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Autore: Emily Erie Black    20/05/2021    4 recensioni
Ora, se si fosse sporta appena un pó, quelle maledette labbra sarebbero state sue.
Finalmente sue, come nei suoi sogni.
“Tu non mi temi, non lo hai mai fatto.”
Non era una domanda.
“No.”
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dannazione.



L’ennesima sigaretta spenta con stizza su un posacenere martoriato da macchie scure, causate da tutte le volte che l’avevo utilizzato senza lavarlo mai.
Sospiró, contrariata, mentre portava entrambi le mani alle tempie, massaggiandole con movimenti circolari.
Le faceva male la testa.
Non che fosse una novità, quella. Nell’ultimo periodo il mal di testa la accompagnava così spesso che era diventato fedele compagno ed amico.
Il medico le aveva detto che doveva stare lontano dallo stress, ma come avrebbe mai potuto se lo stress in questione le abitava dentro casa?
Senza contare che, per quello stress, Bulma ci aveva irrimediabilmente perso la testa e se ne malediva quasi ogni giorno.
Sbuffó, mentre portava gli occhi chiari sull’orologio a parete presente nel laboratorio: 00.43.
Era tardi, sarebbe dovuto essere a letto da più di un’ora, almeno.
Invece era ancora lì, a cercare di portare avanti un progetto che in realtà non aveva alcuna fretta di essere terminato, per il puro bisogno di stare lontana da lui per quanto fosse umanamente possibile stare lontano da qualcuno che abita sotto il tuo stesso tetto, qualcuno che, oltretutto, hai voluto tu.
Vegeta era una presenza costante nella sua vita da sei mesi, eppure, solo nell’ultimo paio Bulma Brief era rimasta irrimediabilmente colpita dal fascino saiyan, dai muscoli guizzanti che non facevo altro che delinearsi, dalla statura imponente (e Dio solo sapeva quanto era rimasta sbalordita quando aveva compreso che i saiyan crescono in altezza in base all’aumento della loro forza, Vegeta era passato dal metro settanta scarso al metro e ottanta nel giro di troppo poco tempo perché la giovane scienziata riuscisse a capacitarsene), la pelle ambrata, gli occhi..
per Dio, quei maledetti occhi.
Ossidiana pura, che brillava alla luce del giorno.
Ed un buco nero, che la risucchiava quando lo incrociava per i corridoio della Capsule Corp di notte.
Quegl’occhi l’avevano portata alla rovina un giorno alla volta, senza che lei se ne rendesse conto, inconsapevole del fascino del Saiyan, della sua intelligenza e furbizia.
Per quanto Vegeta non fosse certo una persona loquace, con lei parlava spesso: per la Gravity Room, per le invenzioni da inserire in essa ed in rare occasioni le aveva concesso qualche curiosità riguardante la sua stirpe e Vegeta-sei e si era scoperta stupita dall’intelligenza spiccata e dalla sagacità dell’alieno.
Da lì in poi, era stata una discesa rapida senza possibilità di risalita.  
L’attrazione che provava per il principe dei Saiyan era nata quindi con calma, senza nessun segnale iniziale particolare, per poi sbocciare come una rosa che silenziosa arriva ad essere rigogliosa e bella ancor prima che arrivi il suo tempo, senza possibilità di previsione.  


Bulma e Yamcha si erano lasciati non molto tempo prima proprio per questo.
O meglio, non solo.
Non erano più innamorati, non come una volta, nemmeno lontanamente.
Non c’era più attrazione, nè voglia di costruire un futuro insieme.
Dopo tutti quegl’anni bloccati sempre nello stesso limbo, era stato facile comprendere che non ci fosse oramai più niente da condividere.
Quando una relazione si trascina senza mai crescere, diventa semplicemente niente.
Accese l’ennesima sigaretta, mentre terminava gli ultimi calcoli da inserire nel computer.
Era sfinita, mentalmente, e non certo per il lavoro.
Era sfinita per il continuo sforzo che doveva affrontare ogni qualvolta incontrava il saiyan e si costringeva a dissimulare.
Dissimulare i sentimenti per lui.
Dissimulare l’attrazione.
Dissimulare praticamente ogni cosa.
Perché Bulma Brief era incosciente, ma non stupida ed era perfettamente consapevole che il principe delle scimmie non era certo uomo da sentimentalismi. Lui, i sentimenti, non sapeva nemmeno cosa fossero e questo era chiaro alla scienziata come il fondo di un lago sommerso da acqua cristallina e priva di alcuna increspatura.

