Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ode To Joy    24/06/2021    2 recensioni
[Erwin x Levi]
[Kenny x Uri] [Jean x Eren]
”L’Umanità si divide in due categorie: quelli che vogliono cambiare il mondo e quelli con il potere di farlo.”
Paradis, 850.
Il Muro Maria è stato riconquistato ma a caro prezzo: solo otto soldati hanno fatto ritorno da Shiganshina.
Levi ed Eren non sono tra loro.
Erwin è sopravvissuto a costo della sua umanità e non si ritiene più degno di guidare le Ali della Libertà.
Marley.
Prigioniero sotto la custodia di Zeke Jeager, Levi cerca di tenere in vita se stesso ed Eren con la certezza che Erwin sia morto e che nessuno stia venendo a salvarli. Manipolare il fratello minore per renderlo suo complice, però, è solo una parte del piano di Zeke.
“Ora hai sia la volontà che il potere. Smettila di piangerti addosso, vinci questa guerra e riprenditi ciò che è tuo.”
Mytras, 819.
Catturato dopo aver cercato di uccidere il re, a Kenny Ackerman viene risparmiata la vita e promessa la libertà in cambio di qualcosa che lo legherà a doppio filo al principe Uri Reiss.
[Canon-Divergence] [Omegaverse]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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10
Le Ali della Libertà


I




Per la prima volta da quando era giunto a Marley, Eren non udiva più la voce del mare.

Non era stato particolarmente difficile rimettere l’auto in strada e riprendere il viaggio. Porko si era impegnato a rendere l’esperienza più caotica del necessario per tutti, ma Eren si era limitato ad alzare gli occhi al cielo e a riprendere posto sul lato del passeggero. 

Se all’inizio viaggiare su quell’auto lo aveva riempito di emozione, ora non vedeva l’ora di scendere. Teneva gli occhi verdi dalle sfumature bluastre fissi sul panorama: campi dorati si estendevano ai lati della strada. Quelli di tutti gli altri erano fissi su di lui.

Reiner lo teneva d’occhio - come se fosse una novità - i due ragazzini seduti al centro erano inquietati dalla sua presenza e quel tipo - Porko - non faceva che lanciargli occhiate storte.

“Puzzi di vomito,” commentò Eren.

Preso di sprovvista, Porko sobbalzò e l’auto sbandò.

Eren rimbalzò sul sedile e così i cinque passeggeri compressi dietro. 

“Porko…” Lo riprese Reiner.

“Che cazzo vuoi?” Sbottò il diretto interessato, riprendendo il controllo del mezzo. “Lo stronzetto qui mi ha provocato!”
“Ho solo detto che puzzi di vomito,” ripeté Eren, pizzuto.

“Ma davvero?!” Sbottò Porko. “Se non te ne fossi reso conto, Colt mi ha vomitato addosso!”
“Mi dispiace,” disse il biondino sul sedile posteriore.

Il più giovane gli rivolse un gesto della mano come a dirgli di lasciar perdere.

Per la prima volta dall’inizio del viaggio, Eren decise che il paesaggio non meritava più la sua attenzione. Dietro di lui, Reiner chiuse gli occhi e pregò qualunque volontà superiore di non far capitare il peggio.

“L’hai conosciuta?” Domandò Eren.

“Chi?” Porko suonava irritato.

“Ymir… La portatrice del Titano Mascella prima di te.”

Reiner inspirò profondamente dal naso: evidentemente il peggio era quanto di meglio Eren potesse fare. 

Porko non rispose immediatamente. Passò gli occhi dalla strada al fanciullo al suo fianco un paio di volte. “Che cosa ti salta in testa?”

“Non lo so.” La voce di Eren grondava veleno. “A voi cosa salta in testa quando vi ordinano di divorare qualcuno per ereditarne il potere?”
Reiner allungò il braccio e strinse la spalla dell’ex compagno di squadra. “Eren…”

Il fanciullo abbassò gli occhi sulla sua mano, scrollò la spalla per liberarsi della sua stretta e tornò a osservare il panorama. 

Reiner lasciò andare un sospiro di sollievo: il pericolo era scampato, per ora. 

Porko però non aveva lasciato cadere la questione. Non aggiunse altro, ma non smise di guardare Eren ogniqualvolta la strada glielo permetteva. 

A Reiner non piacque tutta quella curiosità da parte dell’altro Guerriero.

Porko era la personalità meno adatta d’accostare a quella di Eren. Entrambi erano teste calde, ma il primo era prevedibile e infinitamente fragile sotto la superficie; l’altro, invece…

Eren si aggrappò al parabrezza e si alzò in piedi.

“Ehi!” Urlò Porko nella sua direzione. “Stai seduto composto!”
Reiner decise di lasciarlo fare fin tanto che non avrebbe dato troppo spettacolo di sé. Di fronte a loro, il paesaggio era tagliato dalle mura di cinta della città di Liberio. Lo spettacolo non era minimamente paragonabile a Maria, Rose e Sina. 

“Anche Liberio è circondato da mura,” commentò Eren.

, pensò Reiner, e non hai idea di quanto siano invalicabili.



Il resto del viaggio fu breve ma particolarmente intenso per Eren. Non fece che spostarsi da una parte all’altra, osservando con i grandi occhi curiosi quel nuovo mondo per lui estraneo. Porko minacciò di buttarlo fuori dall’auto e prenderlo sotto almeno tre volte.

Pieck ridacchiò, dando una gomitata amichevole al fianco di Reiner. “Sarà divertente vederli insieme,” commentò.

Come una guerra combattuta in prima linea, pensò il Titano Corazzato.

“Stai seduto!” Porko afferrò Eren per la cintura e lo costrinse a mettersi a posto. “Se non te la finisci, finirai al ricovero insieme agli altri pazzi!”
“Porko…” Lo rimproverò Reiner.

“E chiudi la bocca, tu!”

