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Autore: mercutia    03/07/2021    0 recensioni
L'esperienza in Caerdicca Unitas ha cambiato Imriel, ma ha solo parzialmente rimosso la tensione dal suo rapporto con Phèdre. Per quanto sia felice di riaverlo a casa, a pochi mesi dal suo ritorno è chiaro che ancora tra loro esistano questioni in sospeso, attriti spinosi e ingombranti che solo una persona al mondo dice di poter dissipare. Con questa promessa Mélisande Shahrizai rientra improvvisamente nella vita di Phèdre, proponendole un patto controverso per quanto irrinunciabile.
A dodici anni di distanza la prescelta e l'erede di Kushiel si ritrovano faccia a faccia: chi delle due avrà la meglio nel loro eterno duello d'amore e d'odio?
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La storia è narrata dal punto di vista di Phédre anche se si colloca nella seconda trilogia, per la precisione dopo "Il sangue e il traditore", di cui però ignora il finale in cui Imriel decide di leggere le lettere di sua madre.
[fanfiction Phédre/Mélisande]
[piccoli spoiler fino a "Il sangue e il traditore"]
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Joscelin Verreuil, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay, Ysandre de la Courcel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Partimmo poco dopo per la villa di Lord Sigàn. Viaggiammo su due carrozze separate, su proposta di Mélisande: una per lei ed Emeric, una per me e Joscelin. 
«Suppongo abbiate bisogno di scambiare due parole in privato» ci aveva detto. Ed era vero più che mai, ma il fatto che sistematicamente prevedesse ciò che pensavo mi spaventava ogni minuto di più. Se, com'era lecito sospettare, quella che aveva architettato era una trappola, ci stavo finendo dentro tutta intera. Ma di questi timori non avrei fatto parola con Joscelin, non ancora. 
«Sarai soddisfatto» esordii invece appena si chiuse la portiera della nostra carrozza. 
Lui ovviamente si scusó ancora, anche se non era del tutto convinto di aver sbagliato. Torto o ragione che avesse, quello che mi importava sapere era come uno come lui si fosse fatto catturare con tanta facilità da un uomo solo. 
«Mi ha colpito con un dardo. Il tempo di sentire la puntura, staccarmelo dalla spalla e ho perso i sensi. 
Quando mi sono svegliato avevo le mani legate dietro la schiena, un bavaglio sulla bocca e quell'Emeric era seduto davanti a me.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«Nemmeno una parola. Nemmeno quando mi si è avvicinato perché doveva portarmi da voi e ho tentato di ribellarmi alla sua presa.»
«Hai tentato e non sei riuscito?»
«Mi ha immobilizzato con mosse da manuale. Sa il fatto suo, oltre a essere ben allenato.»
«Un solo assistente per un viaggio così pericoloso, non può certo essere un uomo qualunque.»
A quel punto gli raccontai cosa mi aveva detto Mélisande, dell'incontro con Imri, della festa che voleva organizzare e del ruolo di Emeric. La sua reazione fu simile alla mia, solo più rabbiosa. 
«E tu hai intenzione di permetterle di fare una cosa del genere? Eri venuta per dettare le tue regole!»
«Se ci rifletti bene gioca tutto a nostro favore. Non mi ha vietato di mettere guardie e non ha posto limiti sul loro numero, purché stiano all'esterno della villa. Tu solo potrai entrare, così potrai controllare Emeric da vicino.»
«Secondo i nostri piani avremmo dovuto tenere d'occhio solo lui e Mélisande. Invece potrebbero esserci altre ventisei persone. Ti rendi conto di quanto sia diverso?»
«Anche questo potrebbe essere un vantaggio per noi, se ci pensi. I servi di Naamah possono essere inconsapevolmente nostri alleati, come guardie all'interno della villa: per volere di Mélisande stessa le regole saranno ben chiare, chiederò in più che qualsiasi effrazione noteranno sia riferita immediatamente a me o a te.»
«O a lei. 
Chi ti dice che non abbia pedine tra gli ospiti? Soprattutto tra quelli di casa Mandragora.»
«Lei non avrà spazio di manovra. Sarà per tutto il tempo sotto il mio controllo.»
A quelle parole tiró la mascella in modo vistoso. 
«Quanto lucidamente?»