Doveva però ammettere che Vegeta era un vero principe, comunque.
Burbero, si, scontroso, si, pericoloso certo che sì, ma mai si era azzardato ad alzare un dito su di lei, mai le aveva rivolto gravi offese, mai le aveva mancato di rispetto in modo irrimediabile.


A differenza di tutto ciò che chiunque avrebbe potuto immaginare e pensare, Vegeta era controllato e pacato come solo una persona del suo rango poteva essere.
Certo, diventava una bestia quando i suoi allenamenti venivano interrotti da qualche problema causato dalla Gravity Room o dai robottini al suo interno, ma per il resto era una presenza silenziosa, tranquilla.
Sin troppo, se si vuole pensare che non era niente più che un distruttore di mondi.
E, voglio dire, chiamiamolo poco!
Finita la sigaretta ed il lavoro, Bulma si lasciò andare sulla sedia, respirando profondamente.
La sera dopo avrebbe avuto una cena con quei maledetti bastardi della Fenix Industry, e Dio solo sapeva quanto erano maschilisti ed egocentrici. Il mal di testa stava già aumentando inesorabilmente al solo pensiero di dover affrontare scienziati così mediocri e mentalmente ristretti, ma era necessario aveva detto suo padre, dovevano ottenere il loro aiuto per il progetto che avrebbero iniziato il mese successivo.
“Terrestre”
Eccolo.
La sua voce la fece scattare, quasi come una molla.
Il fiato le morì in gola d’improvviso, colta da un improvviso senso di oppressione al torace.
Si ritrovò immediatamente in piedi ed un forte giramento di testa la colse di sorpresa.
Non aveva nemmeno cenato e non si ricordava se avesse pranzato o no.
Per diamine, da quando era diventata così distratta?
“Vegeta..” poggió una mano al petto per lo spavento - si, spavento, certo - “problemi con la Gravity Room?”
“Il pannello è impazzito, la gravità si è bloccata a 200. Non riesco ad abbassarla nè alzarla.”
Era pacato, nonostante il problema riguardasse la G.R e la giovane collegó che probabilmente il fatto era avvenuto a fine allenamento quindi non aveva intaccato la sua preziosa routine.
“Chiaro, domani mattina te la sistemo, tanto tra poche ore devo essere in piedi.” La sua voce era strascicata, carica di stanchezza, ed il giorno dopo sarebbe stato solo che peggio. Si stiracchiò appena, sbadigliando.
Si rese conto di sembrare probabilmente ridicola, ma era davvero sfinita.
Vegeta in risposta la osservò, in silenzio.
Non parló, nè accennò ad alcun tipo di reazione.
Era immobile, sullo stipite della porta, poggiato con una spalla al muro a fissarla.
Bulma si sentì sopraffatta da un calore inaspettato, mentre sentiva le gote imporporarsi e l’imbarazzo impadronirsi di ogni singola cellula del suo organismo.
Per dio, non fare la bambina!
Si voltò, fingendo di sistemare il tavolo del laboratorio alla bell’è meglio, cercando di riprendere il controllo di se stessa, del cuore che le batteva in petto impazzito, del fiato che sembrava farsi sempre più corto.
La testa le pulsava sempre più.
“La tua aura si è abbassata di un livello”
Bulma si bloccò improvvisamente e si voltò verso di lui.
“Come?”
“La tua aura, si è abbassata. Sei senza forze. Non riuscirai a fare niente domani in queste condizioni, se continui a non mangiare.”
Sgranó gli occhi e sentì la gola improvvisamente secca, la bocca priva di salivazione. Deglutì, prima di riuscire a rispondere.
“Si, è vero” non riuscì a dire altro, non riuscì ad aggiungere niente a quella risposta così scarna.
Vuoto.
La sua mente sembrava essersi improvvisamente resettata.
Un buco nero.
“Ti devo portare io in cucina di peso, o pensi di andarci da sola?”
Un battito perso.
Che stava succedendo?
“Vegeta, sono stanca. Domani mangerò e ti riparerò la gravity room.”
Lo vide ghignare appena, in un’espressione che le procurò un brivido lungo la schiena.
“Risposta sbagliata, terrestre.”
Ancora prima che potesse rendersene conto la prese, come aveva ben preannunciato, di peso e la portó in cucina ad una velocità decisamente non umana.
E Bulma si sentì totalmente senza fiato.