Eren era troppo rapito dalla strada che correva veloce sotto i suoi occhi per avere il tempo di replicare a tono. Era come un bambino che vedeva il mondo per la prima volta. Sorrideva con la stessa innocenza e i suoi occhi brillavano.

Ancora una volta, Reiner si sentì come se fossero ancora al campo di addestramento ed Eren fosse un ragazzino come tanti, felice di essere, alla fine, riuscito a volare.

Porko svoltò nel cortile interno del quartier generale dei Guerrieri. Reiner fu felice di essere arrivato fino a lì senza incidenti di sorta.

“Io vado a farmi la doccia,” disse Porko, scendendo dall’auto in tutta fretta.

Eren lo guardò male ma gli risparmiò una frecciatina delle sue. 

“Colt, mi aiuti?” Domandò Pieck, scendendo dopo il biondo e i due ragazzini.

Reiner aiutò la compagna di squadra e l’affidò alle mani dell’erede del Titano Bestia. Li guardò sparire all’interno dell’edificio principale, poi si voltò verso i piccoli intrusi. 

“Dritti a casa,” ordinò.

Falco annuì immediatamente. Gabi aprì la bocca, pronta a obiettare.

“A casa,” ripeté Reiner con tono fermo, e la cugina gli fece la grazia di restare al suo posto e non mettere alla prova alla sua pazienza.

“Ciao Reiner…” Disse lei a mezza bocca, poi prese Falco per mano e lo trascinò via. 

Il Titano Corazzato li guardò sparire oltre il grande cancello, poi si accorse che c’era ancora qualcuno a bordo dell’auto. “Devo venirti a prendere?” Domandò.

Eren storse la bocca in una smorfia e scese. “Dunque, questa è Liberio.”

“Hai visto solo la strada principale,” disse Reiner, facendogli strada all’interno dell’edificio. “Per te Mytras è una grande città, ma ti assicuro che non è paragonabile a qui.”

“Niente castelli,” commentò Eren, un poco deluso. “Strade grandi, adatte alle auto.”

Il modo in cui lo disse fece sorridere Reiner, suo malgrado.

“Case grigie, tutte uguali.”

“C’è un fiume,” disse Reiner salendo le scale. “Si vede dalle finestre della tua stanza. Il viale lungo l’argine è pieno di alberi e frequentato da gente per bene che vi passeggia.”

Eren si bloccò. “Gente per bene,” ripeté. “Cioè non Eldian?.”

Reiner lo guardò. “Eren, no.”

“Ho solo fatto una domanda,” chiarì il quindicenne. “Non conosco questo mondo e Zeke si aspetta che tu mi faccia da guida, non è così?”

Reiner aprì e chiuse la bocca un paio di volte.

“Ha ragione!” Esclamò la voce di Pieck al piano superiore.

Eren ridacchiò. 

“Lo trovi divertente?” Domandò Reiner.

“Lei mi piace,” ammise Eren. “Ora… Mi mostri la mia camera o dobbiamo restare sulle scale tutto il giorno?”



Come promesso, la finestra della sua camera affacciava su di un fiume. Un ponte di mattoni rossi lo attraversava, unendo le due metà della città di Liberio. La camera era più piccola di quella in cui dormiva al castello, ma era cresciuto nelle baracche dei cadetti quindi non faceva una gran differenza per lui. Una bella novità era l’assenza di sbarre fuori dai vetri. 

Eren li aprì e non appena la brezza del pomeriggio gli accarezzò i capelli, chiuse gli occhi e si godette quella sensazione tanto semplice quanto pregna di libertà.

Zeke non era lì a ossessionarlo con il loro legame di sangue e aveva la netta sensazione che le voci nella sua testa si fossero placate. 

“Resteremo qui per qualche giorno,” la voce di Reiner lo riportò alla realtà. “Vorrei… Meglio, tuo fratello vorrebbe che tu legassi con gli altri Guerrieri.”

“Uhm-uhm…” Rispose Eren distrattamente, continuando a guardare il fiume. Assottigliò gli occhi: c’era qualcosa sul lato opposto ma non era certo di quello che vedeva. “Quello è filo spinato?”
Reiner lo afferrò per un braccio, tirandolo indietro e chiudendo i vetri della finestra con rabbia. “Ufficialmente, tu non esisti, hai capito?” Disse con tono minaccioso.

Eren sbuffò. “Siete i signori della chiarezza tu e Zeke: volete che conosca questo mondo, ma guai a me a mettere piede dove voi non mi avete dato il permesso.”
Reiner fece appello a tutta la sua pazienza: “Per l’ennesima volta, Eren, io e Zeke agiamo solo per il tuo-”

“Osa dire che agite per il mio bene e faccio esplodere tutto,” sibilò Eren.

Il Titano Corazzato irrigidì le spalle, pronto ad affrontare l’ennesima discussione inutile. Fu fortunato perché Eren aveva meno voglia di discutere di lui. Sbuffò una seconda volta, poi si lasciò cadere seduto sul letto. “Parlami di loro.”

“Di chi?”

Eren alzò gli occhi al cielo. “Delle persone con cui dovrei legare. Berthold lo conosco già e non credo lo vedrò a breve, dato che la battaglia di Shiganshina sembra averlo reso un invalido di guerra.”
Reiner sapeva che il controllo di sé era fondamentale, ma doveva ammettere che ogni volta che Berthold diveniva parte del discorso gli saliva la nausea. Suo padre era stato avvertito della sua morte? Era un uomo malato e aveva riposto in suo figlio le poche speranze che aveva di una vita migliore. Per quel che Reiner ne sapeva, Berthold poteva essere morto invocando il suo nome - quello dell’amico che era sempre rimasto al suo fianco - o quello di Annie - per cui aveva sempre provato dei sentimenti affettuosi.

Chi lo aveva divorato? Chi era rimasto a guardare? Eren non poteva saperlo, ma Reiner era perfettamente consapevole della morsa che stringeva il suo stomaco quando pensava a chi aveva combattuto a Shiganshina con lui.

Il dubbio era qualcosa di atroce. 