«Ne va della vita della Regina!» risposi stizzita. 
«La vita della Regina vale per te più di quella di Lord Delauney?»
«Cosa c'entra? È successo una vita fa. Ancora non la conoscevo davvero. Ero giovane, ingenua… » Innamorata «Nemmeno Delauney aveva sospettato di lei, come avrei potuto farlo io?
Ora è tutto diverso. E lo sa anche lei.»
«È proprio questo che mi preoccupa.» sentenzió lui. 
Non potendo dargli torto, non replicai. E il mio silenzio fu più eloquente di qualsiasi cosa avrei mai potuto dire. Joscelin distolse lo sguardo da me per gettarlo oltre il finestrino e io ringraziai Elua quando, poco dopo, sentii fermarsi la carrozza perché eravamo arrivati a destinazione. 
Mélisande fu l'ultima a scendere dalla carrozza, so che lo fece di proposito, lo capii dal modo in cui guardó me, poi la villa una volta scesa. Quel luogo avrebbe suggellato il nostro incontro, la seconda notte in cui sarei stata sua, dopo così tanto tempo, dopo così tanto odio. E infinito desiderio. Detestai l'intesa dei nostri sguardi, il fremito del mio corpo, l'angoscia che saliva all'idea che sarebbe stato anche il nostro addio. 
Purtroppo non fui la sola a notarlo: con orribile ritardo mi resi conto che Joscelin mi aveva girato le spalle, probabilmente per non vedere il misero spettacolo del fascino che Mélisande sapeva esercitare su di me. D'istinto andai per toccarlo, dargli un segno del fatto che sapevo che lui era lì, ma Elua solo sapeva quanto un simile gesto avrebbe potuto soltanto peggiorare la situazione, sancendo l'ammissione della mia vulnerabilità. Per questo finsi che non fosse accaduto nulla e lo oltrepassai per avvicinarmi all'ingresso della villa che Emeric aveva già aperto. 
Ci trovammo in un ampio disimpegno che separava il portone dagli ambienti interni della villa. Il lato frontale era costituito da un arco sul quale pendeva una pesante tenda, mentre ai lati si trovavano due porte. 
«Gli ospiti entreranno uno alla volta, senza incontrarsi prima.» cominciò subito Mélisande. «Si fermeranno qui, dove tu, Phèdre, li accoglierai, invitandoli a spogliarsi per indossare solo maschera e mantello. Così facendo sarai certa che nessuno possa introdurre armi o qualsiasi altro oggetto pericoloso.»
«Voi dove sarete?» domandai. 
«Dove preferisci. Con Imriel, qui con te, al buio chiusa in una stanza… scegli tu.»
«Emeric?»
«Lo stesso.
Solo un suggerimento, per il cassiliano: lui dovrebbe essere qui all'arrivo degli ospiti, così da vederli senza maschera e poterli riconoscere quando se ne andranno il giorno dopo… In caso tu, Phèdre, non possa dar loro commiato di persona.»
Elua! All'alba io e lei avremmo potuto essere ancora insieme. All'alba avrei potuto non essere vagamente presentabile. All'alba avrei potuto non essere in grado di reggermi in piedi. E nessuno poteva saperlo meglio di Joscelin, lui che mi era venuto a prendere quella mattina, dopo la notte in cui lei era stata mia patrona. Ricordo ancora alla perfezione il suo sguardo sbigottito nel vedermi in quello stato. E allora non era innamorato di me. Allora era stata solo la sua sensibilità a essere ferita. 
Davvero potevo fargli una cosa del genere? Avrei voluto dire di no, ma più opponevo la mia razionalità, più il bisogno che avevo di lei vibrava nel mio corpo. Non potevo dire di no. Non ci riuscivo. 
«Faremo così» la voce sicura di Joscelin mi riscosse da quei pensieri «Voi starete con Imriel fino all'arrivo di tutti gli ospiti. 
Emeric starà subito fuori dal disimpegno in modo da occuparsi dei mantelli e dei vestiti degli ospiti senza vederli finché non saranno mascherati. 
Io sarò davanti all'ingresso, così potrò scortare gli ospiti dalle carrozze fino all'interno.
E, se sarà necessario, darò loro il commiato l'indomani.»
Mélisande sorrise. 
