una vita sociale già abbastanza tormentata, a volte vuole soltanto stare da solo. Di norma la gente vicina a lui lo capisce e lo accetta. Happy è l’ultimo di una serie di autisti che ha licenziato per essere stati troppo invadenti: quando ne ha trovato uno che sapesse stare al proprio posto pur capendo quando è il momento giusto per portarlo a mangiare un doppio cheeseburger, se l’è tenuto stretto. Rhodey conosce ‒ e grazie a Dio sopporta ‒ i mutamenti d’umore che lo portano a cercarlo compulsivamente dopo settimane in cui magari lo ignora. Pepper è una santa e basta.

E Tony è anche abbastanza intelligente da intuire cos'è che lo spinge a fare così. Insomma, col padre che ha avuto è difficile uscirne sani. Ma ammetterlo vorrebbe dire che ha bisogno di andare in terapia e, no, grazie, un conto è capire il problema ben altro è affrontarlo. Ci sono cose che per ora non è pronto a sviscerare. Può anche costruire un reattore dalla spazzatura mentre è ostaggio di terroristi, ma mettere a nudo la propria anima resta fuori dalla sua comfort zone, anche se si tratta di farlo pagando un professionista sconosciuto.

Così resta quello che è. Chi lo ama lo segua, no? Almeno in questo modo è più facile, pensa. Non sono gli altri a scegliere di non amarmi, sono io che mi rendo insopportabile. Perché, immagina, deve essere difficile amare una persona così. No? Solo pochi eletti ce la fanno.

Per questo Tony non capisce.

Nella penombra della cucina apre il frigo, strizzando gli occhi stanchi contro la luce interna. Fissa il cibo come se potesse dargli una risposta.

Schiarisce la voce per impostarla.

“Ti piaccio?” prende il barattolo di burro di arachidi, “No, troppo diretto.” scuote la testa chiudendo il frigo, “Sono attanagliato da un dubbio e solamente tu puoi‒ nah.” si interrompe di nuovo mentre fruga tra i cassetti in cerca di un cucchiaio, “Ehi, Cap! Come va? Volevo chiederti‒” svita il tappo del barattolo e ci ficca dentro il cucchiaio, “Ehi‒ ehi! Ciao, Cap.”

Tony mangia una cucchiaiata e sospira, appoggiato al ripiano della cucina.

“Ciao‒” esita, si morde le labbra, “Steve. Ciao. Senti, potrei anche sbagliarmi, non sono perfetto anche se lo sembro, ma… uh... sento questa cosa da parte tua, no? E magari‒ magari‒”

Le parole di Tony si fanno piccole, sempre più piccole. Perché, dai, non ci crede nemmeno lui. E perché rischiare, poi? Hanno costruito un bel rapporto, dopotutto. Le cose vanno bene, no? Che altro vuole di più?

“Patetico.”

Tony mangia un'altra cucchiaiata e poi lascia il cucchiaio nel lavello, rimette il barattolo in frigo. Quando esce da lì, l’aria della cucina profuma di erica. E non si accorge di Steve.

*

Steve non voleva origliare. Era andato in cucina solo per un bicchiere d’acqua, trovarci Tony era stata una piacevole sorpresa. Poi aveva sentito il suo nome e qualcosa era scattato.

Il profumo di erica aveva fatto il resto.

Se n’è tornato in camera sua di soppiatto e adesso è steso sul letto, che fissa il soffitto senza pace. I sei mesi che si è dato sono quasi passati, una decisione deve prenderla. Perché, che sia pazzo o meno, qualcosa intanto è successo. Qualcosa che evidentemente non sta influenzando solamente lui. E non sarebbe corretto nei confronti di Tony tenergliela nascosta.

Il giorno dopo Steve scende in laboratorio con l’album da disegno stretto tra le mani. Ci mette un po’ a decidersi a varcare la soglia. E quasi è stupito di vedere Tony là dentro, che lavora come se niente fosse. Come se dopo ciò che ha sentito dirgli ieri sera dovesse essere cambiato qualcosa.