Reiner non aveva il lusso di sperare che Berthold fosse ancora vivo, ma non poteva condannare Eren per continuare a tentare di ricostruire gli ultimi momenti di chi aveva amato.

“Pieck ti è simpatica, mi fa piacere,” ammise. 

“Ha problemi alle gambe?” Domandò Eren.

“Il suo potere le permette di mantenere la forma di Titano per molto tempo,” raccontò Reiner. “Anche giorni, se necessario. Quando torna a essere umana, il suo corpo non si comporta come dovrebbe.”

Eren storse la bocca in una smorfia. “Non riuscirei mai a mantenere la forma di Titano per giorni interi.”

Reiner scrollò le spalle. “Nessuno ti ha addestrato per farlo.”

“Tu ci riesci?”

“Non sono quel tipo di Guerriero. Io attacco, distruggo quel che c’è da distruggere e fine dei giochi. Sei il primo nemico che mi ha costretto a un vero combattimento.”

Eren si umettò le labbra. “Già… Marley ha in pugno il potere dei Titani, per loro la guerra deve essere un gioco per davvero.”

“Non pensare che sia così semplice.” Reiner si sedette sul letto a sua volta, a buona distanza per cui Eren non se ne lamentasse. “Tu sai che droghiamo il tuo cibo per tenerti buono. Forse non ne senti gli effetti nella tua forma umana, ma ti assicuro che non sarebbe divertente se ti trasformassi.”
Eren gli rivolse un sorrisetto diabolico. “Per te, di sicuro no.”

“Piantala. Quello che voglio dirti è che il mondo, quello reale, conosce i Titani, li studia. Per la gente non sono creature oscure. Cercano un modo per distruggerli o renderli più deboli da generazioni.”

“Hai ragione,” disse Eren, sarcastico. “Sono cose che nel mondo non reale non possiamo comprendere.”

“Hai capito benissimo cosa intendo.”

“Io posso pur capire, Reiner, ma le persone che ho visto divorare - tra cui mia madre - sono reali quanto questo tuo mondo del cazzo. Quindi, impara a usare le parole come si deve in mia presenza.”

“Ti chiedo scusa,” disse Reiner ed era sincero. “Voglio solo che tu capisca che fuori dalle Mura esistono cose che vanno oltre il 3DMG e i cannoni per uccidere i Titani.”

“Offendi la nostra tecnologia ora?”

“Con te non si può proprio parlare!”

“Se una delle nazioni che fa guerra a Marley inventasse un apparecchio analogo al 3DMG basterebbe un prodigio come Mikasa o Levi per equilibrare le forze in campo.”

Basterebbe…” Ripeté Reiner divertito. Quello di cui Eren parlava non era una cosa da poco, ma la parte della storia che riguardava gli Ackerman non gli era ancora stata raccontata. 

“Il mondo è grande, no? Abbiamo avuto due soldati di quel calibro tra le Mura, quanti possono essercene in giro?”

“Meno di quanti pensi, Eren.”

“Perché lo dici con tanta sicurezza?”

“Confesso che è una parte della storia che non conosco molto bene a mia volta. Sono certo che tuo fratello te ne parlerà presto.”

Segreto o non segreto. Perché il piano di Zeke avesse senso, Eren avrebbe dovuto sapere di Levi, prima o poi. A quel punto, nessuno lo avrebbe salvato da una serata di storie antiche intorno al fuoco.
Eren si sfilò gli stivali e si mise seduto a gambe incrociate. “E Porko?” Domandò. “Come mai ce l’ha tanto con te?”

A Reiner non piaceva quella parte della storia, ma se raccontarla avrebbe tenuto Eren buono per qualche minuto, si sarebbe fatto coraggio. “Ti ho detto che Ymir non è mai stata una di noi, vero?”

Eren annuì. “Hai detto che ha divorato uno di voi.”

“Marcel… Il fratello di Porko.”
La bocca di Eren disegnò una O perfetta. “Porko ha ereditato il Titano di suo fratello.”

“In realtà, la sua antipatia nei miei confronti ha radici ben più antiche,” ammise Reiner. “Entrambi eravamo stati notati per divenire il nuovo Titano Corazzato.”

Eren alzò gli occhi al cielo. “Tu sei stato scelto, lui no e quindi sarebbe geloso di te? Patetico…”

“Non è soltanto questo, Eren.” Reiner non era sicuro di potergli confidare cosa Marcel aveva fatto per lui. “Non sono stato scelto per le mie doti, ma solo per la mia devozione a Marley. Porko è sempre stato un soldato oggettivamente più capace di me e io l’ho superato. Questo e la morte di suo fratello sono ragioni più che comprensibili per detestare qualcuno.”

Eren non rigirò il coltello nella piaga. “Sei sincero.”

“E tu ne sei sorpreso,” commentò Reiner.
“Mi hai fatto una promessa, ma fino a ora non hai fatto nulla per onorarla.”

“Io non so davvero cosa sia successo a Shiganshina, Eren,” mentì, per l’ennesima volta. “E vorrei tanto che smettessi di torturarti con quel pensiero.”

Le labbra di Eren si piegarono in un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. “Li amavo troppo e non l’ho mai detto a nessuno di loro.” Era il suo turno di essere sincero.

Reiner sapeva cosa stava facendo: lui gli concedeva qualcosa e, in cambio, l’altro faceva altrettanto. 

“Vuoi chiedermi qualcos’altro?”

Glielo doveva.

Eren si alzò dal letto e a piedi scalzi attraversò la distanza che lo separava dalla finestra. “Che posto è mai questo?” Domandò, tornando a studiare il ponte di mattoni rossi.

“Il quartier generale dei Guerrieri.”
“In altre parole, è il regno di Zeke.”

“È il luogo più sicuro per te in questa città… Forse in tutto il paese.”

Eren accettò quell’informazione con una scrollata di spalle. “Se questo è un luogo sicuro, che mi dici delle strade fuori da queste basse mura?”