«La devozione del tuo cassiliano, Phèdre, è encomiabile.»
La beffa era più che ovvia, come se tutta quella situazione non fosse già abbastanza pesante per le spalle di Joscelin. Stavo per dire nemmeno io sapevo cosa per cercare di smorzare la tensione, ma lui mi precedette. 
«Prendetevi pur gioco di me. Sarò io a sorridere quando voi non potrete più farlo.»
Mi volsi immediatamente a guardare la reazione di Mélisande e con enorme stupore non ne vidi alcuna: né un sorriso beffardo, né uno sguardo di sfida, men che meno una anche solo vaga traccia di rabbia o paura. 
«Ti sei mai chiesto che uomo saresti diventato, se il tuo destino non avesse incrociato quello di Phèdre?» chiese però, con quell'aria inespressiva. 
Lui la guardó interrogativo. 
«Un cassiliano tanto passionale e mosso da sentimenti abietti come l'ira e la vendetta dubito avrebbe potuto mantenere i voti molto a lungo.»
Invece di intervenire, trattenni il fiato e restai a fissare sgomenta i due.
«Perché mi provocate in questo modo?»
Mélisande alzò le spalle e disse serena «Per lo stesso motivo per cui tu da sempre mi odi: viene naturale.»
«Mélisande» quasi mi stupii di sentire la fermezza della mia stessa voce «State decisamente esagerando!»
«Lascia che si diverta Phèdre, lascia pure che canti il suo ultimo atto come meglio crede. Siamo quasi al gran finale.
Ora vogliamo piuttosto procedere con l'ispezione?»
Mélisande annuì e fece quasi un inchino «Se qui avete già controllato abbastanza, possiamo certamente andare.»
Io non avevo fatto molto in verità, mentre Joscelin invece aveva ispezionato i muri e i drappi della tenda palmo a palmo, per questo cercai in lui una risposta. 
«Proseguiamo» disse. 
Invece di dirigerci verso il salone principale, Mélisande decise di farci passare dalle cucine e le sale da pranzo, cui si accedeva dalla porta sul lato destro del disimpegno. Gli ospiti non avrebbero avuto accesso a quegli ambienti, che sarebbero stati invece il territorio di Emeric, il quale ci mostrò tutto ciò che avrebbe usato, compresi montacarichi e passaggi riservati alla servitù. Il fatto che ci fossero cunicoli non ben visibili preoccupó sia me, che Joscelin, motivo per cui l'ispezione fu decisamente più approfondita rispetto a quella dell'ingresso. Emeric non fiató per tutto il tempo, fu sempre Mélisande a rispondere alle nostre domande, meticolosa ed esaustiva. 
Dopo le cucine, passammo alle sale del piano superiore, che sarebbero state il vero teatro della festa. Vi era un ampio salone collegato al piano di sotto da una scala di marmo ricoperta da un tappeto rosso. Ai lati del salone due navate più strette offrivano altro spazio, concedendo al contempo angoli più appartati. Ovunque erano disseminati poltroncine dalle varie forme, tavoli e tavolini, centinaia di candele che avrebbero scaldato l'atmosfera, alcuni strumenti musicali e qualche paravento utile a chi desiderava un po' di riserbo. Non mancavano ovviamente oggetti a scopo erotico di ogni tipo. Il disagio di Joscelin era evidente, per quanto cercasse di fingere il contrario in modo pietoso. Altrettanto malamente Mélisande nascondeva il suo divertimento in proposito, nonostante il diverbio di poco prima. Capii che non potevo fare troppo affidamento sulla scrupolosità del mio accompagnatore, data la sua difficoltà nel maneggiare quel materiale, quindi controllai tutto io. Fu ancora Mélisande a rispondere alle mie domande, lei a confermarmi che, vivande a parte, Emeric aveva già preparato tutto per la festa dal momento che, una volta coinvoltami, aveva sperato di concludere tutto in pochissimi giorni. Lei ad ammettere che aveva organizzato e raccolto tutto quanto le occorreva per mesi. Lei a spiegarmi che la poltrona sul palchetto davanti alla vetrata in fondo al salone sarebbe stata il mio seggio, da cui potevo osservare gli ospiti, mentre lei sarebbe stata al mio fianco, in piedi, come una servile dama di compagnia. 
