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Autore: Josy_98    29/05/2021    1 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. Dalla padella nella brace
 
Finalmente sbucarono all’aria aperta, e nello stesso momento a Lumbar tornò la vista, ma continuarono a correre per un bel po’ prima di fermarsi. Nonostante fosse giorno volevano mettere più spazio possibile tra loro e i goblin. Gandalf nel frattempo li contava e finì quando la ragazza decise di fermarsi, seguita dai compagni, in un piccolo spiazzo.
«Dov’è Bilbo, eh?» chiese lo stregone mentre gli altri riprendevano fiato.
Lumbar era seduta a gambe incrociate sopra una roccia piatta e aveva chiuso gli occhi nel tentativo di riprendere il pieno controllo del suo corpo, che le stava dando troppi problemi avvertendola allo stesso tempo che la situazione stava per peggiorare, e non gli rispose lasciando quel compito agli altri. Lei doveva concentrarsi e capire cosa non andasse. Tanto sapeva che lo hobbit era vicino.
«Dov’è il nostro hobbit?» chiese ancora il Grigio facendo qualche passo verso il centro dello spiazzo e guardandosi attorno in attesa di una risposta. «Dov’è il nostro hobbit?» urlò adirato.
I nani cominciarono a guardarsi attorno, confusi.
«Accidenti al mezzuomo! Ora si è perso?»
«Credevo che fosse con Dori!»
«Non incolpare me!»
«Dove l’avete visto l’ultima volta?» li interruppe Gandalf.
«Mi sa che è sgattaiolato via quando ci hanno catturati.» disse Nori dopo aver riflettuto un istante.
«Che è successo esattamente? Dimmelo!» la voce di Gandalf passava da bassa ad alta da quanto era arrabbiato.
«Te lo dico io che è successo.» si fece avanti Thorin. «Mastro Baggins ha visto la sua occasione e l’ha colta!» alzò la voce. «Pensava solo al suo soffice letto e al suo caldo focolare da quando ha messo piede fuori dalla porta. Non rivedremo mai più il nostro hobbit. È ormai lontano.» concluse facendo spuntare un sorriso sul volto di Lumbar.
«Ti sbagli.» bisbigliò infatti la ragazza attirando la loro attenzione. Sentiva i loro occhi puntati su di sè nonostante avesse ancora le palpebre abbassate.
«Che mi venga un colpo!» esclamò Dwalin osservandola per la prima, come tutti gli altri, che commentavano tra loro la nuova scoperta.
La ragazza non aveva ancora rimesso il cappuccio, quindi il suo volto armonioso e sporco di sangue era in bella vista, così come le orecchie a punta tipiche degli elfi e i capelli inusuali.
Thorin rimase semplicemente in silenzio a fissarla, senza sapere cosa pensare. Ammise con se stesso di aver pensato più volte alla possibilità che fosse un’elfa da quando l’aveva vista interagire con Elrond, ma non aveva detto nulla agli altri perché era solo un’ipotesi. Inoltre qualcosa, dentro di lui, gli sussurrava che non era importante, che lei era diversa da tutti gli elfi che conosceva.
«Non tentare la sorte.» bisbigliò nuovamente lei con un sorrisetto.
«No, invece.» sentirono provenire dalle loro spalle i nani e lo stregone.
Si voltarono in quella direzione e poterono vedere lo hobbit davanti a loro.
Gandalf sospirò, visibilmente sollevato.
«Bilbo Baggins, non sono mai stato così felice di vedere qualcuno in vita mia!» disse avvicinandosi al mezzuomo.
«Bilbo! Ti davamo per scomparso!» dichiarò Kili.
«Ma come hai fatto a superare i goblin?» chiese Fili.
«Già… come?» ribadì Dwalin.
Lumbar perse il sorriso sentendo l’oscurità attorno al piccolo hobbit. La stessa oscurità che aveva avvertito nella città dei goblin e l’aveva fatta stare male. La stessa oscurità che aveva affrontato diversi anni prima. Capì in quel momento cosa fosse successo al piccolo hobbit. Anche Gandalf dovette intuire qualcosa perchè si intromise.
«Beh, ma che importanza ha? È tornato.» cercò di sviare.
«Ha importanza.» disse Thorin. «Voglio saperlo. Come mai sei tornato?» chiese allo hobbit. Davvero non riusciva a capire.
