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Autore: Josy_98    21/06/2021    0 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Strani alloggi
 
Ci vollero diverse ore prima che la ragazza si risvegliasse. Avevano stabilito che potevano permettersi una pausa, grazie alla grande distanza che avevano percorso con le aquile, quindi decisero di fermarsi proprio sul picco perchè era un punto facilmente difendibile in caso di attacco.
Dopo che Lumbar perse i sensi, Thorin la distese per terra, tenendole la testa appoggiata sulle sue gambe mentre Gandalf iniziava a esaminarla con la magia. Alla fine lo stregone stabilì che qualcosa le stava risucchiando le poche energie che le erano rimaste, ma non sapeva dire cosa e avrebbero dovuto aspettare che lei si svegliasse per scoprirlo. Sembrava che il suo corpo rigettasse la sua magia curativa e lui non riusciva a spiegarsi il perchè.
Durante l’attesa un gruppo di nani andò a caccia e a raccogliere della legna per il fuoco mentre un altro rimase di guardia e montò un piccolo campo per passare lì la notte. Thorin si fece anche spiegare con esattezza cosa fosse successo mentre combatteva contro Azog e cosa si era perso. Scoprì, così, che la ragazza che teneva ancora poggiata sulle sue gambe aveva salvato suo nipote e il suo migliore amico, prima di salvare lui, e venne anche a conoscenza della strana conversazione avvenuta tra lei e il Profanatore. Quando chiesero spiegazioni a Gandalf, lo stregone disse che avrebbero dovuto rivolgersi alla ragazza perchè erano cose che riguardavano il suo passato ed era lei a doverne parlare.
Quando Lumbar si svegliò i nani stavano cucinando la cena discutendo tranquillamente della conversazione avvenuta tra lei e il re dei goblin. Rimase con gli occhi chiusi in ascolto, tentando di riprendere il controllo del suo corpo. Sentiva di essere stesa sulla roccia tranne la testa, che sembrava fosse appoggiata su qualcosa di più morbido.
«... Insomma, se è davvero lei, perchè non ce l’ha detto?» stava dicendo Kili. «È una cosa bella, dopotutto, nonostante sia un’elfa.»
«Non proprio…» mormorò lei facendo prendere un colpo alla compagnia.
Aprì piano gli occhi ritrovandosi a fissare due penetrati iridi azzurre. In quel momento capì dov’era poggiata la sua testa: sulle gambe di Thorin. Un lampo passò nel suo sguardo, ma lo nascose, così come il disagio; non era il momento di pensare a certe cose.
«Come ti senti?» le chiese il nano osservandola.
«Appesantita.» rispose lei. «Non sono sicura di riuscire a muovere il mio corpo. Da quanto ho perso i sensi?»
«Circa mezza giornata. Non sappiamo perchè tu sia così debole.»
Gandalf le si sedette accanto.
«C’è qualcosa che non so?» le chiese calmo. «Riguardo la tua salute.»
Lei lo osservò in silenzio tentando di fare ordine nella sua mente. Le era difficile persino pensare. Aveva iniziato a sentirsi male nella caverna dei goblin, anzi molto prima ma lì aveva cominciato a peggiorare, poi si erano scontrati con Azog e infine aveva curato Thorin.
«Cosa vuoi dire?» chiese quasi bisbigliando.
«La mia magia curativa non funziona. Il tuo corpo la sta rigettando.» spiegò lo stregone. «Non può essere l’incantesimo che hai fatto a Thorin per guarirlo, nonostante per te sia stato pericoloso, perchè le ferite sarebbero comunque dovute migliorare. Invece non è successo niente. Quindi: che cosa è successo che hai accantonato per non farci preoccupare?» chiese diretto.
La ragazza ci pensò su un attimo, poi venne scossa da un terribile dolore al fianco sinistro e alla coscia destra, tanto che sussultò spaventando il nano su cui era distesa, e all’improvviso ricordò.
«Che succede?» chiese Thorin allarmando tutti.
«Odio quelle maledette frecce.» sibilò trattenendo il dolore.
«Quali frecce?» chiese Dwalin avvicinandosi.
«Quelle che mi hanno lanciato gli orchi.» rispose lei chiudendo gli occhi e riprendendo fiato. Più si agitava, più il veleno circolava in fretta. «Ero troppo concentrata a proteggere Thorin e a impedire che vi uccidessero prima dell’arrivo delle aquile e mi hanno colpita al fianco sinistro e alla coscia destra. Lì per lì me ne sono accorta a malapena, le ho tolte mentre eravamo in volo. Poi volevo solo sincerarmi delle condizioni di Thorin e me ne sono dimenticata.» ammise, riuscendo ad alzare una mano con estrema fatica per indicare le zone ferite. «Tanto non possiamo fare niente comunque, al momento. Guarirò, mi ci vorrà solo qualche giorno in più per tornare in piena forma. Domani dovrei già essere in grado di camminare senza problemi.»
«Fammi controllare.» disse Gandalf esaminando le due ferite. «Sei stata colpita dalle frecce nere, Lumbar. Sono avvelenate.»
Lei sorrise triste. «Lo so. E tu sai che, grazie alla metà che odio, il veleno non mi ucciderà.» gli ricordò. «Almeno adesso sappiamo perchè la tua magia non ha funzionato: con il veleno in circolo posso guarire solo senza l’aiuto della magia. Avrei potuto prepararmi un infuso per velocizzare il processo di guarigione, ma non ho gli ingredienti.» una fitta la colse alla sprovvista, facendola irrigidire.
«Potresti sbagliare. Eri troppo debole quando sei stata colpita dalle frecce nere. Il veleno potrebbe ucciderti.» la corresse lo stregone.
Lei scosse la testa.
«Azog mi ha uccisa, Gandalf. L’unico sbaglio riguarda la mia presenza qui.» disse noncurante della presenza di Thorin e degli altri.
«Mia cara…» cominciò lo stregone, ma lei voltò la testa puntando lo sguardo sulla vallata.
Sospirò e Thorin potè sentire la tristezza della ragazza raggiungerlo come se fosse sua. Forse, in parte, lo era.
Quando la cena fu pronta Lumbar riusciva a muoversi, anche se lentamente. Thorin la aiutò a sedersi, poi Bombur le porse una ciotola e mangiarono. Chiacchierarono poco, quella sera, troppo stanchi a causa delle giornate appena trascorse, così stabilirono i turni di guardia e si addormentarono. Dopo qualche ora Lumbar si svegliò, aveva di nuovo sognato il passato. Si alzò, riuscendo finalmente a ricoprirsi la schiena ma decidendo di lasciare indietro il cappuccio, e si avvicinò a Dwalin senza fare rumore, sedendoglisi accanto sul bordo della roccia; guardavano entrambi nel vuoto.
«Sei stanco.» disse lei dopo un po’. «Vai a dormire, resto io qui.» propose.
«Sei quasi morta oggi. Dovresti essere tu a riposarti.» ribattè il nano.
«Non riuscirei a chiudere occhio, adesso.» ammise sincera la ragazza. «E poi anche tu hai rischiato di morire, stavi per fare un bel volo.»
«Se vuoi che ti ringrazi…» cominciò il nano.
«Valar!» alzò gli occhi al cielo lei. «No. Che le persone mi ringrazino non è mai stato importante, per me. Anche tu hai bisogno di riposare, tutto qui.»
«Tutto qui?» chiese scettico Dwalin.
«Tutto qui.» confermò la ragazza.
«Sei sicura?» chiese il nano guardandola di sottecchi. «Non voglio che ti senta male di nuovo, per questo.»
Lei annuì. «Sarei comunque rimasta sveglia, almeno così uno dei due può dormire.»
«D’accordo. Se hai bisogno chiamami.» cedette lui alzandosi. «Senti… non mi piace che tu sia un elfo. Ma… ti ringrazio… per aver salvato Thorin.» poi andò a stendersi vicino al fratello e nel giro di dieci minuti si addormentò.
Lumbar non si aspettava un commento del genere, conoscendo l’orgoglio e la testardaggine dei nani, ma lo accettò per quello che era: la dimostrazione che il migliore amico di Thorin, quindi anche gli altri nani, era passato sopra a quella che credeva essere la sua razza, da loro tanto odiata. Se solo avesse saputo che essere metà elfo non era la parte peggiore, per lei…
Rimase a vegliare sul loro sonno per tutta la notte, lasciando dormire i nani che ne avevano decisamente bisogno. Quello che non sapeva era che Thorin aveva fatto il suo stesso sogno, svegliandosi nello stesso istante, ed era rimasto sveglio tutta la notte con lei. Fu anche il primo, quindi, che la sentì cantare. A Est, verso la Montagna, stava spuntando il sole, e alla ragazza aveva fatto ricordare il sogno di quella notte e le fiamme del passato. La sua voce era uscita senza che se ne rendesse conto.

