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Autore: PiscesNoAphrodite    04/06/2021    0 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I prati di asfodelo, capitolo XI

 

 

XXIII

 

Rimasto solo, sedetti a letto allungando il braccio per afferrare con la punta delle dita l'impugnatura dello specchio rotondo abbandonato al mio fianco; ero curioso di guardarci dentro al fine di constatare di persona i prodigi di cui parlava Cancer ma, fissandolo a lungo, non riuscii a vedere nient'altro che me stesso.

Ero pallido da far spavento. Lo scostai dal volto imperlato di sudore, per poi riavvicinarlo e indugiare nell'azzurro dei miei occhi come se non avessi nulla di meglio da fare. Un battito di ciglia, e fui indotto a soffermarmi ancora per qualche istante. Uno schizzo, una chiazza vermiglia, comparve sulla superficie dello specchio sovrapponendosi all'immagine riflessa: mi sovvenne l'illusione della pelle strappata dal volto o l'impatto del volto stesso contro l'asperità di una roccia. Vedevo solo del sangue. Battei più volte le palpebre per dissipare ciò che, senz'altro, doveva essere una macabra fantasia, un sogno a occhi aperti, o uno scherzo di pessimo gusto.

Presi un respiro, mi riebbi destato da un olezzo acre realizzando fosse l'odore del sudore, e rilasciai l'impugnatura del manufatto che sgusciò dalle dita tremanti.

Mi riscossi dallo sconvolgimento solo dopo aver fatto appello alla ragione: niente era dovuto al caso, sciocco è colui che si affida al caso o crede alle coincidenze fortuite, e di peggio non poteva accadere, oppure sì? L'allegoria del sangue – dei fatti di sangue, o della morte (?) - evocata dallo specchio, poteva essere un avvertimento oppure un presagio.

Il filo della vita, il sentiero, è già tracciato e non mi resta che percorrerlo.

Sospirai lasciandomi ricadere sul fianco, mi avvolsi nella coperta e abbracciai il cuscino.

Ero sprofondato in un sonno privo di sogni dal quale mi destai dopo alcune ore, quasi a notte fonda; e il primo pensiero, al risveglio, fu quello di impossessarmi di nuovo dell'oggetto per farlo scomparire all'interno della borsa di cuoio che avevo sfilato insieme alla cintura. Con l'ausilio della lucerna mi avviai all'esterno della stanza. Necessitavo di un bagno o, meglio, di una doccia fredda.

 

Barcollai, dopo aver incespicato su qualcosa che intralciava il cammino, rischiando di rovinare faccia a terra. Ogni cosa sembrava mutare nottetempo: le forme così come i pensieri. Le insidie celate nella boscaglia non mi atterrivano quanto l'idea di affrontare i Santi d'Oro nei rispettivi Templi, da qui la scelta di ripiegare su un percorso alternativo per giungere alla valle sacra. In realtà ero confuso e scrutai verso l'alto cercando conforto nel luccichio degli astri, nei meandri delle costellazioni delineate nel cielo. Era tenue la luce di quelle stelle che campeggiavano, isolate, nello spazio siderale e remoto.

Avevo indossato un'uniforme pulita assicurando ai fianchi la cintura dalla quale pendeva la scarsella in cui avevo nascosto l'oggetto. La tastai per accertarmi che lo specchio fosse ancora al suo posto ma il solo pensiero di dargli un'occhiata mi terrorizzava. Non avevo le idee chiare e brancolavo nel buio in tutti i sensi. Sbucai a ridosso del villaggio, riconobbi l'odore caratteristico delle piante aromatiche e scorsi, tra le fronde dei pini marittimi, il viottolo che conduceva alla casa sita in prossimità del mare: era la dimora riservata alla persona che i Santi d'Argento eleggevano come guida; avevo passato il testimone a Shaina, dopo l'investitura, e adesso era lei a occuparla. Deviai con sollecitudine dal percorso.