«E questo cos'é?» chiesi notando una cordicella collegata a una campanella. 
«Servirebbe per chiamare la servitù: la cordicella fa suonare sia questa campanella che una in cucina. Per la festa non servirà.»
Attesi un momento, riflettendo, poi esposi la mia idea. 
«Potrebbe servire invece.»
La provai. Il suono era chiaro, ma il suo scopo era quello di non disturbare, facile immaginare che non si sarebbe udito nulla con una trentina di persone in sala. Dubitavo che quella in cucina fosse molto più potente e a me serviva qualcosa di udibile anche dall'esterno. Guardai Mélisande. 
«Sostituiremo questa campanella e quella in cucina con qualcosa di più rumoroso. Nel caso qualcuno abbandoni la festa prima del dovuto o nel caso accada qualcosa di sconveniente, gli ospiti saranno tenuti a usare questa e a riferire l'accaduto a me o a Joscelin.
Riconosceranno me perché indosseró il mio mantello sangoire. Anche il vostro mantello sarà diverso dagli altri e nessuno dovrà avvicinarvi.»
Mélisande osservó pensierosa la campanella e, dopo una lunga pausa, acconsentì. 
Finita l'interminabile ispezione di tutto il piano, scendemmo la scalinata per tornare all'ingresso e dirigerci quindi verso il lato che ancora non avevamo visto, dove si trovavano le stanze private. Erano tre ambienti di diversa dimensione, ognuno suddiviso al suo interno da camere dalle varie funzioni. La stanza più piccola, nell'idea di Mélisande, non aveva uno scopo definito, potevo usarla io a mio piacimento se ne avessi avuto bisogno. La stanza di mezzo sarebbe stata il luogo dell'incontro tra lei e Imri. Nel salotto al suo interno c'erano lettere, documenti e libri che Mélisande mi lasció sfogliare, spiegandomi che si trattava principalmente di materiale relativo alla sua famiglia e al legame che questa aveva con Kushiel. Rabbrividii nel toccarli, sapendo quanto il loro contenuto riguardava nel profondo anche me. 
Le stanze principali, infine, avrebbero accolto me e Mélisande durante la notte. Sapendo che anche quell'ambiente era già stato preparato al suo compito, prima di entrare guardai Joscelin, pregando che decidesse di restare lì fuori. 
Non lo fece. 
Entrammo dapprima nell'ampio ed elegante salotto, poi attraversammo lo studiolo, dove Mélisande chiese a Emeric di attenderci. Ci affacciammo quindi alla camera da letto. Mi bastó una veloce panoramica per sentire le gambe che venivano meno e dovermi sostenere stringendo la cornice della porta, mentre avvertivo lo sguardo di Mélisande godere della mia reazione. 
La stanza era poco adorna, ma sui muri erano ben evidenti i segni lasciati dalle decorazioni che l'avevano riempita fino a poco tempo prima. Doveva essere stata Mélisande stessa a volerla così e la ragione era per me fin troppo semplice da intuire: tutta l'attenzione doveva andare alle poche cose che c'erano. Al muro del lato destro, oltre il camino, era appoggiato un grande specchio, che rifletteva una sorta di poggiapiedi in pelle che gli stava a circa un metro e alla cui base erano fissate catene dotate di polsiere e cavigliere; davanti a questo troneggiava una fastosa poltrona di velluto rosso; il lato opposto della stanza era occupato dal possente letto a baldacchino con le sue tende e la sua coperta in tinta con la poltrona. La mia fervida immaginazione figuró immediatamente l'uso di quegli oggetti: non eravamo nemmeno entrati che già vedevo Mélisande seduta su quel trono e io inginocchiata, ricurva e legata a quella specie di sgabello ad attendere il suo tocco. Piantai le unghie nel legno della porta e chiusi lenta gli occhi per placare la mia dannata, languida sete. 
«Non entrate?» disse innocua la voce di Mélisande. 
Quando ritrovai il coraggio di guardare, il sorriso della donna mi accarezzó, denso di malizia, colmo di promesse. Lo fissai inerme, incapace di sottrarmi al suo muto richiamo, mentre una voce bisbigliava lontana alle mie spalle «Phèdre?». 