 
**
La costrinse a mangiare e rimase a fissarla con quei due pozzi di ossidiana, incutendole quel tipo di agitazione che non era certo dettata dalla paura.
Paura e Vegeta nella stessa frase, per Bulma, non avevano senso.
Il che, visto da una prospettiva esterna e ragionevole avrebbe fatto intendere che la giovane scienziata fosse ufficialmente ammattita.
E lo era, a dire il vero, totalmente pazza.. di lui.
Quando finì di mangiare, Bulma alzó lo sguardo verso il Saiyan dopo che lo aveva evitato durante tutto il tempo nella quale si era trattenuta per riuscire ad ingurgitare ciò che aveva davanti agli occhi, seppur con estrema fatica.
“Contento, adesso?” gli disse, innervosita.
“Decisamente.”
Freddo, austero, impossibile da decifrare. Il suo tono era sempre gelido come il polo artico, gelido come il peggiore degli inverni.
Incolore.
Vegeta era vita, era fuoco, era inferno, era morte, era dannazione eppure il suo tono, i suoi occhi, erano costantemente immobili, statici, vuoti.
Bulma non faceva altro che chiedersi cosa avrebbe potuto fare per far uscire da quegl’occhi, da quella bocca il fuoco, la potenza che lei sapeva ci fosse dentro di lui.
Il principe dei Saiyan.
L’ultimo superstite della stirpe regale di un popolo di guerrieri caduto in rovina.
Trattenne il fiato per qualche secondo, mentre lo scrutava ad occhi appena sgranati: a volte non si rendeva conto di chi lui davvero fosse.
Vegeta la guardò un’ultima volta e dopo averle rivolto un cenno appena visibile, si volatilizzò sulle scale e mentre saliva lo sentì dirle: “domani voglio trovare la gravity room sistemata”.
Poi, il silenzio.
Quel silenzio che sa di quiete indesiderata, di solitudine per nulla gradita.
Bulma sospiró, sfinita, ricominciando a massaggiarsi le tempie.
“Certo, principe” rispose, a mezza voce, con stizza e dispiacere.
Per un solo secondo, per un solo istante nella sua mente era balenata quell’umana illusione che lui si fosse preoccupato per lei.
Lui era preoccupato per i suoi allenamenti, non per lei. Del resto, lei era l’unica in grado di sistemare quella stanza.
Stupida, fragile umana.
Stupita, fragile terrestre.
Quasi poteva sentire la sua voce ripeterle quelle parole con tono di scherno, con quel ghigno carico di superbia e strafottenza.
Sentimentalismo da terrestre, illusione da futile essere umano.
**
Arrabbiata.
O no, in piena collera.
E ferita.
Ferita fin dentro l’anima, ferita nella sua intelligenza.
Lei, la migliore scienziata nel mondo, ridotta ad essere considerata come un premio, una bella donna per scaldare il letto da quattro scienziati privi di vero intelletto.
Avrebbe potuto distruggere le loro stupide industrie con due invenzioni, mandarli in rovina con niente.
Lei, era Bulma Brief. La scienziata più intelligente e futuristica di sempre.
Eppure, l’avevano trattata allo stremo di una prostituta di alto borgo.
Non si era mai sentita tanto umiliata.
Tolse il giacchino con odio, buttandolo al lato della stanza e si piazzò furiosa di fronte al frigo.
Prese la bottiglia d’acqua con mani tremanti ed un bicchiere, versò dentro il liquido trasparente e lo ingurgitò pregando che la freschezza le desse sollievo, le spegnesse anche solo per qualche secondo il fuoco che le stava bruciando la gola.
Li aveva umiliati, alla fine, però.
Oh, eccome se lo aveva fatto. Li aveva umiliati e spaventati.
Perché il suo ultimo progetto andava oltre a qualsiasi umana comprensione e loro, dopo averla derisa ed offesa per quasi un’ora, si erano ritrovati bloccati e impauriti.
E lei, soddisfatta, se ne era andata.
Ma la soddisfazione era durata poco, l’impronta della rabbia cocente le si era concretizzata troppo in fondo per sentirsi davvero appagata.
Non era abbastanza.
Per come l’avevano definita, per come l’avevano trattata.. dio, li avrebbe rovinati.
Lanciò il bicchiere con una rabbia cieca addosso ad una parete, vedendolo frantumarsi in mille pezzi ed al contempo, bloccandosi per l’improvviso spavento. Una mano al cuore, gli occhi sgranati.
Accanto alla parete, poggiato al muro, Vegeta era immobile a guardarla.
Non l’aveva sentito.
Silenzioso come un giaguaro che si avvicina alla preda, anzi, come una pantera.
Non si era scomposto quando i pezzi di vetro lo avevano sfiorato ed inutile dire che non lo avevano ferito.
Bulma trattene il fiato per qualche istante, prima di buttarlo fuori come un sospiro carico di mille emozioni.
“Scusa, non volevo colpirti” gli disse, prima di sedersi sul piano della cucina.
Si portò le mani alla testa, di nuovo colpita dall’ennesima crisi di emicrania.
Era stanca.
Di tutto.
“Lo so” lo sentì avvicinarsi e solo quando se lo trovó di fronte, con le mani ai lati del proprio corpo, alzó lo sguardo.
Era a pochi centimetri dal suo viso, il respiro caldo come l’inferno le sferzó la pelle delle guance ed il suo cuore prese a battere veloce, privo di controllo.
Non era mai stato così vicino.
Si perse ad osservarlo con ingordigia, passando in rassegna ogni punto del suo viso.
Era bello.
Ma bello davvero, di quella bellezza esotica ed incredibilmente al di sopra di tutto ciò che la terra avesse mai visto.
Bello come solo un Dio distruttore poteva essere.