 

L'odore di salsedine mi invadeva le narici, mi strinsi nelle braccia concentrato sul movimento altalenante delle onde, ignorando la brezza umida che mi faceva drizzare i capelli sul collo. Le tavole della banchina scricchiolavano in modo assai poco rassicurante sotto i piedi, sedetti con le gambe penzoloni, dondolando un piede su e giù, smarrendo lo sguardo all'orizzonte per guardare i frammenti di luna che si ricomponevano sulla superficie increspata dell'acqua come le tessere di un mosaico.

Non mi scomposi, udendo alle mie spalle lo scricchiolio delle assi e uno sferragliare metallico, ma continuai imperterrito a contemplare l'Egeo senza voltarmi. Di solito era Asterion a sorprendermi durante le mie sortite sul lungomare. Conosceva le mie abitudini. Sei prevedibile, diceva...

“Hanno aperto il serraglio?”

Infine fui indotto a destarmi riconoscendo il tono autoritario di Algol, e scossi il capo. “Cosa fai da queste parti, Perseus?”

“Ho percepito il tuo cosmo, e questo è il territorio che mi compete di notte.”

“E tu devi aver occultato il tuo...” dedussi risolvendo di alzarmi in piedi per girarmi verso di lui. “Dohko si è arreso” replicai in risposta alla sua domanda idiota e provocatoria.

“A cosa? Alle tue abilità oratorie? Non essere ridicolo.”

“Gli ho detto quello che penso.”

“Sei un incosciente” sbottò.

Trovavo abbastanza patetico quel suo atteggiamento paternalistico ma non gli diedi peso. “Non ha battuto ciglio è probabile che, nonostante tutto, si fidi” sospirai.

“Dicono tu sia recidivo, avendo rinnegato di nuovo Athena; e che Pisces sia in catalessi a causa del tuo ego e della tua ambizione. Ti trovi in una posizione ambigua al Santuario” asserì parandosi davanti.

“Parole grosse, gonfiate. Accuse infondate. Illazioni. Come, del resto, è esagerato tutto ciò che blaterano sul mio conto. Anche tu e Cancer avete fama di essere due individui perversi e malvagi, appena un po' meno sadici a redenzione avvenuta. Invece siete solo degli sbruffoni patentati. Questa è la verità.” Gli dissi, spingendolo con malagrazia per farmi largo.

“Cos'hai intenzione di fare?”

“Un'idea l'avrei, ma non ho ancora pianificato nulla” ripercorsi con lentezza la banchina fino a raggiungere la spiaggia. “L'unica cosa che mi resta da fare è intraprendere il viaggio nell'Ade per recuperare Søren.”

Algol mi incalzò con rapidità fulminea, tanto da farmi percepire il fiato sul collo, agguantandomi per la casacca dell'uniforme.

“Nessuno spiegamento di forze è dovuto per salvarlo! Ti ha disconosciuto come fratello fino a quando gli è convenuto, usandoti per mettersi in mostra. Si è giustificato dicendo di avere buone intenzioni, infarcendo menzogne con belle parole. Ha creduto di abbindolarmi e per poco non ci stava riuscendo.”

“Non toccarmi” ammonii, ma lui non demorse, sembrava infuriato. Un raggio di luna palesò i suoi occhi ardenti di gelosia, o dispotismo? “Hai frainteso le sue intenzioni e, fosse anche vero quello che dici, non mi dissuaderai dall'intraprendere una missione volontaria” soggiunsi.

“Sei affetto da sindrome di Stoccolma...” affermò grattandosi il mento. “E per cosa saresti disposto a varcare l'ingresso dell'oltretomba – sempre tu sappia come farlo. Per la gloria? Per sentirti dire quanto sei stato bravo?”

Questa volta Algol era davvero fuori strada se credeva di aver intuito le mie ragioni...

Soffocai un gemito di dolore, realizzando che il Santo d'Argento mi aveva atterrato con un calcio nello stomaco. Allungai una mano alla scarsella, infilandovi le dita, per appurare se lo specchio fosse ancora intatto. “Non riuscirai a impedirmelo” comunicai attraverso il cosmo.