 
Oh, misty eye of the mountain below
Keep careful watch of my brothers' souls
And should the sky be filled with fire and smoke
Keep watching over Durin's sons

 
La sua voce, bassa e dolce, riempiva l’aria mentre con la mente ritornava a quei momenti e li riviveva come se fosse stata lì in quell’istante.

 
If this is to end in fire
Then we should all burn together
Watch the flames climb high into the night

 
Thorin riconobbe la canzone dopo poche parole. Sapeva quando era stata scritta e perchè, ma si chiese perchè Lumbar l’avesse canticchiata per tutto il tempo nell’ultima parte del loro viaggio e perchè sembrava che stesse vivendo le parole in prima persona.

 
Calling out for the rope
Stand by and we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side, hey
 

Gandalf si svegliò in quel momento. Nè Thorin nè Lumbar se ne accorsero; lei troppo impegnata a cantare il suo dolore, lui troppo preso a osservarla e ad ascoltarla. Lo stregone rivolse la sua attenzione alla ragazza rimanendo in silenzio. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Lei doveva sfogarsi, in un modo o nell’altro.

 
And if we should die tonight
Then we should all die together
Raise a glass of wine for the last time
 

Fili, Kili e Bilbo aprirono gli occhi osservandosi intorno e chiedendosi da dove arrivasse quella voce. Ci misero un po’ ad accorgersene, ma quando videro la ragazza girata di spalle si scambiarono un’occhiata e si concentrarono silenziosi su di lei.

 
Calling out for the rope
Prepare as we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side
Desolation comes upon the sky
 

Dwalin e Balin furono i successivi a risvegliarsi. Il maggiore aveva riconosciuto la melodia anche nel sonno: aveva sognato il giorno in cui era stata scritta e la prima persona che l’aveva cantata. Una lacrima gli scivolò sulla guancia sotto lo sguardo attento del fratello e un triste sorriso gli spuntò sulle labbra. Cominciava a capire cosa stava succedendo a tutti loro, cosa significavano quei sogni che condividevano.

 
Now I see fire
Inside the mountain
And I see fire
Burning the trees
And I see fire
Hollowing souls
And I see fire
Blood in the breeze
And I hope that you remember me
 

Lumbar, senza accorgersene, cominciò a creare con le mani delle immagini di fuoco delle scene che stava rivivendo, lo sguardo perso sul sole e in posti lontani. Era totalmente immersa nei ricordi e non si accorse di star svegliando i suoi compagni.

 
Oh, should my people fall
Then surely I'll do the same
Confined in mountain halls
We got too close to the flame
 

Dori, Nori e Gloin si svegliarono insieme e il terzo diede un colpo silenzioso al fratello, Oin, per svegliare anche lui. Ascoltarono rapiti e concentrati la voce della ragazza riempire il silenzio dell’alba, e la videro circondata dall’alone di luce del sole nascente.
 

 
Calling out for the rope
Hold fast and we will
Watch the flames burn on and on
The mountain side
Desolation comes upon the sky
 

Bofur e Bombur furono i successivi, il secondo ancora un po’ intontito dal sonno. Si osservarono attorno e quando videro i loro compagni guardare un punto preciso, si concentrarono anche loro in quella direzione. Fu in quel momento che capirono cosa stava accadendo: la ragazza, cantando, stava ricordando la furia di Smaug, la distruzione di Dale e la cacciata dei nani da Erebor. Si misero in ascolto anche loro.
 

 
Now I see fire
Inside the mountain
And I see fire
Burning the trees
And I see fire
Hollowing souls
And I see fire
Blood in the breeze
And I hope that you remember me
 

Ori e Bifur furono gli ultimi della compagnia ad aprire gli occhi, ma a nessuno importò: erano troppo concentrati ad ascoltare. Anche loro lo fecero e così la compagnia al completo si ritrovò in balia della voce della ragazza senza che lei se ne accorgesse.
 
 
And if the night is burning
I will cover my eyes
For if the dark returns
Then my brothers will die
And as the sky is falling down
It crashed into this lonely town
And with that shadow upon the ground
I hear my people screaming out
 

I nani e lo hobbit vennero rapiti dal trasporto e dal dolore che sentivano permeare quella canzone. Solo Gandalf sapeva la verità su di lei e Balin, ora, cominciava a capirla. I due furono particolarmente rattristati da ciò: lo stregone sapeva come si sentiva la ragazza e il nano, adesso, poteva facilmente intuirlo. Avevano tutti le lacrime agli occhi.
 

 
Now I see fire
Inside the mountains
I see fire
Burning the trees
I see fire
Hollowing souls
I see fire
Blood in the breeze
I see fire
Oh you know I saw a city burning out (fire)
And I see fire
Feel the heat upon my skin, yeah (fire)
And I see fire (fire)
And I see fire burn on and on the mountain side
 

Sembrava che il vento leggero, che le muoveva dolcemente quei capelli così particolari, e le foglie degli alberi partecipassero alla canzone, rendendola ancora più magica.
Quando Lumbar si zittì, le fiamme tra le sue mani si spensero e le immagini scomparvero. Lei si asciugò una lacrima traditrice che le era scivolata su una guancia, poi decise di alzarsi e svegliare gli altri. Era abbastanza in forze per riprendere il cammino.
Quando si voltò, però, trovò l’intera compagnia a fissarla con le lacrime agli occhi. Quelli di Thorin, in particolare, riflettevano il suo stesso dolore, la sua stessa anima e la fecero bloccare sul posto. Non pensava li avrebbe svegliati altrimenti non avrebbe mai cantato, non voleva che la sentissero. Purtroppo, ormai, era tardi; così mascherò il disagio, il dolore e la paura e si avvicinò al fuoco, ravvivandolo e cominciando poi a preparare la colazione, come se niente fosse successo.
Quello sembrò il segnale per sbloccare anche gli altri, che si erano paralizzati quando lei si era voltata trovandoli svegli. Cominciarono tutti a darsi da fare, raccattando le proprie cose o aiutando lei con la colazione; Thorin si avvicinò a Gandalf in silenzio, senza riuscire a emettere un solo fiato ma tenendo lo sguardo puntato sulla figura della ragazza che ora si muoveva tranquilla in mezzo a loro senza cappuccio. Lo stregone sospirò, consapevole di cosa passasse per la testa del nano e di quali domande affollassero la sua mente, oltre al turbamento.
«Devi parlarne con lei.» lo anticipò.
Il nano sospirò a sua volta.
«Lo so.» disse semplicemente.
Ma in cuor suo non era sicuro che l’avrebbe fatto. Voleva delle spiegazioni, certo, ma l’espressione di Lumbar, quando si era voltata, era identica alla sua. Sembravano provare le stesse emozioni e questo lo aveva toccato più di quanto volesse ammettere. Quello sguardo che diceva “ho perso tutto, sto finendo in frantumi, ma sono ancora qui” lo aveva scosso nel profondo, richiamando dei ricordi confusi e avvolti nella nebbia che non riusciva a mettere a fuoco, ma che gli facevano sentire delle sensazioni mai provate prima.
Gli altri nani, anche se non con la stessa intensità, provavano lo stesso. Da quando l’avevano sentita cantare sembrava a tutti di conoscerla da anni e non riuscivano a spiegarsene il motivo. Balin, l’unico che stava riuscendo a mettere insieme i pezzi, passava lo sguardo da Thorin a Lumbar tentando di decifrare cosa nascondesse la ragazza, in modo da sciogliere finalmente la matassa di ricordi sconclusionati che avevano cominciato a farsi vivi in lui e negli altri. In ogni caso, avevano accettato piuttosto facilmente la sua natura elfica, stupendo per primi loro stessi.
 