Dopo qualche secondo di silenzio il mezzuomo spiegò. «So che dubiti di me. Lo so, lo so, l’hai sempre fatto.» gli disse. «E hai ragione, penso spesso a casa Baggins.» ammise tranquillo. «Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona, il mio giardino. Vedi quello è il mio posto, è casa mia.» sospirò. «Perciò sono tornato, perchè… voi non ce l’avete, una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela, se posso.» concluse stupendo Scudodiquercia, che lo ringraziò con lo sguardo. Aveva commosso i nani, un’impresa davvero difficile, che lo ringraziarono in silenzio.
Lumbar aprì gli occhi di scatto fissando il vuoto. «Abbiamo un problema.»
Tutti si voltarono verso di lei. Doveva aver sentito qualcosa, ma prima che potessero chiedere delucidazioni un ululato li raggiunse, mentre la ragazza si rialzava.
«Siamo finiti dalla padella…» cominciò Thorin.
«Nella brace.» concluse lei.
«Scappate!» ordinò Gandalf lanciandole un’occhiata preoccupata. Doveva aver notato le sue condizioni. «Scappate!»
Si precipitarono a valle senza guardarsi indietro, consapevoli della presenza degli orchi che si stavano avvicinando, preceduti dai mannari. Nel frattempo il sole calava all’orizzonte. I mannari cominciarono ad attaccarli, ma fortunatamente riuscirono a tenerli a bada senza troppe difficoltà; almeno fino a quando non si ritrovarono nuovamente sul ciglio di un burrone. Era un vero e proprio strapiombo, troppo alto per pensare di buttarsi e sopravvivere.
«Salite sugli alberi!» disse Lumbar dopo aver rallentato i mannari.
«Tutti.» le diede man forte Gandalf. «Forza!»
«Svelti!» li incitò Thorin.
Altri ululati li raggiunsero, facendo loro capire quanto fossero vicini.
«Arrivano!» gridò, infatti, Thorin aiutando i suoi compagni a salire.
Lumbar aveva cominciato a scagliare le sue frecce per uccidere i mannari, in modo da guadagnare più tempo per gli altri. Erano quasi tutti saliti, mancava solo lo hobbit a parte lei, ma i mannari che si stavano avvicinando erano troppi. Così si rimise l’arco sulla schiena e corse verso gli alberi su cui si era rifugiata la compagnia, prese Bilbo e lo sollevò in modo che potesse arrampicarsi sul ramo più vicino, poi lei saltò direttamente su uno dei rami dell’albero accanto e cominciò a salire per raggiungere i compagni.
Nell’esatto momento in cui atterrò sul primo ramo i mannari arrivarono. Gandalf era già in cima a un albero che guardava giù, ma lei continuò a salire finchè non fu soddisfatta dell’altezza a cui si trovava. Solo in quel momento si accorse di essere accanto a Thorin, ma nessuno dei due disse niente limitandosi a riportare l’attenzione su ciò che accadeva sotto di loro. La ragazza percepì qualcosa di strano nell’aria, ma si rilassò leggermente quando vide una farfalla arancione svolazzare davanti a lei; le fece un cenno e quella volò via dando a Lumbar la conferma di ciò che sospettava.
I mannari cercavano di arrivare ai rami più bassi degli su cui si erano messi in salvo, saltando, ma non era un buon metodo. A un certo punto smisero e si voltarono verso un masso sui cui si era fermato un bianco mannaro cavalcato da un orco pallido senza un braccio e ricoperto di cicatrici. Sia Thorin che Lumbar si irrigidirono.
«Azog!» disse il nano, incredulo.
L’orco annusò l’aria. «Nuzdigid? Nuzdi gast: ganzilig-i unarug obod nauzdanish, Torin undag Train-ob. (Lo senti? L’odore del terrore: ricordo come tuo padre ne era impregnato, Thorin figlio di Thrain.)»
«No, non può essere.» sibilò il nano.
La ragazza riusciva a sentire l’odio e la rabbia crescere dentro di lui.
«Kod! Toragid biriz. Worori-da. (Lui! Portatelo a me. Uccidete gli altri.)» disse alzando la sua mazza e facendo partire all’attacco i mannari, che corsero verso gli alberi e cominciarono a saltare verso di loro nel tentativo di azzannarli.
«Accidenti, gli sei mancato, eh?» tentò di sdrammatizzare Lumbar.
Il nano le lanciò un’occhiata penetrante. «Hai capito cos’ha detto?»
Lei annuì mentre entrambi si tenevano al tronco per evitare di cadere. «Niente di piacevole. E siamo fortunati che non mi ha ancora notata.»
«Perchè?» chiese lui.
«Sho gad adol! (Abbeveratevi del loro sangue!)» disse Azog facendola rabbrividire.
«Sempre più carino, sì.» continuò a sdrammatizzare lei ignorando la domanda del nano, mentre i mannari si agganciavano con le fauci ai rami e tentavano di arrampicarsi con tutti i loro mezzi.