Temo che non fosse la prima volta che Joscelin mi chiamava, quando lo capii e finalmente mi girai verso di lui. 
«Non ci riesco» sussurró triste «Non posso entrare lì dentro. 
Ti prego, fai attenzione a tutto.»
Gli posai entrambe le mani sul petto, le lacrime che mi pungevano gli occhi per la compassione che provavo per la fiducia che mi dimostrava ancora una volta e per l'impenitenza del mio corpo. Non dissi una parola. Cosa diamine avrei potuto dire? 
Lui fece un passo indietro guardandomi con paura e - Elua! - con amore, nonostante tutto, poi spostó gli occhi dietro di me, verso Mélisande. Per lei non aveva che profondo rancore. 
Mi voltai a fronteggiarla. 
«Non azzardatevi a commentare» sibilai. 
Lei sorrise. Sorrise soltanto. 
Ah, Elua! Tanto bastó per cancellare quel minimo di risentimento che aveva creato vedere il dolore che davo all'uomo che amavo. Fosse dannata lei e la sua bellezza. Fossi dannata io e la morbosa attrazione che nutrivo per lei. 
Entrai. 
Dapprima perlustrai i muri, il camino, le finestre, le candele disseminate a gruppi qua e là e la piccola stanza da bagno attigua, quindi mi avvicinai al letto: ai pali del baldacchino erano già fissati legacci di pelle, spostai le tende, alzai la coperta per vedere se avesse nascosto qualcosa, guardai persino sotto, appoggiando il viso al morbido tappeto nero che correva dal letto alla parete opposta. Quindi passai alla poltrona, cercando nemmeno sapevo cosa tra i suoi cuscini. Infine il poggiapiedi, al quale era ovvio sarei stata legata. Era dura non farsi catturare dalla fantasia e dal desiderio, ma dovevo restare lucida. Mi chinai a sollevare le catene, vedendo così che erano collegate tra loro ed erano soggette a un sistema di blocco e rilascio manovrabile da una sola catena che arrivava ai piedi della poltrona. Lì a terra c'era inoltre un bauletto, di cui potevo sospettare il contenuto, motivo per cui mi bloccai a fissarlo. 
«Sei libera di aprirlo» disse la voce di Mélisande dietro di me. 
Lentamente lo feci. 
Fruste, scudisci, bavagli, bende, pinze, qualche oggetto che avrei dovuto guardare meglio per capirne la funzione e le flechettes. Chiusi gli occhi vedendole e mi parve di avvertire il loro tocco che scendeva dal mio seno, sul mio ventre, fino all'inguine. La mia voce che gridava il signale. Erano passati circa trent'anni e in tutto quel tempo non avevo più permesso a nessuno di usarle. 
«Le ricordi?» sussurró proprio accanto al mio orecchio. 
Chiusi il baule e mi scostai da lei. 
«Ricordo» risposi. Volevo sembrare fredda, ma temo che la mia voce sia uscita quasi come un gemito. 
Restammo in silenzio a lungo, lei dietro di me e io ferma lì, incapace di fermare il misto di ricordi e fantasia che domava la mia mente. 
«Non hai nulla da chiedere?» mi domandó poi. 
Mi sforzai di distogliere lo sguardo da quel mobilio per riguadagnare lucidità. Dopo un lungo silenzio tornai a parlare, ma non mi volsi a guardarla. 
«Qui dentro avrete il potere di farmi qualunque cosa, compreso privarmi della libertà. Come posso sapere che non ne approfitterete?»
«Oh, Phèdre. Da te non mi aspetto domande tanto sciocche. 
Il nostro è un gioco che ha regole ferree, lo sai bene: cieco abbandono da una parte, rigoroso rispetto dall'altra. Se hai dubbi su questo, possiamo fare a meno di continuare a parlare.»
«Avete ragione, ma ammetterete di aver messo alla prova la mia fiducia troppe volte perché io possa accontentarmi di regole date per scontate.»
«Dunque cosa vuoi?»
A quel punto mi girai verso di lei. 
«Che mi giuriate che non approfitterete della mia mancanza di libertà per ricatti o peggio.»
«Ricatti?» chiese sollevando le sopracciglia stupita. 
«Non vorrei trovarmi ad essere usata da voi come merce di scambio per aver salva la vita.»