 
****
 

Dopo essersi rifocillati scesero dal picco e cominciarono a camminare verso Est, rimettendosi in marcia e attraversando quella vallata circondata da montagne. Stavano passando in una parte fitta del bosco, riparata su un fianco dalle montagne, quando Lumbar si appoggiò a un tronco. Gli altri si fermarono subito; non l’avevano persa d’occhio nemmeno un istante, consapevoli della sua precaria salute, e le si avvicinarono in un secondo.
«Stai bene?» le chiese Thorin tentando di studiare la sua espressione.
Non riusciva a vederla in volto, infatti, a causa del cappuccio che si era rimessa prima di partire.
Lei annuì in silenzio. Qualcosa non andava, ma non in lei, così chiuse gli occhi e si concentrò. Spinse al massimo i suoi sensi e non ci volle molto perchè capisse cosa l’aveva disorientata. Si irrigidì.
«Cos’hai sentito?» chiese Gandalf, che aveva già capito le intenzioni della ragazza.
«Gli orchi.» disse lei facendo gelare i nani. «Hanno cavalcato tutta la notte per raggiungerci. Azog è davvero arrabbiato.»
Decisero di mandare Bilbo in avanscoperta e nel frattempo si riposarono un po’. Lumbar si sedette sulle radici di un albero, appoggiando la schiena al tronco. Un brivido le percorse il braccio destro e lei aprì e chiuse la mano più volte per controllare come andasse la sua sensibilità. Aveva mentito sulla sua salute, lo sapeva; e probabilmente lo sapevano anche gli altri, ma fortunatamente non avevano capito quanto fosse grave in realtà. Era percorsa da continue fitte che la facevano tremare costantemente e il suo corpo era in fiamme e perennemente teso. Per non parlare della vista che si offuscava nei momenti più inopportuni o della perdita di sensibilità agli arti che andava e veniva.
Non potevano farci niente, per questo non gliene aveva parlato. Aveva notato come si stessero preoccupando, come la tenessero costantemente d’occhio, e non voleva peggiorare le cose. Aveva un giuramento da mantenere e non si sarebbe mai tirata indietro. A qualunque costo.
Dopo una decina di minuti sentì lo hobbit ritornare e volse la testa nella sua direzione, attirando l’attenzione del resto della compagnia.
«Quanto è vicino il branco?» chiese Thorin al mezzuomo.
«Troppo vicino.» rispose quello fermandosi in mezzo a loro per riprendere fiato. «Un paio di leghe, non di più. Ma questa non è la parte peggiore.»
«I mannari ci hanno fiutato?» ipotizzò Dwalin.
«Non ancora.» negò lo hobbit. «Ma lo faranno. Abbiamo un altro problema.»
«Ti hanno visto?» domandò Gandalf. «Ti hanno visto?»
«No, non è questo.» negò di nuovo.
«Mhmm. Che vi avevo detto? Silenzioso come un topo.» disse Gandalf ai nani e facendoli borbottare. «Ha la stoffa dello scassinatore.»
«Volete darmi ascolto?» stava dicendo lo hobbit, mentre i nani parlavano fra loro. «Volete darmi ascolto?» scandì a voce più alta facendoli zittire. «Sto cercando di dirvi che c’è qualcos’altro là fuori.» disse indicando il punto da cui era venuto.
«Quale forma ha assunto?» la voce di Lumbar, resa ancora più bassa dal dolore che stava sopportando, superò il silenzio che era calato. «Quella di un orso?»
«S...» lo hobbit si bloccò fissandola sorpreso. «Sì, ma più grosso. Molto più grosso.»
La ragazza aprì gli occhi e guardò nella direzione in cui doveva trovarsi l’orso, poi osservò Gandalf che già la fissava. Il tutto sotto gli sguardi confusi dei nani.
«Voi sapevate di questa bestia?» chiese Bofur. «Io dico di fare dietrofront.»
«Ed essere travolti da un branco di orchi?» concluse Thorin.
I nani cominciarono a discutere su cosa era meglio fare, mentre Gandalf e Lumbar ebbero un discorso silenzioso. Alla fine lei annuì, confermando quello che lo stregone già sospettava.
«C’è una casa.» disse il Grigio riportando il silenzio. «Non è lontana da qui, dove noi potremmo… trovare rifugio.»
«Di chi è la casa?» chiese Thorin per niente convinto. «Amico o nemico?»
«Nessuno dei due.» rispose Lumbar anticipando lo stregone.
«Lui ci aiuterà o… ci ucciderà.» completò Gandalf. «Anche se sono più propenso per la prima ipotesi.»
«E come mai?» chiese ancora Thorin, poco convinto.
Gandalf lanciò un’occhiata eloquente alla ragazza e il nano capì: Lumbar era in buoni rapporti anche con lui.
«Che scelta abbiamo?» domandò agli altri.
La risposta era ovvia.
«Nessuna.» confermò lo stregone dopo aver sentito un forte barrito.
Dwalin si avvicinò alla ragazza e le allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Poi si rimisero velocemente in marcia, seguendo Gandalf attraverso la boscaglia e diretti verso la casa. Corsero senza guardarsi indietro, superando il crinale e arrivando a una pianura ricoperta da macchie di fiori di lavanda. Continuarono a correre, incitati da Gandalf. Lumbar riusciva a sentire i mannari avvicinarsi sempre di più. Superarono la pianura e si infilarono in un’altra macchia di alberi, sempre correndo e schivando radici e rocce per non cadere. Stavano andando in discesa e continuarono anche quando un altro potente barrito li raggiunse.
«Per di qua! Svelti!» li incoraggiò lo stregone continuando a correre a valle, Lumbar chiudeva la fila, arrancando a fatica a causa del veleno degli orchi. «Alla casa! Svelti!» urlò ancora Gandalf quando la intravidero a poche centinaia di metri di distanza.
Bombur era talmente terrorizzato da riuscire a superare i suoi compagni sgomenti. L’orso si stava avvicinando pericolosamente quando arrivarono al muro che circondava la casa e lo superarono. I nani si schiantarono sulla grande porta di legno tentando di aprirla con scarsi risultati e l’orso sbucò fuori dalla boscaglia proprio in quel momento, diretto verso di loro a tutta velocità.
«Aprite la porta!» urlò Gandalf preoccupato.
«Presto!» li spronò Thorin.
«Il catenaccio.» disse Lumbar al nano al suo fianco mentre il suo viso perdeva colore. Si era affaticata troppo e ora le sue energie stavano nuovamente sparendo.
Thorin seguì il suo sguardo e quando vide di cosa parlava si fece largo in mezzo ai suoi compagni per sollevarlo e aprire così la porta, permettendo a tutti di entrare. Mentre chiudevano la porta l’orso infilò il muso tra i battenti e i nani continuarono a spingere sul legno per chiuderli definitivamente e bloccarlo fuori. Quando ci riuscirono tirarono un sospiro di sollievo.
«Quello cos’è?» chiese Ori voltandosi verso Gandalf e Lumbar.
“Il nostro anfitrione.» disse lo stregone sorprendendo i nani e lo hobbit che si girarono verso di lui, in attesa di spiegazioni.
Gandalf si volse a guardare la ragazza che alzò gli occhi al cielo e cominciò a spiegare. «Il suo nome è Beorn, ed è un mutatore di pelle. A volte è un enorme orso nero.» continuò camminando e facendo un gesto verso il portone da cui erano entrati. «Altre volte è un omone grande e forte. L’orso è imprevedibile.» si volse verso i compagni. «Ma con l’uomo ci si può ragionare.»
«Tu hai ragionato con l’orso prima che con l’uomo.» le ricordò bonariamente lo stregone.
«Chissà perchè non mi sorprende.» commentò Thorin mentre i nani si sparpagliavano per la stanza.
«Tuttavia…» aggiunse la ragazza facendoli voltare. «Non è che faccia salti di gioia per i nani.» concluse con tono pensieroso.
«Bene!» disse Gandalf togliendosi il cappello. «Ora mettetevi a dormire, tutti voi. Starete più al sicuro qui, stanotte.» poi si volse verso Lumbar, leggermente preoccupato, e mormorò. «Lo spero.» facendola sorridere.
Si misero comodi sulla paglia della stalla, vicino alle mucche, e si lasciarono andare al sonno, troppo stanchi per protestare. Lumbar chiuse gli occhi, supina, ma si concentrò sui rumori della foresta: riusciva a sentire Beorn controllare il perimetro della casa ancora in forma di orso e, poco distante, la presenza degli orchi. Si concentrò su di loro, volendo capire cosa stessero dicendo: volevano attaccarli nel sonno per ucciderli, ma non agirono a causa di Beorn. In quel momento Bolg, il figlio di Azog, arrivò in groppa a un mannaro comunicando al padre che si stavano radunando a Dol Guldur ed era richiesta la sua presenza dal loro padrone. Lei li ascoltò allontanarsi in groppa ai mannari poi venne distratta dai movimenti di Bilbo, evidentemente ancora sveglio, che si era tirato a sedere poco distante da lei. Lumbar sentì nuovamente la morsa del male farsi più pressante e capì che lo hobbit teneva in mano l’anello e lo stava studiando. Non riuscì a dirgli niente perchè venne risucchiata in una visione.
 