“Il fatto che io sia gradevole d’aspetto, implica che potrei essere buona solo per fare la prostituta, secondo te?”
Glielo chiese così, ringhiottita dai ricordi della serata,  con una rabbia cieca dipinta negli occhi color del mare limpido. Glielo chiese perché aveva bisogno di sfogarsi, glielo chiese perché lui in qualche modo e per qualche ragione a lei sconosciuta, le stava dando attenzione. E ne aveva bisogno.
Aveva bisogno di lui.
“È questo che ti hanno detto?”
“Non così esplicitamente, ma si. È questo. E sai qual’è la cosa divertente? Che si sono persi pure in commenti squallidi su di me come se io non fossi presente.”
Le mani cominciarono a tremarle, mentre guardava Vegeta dritto negli occhi non con poca difficoltà, mentre sentiva i propri cominciare a pizzicare per la frustrazione.
“Io potrei distruggerli. Distruggere le loro aziende inutili, renderli degli scienziati di terza classe, farli diventare cenere come meritano di essere! E li ho spaventati, gliel’ho fatto capire, gliel’ho mostrato.. ma Dio, Dio! Le loro schifose facce…”
Urlava, adesso, consapevole che nessuno l’avrebbe sentita grazie all’insonorizzazione delle varie camere, mentre con le mani stringeva convulsamente il ripiano dove era seduta.
Vegeta la guardava, immobile, rimanendo di fronte a lei con quel cipiglio sicuro e fiero, oscuro e rigido.
“Non dovresti dare peso alle parole di qualche moscerino.” Irruppe, il principe dei Saiyan, continuando a fissarla.
“Lo so, ma è stato umiliante comunque.. mi hanno trattata come un pezzo di carne. Che schifo..” Abbassò la testa, colta da un improvviso senso di nausea. Nemmeno la vicinanza così intima del Saiyan, le sue parole, il suo odore muschiato le stavano togliendo di dosso quel senso di sporcizia che le si era cristallizzato sulla pelle. Cominció a sfregiarsi le braccia involontariamente, quasi a voler togliere quel senso di sporco che le opprimeva i sensi.
Le mani di Vegeta la fermarono.
Veloci e forti, presero quelle di lei e le riportano sul ripiano, poggiandoci sopra le proprie senza dare troppo peso e forza, ma con quel tanto che bastava per impedirle di alzarle. Era bloccata.
E se una persona dotata di senno a quel gesto si sarebbe sentita in pericolo, vicina alla morte, Bulma non poté far altro che sentire il calore del sentimento irradiarsi folle e veloce lungo tutta la spina dorsale, fino ad arrivare al cervello.
Alzó gli occhi verso di lui e li trovó a bruciare come due tizzoni ardenti e ci si perse dentro, irrimediabilmente.
“No.”
Ci volle qualche attimo prima che Bulma riuscisse a recuperare le proprie capacità cognitive.
“No, cosa?”
“Non credere loro.”
Un battito perso. L’ennesimo.  
“Ma-“
“No. Sei una petulante terrestre, priva del senso del pericolo e di un po’ di buon senso in generale, sei insopportabile, testarda ed odiosa, ma niente si può dire della tua intelligenza. Niente. E se hanno puntato su questo..” disse, guardandola da capo a piedi, indicando il suo corpo “è perché sapevano di poter ottenere questo.” concluse, indicando con un cenno gli occhi lucidi di lei.
Bulma sbattè le palpebre più volte, ignorando le varie piccole ingiurie che l’alieno le aveva tirato contro, guardandolo sbalordita, ma improvvisamente rinata.
 