A quelle parole rise di gusto. 
«Ti facevo meno fantasiosa» disse poi. 
«Siete disposta a giurare che non farete nulla del genere?»
«Come vuoi.»
Allora si fece seria. 
«Nel nome di Kushiel, ti giuro che non userò te per aver salva la mia vita e che nessuno degli oggetti presenti in questa stanza avrà ruolo diverso dal nostro reciproco piacere.
Vuoi che lo ripeta più forte perché senta anche il tuo cassiliano?» concluse indicando la soglia oltre la quale Joscelin stava di spalle. 
La fissai innervosita. 
«Lo trovate davvero così divertente?»
«Tu no? Sinceramente?»
«Da quando ho accettato la vostra richiesta siete diventata sfrontata. Vi ricordo che devo ancora parlare con Imri.»
«È una minaccia?»
«Se continuate a prendervi gioco di noi potrebbe diventarlo.»
«Non lo faresti mai.»
«Volete mettermi alla prova?
Il gioco che c'è tra noi prevede rispetto da parte vostra. Se volete la mia fiducia, pretendo quel rispetto fin da ora, per me e il mio consorte.»
«D'accordo. Come vuoi.»
Attesi inutilmente di vedere tracce di convinzione nella sua espressione, quindi mi arresi e passai ad altro. 
«C'è qualche altra condizione che vi pongo.»
«Sentiamo.»
«Non sarà Emeric a preparare le vivande. Se ne occuperanno i miei domestici per poi portare tutto qui. Emeric dovrà solo servire.»
«Temi così tanto che possa drogarti?»
«Joscelin è stato colpito da un dardo anestetizzante solo poche ore fa.»
«Il cassiliano non doveva seguirti. Ha infranto le regole.»
«E proprio questo ha dimostrato che siete pronta a infrangerle anche voi e che avete gli strumenti per farlo.»
«Mi hai presa per una sprovveduta, forse? Ad ogni modo accetto che i tuoi domestici si occupino del rinfresco, ma non posso accettare un andirivieni di estranei tra qui e la tua magione. Al trasporto penserà Emeric.»
«Insieme a Joscelin.»
Mélisande annuì sospirando «Te lo concedo.»
Senza altri indugi mi avviai verso l'uscita prima di farmi ricatturare dalla vista del teatro della nostra imminente notte insieme. 
«Hai visto abbastanza?» mi bloccò la voce di Mélisande «Sei sicura di non voler sapere nulla su quanto accadrà qui dentro?»
«A che scopo?»
«Non so. Vietarmi qualcosa. Darmi dei limiti.»
La guardai. 
«Mélisande, vi ricordo che mi avete appena promesso di non prendervi più gioco di me.»
«Volevo solo accertarmi del fatto che tu sia ancora la stessa di tanti anni fa.»
Scappai dalla malizia dei suoi occhi, prima che diventasse troppo faticoso farlo e lasciai la stanza per tornare da Joscelin ed Emeric. Quando ci raggiunse anche Mélisande riferimmo loro dell'accordo in merito la preparazione e il trasporto del rinfresco, trattammo su qualche altro dettaglio e infine lasciammo la villa. 
L'indomani avrei parlato con Imri e poi sarei tornata da Mastro Louis per posare. 
«Lasciagli tutto il tempo per decidere» mi disse Mélisande prima di farmi salire in carrozza «E, se puoi, non parlargli del patto fatto in cambio di questo incontro. L'ultima cosa al mondo che vorrei è la sua compassione.»
Quando l'argomento era Imri ogni traccia di insolenza svaniva dal suo atteggiamento: era davvero preoccupata che lui non accettasse di vederla e non le riusciva minimamente di nascondermi il dolore che le dava quella paura. La capivo bene, per questo provavo pena per lei e sentivo il bisogno di rassicurarla, ma in cuor mio dubitavo che i suoi timori fossero infondati e non me la sentivo di mentirle. L'unica premura che le potevo concedere era tenerle lontano Joscelin in momenti come quello, sapendo che lui avrebbe usato quella vulnerabilità per vendicarsi. 
Così feci. 
Ma non mi bastó e tornai a casa con addosso tutta la tristezza di quegli occhi blu che mi imploravano di fare l'impossibile.

   
 
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