Si ritrovò a Dol Guldur, vicino ad Azog che camminava verso la fine di una passatoia di pietra al centro della fortezza. La ragazza si guardò intorno rabbrividendo: riusciva a sentire la sua presenza e quel posto brulicava di orchi. Una grande ombra nera che galleggiava nell’aria si avvicinò all’orco sibilando, ma rimanendo comunque sospesa nel vuoto. Sembrava nebbia, o una nuvola, ma era molto diversa. Era il male puro. Riusciva a sentirne la pressione nonostante non fosse davvero lì con loro.
«Cresciamo di numero.» lo sentì pronunciare nella lingua nera ad Azog. Lei si pietrificò. Non poteva essere lui. Rimase a distanza e in ascolto, immobile. «Cresciamo in potenza. Tu guiderai i miei eserciti.»
«Che facciamo con Scudodiquercia?» chiese l’orco avanzando.
L’ombra si mosse attorno a loro, facendoli voltare con il corpo per poterla seguire.
«La guerra è in arrivo.» sibilò maligna fermandosi al lato opposto.
«Mi hai promesso la sua testa!» alzò la voce l’orco.
Questo non piacque all’ombra che, repentina, si mosse attraversandolo. «La morte arriverà per tutti.» poi scomparve nel nulla facendo respirare velocemente Azog.
«Dobbiamo interrompere la caccia?» chiese piano un orco dietro di lui.
Azog si voltò contrariato verso di lui.
«Bolg!» chiamò. Il figlio arrivò subito e si fermò davanti a lui. «Ho un compito per te. Hai ancora sete di sangue nanico?» chiese.
Il figlio ringhiò di piacere e Lumbar tornò presente a se stessa.
 

Respirò affannosamente, tentando di riprendersi da quell’orrore, e si alzò dirigendosi verso il camino in cui scoppiettava tranquillo il fuoco prima di accovacciarglisi accanto. Si srotolò la benda attorno al braccio, analizzando il morso del mannaro di settimane prima e osservando che stava guarendo bene nonostante le sue condizioni, poi si ribendò. Bilbo neanche la notò, era ancora troppo concentrato sull’anello. Lumbar rimase lì anche quando la porta si aprì e Beorn entrò, coperto solo da un paio di pantaloni; Bilbo invece fece finta di dormire, per poi addormentarsi davvero.
Il mutatore di pelle respirava affannosamente per riprendersi dalla corsa e dalla trasformazione e, intanto, analizzava l’ambiente. Poi si diresse verso di lei, sedendosi al grande tavolo che aveva alle sue spalle. Lumbar continuò a osservare le fiamme e Beorn calmò il suo respiro. Nessuno dei due disse niente, fino a quando la ragazza tossì, sporcandosi nuovamente la mano di sangue che, ovviamente, pulì sui pantaloni.
«Chi hai curato?» chiese Beorn con la sua voce grave.
«Qualcuno che ne aveva bisogno.» rispose solamente lei.
«E lo hai curato nonostante le tue pessime condizioni.» osservò l’uomo. «Doveva essere davvero in pericolo di vita.»
Il silenzio della ragazza confermò le sue parole.
«Lui lo sa?» le chiese. «Sa cos’hai fatto? Cos’ha comportato, per te, salvarlo?»
«No.» mormorò lei dopo qualche secondo, una mano poggiata su un punto preciso del suo corpo, speculare a quello in cui Thorin era stato ferito più gravemente. Lo sentiva formicolare da quando lo aveva curato. «E non deve saperlo. L’orgoglio gli imporrebbe in tutti i modi di impedirmi di rifarlo.»
«Ma tu lo rifaresti comunque.» finì lui.
Beorn sospirò stanco. Conosceva quella ragazza da molto tempo; sapeva la sua storia, quella vera, e la capiva. Erano amici da molti anni e lei aveva fatto molto per lui.
«Cosa ti serve?» le chiese.
«Il miele.»
«Ti hanno colpito le frecce nere.» comprese lui. Per una qualche strana ragione il miele delle sue api, così particolari, era in grado di alleviare a Lumbar il dolore del veleno degli orchi e la aiutava a riprendersi più in fretta, se trattato in un certo modo. «Domani ne avrai in abbondanza. Dormi adesso.»
«Non ci riesco.» rispose lei. «Ho avuto una visione.»
«Niente di buono.» capì lui.
Rimasero qualche minuto in silenzio, osservando il fuoco.
«Ti ho sentita.» disse Beorn facendola voltare confusa verso di lui. «La canzone. Eri lontana, ma ti ho sentita.» spiegò comprendendo cosa la agitava oltre alla visione. «Cerca di riposare. Veglierò io su di te, adesso.»
Lei annuì, gli occhi leggermente lucidi e pieni di gratitudine, e si stese lì dov’era, accanto al calore del fuoco.
Si addormentò in pochi minuti.
 