Avrei potuto scaraventarlo in mare con un semplice gesto, ma ingaggiare un duello avrebbe destato mezzo Santuario e attirare l'attenzione non era quello di cui avevo bisogno in quel momento. Dovevo mantenere un profilo basso ed ebbi compassione di lui; preferii soggiacere al suo delirio di onnipotenza e, magari, dandogli il contentino, si sarebbe rassegnato all'idea di non riuscire a persuadermi. Sapeva benissimo che tutto era permesso finché acconsentivo, sebbene la sua reazione fosse sproporzionata.

“Dici? Difficile muoversi con le ossa rotte.”

“Sei pazzo” risi.

“Non osare schernirmi. Non sono un'ameba come Dohko.”

“Farò rapporto. Dalle segrete del Santuario non si esce. E, se mi uccidi, sarai messo a morte” risi ancora, ma all'improvviso una tosse convulsa mi spezzò il fiato. Un singulto, e inalai il sapore salato delle lacrime misto a granelli di sabbia. Un altro calcio in pancia mi aveva fatto piegare con la fronte china sulle ginocchia. Rimasi in quella posizione con la testa serrata tra le mani.

Algol, nel suo sproloquio delirante, aveva insinuato altri dubbi a rafforzare alcuni sospetti; i quali, comunque, rimanevano tali perché il mio rapporto con Søren non era mai stato idilliaco, anzi, per certi versi, era piuttosto freddo. Era evidente: un simile distacco era percepito anche da osservatori esterni... ma non riuscivo a comprendere se la reazione spropositata del Santo d'Argento fosse motivata dalla relazione tormentata che avevo col mio fratellastro – dalla scarsa considerazione, reale o presumibile, che Aphrodite dimostrava nei miei confronti a dispetto della mia ammirazione repressa – o dal ruolo che Algol stesso ricopriva al servizio di Athena.

“A dire il vero dovrei essere io a denunciarti per diserzione, essendo al corrente delle tue intenzioni folli. Da quanto ho capito il piano è frutto di una tua iniziativa, come al solito” esordì.

“Ti credevo un amico.”

“Non illuderti di sedurmi con le lusinghe.” Algol desistette dall'accanirsi, si era calmato, arguii dall'inflessione di voce.

Era palese: difficilmente lo avrei convinto a votarsi alla mia causa e poi lui, sì, avrebbe avuto molto da perdere, in quanto stava percorrendo la strada della redenzione dalla quale mi ero allontanato. Il Santo di Perseus si atteneva ancora alle regole, malgrado tutto.

“E vorresti inoltrarti nel regno delle ombre così, come sei, privo dell'armatura? Rare volte ti ho visto indossarla, eccetto nei turni di guardia. Sei ridicolo, Misty.” Fu lui a ridere, stavolta, distraendomi dalla babele di pensieri che si avvicendavano nella mente, senza posa.

Doveva aver intuito che, sotto sotto, non mi sentivo un degno portatore delle Sacre Vestigia di Libra, o doveva essere stato Asterion a confidargli le mie insicurezze dopo avermi letto nel pensiero.

No! Non può essere, Asterion non è il tipo da prestarsi a un simile gioco, nemmeno per sbaglio.

Algol era troppo astuto e doveva averlo capito da sé. Sputai a terra e alzai il capo, asciugando la bocca col rovescio della manica: non vedevo il suo viso ma soltanto una sagoma nera e incombente, corazzata d'argento, che si stagliava sovrapponendosi alla luna.

“L'uso dell'armatura non è contemplato quando ci sono di mezzo questioni personali” chiarii.

“Vorresti farmi credere che quel damerino ti sta a cuore?”

“Perché non dovrebbe? Dopotutto siamo figli dello stesso padre.”

“Perché chi ha l'abitudine di mentire non viene creduto nemmeno quando asserisce il vero.” Si inginocchiò ponendosi al mio livello, in modo che la luce dell'astro gli illuminasse il volto.

“Io non mento quasi mai” replicai cercando di sondare nei suoi occhi grigi.

“Uhm... questo è da vedere. Comunque, suppongo che non riuscirò a dissuaderti perché sei un bastardo, ostinato e arrogante” sfilò la tiara e la gettò sulla sabbia, mi afferrò per le spalle ponendo la fronte sulla mia. “Pertanto – così sia – affronteremo le insidie dell'oltretomba armati soltanto del mio scudo e del tuo cosmo.”