Ma Tony è lì come sempre.

“Ciao Cap.”

Gli rivolge il solito sorriso quando lo saluta, tra i capelli sbocciano i soliti girasoli. Poi porta di nuovo la sua attenzione al lavoro e i girasoli si ritraggono, fanno spazio al quel viavai di boccioli multicolore che si intreccia tra i suoi capelli quando sta progettando qualcosa. Steve ormai ci è abituato, ma non smetterà mai di piacergli. Non smetterà mai di meravigliarsi.

“Ciao. Ti scoccia se sto un po’ qui?”

“Molto. Sei una distrazione.”

Steve sorride tra sé mentre lo raggiunge. Tony gli lancia quel genere di battute di continuo, ma dopo la scorsa notte hanno acquisito tutto un altro significato.

“A cosa stai lavorando?”

Rose screziate e denti di leone.

“Ti interessa davvero o sei solo talmente annoiato da venire qui a infastidirmi?”

Steve lascia l’album da disegno sul tavolo, intento a guardarlo mentre lavora.

“Mi interessa.”

Narcisi. Tony butta un occhio all’album.

“Mhm. Cosa disegni oggi?”

Steve si appoggia al tavolo con le mani, spostando casualmente l’album. I fogli si aprono come petali, lasciando intravvedere qualcosa. Carboncino sulla carta ruvida, illuminato da sprazzi di colore.

“Ho disegnato abbastanza. Non ne ho più voglia.”

Ha gli occhi fissi su Tony e sullo spettacolo di garofani multicolore che sta mettendo su, mentre lo sguardo viaggia tra l’album e lui e poi di nuovo l’album.

“Okay, che sta succedendo?”

Tony parla con cautela, i garofani si ritraggono intimiditi, facendo posto a minuscoli fiori di acero. Steve si chiede se ne è consapevole, se lo fa di proposito o se è del tutto spontaneo.

“Perché… mi stai fissando così?”

Steve si morde il labbro quando le vede.

“Peonie. Questo lo fai spesso. Anche se non quanto i girasoli.”

Tony spalanca gli occhi, boccheggia. La successione di fiori che sbocciano e si richiudono tra i suoi capelli è troppo caotica per starci dietro.

“Cosa‒”

Tony occhieggia l’album e lo afferra rapidamente, come se Steve non l’avesse lasciato lì di proposito. Si allontana camminando all’indietro, l’album aperto tra le mani, lo sguardo stupito che continua a viaggiare tra Steve e le pagine disegnate.

“Ti rendi conto quando lo fai?”

“Sì. No. Mi rendo conto ma non lo controllo.” la voce di Tony è instabile, Steve si stacca dal tavolo e fa qualche passo verso di lui, “Stai lì.” gli punta un dito contro, “Da quanto tempo‒ oddio‒”

Niente fiori stavolta, ma rovi puntuti e rami secchi. Steve scatta subito in avanti.

“Ti ho detto di stare lì! Non ti avvicinare!”

Steve deve farsi forza per non raggiungerlo. Le spine tra i rovi si muovono minacciose.

“Da quanto lo sai? Perché non me ne hai mai parlato? Qualcuno ha visto questi?”

Steve inarca le sopracciglia: “Sono tante domande.”

Tony richiude l’album e lo sbatte sul tavolo.

“Beh, cosa ti aspettavi?!”

Silenzio. Achillea che spunta tra i rovi.

“Non devi farmi la guerra, Tony. Nessuno li ha visti, e se vuoi li faccio sparire. Non ne parliamo mai più.” Steve non vorrebbe farlo ma se è quello che vuole lo farà, “La decisione è tua.”

“La decisione! No tu adesso mi dici‒” Tony si porta una mano tremante alla bocca, la lavanda soffoca l’achillea, i rovi sono sempre lì, “Tu mi dici da quanto lo sai.”

“La battaglia di New York, dopo che sei caduto dal wormhole.”