 
****
 

Quando si svegliò la mattina dopo, nel camino erano rimaste solo le braci di un fuoco estinto da poco e capì che doveva essere relativamente presto. Aveva una coperta sul corpo e pensò che dovesse avergliela messa l’uomo durante la notte. L’odore di quella stoffa le penetrò le narici, riportandola a un periodo lontano e particolare, in cui aveva attraversato un lungo momento buio che poi si era trasformato in uno dei periodi più tranquilli della sua vita. Sorrise prima di alzarsi e avvicinarsi allo stregone che, in piedi, osservava i nani ancora addormentati. Doveva essere sveglio da un po’, constatò guardandolo, ma non aveva svegliato nessuno di loro preferendo farli dormire e recuperare le forze.
«Come hai dormito, mia cara?» le chiese rompendo il silenzio dopo aver aspirato dalla lunga pipa.
Lei alzò le spalle.
«Prima o dopo la nuova visione?» chiese indifferente.
Dopotutto era una routine consolidata, ormai, quella che le impediva di avere un sonno tranquillo.
«Capisco.» concluse lo stregone, creando dei cerchi con il fumo.
E lei sapeva che capiva davvero, perchè conosceva i suoi tormenti, e lo ringraziò silenziosamente per non aver aggiunto altro.
Aspettarono in silenzio il risveglio degli altri osservando il sole alzarsi nel cielo, entrambi persi in cupi pensieri. Sapevano cosa li aspettava, lei meglio di lui, ed entrambi temevano il futuro, cercando un modo per evitare il peggio.
Man mano che i nani aprivano gli occhi, li raggiungevano in quella che era la cucina e si mettevano a parlare tra di loro per mettersi d’accordo su cosa avrebbero fatto adesso; Beorn, infatti, era fuori in giardino che tagliava la legna e i nani non sapevano come comportarsi. L’ultimo a svegliarsi fu lo hobbit e quando li raggiunse Lumbar prese in mano la situazione. Uscì tranquillamente dalla porta attirando l’attenzione dei nani che smisero di discutere e la osservarono con gli occhi spalancati mentre lo stregone sorrideva di nascosto: non sapevano del legame della ragazza con l’uomo ma l’avrebbero scoperto presto.
Lumbar si avvicinò a Beorn, che continuò a tagliare la legna, e si fermò al suo fianco osservando i cavalli dell’uomo che pascolavano tranquilli sul prato.
«Sono svegli.» disse facendolo fermare. «Non li avrei mai portati qui, se avessi potuto evitarlo. So quanto non ti piacciano i nani.» aggiunse.
«È lui, vero?» chiese l’uomo appoggiando l’ascia sul terreno e osservandola. «Il Nano.»
La ragazza annuì, non avendo il coraggio di dirlo ad alta voce. Era un discorso doloroso per lei, lo sapevano entrambi, e all’uomo bastò quel cenno per acconsentire alla sua silenziosa richiesta di aiuto ed entrare.
Gandalf aveva fatto accomodare gli altri attorno al tavolo della cucina, quello davanti al fuoco, e, quando i due li raggiunsero, li osservarono cercando di capire cosa li legasse. Alcuni erano rimasti in piedi e lei si appoggiò alla stessa colonna squadrata di Thorin, anche se dal lato che dava verso il camino, cioè quello accanto al suo.
Beorn distribuì dei boccali in silenzio e poi versò loro del latte.
«Così tu sei quello che chiamano Scudodiquercia.» disse lanciando un’occhiata a Thorin che lo osservò di rimando con le braccia incrociate. «Dimmi, perchè Azog il Profanatore ti sta dando la caccia?»
«Tu sai di Azog?» chiese il nano voltandosi verso di lui. «Come mai?»
«La mia gente è stata la prima a vivere sulle montagne. Prima che gli orchi scendessero dal Nord. Il Profanatore ha ucciso quasi tutta la mia famiglia, ma alcuni li ha resi schiavi.» rivelò l’uomo. Lumbar vide gli occhi dei nani soffermarsi sulle catene spezzate che gli cingevano i polsi, ma non dissero niente lasciandolo continuare. «Non per lavorare, capisci? Ma per sport. Ingabbiare mutatori di pelle e torturarli pareva lo divertisse molto.» continuò camminando attorno a loro e versando altro latte nei boccali. «Fu Lumbar a liberarmi. Quando credevo sarei morto così.»
L’attenzione si spostò sulla ragazza che teneva lo sguardo fisso sul fuoco, perso in quei dolorosi ricordi, tormentato.
«Avrei potuto fare di più.» disse contrariata con sè stessa. «Se fossi arrivata prima…”
«Non sarebbe cambiato niente.» la fermò lui. Sapeva quanto quel pensiero la torturasse, ma non poteva incolparsi per ciò che era successo alla sua gente. Azog li avrebbe uccisi comunque. «Tu mi hai salvato, non solo quando mi hai liberato ma anche dopo, quando mi sei stata vicina aiutandomi a riprendermi e a rifarmi una vita.»
«Ci sono altri come te?» chiese lo hobbit curioso.
«Una volta ce n’erano molti.» rispose Beorn brusco, voltandosi verso il fuoco mentre Lumbar sospirava.
«E… e ora?» continuò Bilbo, ingenuamente.
Beorn si voltò lentamente verso di lui.
«Ora ce n’è solo uno.» disse tetro. «Girano voci di un’altra persona capace di mutare pelle, in cosa nessuno lo sa con certezza. Si pensa che non abbia limiti di scelta.» aggiunse lanciando una veloce occhiata alla ragazza. «Ma nessuno l’ha mai vista.»
Lumbar abbassò lo sguardo sulle sue braccia incrociate. Certo che non l’avevano vista, l’unica volta in cui scoprì di poterlo fare decise di non trasformarsi. Anche Gandalf aveva uno sguardo strano: conosceva le voci e conosceva quella persona, ma non era sicuro che fosse vero.
Beorn appoggiò la caraffa con il latte sul ripiano vicino al camino e si volse di nuovo verso il tavolo. «Dovete raggiungere la montagna prima degli ultimi giorni di autunno.»
«Prima che il dì di Durin arrivi, sì.» confermò Gandalf mentre il mutapelle si sedeva.
«Non avete molto tempo.» notò Beorn.
«Perciò dobbiamo attraversare Bosco Atro.» disse Gandalf.
Lumbar si mosse a disagio attirando l’attenzione di Thorin. Quella foresta non era sicura.
«Un’oscurità grava su quella foresta.» disse Beorn come a confermare i suoi pensieri. «Cose malvagie strisciano sotto quegli alberi. Io non mi ci avventurerei se non per grande necessità.» concluse osservando la ragazza.
Gandalf seguì il suo sguardo e capì. «La visione?»
Lei annuì, ma non scese nei particolari. «Li ho visti, Gandalf. Il bosco non è sicuro.»
«Prenderemo la strada elfica.» il grigio annuì come a confermare le sue stesse parole con Thorin che cambiava posizione infastidito. «Quella strada è ancora sicura.»
«Sicura?» disse Beorn, scettico. «Gli elfi silvani di Bosco Atro non sono come i loro parenti.» disse contrariato facendo un leggero cenno verso Lumbar, mentre Thorin dava loro le spalle. «Sono meno saggi e più pericolosi. Dubito che anche lei potrebbe passare incolume se li incontrasse.»
«Ha ragione.» disse Lumbar tentando di far ragionare Gandalf e fermando l’allontanarsi di Thorin. «Thranduil non è Elrond e il mio rapporto con lui non è così buono, anzi non lo è per niente.» gli ricordò. «Ma non ha importanza.»
«Che vuoi dire?» chiese Thorin voltandosi a osservarla.
Lei ricambiò lo sguardo.
«Quelle terre brulicano di orchi.» rivelò sorprendendolo. «E il loro numero è in aumento.»
«E voi siete a piedi.» aggiunse Beorn. «Non raggiungerete mai la foresta da vivi. Neanche se Lumbar fosse nel pieno delle forze.» concluse facendole alzare gli occhi al cielo per l’ultima frase, che aveva spostato nuovamente l’attenzione su di lei.
«Guarirò, non preoccupatevi.» disse quando notarono il suo pallore.
«Tieni.» Beorn le porse un boccale con dentro un intruglio che lei bevve tutto d’un fiato. Le era mancato quel dolce sapore.
«Quando l’hai preparato?» gli chiese restituendogli il boccale.
«Mentre dormivi.» rispose osservandola riprendere un colorito normale.