Aveva ragione.
Aveva maledettamente ragione.
Avevano usato la sua bellezza contro di lei, l’avevano usata come arma, come fosse un punto debole, un qualcosa della quale vergognarsi.
E lei stava pure per cascarci.
Scosse la testa, trattenendo un sorriso.

Lui si era dimostrato, nuovamente, incredibile.
“Sai..” gli disse, trattenendo un sorriso “saresti un ottimo motivatore, se non fossi un Saiyan borioso e bastardo.”
Se lo concesse, si concesse la sfacciataggine e l’offesa, consapevole che non era la prima che gli tirava contro.
E lui, le sorrise come fosse un leone di fronte ad un agnello.
Un brivido le percorse di nuovo la schiena, ma della sana paura, quella che avrebbe dovuto sentire di fronte a sui occhi, nessuna traccia.

Nessuno mai si era rivolto a lui così, in nessuna galassia, in nessun mondo, in nessun universo.
Ma lei..



Il Principe dei Saiyan si avvicinò al suo viso sino a far quasi sfiorare i loro nasi, con una lentezza calibrata, studiata.
Ora, non c’era più limite, si era oltrepassata una linea sicura nella quale Bulma si era rifugiata sino a quel momento.
“Tu sfidi la sorte.”
“Io sfido solo te.”
“Solo? Potrei ucciderti con un dito”
“Lo so”
Le si avvicinò ancora, ora i loro nasi si toccavano, ora il suo respiro era sulle sue labbra.
Ora, se si fosse sporta appena un pó, quelle maledette labbra sarebbero state sue.
Finalmente sue, come nei suoi sogni.
“Tu non mi temi, non lo hai mai fatto.”
Non era una domanda.
“No.”
Rise, il principe dei Saiyan. Una risata roca, bassa, che le fece accapponare la pelle.
“Se non fossi una fragile e patetica umana..” una pausa, una pausa ed i suoi occhi che la inchiodarono di nuovo, infuocati come poco fa, ma in modo diverso “saresti perfetta.”
Le ultime due parole come un sussurro difficilmente udibile, quasi un illusione, una confessione difficile da esternare.
Bulma Brief, la donna più intelligente del pianeta terra, scienziata rinomata e stimata, non resistette oltre e colmò quei pochi millimetri di distanza che li dividevano.
Lo bació.
Incurante del pericolo, di qualsiasi sua possibile reazione, che la potesse prendere è schiantare contro uno dei muri della Sala spezzandole tutte le ossa, lo bació.
E quel contatto di labbra le scaturì dentro talmente tante emozioni, talmente tanto fuoco che quasi si sentì ardere viva.
Era possibile morire di autocombustione?
Ne erano stati riportati alcuni casi in medicina e Bulma era certa di poter essere il prossimo.