“Se per basse intendi facilmente superabili-”
“Intendo che sono basse, Reiner, non vedere del marcio in tutto quello che dico.”

“Eren…”

“Uhm?”

“Guardami.”
Il quindicenne ubbidì, sebbene con aria annoiata.

“Questa non è una prigione, ma la tua posizione non è cambiata affatto: non ti è permesso uscire da questo edificio da solo, chiaro?”

Eren sbuffò, incrociando le braccia contro il petto con espressione imbronciata. “Cosa c’è al di là di quel ponte?”
“Un posto non sicuro per te.” Fu tutto quello che gli concesse Reiner.

Il più giovane batté le mani. “Il momento di sincerità è tragicamente finito.”

“Sai, è sfinente parlare con te.”

“Sai che novità! Jean lo ripeteva di continuo!.”

“Immagino che almeno lui conoscesse molti modi efficaci per tapparti la bocca.” Reiner si pentì di quelle parole subito dopo averle dette, ma era troppo tardi.

Eren lo trafisse da parte a parte con quegli occhi dal colore impossibile. Prese uno degli stivali da terra e ce lo colpì in piena faccia.

“Fuori di qui!”

 
-18 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-


Il fanciullo aveva i capelli biondi, rasati sulla nuca ma troppo lunghi sulla fronte.

Le ciocche dorate gli coprivano gli occhi.

Alla luce tremula della candela, il suo viso appariva stanco e dimostrava più dei suoi anni.

Sotto i suoi occhi erano aperte decine di libri che nessuno avrebbe dovuto leggere.

Girava una pagina, prendeva appunti e poi borbottava qualcosa tra sé e sé.

Preso dalla frustrazione prese il foglio su cui stava scrivendo e lo strappò in mille pezzi.

Aveva l’espressione di qualcuno che vuole arrivare alla risoluzione di un problema ma che, per quanto si sforzi, non ci riesce.

Era minuto, raggomitolato su quella sedia e indossava abiti semplici, ma di una stoffa tanto pregiata che fuori da Mytras non si sarebbe mai vista.

Di colpo, sollevò lo sguardo verso lo specchio nell’angolo e mentre guardava il suo riflesso, Levi ebbe l’impressione che stesse guardando anche lui



Quando il Capitano si svegliò. Era ancora nella sua cella, da solo.

Accanto a lui: un vassoio con sopra del cibo.


Fu la noia a spingere Zeke nei sotterranei.

Sì, avere Eren distante gli permetteva di riprendere fiato, ma il silenzio che ne derivava era qualcosa a cui non era più abituato. 

Succedeva questo ai solitari una volta che si trasformano in altro?

Una volta strappati al loro regno di desolazione non sanno più che farsene?

In un primo istante, Zeke aveva pensato di riempire quel vuoto stordendosi con l’alcol scadente che aveva trovato nelle cucine del castello. Gli ci era voluto un istante per avere un’idea migliore. Aveva preso la bottiglia di liquore e l’aveva versata in due fiaschette. Una volta finita l’opera, le aveva infilate nelle tasche ed era sceso da Levi.

Non si soffermò a pensare quanto fosse patetica la sua condizione, se si ritrovava a cercare compagnia nella persona più sgradevole del creato.

Quando arrivò, notò subito che il prigioniero aveva consumato il suo pasto e questo lo rallegrò un poco: forse era finita la parte in cui doveva faticare anche solo per tenerlo in vita.

Tutto si sposava perfettamente con la sua idea per allontanare la noia.

“Oggi, ho pensato a un gioco.”

Zeke tirò fuori una delle fiaschette e l’appoggiò accanto al vassoio vuoto.

“È basato sulla sincerità.”

Levi emise una bassa risata gutturale. “Sincerità,” ripeté. “Tra me e te?”

“Tregua,” disse Zeke, sedendosi dalla parte opposta della cella. Si sedette contro la porta rinforzata e prese la sua fiaschetta tre le dita. “Oggi non ti chiedo altro: tregua.”

Forse fu per la stessa noia che rendeva pesante l’animo di Zeke, che Levi accettò quella proposta infantile. 

“Sincerità,” disse una seconda volta, prendendo tra le mani il contenitore di latta. “Esiste anche qui questo gioco del cazzo.”

“Lo conosci?”

“Si dice un’affermazione a turno e beve chi si sente chiamato in causa.”

“Hai già giocato?”

“Solo una volta,” ammise Levi, guardando la fiaschetta tra le sue mani con un’aria nostalgica che diede a Zeke tutti i dettagli che non avrebbe mai confessato ad alta voce. “È solo un modo un po’ più elaborato per vedere chi regge bene l’alcol.”

“Tu lo reggi?”

“Sì…”

“Deduco che il tipo con cui hai giocato ha perso.”

“Dipende dai punti di vista,” disse Levi, aprendo la fiaschetta. “Immagino che la prima parola spetti al padrone di casa.”

Zeke accennò un sorriso. “Non ho fratelli e sorelle,” disse e bevve subito il primo sorso. Un inizio un po’ idiota, tanto per confermare a Levi che non c’era nessuna tortura in serbo per lui quel giorno.

Con sua sorpresa, anche Levi bevve un sorso.

Zeke reclinò la testa da un lato. “Gli Ackerman non sono una razza in via di estinzione come credevo.”

“Non hai specificato fratelli o sorelle di sangue.”

“Oh,” comprese Zeke. “Allora vale di più.”

“Detto da chi ha ucciso un fratello di sangue.”

“Erano a Shiganshina?”

Era,” disse Levi. “Sì, un tempo avevo due persone che amavo come fratelli, ma è stato molto tempo fa. La più giovane mi chiamava fratellone.”

“Ma non è a loro che stai pensando in questo momento.”

Levi annuì. “Si chiamava Hanji. Io la chiamavo in molti modi.”

“Una compagna di squadra?”

“Lo siamo stati solo per un anno.”

“Sotto la guida di Erwin Smith?”