A un certo punto uno degli alberi cominciò a sbilanciarsi sempre di più verso quello vicino e i nani furono costretti a saltare sull’altro per non cadere in mezzo ai mannari. Questo scatenò una reazione a catena che costrinse tutti su un solo albero, quello ancorato con le radici sul bordo del precipizio. Azog doveva essere fiero dei suoi cagnolini, pensò la ragazza tossendo. Quando allontanò la mano la ritrovò coperta di sangue e si affrettò a pulirla sulla corteccia.
«Stai bene?» le chiese Thorin, di nuovo accanto a lei.
Lumbar annuì; non aveva le forze per parlare, era rimasta senza respiro, e doveva concentrare le energie che le restavano per evocare un semplice incantesimo. Prese una pigna dal ramo e la incendiò, poi la tirò in testa a un mannaro dando completamente fuoco alla sua pelliccia. Quello cominciò a correre a caso in preda al dolore e bruciò fino alla morte sotto lo sguardo sconcertato di tutti.
Gandalf, capendo al volo il piano della ragazza, fece lo stesso ed entrambi cominciarono a passare pigne infuocate agli altri. Loro le lanciarono tra i mannari, facendoli fuggire spaventati e aumentando il fastidio di Azog. Gli alberi più vicini avevano preso fuoco, alimentando le fiamme e tenendo lontani i mannari. Azog ruggì furioso e i nani gioirono fino a quando il loro albero cominciò a tremare e a inclinarsi sempre di più verso il burrone, finendo per ritrovarsi parallelo al terreno e sospeso nel vuoto tramite le radici, che non avrebbero retto ancora per molto.
Lumbar si ritrovò appesa per le gambe e riuscì in fretta a rimettersi dritta, rimanendo in equilibrio sui rami. Tentò poi di aiutare i nani a fare lo stesso. Gandalf pensò a Dori, che si aggrappò al suo bastone con Ori appeso a un suo piede. La ragazza era passata su altri rami per raggiungere Fili e cercare di riportarlo più o meno al sicuro e non riuscì a impedire a Thorin di affrontare Azog. Si scambiò uno sguardo preoccupato con Gandalf: pensavano entrambi che non ce l’avrebbe fatta, era troppo provato.
Thorin corse incontro all’orco pallido, pronto a colpirlo con la spada. Il bianco mannaro saltò all’ultimo secondo e lo colpì al volto. Thorin cadde di schiena. A Lumbar venne un conato, ma lo trattenne. Distolse lo sguardo da quella scena, si voltò e tentò di afferrare Fili per un braccio, in modo da metterlo in salvo e aiutare Thorin, ma non riusciva ad arrivare al ragazzo. Thorin si rialzò e l’orco lo colpì al volto con la mazza con una violenza inaudita. Thorin cadde di nuovo. Il mannaro prese il corpo di Thorin tra le fauci e lo stritolò, distruggendo il suo famoso scudo di quercia.
Bilbo si alzò in piedi sul tronco e Dwalin tentò di fare lo stesso per raggiungere il suo re, ma il ramo cedette. Se Lumbar non fosse scattata in suo aiuto non sarebbe riuscito a salvarsi. La ragazza, infatti, era riuscita a issare Fili e si era precipitata da Dwalin con velocità elfica, prendendolo per una mano e tirandolo quel tanto che bastava perchè riuscisse ad aggrapparsi. Lui la guardò con le lacrime agli occhi.
«Aiutalo.» la pregò.
Lei annuì.
Aveva messo in salvo i suoi compagni e qualcuno stava arrivando in loro soccorso. Era il momento di occuparsi di Thorin.
In quel momento Thorin colpì il muso del mannaro con la spada e l’animale lo scaraventò sulla roccia, dove lui rimase immobile.
«Biriz torag khobdudol! (Portami la sua testa!)» disse Azog a un orco.
Quello scese dal suo mannaro e si avvicinò con passo lento al nano semicosciente. Thorin non riusciva a rialzarsi.
Bilbo estrasse la sua spada, rilucente di azzurro, dal fodero e Lumbar lo affiancò con l’arco in mano. Erano entrambi determinati a salvarlo. L’orco arrivò fino a Thorin e gli appoggiò la sua lama sulla gola, pronto a infliggergli il colpo di grazia. Il nano cercò di prendere la spada alla cieca. Fu mentre l’orco alzava la spada per menare il fendente decisivo che una freccia lo colpì alla spalla sinistra e lo hobbit lo investì con tutto il suo peso, allontanandolo da Thorin e cominciando a infilzarlo. Lumbar si avvicinò di corsa al nano e si inginocchiò accanto a lui, osservando le sue condizioni disastrose.