Trasecolai udendo la sua affermazione, eppure... non si evinceva ironia dal timbro della voce.

“Sembri sorpreso. Mi avevi sottovalutato...”

Sottovalutato? Probabile... ma, in verità, ormai disilluso, non credevo che qualcuno nella cerchia del Grande Tempio mi sarebbe stato solidale rischiando di compromettersi – tanto meno uno come Algol di Perseus.

Non mi dette tempo di replicare, prendendomi il volto nelle mani guantate per poi lambire il labbro inferiore con un dito. Avvertii il contatto, il suo calore, in quel mentre mi irrigidii, inerte, insensibile alle emozioni che in altre circostanze mi avrebbero sopraffatto. Un dolore acuto mi trafisse il petto come uno stiletto piantato nel cuore. Lo sapevo, presto o tardi, la barricata dietro la quale mi asserragliavo sarebbe crollata e mi adoperai con un impegno sovrumano allo scopo di tenerla in piedi.

Da tempo non saggiavo il sapore del suo sangue.

Devi stare al tuo posto, Perseus.

Si ritrasse di scatto, passando il dorso della mano sul labbro spaccato.

“Contravverresti alla volontà della dèa disertando il Santuario senza il suo consenso, e poi non mi serve una guardia del corpo” assursi, scrollando la sabbia dagli indumenti. “Ciononostante, se decidessi di accettare la tua proposta mi scorterai al cospetto del Signore degli Inferi, ma sappi: sarebbe una scelta irrevocabile.”

“Ade è stato destituito, sconfitto, l'Inferno è piombato nel caos” rettificò Perseus ricollocando la tiara sul capo, come se la mia determinazione non l'avesse scalfito.

“Così si dice, ma una disfatta di tale portata comporterebbe il sovvertimento dell'ordine costituito...”

“Cosa stai insinuando?”

“Che non è credibile...” distolsi l'attenzione dalla figura imponente del Santo, il quale aveva guadagnato la stazione eretta, e smarrii lo sguardo nell'immensità del mare.

“Mettere in discussione il successo dei campioni di Athena, così com'è stato tramandato nei racconti, suona come una bestemmia. Dovresti fare attenzione a come parli perché qualcuno potrebbe essersi appostato ad ascoltare a nostra insaputa” osservò. “In tal caso, se fosse vero, non saremo accolti a braccia aperte.”

Scrollai le spalle in merito alla prima osservazione, e sulla seconda mi soffermai un istante: il rischio di non essere i benvenuti nel regno dei morti era una possibilità sulla quale non avevo ponderato.

 

...

 

 

Inghiottii il boccone a fatica restando con la forchetta sospesa a mezz'aria.

“Ti ci vorrebbe qualcosa da bere” insinuò il Santo d'Argento – che mi aveva trascinato a forza alla solita bettola di Rodorio, dopo aver dismesso l'armatura – e poi mi versò del vino nel bicchiere. “Sei bianco come un lenzuolo.”

Lo assecondai per non contrariarlo, sebbene non avessi alcuna voglia di bere né di mangiare, e nel frattempo prestai attenzione al locale, sempre troppo affollato per i miei gusti.

Immerso nei pensieri, continuavo a domandarmi perché le condizioni della Casta dei Santi d'Argento non fossero migliorate nonostante la riabilitazione dei componenti; Algol mi aveva ceduto la sua branda affinché riposassi, ma ero riuscito a prendere sonno solo in tarda mattinata, dopo aver pensato e ripensato allo squallore di quelle baracche fatiscenti infestate da centopiedi. Sì, tutto sommato, si trattava di alloggi singoli e non dormitori di quelli riservati alle reclute eppure, sebbene il Santuario fosse un'organizzazione strettamente gerarchica, trovavo iniquo un divario così marcato tra le Caste. Se fossi rimasto al Grande Tempio avrei di sicuro perorato la loro causa al tavolo dei superiori, ma...

Esitai col bicchiere stretto tra le dita facendo vorticare il contenuto, ne gustai un sorso trattenendolo in bocca: puro aveva un sapore aspro e pungente, di solito lo diluivo con acqua. Alzai gli occhi incontrando lo sguardo del mio commensale, anch'egli sovrappensiero.