Levi assottigliò gli occhi e si prese il suo turno. “Non ho mai ucciso qualcuno per il gusto di farlo.” Attese, ma Zeke non bevve. “Bugiardo.”

“Ho ucciso in guerra,” disse il Titano Bestia. “Non è la stessa cosa.”

“E quanto ti è piaciuto schiacciarci come formiche, bastardo?”

“Levi, credimi, la situazione in cui ci troviamo è sgradevole per me quanto per te.” Zeke sollevò la fiaschetta. “Non ho mai avuto problemi con i miei genitori.” Bevve e Levi fece altrettanto. “Oh, questo mi conforta…”

“Non è come credi, bastardo.”

“E cosa credo?”

Levi sollevò la fiaschetta. “Non ho mai odiato mio padre.” Bevve un sorso.

Suo malgrado, Zeke fece lo stesso. “Non ne usciremo sobri di questo passo,” commetò.

Levi si umettò le labbra. “Lo odi perché si è rifatto una vita lontano da qui?”

“Lo odiavo da prima.”

“Perché?”

“Aspettative troppo alte.”

Levi annuì. “Ne so qualcosa.”

Zeke inarcò le sopracciglia. “Avevo capito che tuo padre non aveva avuto un gran ruolo nella tua vita.”

“Di nuovo… Non hai specificato il legame di sangue,” disse Levi. “O il grado di parentela reale. Se ti cresce, per quanto in modo fuori di testa, è tuo padre. Anche se davanti a lui non lo ammetterai mai.”

Zeke sentì una strada amarezza chiudergli lo stomaco. “Mi dispiace, Levi. Non so di cosa tu stia parlando.”

Levi sollevò di nuovo la fiaschetta. “Sono stato abbandonato,” confessò e bevve un sorso. Attese ma Zeke non si mosse.

“Ho condannato i miei genitori a morte,” confessò con lo stesso tono di chi sta parlando del tempo. “Quindi, no, non mi hanno abbandonato.”

Levi lo fissò in silenzio per un lungo istante. “Eri un bambino.”

“Andiamo avanti, Levi.”

“Lo hai fatto involontariamente?”

“No,” disse Zeke, calmo ma fermo. “Sapevo quello che facevo quando ho portato le guardie da loro.”

“Raccontami la storia,” disse Levi, spingendosi verso il bordo del materasso.

Zeke fece per ribattere. “Sincerità,” aggiunse il Capitano dai capelli corvini. “È il tuo turno.”

“Ti annoierò.”

“Più di così lo vedo improbabile.”

Il Titano Bestia lo fece contento. Se la condanna dei suoi genitori gli fosse pesata come avrebbe dovuto, non sarebbe riuscito a pronunciar parola. Mentre parlava, invece, riuscì solo a pensare che, in fin dei conti, era una storia breve. Aveva già raccontato a Levi del suo legame di sangue con Eren, di come suo padre era fuggito grazie a un Guerriero traditore. La parte in cui i suoi genitori lo avevano messo al mondo per restaurare l’Impero di Eldia era solo un dettaglio in più, come quella in cui li condannava per concedersi una possibilità in quel mondo marcio.

Alla fine della storia, Levi non lo giudico, né disse qualcosa di poco piacevole. “A Eren questo lo hai raccontato?” Domandò.

No, non lo aveva fatto. Eren aveva amato sua madre e, nonostante tutta la rabbia, anche Grisha Jeager. Inoltre, il suo senso di giustizia catastrofico gli avrebbe impedito di accettarlo come fratello se lo avesse visto come il traditore che era. Non che la sua situazione attuale fosse di gran lunga migliore.

“No.” Fu sincero, almeno su quello.

“Bene.”

“Perché?”

“Non meritava di soffrire ancora.”

“Tenevi a Eren?”

“Non è così che va avanti questo gioco, Zeke.” 

Era la prima volta che lo chiamava per nome? Zeke Jeager non ne era sicuro, ma fu la prima volta che la sua voce lo colpì come una pugnalata al cuore. Decise di virare in quella direzione: “mai stato innamorato.”

Non bevve. Se c’era dell’amore nel suo cuore aveva preso la forma del suo affetto per Eren, anche se non si era dimostrato abbastanza per convincere suo fratello.

Levi lo fissò, esitò con la fiaschetta sospesa a mezz’aria. Voleva insultarlo, glielo lesse negli occhi ma non lo fece. Levi Ackerman poteva essere molte cose, ma di sicuro non era un codardo. Bevve un sorso e tenne lo sguardo alto.

Passò un minuto di pesante silenzio, fino a che Zeke non prese parola: “dovresti dire qualcosa in merito.”

“Immagino che il Titano Corazzato lo abbia già fatto.”

“No, Levi. Credimi, ci sono arrivato da solo. Reiner si è limitato a dirmi quello che sanno tutti.”

“E che cosa sanno tutti?” Domandò il Capitano. “Che ero il gatto randagio del Comandante Erwin Smith?”

Zeke inarcò le sopracciglia. “No, questo Reiner non me lo ha detto.”

Levi storse la bocca in una smorfia. “Già… Penso che nemmeno Eren lo sapesse. La mia vecchia squadra lo sapeva, ma credo che Petra non abbia avuto il tempo di raccontarglielo.”

“Sei ubriaco?” Domandò Zeke. “Stai parlando da solo.”

“Meglio la solitudine a una cattiva compagnia, non te lo hanno insegnato?”

“Questo la dice lunga su quello che pensi di me, dato che sono esattamente qui.”

“Perché non parliamo del fatto che tu non abbia bevuto a questo giro?”

“Volentieri.” Zeke non aveva molto da dire, in realtà. “Volevo l’amore dei miei genitori, non credo di averlo mai avuto. Volevo l’amore di Eren, non sono riuscito a salvarlo. Non c’è molto altro che possa dire riguardo all’amore.”

“Ancora una volta pensiamo a cose diverse,” ammise Levi. 

“No, Levi, io lo intendevo in modo romantico… Ma di quello non mi è mai interessato nulla.”