“Cosa?!”

I rovi sono punteggiati ora da papaveri bianchi e boccioli di adonis gialli.

“Se non contiamo qualche giorno prima, quando ci siamo conosciuti.” Tony è mortalmente pallido e Steve è seriamente preoccupato per il suo stato, “Se vale anche solo sentirne il profumo. Vale?”

Tony gira su sé stesso con le mani tra i capelli, che ora sono colmi di lavanda.

“Perché me lo dici solo adesso?”

“Cosa avrei dovuto dirti? Pensavo che mi avresti preso per pazzo. Io stesso mi credevo pazzo.”

Tony ride di una risata isterica.

“Non lo sei. Decisamente.”

“Bene. L’ultima spiaggia era uno strizzacervelli.”

“Non ti ci vedo.”

C’è ancora il tavolo del laboratorio tra di loro. Con un paio di gesti annoiati Tony leva di mezzo i vari ologrammi e si guardano in silenzio, a distanza di sicurezza. Ha il respiro irregolare e gli occhi sfuggenti, minuscole rose bianche si fanno strada in mezzo alla lavanda.

“Girasoli?”

“Mh?”

“Hai detto che spesso‒” Tony indica vagamente alla propria testa, “Sono girasoli.”

“Li tiri fuori tutte le volte che mi vedi.” Steve lo osserva con curiosità mentre il biancospino si affianca ai boccioli di rosa, “Non te ne sei mai accorto?”

“Se guardo te, non posso guardare me.”

“Logico.”

Tony prende di nuovo in mano l’album e piano piano, mentre sfoglia le pagine, fa il giro del tavolo. Steve resta immobile, troppo spaventato all’idea di farlo di nuovo scappare via per fare anche solo il minimo movimento.

“Mi sono fatto una cultura sul linguaggio dei fiori.”

“Ma non mi dire.”

Tony sta bene attento a non guardarlo. Le peonie sono di nuovo lì e Steve deve ricacciare indietro una risatina.

“Smettila di provare vergogna.”

“Senti un po’!” lo sguardo di Tony scatta su di lui, “Non sei tu quello che ha le emozioni sempre in bella vista sotto gli occhi della propria cotta.”

Quella confessione arriva inaspettata. Steve aspira l’aria per la sorpresa e lo guarda con tanto d’occhi. Fiori di acacia si mescolano alle peonie e a Steve manca il fiato.

“Non‒” deglutisce, “Non li avevo mai visti così da vicino.”

Tony alza gli occhi al cielo e sbuffa di frustrazione.

“Ehi, i miei occhi sono qua giù!” si punta un dito in faccia con aria petulante.

“Scusa.” Steve alza le mani, “È solo… è stupendo. Te ne rendi conto?”

“È assurdo. E tu non dovresti poterlo vedere. Nessuno dovrebbe.”

“Perché?”

Tony lascia l’album sul tavolo e sospira. Fiori di limone punteggiano timidamente i suoi capelli scuri.

“Mi prenderai per pazzo.” mormora quasi tra sé.

“Tony.”

Steve si azzarda a fare un passo avanti, una mano che esita a lungo prima di osare stringersi attorno alla sua, e causa uno sbocciare di biancospino.

“Sono finito nel ghiaccio per 70 anni e sono sopravvissuto. Ho conosciuto un semi-dio alieno che lancia fulmini e vola con un martello. Ho combattuto contro mostri provenienti dallo spazio e contro un esercito di robot. Senza contare il nostro amabile dottore, che quando è infastidito ha l’abitudine di diventare un gigante verde dal pugno facile.”

“Okay vieni al punto.” ridacchia lui guardandolo da sotto le ciglia, e Steve, oh, quello sguardo l’ha già visto qualche volta ma mai abbastanza. Mai abbastanza.

“Tony, vedo fiori nei tuoi capelli. E sono solo felice di non essere pazzo.”