No!

Quella parvenza di tranquillità non era destinata a durare. Mi alzai senza preavviso e, rovistando nella scarsella, afferrai alcune monete lasciandole cadere sul tavolo.

“Che succede?” Algol corrugò le sopracciglia. Girato di spalle, non poteva aver visto i due avventori che stavano entrando nell'osteria.

“Andiamo via” dissi puntando verso l'uscita.

Algol si voltò per guardare cosa avesse attirato la mia attenzione. “Ma sono solo Aiolia di Leo e suo fratello Aiolos” assottigliò lo sguardo.

“Appunto” annuii senza dargli alcuna spiegazione. Pur essendo nascosti nel folto della folla non eravamo passati inosservati, – come uno stupido – avevo creduto di riuscire a defilarmi in sordina. “Avanti, sbrigati!” sollecitai.

“Cos'hai combinato con quei due?”

“Ho visto il viso di Marin, ma ti assicuro che è successo per puro caso.”

“Per caso? Non è una spiegazione convincente, sapendo del tuo disprezzo nei suoi confronti.”

“Anche tu, come quell'imbecille di Aiolia, credi l'abbia fatto di proposito?”

“Vedo che nutriamo la medesima stima del soggetto...” L'accenno di un sorriso si dipinse sul suo volto ambrato. “Se ti ritieni innocente non dovresti temere di confrontarti.”

L'osservazione del Santo di Perseus mi indusse a ragionare e, per quanto rapida fosse stata la riflessione, raggiunta l'uscita – e dopo aver percorso un pezzo di strada – risolsi di fermarmi per consentire ai due di raggiungerci. Avevano un'aria tronfia da regolamento di conti, impettiti come galli da combattimento...

“Athena avrebbe dovuto evitare di riabilitare gente inutile, e la feccia con cui ti accompagni ne è la prova.” Aiolia mi ghermì per il bavero dell'uniforme, scoccando ad Algol un'occhiata di traverso, e mi ritrovai scaraventato a ridosso di un albero. “Sei una nullità, capace solo di prendertela con una donna. Ti eri illuso di sfuggirmi, ma ho aspettato di incontrarti al momento opportuno al di fuori dall'Acropoli.”

Lo fissai, sistemando alla meglio l'indumento, e rilasciai un silenzioso sospiro per poi rivolgere l'attenzione ad Algol, il quale smaniava con i pugni chiusi – costretto all'impotenza pur di rispettare la promessa fattami di farsi gli affari propri. Aiolos mi esaminava a sua volta con un cipiglio interrogativo congiunto a rimprovero. Non avevo avuto l'opportunità di relazionarmi da vicino col Santo del Sagittario, e Aphrodite, forse, era ancora un apprendista quando lui e Saga di Gemini gestivano le reclute al Santuario sotto la supervisione di Shion.

“Sei davvero insicuro al punto di temere che Marin possa invaghirsi di me? Ma forse hai ragione... io sono infinitamente migliore e più bello.” La provocazione mi sfuggì repentina come il pugno sferrato da Aiolia che schivai con prontezza.

Aiolos si precipitò a contenere l'irruenza del fratello, sul punto di replicare l'affondo, e gli bloccò il braccio. Quel ragazzo palesava un'ingenuità e un'innocenza inusuali, quanto rare, al Santuario nel quale avevo appurato celarsi un covo di vipere. Doveva essere tra i pochi in grado di capirmi, mi rammaricai di non aver avuto altre occasioni per conoscerlo a fondo.

“Nessuno potrebbe infatuarsi di un essere tra i più inutili su questa Terra. So che hai paura di misurarti in un combattimento corpo a corpo. Non sei rinomato per il coraggio.”

Il Santo di Leo era furente, ma le sue invettive dovettero strapparmi un sorriso blando, in realtà non tolleravo quegli insulti gratuiti.

Infine vacillò portandosi una mano al torace, un rivolo di sangue sgorgò dal naso e dalla bocca: “Credi di impressionarmi con una padronanza da dilettante della telecinesi?!” Una smorfia di disappunto gli increspò le labbra e tentò di divincolarsi dal ripetuto intervento del fratello, il quale si frappose tra noi esortandolo a non abbandonarsi a gesti inconsulti.