“Mia madre mi ha amato,” ammise Levi. “Non l’ho mai messo in discussione. Forse anche l’uomo che mi ha fatto da padre lo ha fatto.” Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. Dopo aver perso tutto, a un passo dalla morte, era facile gettare uno sguardo indietro e pesare le azioni e le parole di Kenny in modo diverso. “Sono stato amato,” concluse Levi. “In tutti i modi.”

Zeke fece per continuare il gioco, ma si sentì eccessivamente ridicolo a quel punto della sfida. Poggiò la fiaschetta a terra e la lasciò lì, dimenticata. “Era il tuo Alpha?” Domandò apertamente.

Levi alzò gli occhi al cielo. “Non mi piace vederla in questi termini,” disse. “Eravamo due persone con anime affini, credo… O qualche stronzata del genere.”

“È cominciata con il sesso?”

Levi sbuffò. “Cazzo, che essere semplice che sei.”

La verità era che erano entrambi ridotti piuttosto male per essere finiti ad ammazzare il tempo facendosi confidenze. 

“Sono cresciuto in un ambiente militare, Levi. Non ho sentito molte storie romantiche, solo storielle pratiche... Non so se mi spiego.”

“E tu sei mai stato pratico in vita tua?”

“Così mi ferisci.”

“Non è un insulto, non questa volta,” disse Levi. “Non per tutti essere pratici è il primo pensiero.”

“Concordo pienamente.”

“E allora perché quell’uscita spiacevole sugli Alpha.”

“Perché nulla di te mi dice che sei un Omega.”

“Zeke, ti sei sempre atteggiato da bastardo ma oggi sei fottutamente ridicolo!” Esclamò Levi, annoiato. “Sì, in guerra si scopa solo per dimenticare di essere a un passo dalla morte, ma non ha questo effetto per tutti.”

“Già…” Concordò Zeke. “Nella mia posizione, non posso dire di avere cara la mia vita. Se così fosse, non sarei diventato quello che sono, ma non ho mai cercato in nessun altro consolazione per questa mia misera esistenza.”

“Cazzo…” Borbottò Levi, massaggiandosi le tempie. “Io sono quello incatenato su un materasso lurido e tu sembri quello pronto per il patibolo.”

“Non lo siamo tutti dal momento in cui nasciamo?”

“No, basta, non riesco più a sentire questi discorsi di merda.”

“Anche Erwin li faceva?”

Levi si alzò dal letto, dandogli le spalle. Era magro, troppo. Zeke pensò che se avesse continuato a collaborare, avrebbe diminuito la dose della droga nel suo cibo. Magari gli sarebbe tornato l’appetito.

“Parlavamo…” Confessò Levi, fissando la parete di roccia. “È cominciata così: parlando.”

“Ti piace chiacchierare? Non l'avrei mai detto.”

Levi gli lanciò un’occhiata storta da sopra la spalla. “E adesso cosa sto facendo?”

Touché... Anche i miei genitori parlavano un sacco, sai? Lo facevano di notte, quasi sussurrando per non svegliarmi. Io li sentivo comunque, ma senza capirli. A volte ridevano… Non hanno mai riso con me.” Ripensando a quei momenti gli veniva il dubbio che forse Grisha avesse amato Dina. Perlomeno, dell’affetto doveva aver provato per lei, per tutta la devozione che gli dedicava.

Per Zeke era già abbastanza difficile cercare di creare un rapporto con suo fratello, figurarsi con una persona con cui condividere intimamente la propria vita.

“Quindi hai conquistato il tuo Alpha solo parlando?”

“Lo stai facendo di nuovo, bastardo.”

“Scusami, Levi.” Zeke ridacchiò. “La mia esperienza mi mette in difficoltà.”

Levi si voltò. “Un uomo mi ha rispettato, si è sforzato di capirmi e ci è riuscito meglio di chiunque altro. Quell’uomo era Erwin Smith. La mia non è una storia di Alpha e Omega, di dominio o di dominato… Eravamo solo due persone che hanno costruito qualcosa in mezzo alla distruzione. Eravamo una storia come cento altre di chi ha indossato le Ali della Libertà. E come di consueto, alla fine, solo uno di noi è rimasto in piedi.” Recuperò la sua fiaschetta dal materasso e prese un lungo sorso.

Non stavano più giocando, ma aveva bisogno di stordirsi un po’.

Zeke poteva comprendere la ragione: la circostanza lo portava a parlare di sé e di Erwin, ma questo non significava che non facesse male nominare il suo amante caduto in battaglia. Se solo il Capitano dei Guerrieri avesse potuto sentire almeno la metà di quello che sentiva lui, forse quel discorso sull’amore avrebbe avuto più senso.

Pensò a Eren, a quel ragazzo di nome Jean con cui pareva aver assaggiato un po’ di quello di cui parlava a Levi. Pensò a Reiner e ai suoi goffi tentativi di nascondere l’attrazione che provava per suo fratello. Loro ce l’avevano fatta a non far marcire completamente il loro cuore. Zeke era morto dentro da prima che Eren venisse al mondo.

“Perché continuare a combattere?” Domandò il Capitano dei Guerrieri. “Avevate quello che a Marley si può solo sognare: un legame tra Alpha e Omega basato su rispetto e fiducia. Che senso ha avuto volare fino a Shiganshina?”

Levi non si era mai concesso il lusso di porsi quella domanda. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ripensare a ogni istante passato con Erwin e interrogarsi sul reale valore di quel tempo passato insieme. 

Sì, lo aveva amato.

No, non glielo aveva mai detto.

Ma Erwin? 

Non gli aveva mai fatto promesse vuote. Non gli aveva mai mancato di rispetto e non gli aveva mai mentito. In quell’ultimo istante insieme, Erwin aveva smesso di essere il Comandante per mostrargli la più intima delle sue debolezze e Levi l’aveva accolta.

Grazie, Levi.

Il Capitano della Legione Esplorativa prese un altro generoso sorso di liquore. “Per la libertà,” rispose. “Per la verità.”