Steve lo osserva in silenzio e pensa di non averlo mai visto così insicuro. Così Tony. È facile perdere certe sfumature quando non si conosce il vero uomo dietro l’armatura, e Steve non intende quella di Iron Man.

“Hai mai sentito parlare delle driadi?”

“Le ninfe dei miti greci?”

Lui annuisce: “Quelle.”

La mano di Tony è ancora nella sua mentre gli racconta.

Di come sua madre fosse come lui, e prima di lei sua nonna, e ancora prima la sua bisnonna, e così via, per generazioni. Di come non si sa quale sia stata la prima, è una cosa che si trasmette nella sua famiglia dalla notte dei tempi. Di come sia presente solo nella linea femminile, per questo nessuno si aspettava che lui la ereditasse.

Di come ‒ e questo Tony lo dice guardando ostentatamente altrove, il guance tinte di rosso come le rose che gli sbocciavano tra i capelli ‒ solo poche persone potessero vederlo.

“Chi?”

Steve ha un sospetto, ma ha bisogno che sia lui a dirglielo. Ha bisogno di sentirlo dalla voce di Tony.

“Tony?” inclina la testa a cercargli lo sguardo, “Chi può vederlo?”

Tony si morde le labbra, schiarisce la voce. Biancospino e tulipani rossi fanno sfoggio tra i suoi capelli.

“Beh, di preciso non‒ non è chiaro. Persone che… tengono molto a me, suppongo? I miei genitori potevano. E anche Jarvis, Dio l’abbia in gloria. Adesso… Rhodey, sì. Lui ha iniziato molti anni fa. Ed è l’unico.”

Steve si sforza di non trovare snervante la sua ostinazione a voler fuggire il suo sguardo.

“E ora anche te, a quanto pare. E io‒ io sono grato.” Tony annuisce, “Di questo. Sono grato.” adocchia le loro mani ancora unite, “È bellissimo. Davvero. Che tu senta questo per me. Non me l’aspettavo.”

Gardenie. Il cuore di Steve si stringe.

“No? Perché?”

Tony si stringe nelle spalle.

“Perché… dai, di Rhodey ce n’è solo uno. Che tu mi sopporti come fa lui…” ride nervosamente, “Wow! È‒ wow! Non ho parole. Spero che ti paghino bene! Ti pagano, no?”

Steve rotea gli occhi di fronte al suo solito sarcasmo colmo di auto deprecazione.

“Io non ti sopporto come fa Rhodey.”

“Anche perché lui in realtà non mi sopporta.”

Tony.”

Tony chiude la bocca e lo fissa, il mento alzato con aria di sfida. ‘Vediamo se lo fai davvero’ sembrano dire quegli occhi, ‘Vediamo se osi dirlo’.

“Io non ti voglio bene come te ne vuole Rhodey.

“No?”

Tony si lecca le labbra e Steve non può fare a meno di seguire con gli occhi il movimento della lingua.

“Lui è il tuo migliore amico.” Steve alza una mano ad accarezzargli il volto, il pollice che sfiora lo zigomo, “Io non voglio essere il tuo migliore amico.”

Tony, è evidente, sta cercando delle parole, ma per una volta non trova quelle giuste. Così si limita a fissarlo ammutolito, le labbra schiuse e gli occhi pieni di speranza da far male. Steve pensa che così dimostra vent’anni di meno e non riesce a credere di essere lui ad aver causato quello sguardo.

“Voglio essere quello che ti bacia e scopre che fiori fai sbocciare.”

Lo sguardo di Tony crolla sulla sua bocca. E Steve ha il tempo di cogliere profumo di rose prima di chiudere la distanza tra di loro. Tony è teso, per un attimo non possono fare altro che stare lì, in piedi, le mani di Tony artigliate alle sue braccia e le labbra premute insieme, il respiri irregolari che si mischiano.

“Lo vedi? Lo vedi davvero? Non‒ non è tutto uno scherzo particolarmente articolato e crudele, vero?” mormora freneticamente sulle sue labbra, “Non me lo sto sognando?”