“Calmati, Aiolia” esordì quest'ultimo. “Ascoltiamo la sua versione dei fatti.”

“Quale versione, Sagittarius?” incrociai le braccia sul petto incontrando quegli occhi scuri. Aiolos, a differenza dell'altro, era riflessivo e pacato. “La sola presenza di Marin mi infastidisce, ma non mi abbasserei ad alzare le mani – su un mio pari o subordinato – senza motivo, nemmeno per fare un dispetto a quell'energumeno di tuo fratello.”

“Allora perché l'hai privata della maschera? È un imperdonabile affronto per un'Amazzone, e potrebbe risolvere di ucciderti lei stessa.”

“È stato l'epilogo inaspettato del nostro incontro. Mi capita spesso di rivangare il passato e quella donna è colpevole di tradimento, non solo nei miei confronti. Pensate, ciecamente, di essere – in quanto, acclamati e conclamati, buoni – gli unici passibili di tradimento?” sentii un fuoco ardere nel petto, di rado esternavo con veemenza i miei sentimenti.

“No, riesco a capire” ribatté Aiolos. “Sono stato perseguitato, eppure mi guardo bene dal portare rancore a Saga di Gemini e a Shura di Capricorn. E mio fratello ha vissuto come un reietto sobbarcandosi le conseguenze delle mie presunte colpe.”

“Sappiamo cosa si prova a sentirsi vittime di un'ingiustizia” aggiunse Aiolia di Leo, abbassando i toni, e quel cambio di atteggiamento mi esortò a riflettere ancora una volta. Chissà che Aiolia non avesse deciso, tutto a un tratto, di mettere da parte l'orgoglio o reprimere il proprio furore per non contrariare il fratello e procuragli un dispiacere.

Soppesai con attenzione i miei interlocutori privi dell'armatura e bardati di piastre di ferro e cuoio - a protezione delle spalle e degli arti - sovrapposte alle uniformi ordinarie: “Ma voi siete integerrimi...” affermai con velata ironia mista a risentimento. Deglutii il sapore amaro delle lacrime e feci un breve cenno al quale Algol replicò all'istante, destandosi dall'immobilità con cui aveva assistito suo malgrado all'alterco. Lo raggiunsi e ce ne andammo.

 

***

 

XXIV

 

 

“Maestro!”

Mi voltai dopo aver udito la voce di Mu di Aries, scostando dalle labbra la tazza di tè che ero intento a sorbire. Il Santo aveva fatto irruzione nel mio alloggio privato sospingendo le ante della porta a doppio battente senza farsi annunciare. Aries mi stava cogliendo alla sprovvista e, nonostante fossimo legati da una profonda amicizia e tale amicizia esulasse dal distacco imposto dai nostri ruoli, mi riscoprii insofferente. I pensieri corsero alla conversazione tenuta col Santo di Libra, qualche giorno prima, e mi sovvenne quel tacito – e talvolta fin troppo spudorato – rimarcare l'esistenza di favoritismi verso persone investite di presunti privilegi. Gli avevo fatto notare di essere un invidioso, sebbene avessi colto un fondo di verità nel livore che muoveva le sue accuse.

Le simpatie esistevano altrimenti era impensabile, per un qualsiasi Santo, relazionarsi in scioltezza col Gran Sacerdote; in teoria nemmeno un amico, caro e fidato, come il Custode della Prima Casa si sarebbe potuto prendere la libertà di farlo. Dovevo ammettere che il problema sussisteva, ma solo nel momento in cui era uno come Misty a farlo notare con alterigia irritante perché il punto di vista di una persona arrogante è opinabile; alcune insinuazioni sortiscono l'effetto di infastidirci o lasciarci indifferenti a seconda di chi è a pronunciarle.

Mi attardai a osservare le decorazioni sulla tazza di porcellana, poi deposi l'oggetto sul tavolo di ebano nero alzandomi in piedi: “Qualcosa ti turba, amico mio?” domandai, approfittando della natura informale che sarebbe potuta emergere dal colloquio.