Lei si scoprì la ferita al fianco osservando come, grazie al miele trattato con l’Athelas, il suo corpo si stesse liberando velocemente del veleno sotto gli occhi sorpresi dei presenti; anche Gandalf lo era, che finalmente poteva osservare quella misteriosa miscela di cui lei gli aveva parlato in passato.
«Incredibile.» disse Thorin avvicinandosi a lei per osservare la magia. «Com’è possibile?» chiese incredulo.
«Il mio corpo è diverso da quello degli altri. Sono un elfo solo per metà, e l’altra… beh, diciamo solo che è peggio di quanto crediate e difficilmente la indovinerete.» spiegò la ragazza. «Grazie a questa caratteristica il veleno degli orchi non mi uccide, ma è capace di indebolirmi per giorni, soprattutto se sono già ferita. Il miele delle api di Beorn, mescolato in un certo modo con l’Athelas, mi permette di guarire molto più rapidamente. Anche se non sappiamo perchè.»
«È straordinario.» disse lo hobbit.
«Dipende dai punti di vista.» mormorò la ragazza prima di nascondere nuovamente la ferita. Si riferiva alla parte di sè che teneva nascosta. Conosceva la sua natura elfica, che caratterizzava metà del suo essere; ma l’altra, quella più oscura, era un’incognita che aveva paura ad affrontare e preferiva non farne cenno più del necessario.
«Non mi piacciono i nani.» sviò Beorn riprendendo a camminare per la stanza. »Sono avidi, e ciechi. Ciechi verso la vita di coloro che ritengono più miseri di loro. Ma non volterei mai le spalle a un’amica. E poi... gli orchi li odio di più.» concluse fermandosi davanti a Lumbar ma osservando Thorin con uno sguardo pieno d’odio. «Che cosa ti serve?» le chiese.
Lumbar sorrise; aveva sperato in un suo aiuto e lui non l’aveva delusa. Gli spiegò velocemente di cosa avessero bisogno: provviste, un cavallo e quattordici pony e lui iniziò a preparare il tutto. Quando i nani le fecero notare che non aveva incluso una cavalcatura per lei, non se ne preoccupò. Uscì in giardino ed emise lo stesso particolare fischio che le avevano già sentito fare una volta. Erenie arrivò nel giro di qualche minuto, come se li avesse seguiti a distanza. Lei le accarezzò il collo, sussurrandole in elfico il percorso che avrebbero fatto, poi si prepararono a partire. Dopo pranzo i nani montarono sui pony e Lumbar, Gandalf e Beorn parlarono in disparte per qualche minuto.
«Lascerete i miei pony prima di entrare nella foresta.» disse loro il mutapelle.
«Oh, hai la mia parola.» acconsentì tranquillo lo stregone, mentre anche la ragazza annuiva osservandosi attorno, d'accordo con loro.
Dei corvi si alzarono dagli alberi attirando la loro attenzione.
«Siamo sorvegliati.» notò Gandalf.
«Sì.» confermò Lumbar continuando a osservare la foresta. «Gli orchi non si arrendono. Ci daranno la caccia finchè non ci vedranno distrutti.»
«Perchè ora?» chiese Gandalf. «Perchè il Profanatore striscia fuori dalla sua tana?»
«C’è un’alleanza tra gli orchi di Moria e il negromante a Dol Guldur.» rivelò il mutapelle.
«Sei sicuro di questo?» domandò Gandalf, preoccupato.
«Branchi sono stati visti riunirsi lì.» spiegò Beorn. «Ogni giorno di più, sempre di più.»
«E cosa sai di questo stregone?» chiese Gandalf, mentre i nani si muovevano irrequieti e li osservavano, pronti a partire. «Quello che chiamano “il Negromante”?»
«So che non è quello che sembra.» rispose Beorn osservando la ragazza che si era portata una mano alla fronte. «Creature malvagie sono attirate dal suo potere.» continuò. «Azog gli rende omaggio.»
«Ha ragione.» disse Lumbar. «È lui a dare ordini ad Azog. L’ho visto.»
«Perchè non l’hai detto prima?» domandò contrariato lo stregone.
«Facendo preoccupare ancora di più gli altri?» chiese di rimando lei. «Hanno già abbastanza problemi, te ne avrei parlato durante il viaggio verso Bosco Atro.»
Prima che lo stregone potesse ribattere la voce di Thorin li raggiunse.
«Gandalf.» chiamò facendoli voltare verso di lui. «Perdiamo tempo.» fece notare loro.
Gandalf cominciò a camminare verso i cavalli ma la voce di Beorn lo fece fermare. «C’è dell’altro.» Lumbar osservò il mutapelle. L’espressione che aveva non le piaceva per niente. «Recentemente si è sparsa la voce che i morti sono stati visti deambulare vicino alle colline alte di Rhudaur.»
Lumbar sbiancò mentre Gandalf si avvicinò nuovamente a loro.
«I morti?» chiese pensando di non aver sentito bene.
«È vero?» domandò il mutapelle. «Ci sono tombe su quelle montagne?»
«Sì, ci sono tombe lassù.» confermò Lumbar con un filo di voce.
«Io ricordo un tempo in cui un grande male governava queste terre. Un male potente abbastanza da resuscitare i morti. Se quel nemico è tornato nella Terra di Mezzo, gradirei che voi me lo diceste.» affermò Beorn.
«Saruman il Bianco dice che non è possibile.» ammise Gandalf. «Il nemico è stato distrutto e non farà mai ritorno.»
Lumbar sbuffò contrariata, ma non disse niente. Era ovvio che Saruman non le avrebbe mai dato ragione.
«E Gandalf il Grigio che dice?» domandò Beorn lanciandole un’occhiata.
Sapeva già cosa pensava lei.
Gandalf scosse la testa in silenzio, non sapendo cosa rispondere, mentre altri corvi passavano sopra le loro teste gracchiando.
«Andate, ora.» disse Beorn. «Finchè avete luce.» i due si diressero alle loro cavalcature e montarono, mentre un ululato attirava la loro attenzione. «Chi vi dà la caccia non è tanto lontano.» scambiò uno sguardo d’intesa con Lumbar prima che lei si voltasse e seguisse i suoi compagni.
Appena lasciarono le alte siepi a est delle terre cintate di Beorn, volsero a nord e poi piegarono a nord-est. Seguendo i suoi consigli e le indicazioni della ragazza non si diressero più verso la strada principale che portava alla foresta passando a sud del suo territorio. Se avessero passato il valico prescelto in origine, il sentiero li avrebbe condotti a un rivo che scendeva dalle montagne per affluire nel Grande Fiume diverse miglia a sud della Carroccia, il picco in cui li avevano lasciati le aquile. In quel punto c'era un guado profondo che avrebbero potuto passare se avessero avuto ancora i pony, e sull'altra riva una pista portava ai margini del bosco e all'inizio della vecchia strada della foresta. Ma Beorn e Lumbar li avevano avvertiti che ora quella via veniva spesso usata dagli orchi, e del resto la strada, come avevano sentito dire, era ricoperta di erbacce e caduta in disuso all'estremità orientale, e portava a luoghi invalicabili dove da lungo tempo si erano persi i sentieri. Lo sbocco orientale, comunque, era sempre stato molto a sud rispetto alla Montagna Solitaria, cosicché quando fossero arrivati dall'altra parte della foresta avrebbero dovuto percorrere un lungo e difficile cammino verso nord. Da questa parte della foresta, invece, a nord della Carroccia, il margine di Bosco Atro si avvicinava alle sponde del Grande Fiume, e benché anche le Montagne non fossero da quella parte molto distanti, Beorn e Lumbar li consigliarono di dirigersi li; infatti, a un certo punto, raggiungibile a cavallo in pochi giorni, si apriva la strada elfica che, attraverso Bosco Atro, portava quasi direttamente ai piedi della Montagna Solitaria. Strada che Gandalf voleva usare a tutti i costi.