Tornò a guardare Zeke, ma nei suoi occhi non trovò la pietà che si era aspettato ma invidia.

“Perché mi guardi in quel modo?”

“Perché sei vivo,” rispose Zeke, alzandosi in piedi con un sospiro. “Nonostante tutto, nonostante tutti, sei vivo.”
 
-19 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-


A giudicare dal vassoio vuoto fuori dalla porta, Reiner dedusse che Eren aveva mangiato, ma non si era fatto vedere dal giorno del loro arrivo.

“Beh, di sicuro è vivo,” commentò Pieck, appoggiata alla sua stampella.

“Non lo abbiamo portato qui per tenerlo chiuso in una stanza,” obiettò Colt, ma con tono pacato. “Il Capitano Zeke vorrebbe-“

“So bene cosa il Capitano Zeke vorrebbe, Colt!” Esclamò Reiner. Si ricompose immediatamente. “Scusami…” Aggiunse, poi bussò alla porta chiusa per tre volte. “Eren?” Chiamò. “Eren, non puoi rimanere chiuso lì in eterno.”

“Non ci si è chiuso da solo,” gli ricordò Pieck.

Reiner perse la pazienza e spalancò la porta della camera. “Eren!” Qualunque cosa volesse urlargli contro morì sul nascere: la stanza era vuota.

Il Titano Corazzato avvertì una stretta al petto mentre il panico saliva. “Dove diavolo è andato?”


Quando l’auto era entrata nel cortile del quartier generale, Eren aveva notato un secondo edificio accanto a quello principale. Sebbene lo superasse in dimensioni, gli era sembrato tanto simile alle scuderie in cui aveva passato giornate intere sia durante l’addestramento che dopo, quando Levi lo aveva preso nella sua squadra.

A differenza di altri, Eren non si era mai lamentato del lavoro con i cavalli. Erano le ore sui banchi quelle soffriva meno. Lavorare nelle scuderie spezzava la schiena, ma i cavalli ricordavano chi si prendeva cura di loro e ripagavano in lealtà.

Era stato Levi a insegnarglielo ed Eren aveva dovuto dargli ragione.

Si avvicinò all’edificio quasi saltellando, ma sentì la delusione smorzare il suo entusiasmo non appena ne varcò l’ingresso. L’assenza di odore di fieno lo informò che quel luogo di scuderia aveva solo l’aspetto esteriore.

Non c’era l’ombra del cavallo, solo auto. Alcune erano integre, altre mancanti di qualche pezzo. Alle pareti erano appesi attrezzi di ogni tipo, di cui Eren poteva solo intuire l’utilizzo. Alcuni gli ricordavano quelli necessari alla manutenzione del 3DMG.

Quel mondo non aveva bisogno della tecnologia che per lui era fondamentale. Marley non combatteva contro l’oscurità dell’ignoto, possedeva tutte le conoscenze che Hanji aveva solo potuto inseguire. Quella che i suoi soldati combattevano non era nemmeno una guerra contro dei mostri. Al contrario, i mostri erano la sua arma principale.

Anche Eren si era ritrovato a rivestire quel ruolo, sebbene non come schiavo di un governo tiranno - quello che aveva preceduto l’ascesa di Historia avrebbe voluto farlo a pezzi e studiarlo - ma sentiva di non avere nulla in comune con i Guerrieri che erano divenuti le sue balie. 

Il suo risentimento verso Reiner e Zeke era ormai noto e di carattere strettamente personale. Diversa era la questione nei confronti di Pieck e Porko. Lei poteva essere gradevole, lui neanche un po’. In quanto all’erede del Titano Bestia, Colt, gli sarebbe piaciuto non avere i suoi occhi continuamente addosso.

Invece, quei due ragazzini che orbitavano intorno a Reiner - e di conseguenza a lui - gli facevano tenerezza: se lei avesse potuto ucciderlo lentamente e dolorosamente lo avrebbe fatto senza esitazioni; lui, invece, era tanto occupato a evitare che la sua compagna di giochi si cacciasse nei guai che non dava alcuna importanza alla presenza delDemone.

In mezzo a tutti questi nuovi personaggi, forse avrebbe dovuto dare peso al fatto che uno di loro fosse suo fratello ma, no, quella parola non aveva alcun significato per lui. La sua famiglia era morta a Shiganshina, in parte da cinque anni e in parte poco più di due settimane prima.

Armin e Mikasa erano morti e lui perdeva tempo a sentirsi deluso per l’assenza di cavalli in quella che sembrava una scuderia ma non lo era davvero.

Eren inspirò profondamente dal naso e cercò di ricacciare le lacrime indietro.

“Che cosa ci fai qui?”

Eren trasalì, ma gli bastò un istante in più per riconoscere quella voce sgradevole. Porko era sull’ingresso dell’edificio e l’osservava con una sigaretta accesa tra le labbra. “Dov’è Reiner?”

“Non è qui,” rispose Eren, astioso. “Con permesso,” aggiunse, con tutte le intenzioni di andarsene.

“Conosci la strada per tornare nella tua stanza?” Domandò Porko.

Eren inarcò le sopracciglia. “L’ho memorizzata piuttosto velocemente,” rispose col tono di chi dice una cosa ovvia.

“Questo posto può essere un labirinto.”

“Prova a cavalcare su di una pianura tutta uguale mentre corri per la tua vita e poi vedremo!”

“Cavalcare?” Era il turno di Porko di essere perplesso. “A casa tua eri un nobile o un borghese benestante?”

Avere un medico per padre aveva permesso a Eren di avere un’infanzia serena. Non erano mai stati poveri, ma nemmeno ricchi. Grisha Jeager aiutava tutti, anche chi non si poteva permettere un pezzo di pane.

“Sai bene chi era mio padre,” rispose.

“E tua madre?”

“Prima di sposarsi, era un cameriera.” Eren sbuffò. “Ma perché te lo sto dicendo?”