“Lo vedo.” Steve sospira e posa la fronte sulla sua, “Lo vedo da sempre. Posso‒ Dio, Tony‒ posso toccarti?”

Il respiro di Tony si spezza per riprendere malfermo. Annuisce, e tanto basta.

Steve lo afferra per la vita e lo fa sedere sul tavolo, facendosi spazio tra le sue gambe. Tony gli allaccia le braccia attorno al collo e lo tira giù, esponendo il collo a suoi baci. La pelle soffice sotto l’orecchio è invitante e Steve ne prende un lembo tra i denti, affonda una mano tra i suoi capelli, le dita che scivolano come seta tra i petali di rosa. Il lamento che emette Tony è tenue, quasi timido. Se lo stringe addosso e preme, preme disperatamente, quasi temesse di vederselo sparire all'improvviso. Steve lo afferra per il volto per baciarlo ancora, per levargli tutta quella disperazione da dosso. È lì per lui, per accogliere la lingua nel calore della sua bocca e farla sua.

“Sai di caprifoglio.”

Steve ricorda quando in estate andava a rubare i pistilli dalle siepi delle case dei ricchi e succhiava la base colma di nettare dolce.

“Ed è un bene?”

La lingua di Tony guizza fuori a leccargli le labbra, Steve geme sommessamente.

“Che altro di te sa di caprifoglio?”

Tony annaspa mentre Steve lo spinge giù. Una manata sposta tutto ciò che c’è sul tavolo, compreso l’album da disegno. I fogli cadono, sparpagliandosi per tutto il pavimento in tante macchie multicolore.

Decine di ritratti di Tony con i capelli in fiore, accompagnati da appunti scritti di getto, punti di domanda che per ora non hanno bisogno di trovare risposta. Le impronte delle dita di Steve laddove ha sfumato la grafite, accarezzando la carta con il desiderio che fosse la pelle di Tony.

Nel laboratorio c’è tanto profumo di fiori.

*

Più tardi, molto più tardi, Tony si sveglierà nel proprio letto.

Se non ricordasse cosa è successo qualche ora prima, ci penserebbe il corpo bollente di Steve che gli dorme addosso a fargli tornare la memoria. E se anche quello non fosse sufficiente, a Tony basterebbe muoversi per avvertire i muscoli gridare vendetta.

Certo lui è un tipo in forma: non si può essere Iron Man senza un rigido regime di fitness e yoga quotidiano. Ma fare l’Avenger non include certe, uh, attività ginniche che non era più tanto abituato a fare. Peraltro, attività ginniche che, quando eseguite in compagnia di un super-soldato dotato di super-stamina ‒ e super-altro ‒ possono facilmente ridurti ad uno stato di piacevole ma estrema spossatezza.

Tony non si lamenta affatto, eh. Pensa solo che, se la cosa ‒ quale ‘cosa’? non vuole darle un nome per ora, grazie ‒ se la cosa va avanti deve prendere qualche integratore in più e stabilire degli esercizi mirati alla resistenza sui lunghi sforzi.

“Mh.” brontola il super-soldato alle sue spalle.

Si sta svegliando e Tony vorrebbe girarsi a guardarlo, perché ha questo sospetto che Steve Rogers appena sveglio, con la barba del mattino e i capelli da letto, debba essere roba da far cadere in tentazione una suora. Ma è anche molto consapevole del fatto che quello è il ‘giorno dopo’, e lui non è mai stato bravo a gestire il ‘giorno dopo’.

“Ehi!”

A sbloccare la situazione ci pensa Steve, a quanto pare. Lo manovra per rigirarlo e metterselo addosso, nemmeno forse una bambola di pezza. Tony ne è un po’ offeso: dopo tutto lui è Iron Man, che diamine! Non che qualche ora prima fosse stato particolarmente infastidito dal fatto di essere manovrato da lui.

“Smettila di pensare.” Steve gli passa le dita tra i capelli, sparpagliando i boccioli multicolore.