Cavalcarono in silenzio, galoppando dovunque il terreno fosse erboso e soffice, con le montagne scure alla loro sinistra, e in lontananza la linea del fiume coi suoi alberi che si avvicinava sempre di più. Il sole si era appena volto a occidente, quando erano partiti, e fino a sera indugiò dorato sulla campagna attorno a loro. Era difficile pensare agli orchi che li inseguivano alle spalle, e quando ebbero messo molte miglia tra sé e la casa di Beorn i nani cominciarono a parlare e a cantare di nuovo, e a dimenticare lo scuro sentiero della foresta che si estendeva davanti a loro. Lumbar rimase silenziosa tutto il tempo e loro non la coinvolsero, pensando a ciò che era successo sul picco ma imponendosi di non porre domande e di sedare la loro curiosità.
A tarda sera, quando scese il crepuscolo e le vette delle montagne fiammeggiarono torve e minacciose nella luce del tramonto, si accamparono e misero delle sentinelle e la maggior parte di loro dormì male facendo sogni in cui risuonavano gli ululati dei lupi che davano loro la caccia e le grida degli orchi. Lumbar si offrì per rimanere sveglia tutta la notte, consapevole che non avrebbe dormito, in modo da far riposare almeno un po’ gli altri. Loro protestarono, impedendoglielo, ma non potevano sapere che, una volta risvegliatasi da un ricordo del passato, rimase sveglia a vegliare su di loro. Così come lei non poteva sapere che i nani che avevano vissuto ad Erebor stavano rivivendo, nei loro sogni, gli stessi ricordi che aveva visto lei. Oltre agli incubi sugli orchi, ovviamente.
Al mattino seguente l'alba fu di nuovo vivida e bella. Intorno a loro si era alzata una nebbiolina quasi autunnale e l'aria era fresca e pungente; presto però il sole si levò rosso, a oriente, e le nebbie svanirono, e mentre le ombre erano ancora lunghe, essi ripresero il cammino. Cavalcarono così per altri due giorni, e per tutto il tempo non videro nulla tranne erba, fiori, uccelli, alberi sparsi qua e là, e di tanto in tanto branchi di cervi rossicci che brucavano o, a mezzogiorno, sedevano all'ombra.
La terza sera Thorin le si avvicinò durante il suo turno di guardia. Lumbar stava giocando con il fuoco, controllandolo tra le sue mani e creando delle immagini, e lui le si sedette accanto in silenzio fissando le fiamme tra i suoi palmi.
«Dovrai parlarne, prima o poi.» le disse dopo qualche minuto, tenendo lo sguardo sul gioco di immagini.
«Non è necessario» mormorò lei in risposta, continuando a modificare quelle scene di fuoco sovrappensiero, lasciandole fluire dalla sua mente senza filtri.
«Perché pensi di non averne bisogno?» le domandò retorico, mentre un sorriso triste faceva capolino sulle sue labbra, un sorriso che non raggiungeva gli occhi. «Quel bisogno che tenti in tutti i modi di nascondere, noi l'abbiamo sentito.» le disse, tranquillo. «Sei stata tu a farcelo sentire. Ma ognuno di noi ha preferito tacere perché sembri covare un dolore troppo grande da esternare, e un dolore del genere fa paura.»
«Allora perchè tu vuoi sapere?» domandò lei in un sussurro e senza guardarlo, le mani che ancora controllavano il fuoco. «Perché vuoi chiedere? Parlare?»
«Perché tenerti tutto dentro è più spaventoso che esternare.«
«E tu?» lo spiazzò di rimando lei dopo un lungo silenzio. «Hai mai esternato il tuo dolore a parole? Hai mai espresso a qualcuno come ti sentivi senza usare la forza del tuo sguardo?»
Thorin spostò l'attenzione su di lei, osservandola. Sembrava persa nei ricordi che impedivano costantemente a chiunque di raggiungerla, ma lui sapeva che stava aspettando una risposta.
«No.» ammise sincero continuando a guardarla.
«E allora perché, proprio tu, mi chiedi di parlare?» domandò ancora lei, non capendo le sue intenzioni.
«Perché proprio io capisco quanto in realtà il silenzio faccia male» rispose il nano osservando ogni sua reazione.
Un angolo delle labbra della ragazza si curvò leggermente verso l'alto, prima di tornare al punto di partenza.
«Ma non fai niente per cambiare le cose.» constatò. «Quindi non puoi chiedermi di farlo io.»
«Vorrei solo capirti.» le disse dopo un po’, con lo sguardo fisso sulle immagini fiammeggianti.
«Non hai bisogno che io parli, per capirmi. Ci riesci benissimo così.» rivelò lei senza guardarlo. «Sono ricordi.» aggiunse riferendosi alle immagini. «Ricordi dolorosi. Ricordi che mi tormentano.»
«Sono ricordi felici.» osservò il nano.
Non riusciva a vedere i volti in modo chiaro ma era evidente che si trattasse di scene quotidiane di lei insieme ad altre persone. Per di più gli sembravano familiari, ma non sapeva spiegarsi il perchè. Una dolce malinconia lo invase senza motivo.
«Proprio per questo sono dolorosi. Sono i più belli che ho. E quelli che fanno più male.» spiegò al nano.
«Perchè li ricrei, allora?» le domandò. «Perchè ti torturi?»
Un lieve sorriso fece capolino sulle labbra della ragazza; era un sorriso dolce e triste che fece sentire al nano ancora più malinconia. «Perchè continuo a sognarli. Non mi danno tregua, e non so il perchè. Sono passati così tanti anni da quel periodo che avevano smesso di perseguitarmi in questo modo. Avevano smesso di farmi pensare incessantemente a quello che non ho più. E ora sono tornati, così come il mio tormento.»
Thorin analizzò le sue parole, osservando quelle immagini, e comprese. «Parli dell’uomo dell’incantesimo. Quello che non si ricorda di te.» Lumbar non disse niente, ma non serviva. La risposta era piuttosto ovvia. «Avevi davvero smesso di pensarci?» il nano era curioso. Da come gliene aveva parlato a casa dello hobbit non sembrava.
«Non puoi dimenticare l’unico amore che tu abbia mai avuto.» affermò, infatti, la ragazza. «Ma puoi imparare a convivere con la sua assenza, nonostante questo ti laceri in due e ti faccia sentire totalmente perso e senza più voglia di andare avanti. A volte ho pensato che sarebbe stato meglio se avessi dimenticato anch’io.» rivelò al nano, sorprendendolo. «Ma poi queste immagini mi tornavano in mente e mi rendevo conto che, se avessi dimenticato, non sarebbe sparito solo il dolore ma anche i ricordi e non potevo accettarlo. Come ho detto, sono i più belli che ho e per quanto facciano male non posso dimenticare quanto bene mi abbiano fatto quei momenti, nè quanto me ne abbia fatto lui. Mi ha salvato la vita in tutti i modi possibili. E se lo dimenticassi gli mancherei di rispetto, ed è una cosa che lui non merita.»
Thorin sentì una grande tenerezza pervaderlo mentre lei rivelava più cose di sè in quei pochi minuti che in tutto il viaggio. Si sentì lusingato dalla fiducia che gli dimostrava aprendosi in quel modo e pensò che quell’uomo doveva essere stato davvero fortunato ad averla conosciuta, nonostante ora non si ricordasse niente. Per un attimo si sentì geloso dell’amore incondizionato che Lumbar provava per quello sconosciuto, ma fu un attimo così fugace che potè fare finta che non fosse mai esistito.
Non dissero più una parola, ormai non ce n’era bisogno, e rimasero a fare la guardia per tutta la notte, uno accanto all’altra, osservando quelle immagini di un passato felice fino all’alba.
Il quarto giorno, appena fece luce, poterono vedere la foresta farsi più vicina, quasi stesse per venire loro incontro o li aspettasse come un muro nero e minaccioso dinanzi a loro. Il terreno cominciò a salire e su di loro iniziò a calare il silenzio. Gli uccelli cantavano di meno, e non si vedeva più nessun cervo; erano spariti perfino i conigli selvatici. Verso il pomeriggio avevano raggiunto le prime propaggini di Bosco Atro, e si riposarono quasi sotto i grossi rami sporgenti degli alberi più esterni. Avevano tronchi grossi e nodosi, rami contorti, foglie scure e lunghe. L'edera cresceva su di essi e strisciava al suolo.