«Riposati.» gli disse, accarezzandogli delicatamente la testa. «Nessuno ti toccherà più.» non fu nemmeno sicura che l’avesse sentita, aveva perso i sensi troppo in fretta.
La ragazza si rialzò, pronta a fronteggiare i nemici, e si voltò verso Azog.
«Avrei preferito non rivederti mai più.» gli disse seria mentre lo hobbit la affiancava dopo aver ucciso l’orco.
«Tu…» ringhiò l’orco pallido indicandola con la mazza, gli occhi maligni che sprizzavano scintille di puro odio. «Io ti ho uccisa.»
Lei alzò le spalle indifferente. «Che vuoi farci. Anche tu sei duro a morire.»
Lui ringhiò di nuovo. «Uccideteli.»
Gli orchi cominciarono ad avanzare verso di loro e Lumbar incoccò una freccia, pronta a scagliarla al momento giusto. Nell’esatto istante in cui un grido si levò alle sue spalle lei scoccò la freccia e infilzò un mannaro dritto in un occhio, uccidendolo all’istante.
I nani sopraggiunsero dalla sua destra e attaccarono, rinnovati di spirito dal gesto dei loro due compagni. Bilbo li imitò. Lumbar rimase vicina a Thorin, decisa a proteggerlo a qualunque costo. Scagliò frecce su ogni nemico e aiutò i nani in difficoltà.
Un improvviso dolore la trapassò al fianco, seguito da un altro alla coscia. Le fu sufficiente abbassare lo sguardo un secondo per capire: due frecce nere degli orchi l’avevano colpita, ma non se ne curò; aveva altro a cui pensare. Bilbo era alla mercè di Azog e non poteva permettere che lo uccidesse, così scagliò una freccia nel fianco del suo mannaro. Riuscì a distrarlo dal suo piccolo amico.
In quel momento arrivarono le aquile, gli aiuti che lei e Gandalf stavano aspettando. Quei maestosi uccelli si scagliarono contro gli orchi e i mannari, li sollevarono coi loro artigli e li fecero cadere da svariate altezze. Poi una di loro si abbassò fino a prendere Thorin e Lumbar la ringraziò con un cenno. Le altre aquile fecero lo stesso con i suoi compagni, e li fecero cadere sulle loro schiene.
Azog urlò di rabbia e frustrazione tenendo gli occhi fissi su Lumbar, ma la ragazza era troppo impegnata a osservarsi intorno per assicurarsi che nessuno rimanesse indietro per accorgersene. Quando anche Gandalf fu al sicuro su un’aquila, Lumbar si mise l’arco sulla schiena, corse verso il precipizio e si buttò. Atterrò sulla schiena dell’aquila di Thorin come da programma e, insieme, si allontanarono dagli orchi, diretti verso est.
Lumbar fece una carezza al manto dell’aquila, si tolse distrattamente le due frecce dal corpo e le lasciò cadere nel vuoto. Si sporse di lato per vedere in che condizioni versasse Thorin e si rese conto che erano più gravi di quanto si aspettasse: non aveva ancora ripreso conoscenza. Non poteva aiutarlo finchè non fossero atterrati, così si mise comoda e attese, tentando di rassicurare con lo sguardo gli altri suoi compagni e pregando i Valar di fare in tempo.
Volarono per ore, in silenzio; era mattino inoltrato quando le aquile cominciarono a scendere di quota e atterrarono su un picco. La sua aquila fu la prima e depositò delicatamente Thorin a terra; lei scese con un salto e si inginocchiò accanto a lui per guarirlo. Sperava solo di avere abbastanza energie per fare quell’incantesimo. Mentre gli altri la raggiungevano, appoggiò le mani sul petto del nano, chiuse gli occhi e si concentrò. Poi inspirò profondamente l’aria, trattenne il respiro per qualche secondo prima di lasciarla uscire, e fece fluire energia e potere nel corpo di Thorin. Quando riaprì gli occhi Gandalf era accanto a lei che controllava le condizioni del nano.
«Hai usato quell’incantesimo.» disse leggermente contrariato alla ragazza. «Avrei potuto guarirlo io, lo sai.»
«E tu sai che era troppo grave. Questo era il metodo più sicuro per riuscirci.» rispose pacatamente lei.
«Ma non sei abbastanza in forze.» ribattè lui.
«Ha funzionato. Il resto non conta.» chiuse il discorso la ragazza mentre il nano apriva gli occhi e li puntava in quelli di lei.