“Mi sono imbattuto in Marin dell'Aquila e ho dovuto riparare la sua maschera” esordì Aries sfilando l'elmo che indossava, per riporlo sotto un braccio in segno di deferenza.

“Cos'è successo alla Sacerdotessa dell'Aquila? Qualcuno ha violato i precetti nell'Arena?”

“No, Dohko. Qualcuno, al quale avete concesso troppa fiducia, ha approfittato del vostro buon cuore aggredendola deliberatamente per motivi personali.”

“Chi?” mossi qualche passo avanti, e poi indietro, per alleviare l'inquietudine, quindi ripiegai di nuovo verso il tavolo in fondo alla stanza.

“Il Santo della Settima Casa.”

Sospirai mesto e deglutii un sorso di tè. Malgrado le informazioni provenissero da una persona del tutto degna di rispetto ne fui sorpreso al punto di dubitarne: “Ho capito, e quali sono le fonti?”

“Marin, naturalmente, ma anche Aiolia che era presente nella Dodicesima Casa dove ha assistito alla scena.” Mu depose l'elmo e si apprestò a sfilare anche il mantello che accantonò sullo schienale di una sedia.

Nonostante i trascorsi non deponessero a suo favore ero certo che non fosse nell'indole di Misty riversare le proprie frustrazioni su parigrado o subalterni o, peggio, mancare di rispetto a un'amazzone. “La terza persona coinvolta nell'episodio cosa dice?” domandai.

“Perdonatemi, maestro, ma non è sufficiente la testimonianza di Marin e di Aiolia?”

Gli scoccai un'occhiata in tralice, distogliendo l'attenzione dai dipinti appesi alla parete che fingevo di ammirare per guadagnare un po' di tempo: “Stai suggerendo di avviare un procedimento arbitrario per un atto non avvalorato da alcuna prova.”

“Ma... maestro. Di quale altra prova abbiamo bisogno, se due testimoni confermano un tentativo di aggressione?”

“State invocando una punizione nei confronti di un vostro compagno, con la pretesa di essere dalla parte della ragione, e cosa vi conferirebbe il diritto di ergervi a giudici?” interrogai il mio amico scrutando nel fondo dei suoi occhi tersi. “Sarebbe, forse, il pretesto di essere stati schierati dalla parte giusta della guerra a rendervi idonei a porvi al di sopra di un vostro pari, senza preoccuparvi di conoscere la sua versione?”

“No, Dohko...” indugiò con lo sguardo rivolto a terra, forse assorto in una riflessione. “Il mio intento non è questo.”

“Bene” annuii con sollievo, conoscevo Mu e sapevo fosse contraddistinto da virtù quali razionalità e discernimento. “Ne sono lieto. Andrò a parlargli di persona e più tardi conferirò con gli altri due.”

 

 

I paramenti sacerdotali erano un vero intralcio nelle attività quotidiane ma, dovendo intraprendere il percorso dal Tredicesimo Tempio alla Settima Casa, mi ero dovuto adeguare.

Faceva sempre un certo effetto vedere un'altra persona con indosso la mia armatura – una persona che non fosse il mio discepolo – l'attitudine era diversa, il portamento, e tuttavia le Sacre Vestigia si adattavano alla corporatura sottile armonizzandosi con grazia al volto delicato. Strizzai gli occhi per sfuggire al riverbero del sole che s'infrangeva sulla corazza.

Il Santo di Libra si spostò all'ombra delle colonne e, in silenzio, indietreggiò per cedermi il passo. Procedetti di poco più avanti e poi mi arrestai voltandomi: “Il mio cammino termina qui.”

“Credevo foste intenzionato a procedere in direzione della Prima” affermò orientando lo sguardo in linea con la svolta che curvava verso il Tempio successivo.

“Invece sono qui per te” dissi togliendo il copricapo e, soppesandolo, lo collocai su un ripiano di pietra. "La Prima? E perché proprio la Prima?"

Il ragazzo inarcò le sopracciglia per poi fissarmi con gli occhi cerulei senza distogliere l'attenzione.