Lumbar scese da Erenie e si diresse verso la foresta, appoggiando una mano sul tronco di un albero. Riusciva a sentire il male penetrare sempre più a fondo e il dolore degli alberi davanti a lei. In quel momento comprese che la traversata della foresta sarebbe stata particolarmente difficile, per lei: sentiva già il suo malessere farsi spazio all’altezza del petto e appesantirla, ma si sforzò di non farlo notare agli altri. Si spostò sul sentiero e Gandalf la seguì.
«La porta degli elfi.» disse lo stregone osservando le due colonne ai lati e l’altare di pietra qualche passo più avanti. «Qui c’è il nostro sentiero attraverso Bosco Atro.» spiegò voltandosi verso i nani e lo hobbit ancora in sella ai pony.
«Nessun segno degli orchi.» osservò Dwalin smontando. «La fortuna è dalla nostra parte.»
«Ringrazia Beorn per questo.» rispose Lumbar, ancora intenta a osservare la foresta.
«Perchè?» chiese il nano.
Lei si limitò a voltare la testa verso destra: sopra una sporgenza di roccia la forma d’orso di Beorn li osservava silenziosa.
«Liberate i pony.» concluse lo stregone rivolto ai nani, sorpresi di scoprire che l’uomo li aveva seguiti per tutto il tempo senza che se ne accorgessero. «Che tornino dal loro padrone.»
I nani smontarono e fecero come richiesto, mentre Lumbar si avvicinava a Erenie e le sussurrava un ringraziamento. Sapeva che la Mearas avrebbe seguito i pony fino all’abitazione di Beorn per assicurarsi che arrivassero sani e salvi, poi avrebbe ripreso il suo viaggio.
«Questa foresta…» sentì dire dallo hobbit. «... sembra malata. Come se una malattia l’avesse colpita.» non aveva idea di quanto avesse ragione. Bilbo si avvicinò agli alberi. «Non c’è modo di aggirarla?»
«No.» rispose Gandalf. «A meno che non andiamo duecento miglia a nord, o il doppio di quella distanza a sud.» concluse tornando a osservare la foresta.
Lumbar superò in silenzio lo stregone e l’altare, scendendo quei pochi gradini che immettevano il sentiero nella foresta, attirata da qualcosa. Gandalf la osservò in attesa di capire cosa non andasse, mentre i nani si caricavano di armi e provviste. Un sibilo si agitava nella zona della mente che Lumbar teneva chiusa, un richiamo che non le piaceva nemmeno un po’, che aveva già sentito e accantonato in passato. Continuò ad avanzare lentamente tra gli alberi, osservandosi intorno sotto lo sguardo vigile di Gandalf. Si avvicinò a una statua elfica ricoperta di rampicanti mentre la voce di Galadriel si faceva strada nella sua mente e in quella dello stregone che, come loro, percepiva il male farsi più oscuro.
Qualcosa si muove nell’ombra, non visto, celato al nostro sguardo. Ogni giorno cresce in potenza. Attenti al Negromante, non è quello che sembra.
Lumbar temeva già quella realtà, prima ancora che la dama elfica pronunciasse le stesse parole che aveva rivolto loro Beorn, ma nell’esatto momento in cui la sua mano si mosse verso i rampicanti per scostarli dalla statua comprese di aver sempre avuto ragione: c’era un segno sulla pietra della statua, un segno tracciato con il sangue. Era un occhio, il simbolo di Sauron. In quell’istante, appena i suoi occhi lo videro, l’occhio di fuoco apparve nella sua mente facendole fare diversi passi indietro.
«Mithrandir…» mormorò appena mentre lo stregone le si avvicinava velocemente, allarmato dalle parole di Galadriel e dal suo scatto.
L’espressione della ragazza era imperturbabile, così si voltò verso la statua e vide ciò che lei aveva visto, rimanendo di sasso.
Se il nostro nemico è tornato dobbiamo saperlo. Andate alle tombe sulle montagne.
«Io rimarrò con i nani.» si oppose la ragazza facendo voltare lo stregone nella sua direzione. Era sorpreso e confuso, Lumbar non si era mai rifiutata di seguire una richiesta di Galadriel. «Sono la loro unica speranza di non finire uccisi dagli elfi in caso li incontrassero.» spiegò lei sotto lo sguardo attento del Grigio e della dama elfica nelle lor menti. «E poi lo sappiamo già.» concluse abbassandosi il cappuccio e rivelando i suoi capelli.
Aveva avvertito il loro cambiamento nell’esatto momento in cui aveva visto l’occhio, e sapeva che ora erano ancora più neri dei giorni precedenti.
Lo stregone annuì, mentre la presenza di Galadriel scompariva dalle loro menti. «E così sia.» poi si voltò verso i nani. «Non il mio cavallo, mi occorre.» disse impedendo loro di liberare l’animale mentre si avvicinavano.
Erenie e i pony si allontanarono.
«Cosa?» chiese Nori mentre si voltavano tutti verso di loro, confusi.
«Non vorrai lasciarci?» chiese lo hobbit incredulo.
«Non lo farei se non fosse necessario.» disse lo stregone sotto lo sguardo sbalordito dei nani, e contrariato di Thorin, e fermandosi accanto al mezzuomo. «Sei cambiato, Bilbo Baggins.» proferì osservandolo. «Non sei lo stesso hobbit che ha lasciato la Contea.»
«Stavo per dirtelo…» enunciò Bilbo ricambiando lo sguardo, seppur a disagio. «Io… ho trovato una cosa nelle gallerie degli orchi.»
«Trovato cosa?» passò qualche secondo prima che lo hobbit rispondesse, secondi in cui Lumbar sentì nuovamente quel sibilo penetrante mentre li osservava poco distante. «Che cosa hai trovato?» ripetè Gandalf,  confuso, percependo anche lui qualcosa di strano.
«Il mio coraggio.» rispose alla fine lo hobbit mentre cominciava a piovere.
«Bene, questo è un bene.» disse Gandalf raddrizzandosi. «Ti servirà.» si avvicinò al cavallo passando in mezzo ai nani. «Vi aspetterò allo spiazzo prima delle pendici di Erebor. Tenete la mappa e la chiave al sicuro.» continuò fermandosi davanti a Thorin e Lumbar, che lo aveva affiancato. «Non entrate in quella montagna senza di me, eh.» il nano annuì.
«Mi terrò informata.» disse, invece, la ragazza riferendosi al viaggio dello stregone.
«Se cambia qualcosa avvertimi.» le chiese lui prima di montare a cavallo. «Questo non è il vecchio Bosco Fronzuto.» disse loro. «Lumbar lo sa meglio di chiunque altro. C’è un ruscello, nel bosco, che contiene un oscuro incantesimo. Non toccate quell’acqua.» si raccomandò. «Attraversatelo sul ponte di pietra. La stessa aria della foresta è pesante, crea illusioni. Tenterà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada.»
«Sviarci dalla strada?» chiese lo hobbit non capendo. «Che cosa vuol dire?»
«Dovete restare sul sentiero.» continuò lo stregone ignorando la domanda. «Non lasciatelo. Se lo fate non lo ritroverete mai più.»
«Nemmeno Lumbar?» domandò di nuovo il mezzuomo facendo voltare tutti verso la ragazza, che si era rimessa il cappuccio e si era avvicinata all’ingresso del bosco, osservandolo.
Sembrava avesse la testa da un’altra parte.
«Non lo so.» mormorò lei in risposta, sorprendendo lo stregone. Era titubante. «C’è qualcosa di particolarmente oscuro all’opera qui. Ne sento il potere nonostante ne siamo ancora fuori.» ammise. «Non so dirvi in che condizioni sarò una volta all’interno. Potrei anche sentirmi male.» era fin troppo rigida, se ne accorsero tutti, ma non dissero niente limitandosi a scambiarsi degli sguardi preoccupati.
Gandalf capì che era più grave di quanto pensasse.
«Qualunque cosa accada restate sul sentiero.» concluse partendo al galoppo e allontanandosi.
«Coraggio.» disse Thorin facendosi largo tra i suoi compagni e avvicinandosi alla ragazza, rimasta in prossimità del sentiero. «Dobbiamo raggiungere la Montagna prima che il sole cali sul dì di Durin. C’è solo una possibilità di trovare la porta.» concluse scambiando uno sguardo con Lumbar prima di varcare insieme a lei il confine di Bosco Atro, seguiti dal resto della compagnia.
   
 
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