Lumbar gli sorrise, poi si spostò lasciando il posto agli altri. Si mise in piedi a fatica e si avvicinò al ciglio del picco, punto in cui la aspettava l’aquila. Le fece un lieve inchino, poi appoggiò la fronte alla sua chiudendo gli occhi. Era un modo per ringraziarle. Le avevano dato il nome Thoronil nella Seconda Era, e significava Stella delle Aquile. Era una specie di punto di riferimento per loro, come loro lo erano per lei: significava che ci sarebbero sempre state l’una per le altre e viceversa, ma lei non mancava mai di ringraziarle per il loro aiuto.
Si concentrò nuovamente sui suoi compagni, rimanendo vicina all’aquila. Era passata solo una manciata di secondi, quindi non si era persa gran che.
«Ti sei quasi fatto uccidere.» stava dicendo Thorin con tono arrabbiato allo hobbit, sotto gli sguardi sorpresi degli altri. «Non ti avevo detto che saresti stato un peso?» continuò avvicinandosi a lui. «Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c’è posto per te tra noi?» Lumbar aveva un sorrisetto divertito sulle labbra, ma non disse niente godendosi le espressioni scioccate dei nani e quella triste di Bilbo. «Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.» concluse abbracciandolo. Quando si staccò riprese. »Scusa se ho dubitato di te.»
«No.» lo fermò lo hobbit. «Anch’io avrei dubitato di me. Non sono un eroe, nè un guerriero. Neanche uno scassinatore.» aggiunse guardando Gandalf e facendolo ridere.
«Io non ho mai dubitato di te.» disse Lumbar facendoli voltare.
«È vero.» confermò Thorin. «Mi ha sempre detto che ti saresti rivelato migliore di ciò che pensavamo.»
«Ah, la nostra amica ha sempre avuto un’ottima percezione della vera essenza delle persone.» disse Gandalf.
«Nemmeno tu hai mai dubitato di lui.» gli fece notare la ragazza.
Gandalf si toccò la barba, pensieroso.
«Anche questo è vero.» ammise con un sorriso.
L’aquila diede a Lumbar un buffetto sulla testa con il becco facendola sorridere, poi volò via insieme alle sue compagne.
«Solo con te sono così amichevoli.» osservò Gandalf mentre la ragazza le guardava svanire all’orizzonte. «Tra me e loro c’è rispetto reciproco e collaborazione, ma niente di più.»
«Davvero?» chiese lo hobbit.
«Oh sì, mio caro Bilbo. Le hanno dato un nome tanto tempo fa. Un nome che significa Stella delle Aquile.»
«È un grande onore.» commentò Thorin, che ne aveva sentito parlare.
«Ed è uno dei pochi titoli con un onere abbastanza leggero.» si inserì la ragazza. «Mi basta essere loro amica per rispettarlo, e non devo nemmeno sforzarmi.» concluse guardando il nano.
Poi si voltò e ammirò il panorama davanti a lei. Thorin lo notò solo in quel momento, prima era nascosto dall’aquila. Affiancò con calma la ragazza, quasi non credendo ai suoi occhi.
«È quello che penso che sia?» chiese lo hobbit quasi balbettando e facendo voltare anche gli altri.
In lontananza, al di là della foresta, si stagliava un picco solitario.
«Erebor…» confermò Gandalf. «La Montagna Solitaria. L’ultimo dei Grandi Regni dei nani della Terra di Mezzo.»
«Casa nostra.» disse Thorin nell’esatto momento in cui Lumbar mormorava “casa”. Finalmente, pensarono entrambi.
Un leggero fischiettare attirò la loro attenzione, facendogli spostare lo sguardo sopra le loro teste, dove notarono un uccellino volare verso la Montagna.
«Un corvo.» disse Oin, indicandolo. »Gli uccelli stanno tornando alla Montagna.»
«Quello, mio caro Oin, è un tordo.» lo corresse Gandalf sorridendo.
«Lo prenderemo come un segno.» disse Thorin. «Un buon auspicio.» finì voltandosi verso Lumbar che in quel momento fece lo stesso.
Sorrisero.
«Hai ragione.» affermò Bilbo accanto a loro. «Credo proprio che il peggio sia passato.»
In quel momento le forze abbandonarono definitivamente il corpo di Lumbar, facendola entrare in uno stato semi cosciente. Sarebbe caduta a terra se non fosse stato per Thorin che la prese al volo.
«Lumbar!»
I suoi occhi preoccupati furono l’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi e perdere definitivamente conoscenza.
Alla faccia del buon auspicio, pensò mentre le tenebre calavano sulla sua mente.
   
 
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