“Così... è un pensiero che mi è sorto del tutto spontaneo” replicò, sfregandosi alla base del naso e sbirciando da sotto le folte ciglia.

“Sarò conciso” insinuai. “Temi forse che Marin dell'Aquila possa – in tempi brevi – concorrere per l'armatura di Pisces? Perché, detto onestamente tra noi, il Custode della Dodicesima Casa pare si stia lasciando andare, e il cosmo di Athena nulla può trattandosi di abdicazione della volontà.”

Misty schiuse le labbra, si riscosse dalla postura rigida e impettita che il contesto formale gli imponeva. “No! Søren non verrà soppiantato da quella... Tornerà alla Dodicesima Casa, lo riporterò indietro!” esclamò, stringendo i pugni, ma all'improvviso impallidì e si morse il labbro. Non mi aspettavo una reazione del genere: che fosse davvero preoccupato per suo fratello? Si stava maledicendo per non essere stato in grado di tacere?

Non risposi, sebbene quell'affermazione imponesse una severa replica da parte mia. Qualsiasi piega avesse voluto prendere il destino mi ero ripromesso di non interferire, e le parole del Santo sottintendevano molto più di quanto si potesse immaginare.

“La tua risposta conferma l'astio nei confronti di Marin.” Mi limitai a osservare, curioso di apprendere con quale faccia tosta si sarebbe giustificato.

“Voi sapete...” Si voltò verso una colonna di pietra, forse per dissimulare l'imbarazzo.

“Ho i miei informatori” ribattei asciutto.

Finse di sistemare il mantello – già perfettamente agganciato – agli spallacci dell'armatura: “Non è stato un gesto premeditato privarla della maschera; provenivo dal Tredicesimo Tempio, avevo appena discusso con voi ed ero stato umiliato. Dulcis in fundo... ho incontrato quella donna nella Dodicesima Casa e ho pensato non fosse degna di rendere omaggio al Santo di Pisces per la slealtà dimostrata nei suoi confronti. È probabile voi non riusciate a capire, in quanto persistete in una visione unilaterale dei fatti.”

Un'esternazione veemente e coraggiosa, non c'è che dire...

“Non approvo ma riconosco di non biasimarti” confessai, riprendendo possesso dell'elmo per collocarlo sul capo. “Un'altra cosa: vedo che non hai perso l'abitudine di agire di testa tua, ma non ne farò parola con Saori Kido per il momento. Hai già designato colui che ti accompagnerà nel viaggio?” esternai, in tono confidenziale.

Ebbene, sì, avevo realizzato che l'incidente occorso con la Sacerdotessa dell'Aquila non fosse dovuto a una casualità, ma era un chiaro segno del destino affinché io e Misty potessimo fronteggiarci ancora una volta...

“Viaggio? Quale viaggio?” spalancò gli occhi, impallidendo ancor più di quanto già non fosse.

“Non negare e rispondi: su chi grava la tua decisione? Devo sapere chi si assenterà dal Grande Tempio per un periodo relativamente lungo.”

“Algol di Perseus” replicò, senza indugiare oltre, doveva aver capito che non gli sarebbe servito mostrarsi reticente di fronte all'evidenza. “Ma voi, come fate a conoscere le mie intenzioni? Non ne ho parlato con nessuno.”

“Niente più di un'elementare intuizione. È ciò che ho dedotto dall'affermazione che ti è sfuggita in risposta allo stato attuale in cui versa Aphrodite, o Søren, come preferisci. L'aver vissuto per oltre due secoli è sufficiente affinché le azioni dei Santi; le parole e i gesti, risultino per il sottoscritto abbastanza eloquenti.”

Iniziavo a far luce sulla scelta dell'armatura, ricaduta su un individuo il quale – a suo modo – si stava dimostrando adatto. I pregiudizi nei suoi confronti erano sul punto di crollare e mi stavo quasi preoccupando per lui.

“Potresti non fare ritorno, mettendo altresì a repentaglio l'incolumità di un Santo privo dell'ottavo senso. Ne sei consapevole?”

“Ma Algol si è detto disposto a sacrificarsi di buon grado per me, e non sarò certo io a impedirglielo.”

 


 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 
   
 
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