Porko fece per rispondergli male, ma ci ripensò. “In questo mondo, i cavalli sono solo per le persone ricche… Al massimo per qualche agricoltore benestante.”

Eren comprese perché non ne aveva visto nessuno per le strade di Liberio. 

Porko prese la sigaretta tra le dita e buttò fuori una nuvola di fumo. “Quindi sai andare a cavallo.”

Eren decise di mettere da parte l’ostilità. “Dalle mie parti è una necessità.”

“Accetti un consiglio?”

Il quindicenne annuì.

“Cerca di far cadere questo dettaglio nella conversazione quando il Capitano Zeke ti porterà di fronte ai grandi capi.” Porko gettò la sigaretta a terra e la spense col tacco del suo stivale. “I signori della guerra se ne fregheranno, ma i nobili ne saranno piacevolmente sorpresi.”

Superò Eren, spostandosi verso il fondo del grande salone pieno di auto. Il quindicenne gli andò dietro. “Pensavo che Zeke volesse fare di me un soldato di Marley.”

Porko ridacchiò. “Continui a sottovalutare la tua posizione.”

“La mia posizione cambia a secondo della persona con cui parlo: Zeke mi ritiene perfetto per essere un guerriero, Reiner neanche un po’. Tutti hanno qualcosa da dire sul mio futuro, ma nessuno si disturba a chiedere la mia opinione in merito.”

“Non devi avere un’opinione.” Porko si fermò di fronte a qualcosa che aveva le ruote - solo due - ma non poteva essere un’auto. “Questa è la prima regola che devi imparare se vuoi sopravvivere: ogni giorno che respiri appartiene a Marley. Nulla è tuo, tantomeno il tuo corpo… Non con il potere che contiene. Inoltre, sei un Omega.”

“Questo non deve interessarti!” Sbottò Eren, arrossendo, ma i suoi occhi erano tutti per quello strano mezzo che Porko stava studiando con tanta attenzione. Aveva una sella, come un cavallo e dedusse che si montasse nello stesso modo.

“Che cos’è questo?” Domandò, alla fine, pur sapendo che avrebbe fatto la figura dell’idiota.

Di fatto, Porko scoppiò a ridere. “Parli di questa bellezza?” Si alzò in piedi e si fece da parte, permettendo a Eren di dare un’occhiata da vicino. “È una motocicletta.”

Eren poggiò la mano sulla sella. “Anche questa si muove da sola con le auto?”

“Beh… Ha un motore.”

“Voglio farci un giro!” Esclamò Eren, cercando di montare.

“Ehi, fai attenzione!” Porko lo strattonò per un braccio. “Non sapresti mai guidarla, vuoi forse ammazzarti?”

Eren scrollò le spalle. “Non posso… Ricordi?”

Porko alzò gli occhi al cielo. “Se ti rompi il collo, senti l’osso rompersi e provi tutto il dolore che una persona normale non potrà mai conoscere perché muore prima di arrivarci!”

Eren sbuffò. “Sì, grazie delle ovvietà, Porko!” Esclamò. “Mi hanno fatto a pezzi, so come funziona! L’ultima volta che mi sono ritrovato senza gli arti è stato proprio grazie ai tuoi amichetti: Reiner e Berthold.”

Porko strinse le labbra. “Non sono miei amici,” disse, serio.

Sì, Reiner gli aveva raccontato la storia di Marcel, ma Eren dubitava che nominare il fratello perduto fosse una buona idea. “Perché la guardavi tanto prima?” Domandò, indicando la motocicletta.

“Volevo assicurarmi che nessuno avesse fatto danni in mia assenza.”

“È tua?”

“Diciamo che l’ho rimessa in strada.” Porko accarezzò la sella con affetto.

Eren lo guardò dritto negli occhi. “Voglio farci un giro,” ripeté, fermo.

“E se ti faccio fare un giro, che cosa mi dai un cambio?” Domandò Porko, con aria di superiorità.

Eren aprì e chiuse la bocca un paio di volte, basito. 

“Tranquillo!” Porko scoppiò a ridere. “Avresti dovuto vedere la tua faccia! Rilassati, Demone, non m’interessa se sei un Omega… Ricorda solo che non sarà lo stesso con le persone che dovrai incantare.”

Eren inarcò le sopracciglia. “Incantare?”

Porko scrollò le spalle. “Per come stanno le cose a Marley, potrebbero liquidarti facendoti divorare.”

“Ma Zeke vuole impedire che accada.”

“Perché funzioni avrà bisogno di consensi e tutto ti può essere utile… Anche quel bel faccino da stronzetto che ti ritrovi,” Porko ridacchiò sotto i baffi, mentre saliva in sella alla sua motocicletta.

“Sono un soldato,” disse Eren, fermamente. “Non una bambola.”

“No, sei un soldato giocattolo, è ben diverso,” replicò Porko. “Allora?” Indicò la motocicletta con un cenno del capo. “Vuoi fare un giro?”

Eren si accomodò dietro di lui e non appena udì il rombo del motore, si tenne forte.




La fanciulla dormiva serena, distesa sulla schiena.

Una mano poggiata in grembo e l’altra posata vicino al viso.

I suoi capelli erano onde corvine che creavano un splendido contrasto con il cuscino bianco e la camicia da notte che indossava. Il seno era piccolo, appena visibile dalla scollatura, le gambe rimaste scoperto nel sonno erano ben disegnate, così come il suo viso.

Era bella.

Era molto bella.

Le belle labbra s’imbronciarono, forse a causa di un brutto sogno.

Si stiracchiò. Le ciglia lunghe fluttuarono, rivelando alla luce della luna due bellissimi occhi azzurri.

Si sollevò dal letto lentamente, come se avesse paura che il pavimento non avrebbe retto il suo peso. I capelli neri ricaddero lungo la sua figura esile.

Sollevò lo sguardo sul suo riflesso nello specchio.

Ed ebbe l’impressione che stesse guardando anche lui.




E Levi Ackerman si svegliò nella sua cella, illuminata dalla luce della luna piena.





 
   
 
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