“Non posso.” Tony approfitta della posizione per nascondere la faccia nel suo collo, “E comunque tu non mi‒”

Le parole deragliano, perché quello non se lo sono ancora detto anche se è talmente ovvio ‒ forse proprio per questo. Tony non vuole pensarci, altrimenti è sicuro che gli esplode il cuore, e visto che è attaccato a un reattore arc non sarebbe una cosa positiva.

“Non ti piacerei se non fossi così.”

Steve ridacchia sommessamente, la vibrazione che si spande tra di loro come un’onda di dolcezza inaspettata.

“Hai ragione.”

Le mani di Steve non smettono di accarezzarlo. Tra i capelli, sulla schiena, lungo le braccia. Quasi a quietare i suoi pensieri tormentosi. E a questa cosa, Tony già lo sa, sarà difficile che si abituerà.

Questa spontanea e del tutto non richiesta profferta di coccole soffocanti da parte di uomo che, santiddio, Tony l’ha sempre ammirato da lontano con la convinzione di non essere nemmeno lontanamente degno dei suoi pensieri. E invece eccolo qui, a fargli le migliori coccole del ‘giorno dopo’, dopo avergli regalato il miglior sesso della sua vita.

Tony.”

“Okay okay… ah. Ecco qua.”

Tony si puntella per poterlo guardare in faccia. Mossa poco intelligente considerando che, sì, i suoi sospetti erano ben fondati: Steve Rogers appena sveglio è uno spettacolo da mozzare il fiato. E il cazzo di Tony vuole farlo sapere al mondo intero.

“Buongiorno.”

Steve gli sorride consapevole e Tony vorrebbe solo levargli dalla faccia quell’espressione compiaciuta a suon di ceffoni, ma ha idea che si lusserebbe il polso e basta. Peraltro, una mano di Steve è scivolata sul suo culo e ora sta stringendo delicatamente una natica. Tony ricorda bene quello che hanno fatto quelle mani qualche ora prima nella stessa zona del suo corpo, e questo non lo aiuta affatto.

“Ti sei mai visto quando‒”

“No.” sbotta incomprensibilmente infastidito, “Lo so che mi credi un edonista, ma il primo pensiero quando faccio sesso non è guardarmi allo specchio come uno psicopatico narcisista.”

“Non ti vedo come un edonista, Tony. Non più di tante altre persone, comunque.”

Tony posa il mento sui pugni chiusi e mette su un’espressione di sufficienza. Per quanto riesca a tenerla nella situazione attuale.

“Papaveri.”

“Mh?”

Steve porta una mano calda al suo volto e gli accarezza il labbro.

“Sono papaveri quando‒ sai.” si morde le labbra, improvvisamente timido, “Quando vieni.”

“Oh.”

Tony non sta arrossendo come fosse una ragazzina sotto lo sguardo della sua cotta storica che la sta invitando al ballo di fine anno. Proprio no.

L’aria tra di loro sa di fiori selvatici. Steve alza lo sguardo per ammirare i boccioli e Tony chiude gli occhi mentre sfiora i petali con un dito.

“E questi? Li hai mai visti?”

Tony ruota la testa per posarla sul suo petto. Sotto il suo orecchio c’è il battito di Steve, davanti ai suoi occhi lo specchio da parete della sua stanza. No, Tony era tanto tempo che non li vedeva.

“Quando ero bambino, forse.”

Il cuore di Steve accelera un po’.

“Sai, una volta‒” la sua voce vorrebbe essere sicura ma in realtà vacilla, “Una volta credo di averli visti.”

Tony sospira, chiude gli occhi nel ricordo di quella giornata. Sembrano così diversi da allora.

“Lo so.”

La mano di Steve cerca silenziosa la sua per intrecciare le dita.

“Voglio vederli ancora.”

Tony di solito è più bravo di così, di solito riesce a trattenere i singhiozzi mentre piange.

“Voglio vederli sempre.”

 
   
 
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