Ogni tipo di razionalità l’aveva abbandonata e quando si staccò da lui dopo pochi attimi, tenne gli occhi chiusi per qualche secondo, incapace di guardarlo.
Ora, era nei guai seri.
Respirò a fondo, prima di alzare il viso verso di lui e trovarlo immobile.
Freddo, austero, incolore.
Inghiottì un fiotto di saliva che le era rimasto incastrato in gola e lo vedi alzarsi, rimettendosi in posizione eretta di fronte a lei con una lentezza degna di un predatore.
Mai una figura le era sembrata tanto imponente.
Mai si era sentita così piccola.
E fu un attimo, la velocità di un un istante e l’incapacità di comprendere cosa stesse accadendo.
La prese per le cosce e l’alzó, costringendola a circondargli il busto con le lunghe gambe e lì, senza darle nemmeno un momento per pensare, la bació.
La bació con una passione che mai e poi mai Bulma Brief si sarebbe aspettata, la bació come se volesse rubarle il respiro e tutta l’anima.
Bulma portò le mani sui suoi capelli corvini, insinuandole tra quella chioma folta e scura, rispondendo al bacio con tutta se stessa, stringendo ulteriormente le cosce attorno a lui quasi non volesse farlo fuggire.
Fuggire lui.. era lei ad essere in trappola.
La lingua del Sayian s’insinuó nella sua bocca priva di decenza, esplorandole i denti, il palato, cominciando una guerra senza esclusione di colpi con quella della scienziata, lasciandola senza fiato, con brividi violenti che le inondarono la schiena, le oscurarono la mente.
Si staccò dalla bocca di lei solo per baciarle e torturarle il collo.
E la giovane donna si sentì priva di controllo, totalmente assuefatta, totalmente sua.

Era un sogno. Non poteva crederci.
 
Un gemito uscì dalle labbra rosee e carnose della ragazza, suono che non sfuggì a Vegeta.
E fu lì, quando lo sentì sorridere sulla pelle lattea e liscia del proprio collo che si rese conto di essere irrimediabilmente persa, totalmente soggiogata dai sentimenti per lui, da un amore nato dal nulla e che senza alcun avviso di sorta le aveva inondato il cuore senza darle alcun tipo di possibilità di scegliere, o redimersi da uno dei più grandi peccati che avrebbe mai potuto commettere.
Ma per lui avrebbe affrontato persino la dannazione eterna.
La portó su per le scale ed aprì con un calcio la porta della propria stanza, facendola adagiare sul letto e portandosi sopra di lei.
I suoi occhi, neri come la pece, l’avevano inchiodata al materasso.
Bulma portó le mani sul suo petto, carezzandolo fino ad arrivare al collo taurino, al viso ambrato.
Vegeta si avvicinò, baciandola di nuovo, questa volta con più lentezza, assaporando di lei tutto, mentre la spogliava con foga, impazienza.
Dannazione, senza redenzione. Ma la redenzione, se fosse significato non averlo mai, non l’avrebbe mai voluta.
“Vegeta..” il suo nome, soffiato in un sussurro intriso da gemiti estasiati.
Nudo, su di lei, le stava baciando e succhiando i seni con ardore dopo averla accesa come una miccia, lasciandola però a metà, in attesa.
Tornò all’altezza del suo viso, piazzandosi bene fra le cosce nivee, poggiando la fronte ampia su quella dell’azzurra.
Gli occhi intrisi da vive fiamme.
L’inferno.
La condanna.
Il paradiso.
Una spinta, il piacere che le sconquassò le viscere, lui che la tenne per i polsi ai lati del cuscino, Bulma che inarcò istintivamente la schiena.
Mai si era sentita tanto completa.
Mai si era sentita tanto viva.
Mai aveva tanto amato.
“Sei mia.”
Un ringhio roco, caldo che dettò la sua fine.
Sua,
lo era da tempo.
Lo sarebbe sempre stata.

 
   
 
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