Sweet Home Baker Street
Capitolo 7
Qualche minuto dopo che John era tornato dalla telefonata a
Mary e aveva reclamato il proprio posto accanto al letto di Sherlock, Mycroft
si alzò.
"Temo che il lavoro non possa aspettare più a lungo.
John, sono sicuro di potermi fidare di te per tenere d'occhio mio
fratello."
Suonava come "Farai
meglio a non tradire questa fiducia o dovrò ingaggiare qualcuno per romperti le
gambe."
"Certo," ribatté John. Non aveva intenzione di
tornare a casa presto, visto che Mary era arrabbiata e non aveva ancora avuto
il tempo di sbollire la rabbia. E, beh, Sherlock avrebbe potuto avere bisogno
di lui: "Ti chiamo se dovesse esserci un qualsiasi cambiamento."
Sapeva che era un'offerta piuttosto inutile, dato che
probabilmente Mycroft avrebbe potuto fare inoltrare al proprio cellulare le
letture delle apparecchiature mediche o qualcosa del genere, se avesse voluto,
ma l'uomo annuì comunque e se ne andò rivolgendo un ultimo sguardo al fratello.
Una volta che la porta si fu chiusa, John sospirò e si
sistemò più comodamente sulla sedia. Sherlock non si era mosso da quando
l'avevano portato qui, ma John sapeva che gli antibiotici stavano facendo il
loro lavoro e che sarebbe migliorato ancora, ora che stava finalmente riposando.
Sherlock sembrava incredibilmente fragile in quel letto e un po' più magro di
quanto fosse stato anche all'inizio della loro amicizia. John guardò la linea
affilata della clavicola di Sherlock e decise che lo avrebbe portato fuori a
cena, non appena fosse stato in grado di farlo. Era evidente che l'idiota avesse
bisogno di nutrirsi.
Si guardò intorno e notò il comodino, dove qualcuno aveva appoggiato
una piccola borsa con chiusura lampo con i pochi averi di Sherlock. Essendo
arrivato in pigiama, non ce ne erano molti. Solo il suo orologio da polso e la
scintillante fede nuziale. Argento, pensò John e allungò la mano verso la borsa
prima di riuscire a fermarsi. Estrasse con cura l'anello e lo esaminò.
‘Non argento, – pensò,
sorpreso – titanio.'
Ovviamente aveva senso. Aveva più o meno lo stesso aspetto,
ma era molto più durevole, era meno probabile che si graffiasse durante il
Lavoro.
Era stata una scelta sensata, nella misura in cui Sherlock
faceva scelte sensate. Ma perché mai avrebbe dovuto volere un anello in primo
luogo? John gli aveva consegnato i documenti del divorzio e la risposta di
Sherlock era stata mettere un anello. Per quale motivo? Era un tentativo di
fargli un dispetto? Di attirare un'attenzione non necessaria sulla loro
situazione? No, sembrava sciocco. Sherlock non avrebbe detto a tutti che si era
sposato solo per divorziare un paio di settimane dopo. Non aveva senso.
Pensieroso, John rigirò l'anello tra le mani, ma si fermò
quando sentì qualcosa di irregolare.
Socchiudendo gli occhi e inclinando l’anello, notò che all’interno
c'era un'incisione. Era una specie di codice numerico.
John aggrottò la fronte: "XXIX-I?"
Era molto probabile che fossero numeri romani. Se ci fossero
stati più numeri, avrebbe pensato che fosse una data. Sapeva che il loro
matrimonio era stato all'inizio di marzo ed era chiaro che l’incisione non lo riguardava. Forse era una sorta di codice
binario? In tal caso, John non aveva idea di che cosa potesse significare.
Perché Sherlock aveva voluto incidere qualcosa nella sua fede
nuziale? Sembrava quasi qualcosa di sentimentale, ma non se ne era mai
interessato.
Quindi, una fede nuziale superflua con un'incisione in
apparenza inutile. Non sembrava nemmeno nuova. In ottime condizioni, sì, ma non
come se fosse stata acquistata e incisa solo negli ultimi due giorni.
Conclusione: Sherlock aveva questo anello già da un po'.
John deglutì. Dall’inizio? L'aveva avuto al loro matrimonio? Lo
aveva infilato lui stesso al dito di Sherlock? Sembrava inimmaginabile. Pensava
di non averlo mai visto prima, ma ovviamente c’era sempre la questione della
perdita di memoria.
Passando lo sguardo dallo sconcertante anello al viso
addormentato di Sherlock, per la prima volta John si sentì come se avesse
davvero perso qualcosa.
Ripose con cura l'anello nella borsa e poi la fissò
accigliato. Forse era un cimelio di famiglia? Ciò avrebbe spiegato la strana
incisione. In ogni caso, non sembrava una buona idea lasciarlo sul comodino,
dove chiunque avrebbe potuto prenderlo. Lo avrebbe tenuto lui stesso fino a
quando Sherlock non fosse uscito dall’ospedale, lo avrebbe tenuto al sicuro per
lui. Annuendo, John si ficcò in tasca la piccola borsa.
Si addormentò mezz'ora dopo e non si svegliò finché non
arrivò l’infermiera del turno del mattino, giusto in tempo per mandare un
messaggio a Mycroft con un aggiornamento delle condizioni di Sherlock, per poi andarsene
di corsa e per arrivare al lavoro in tempo.
*****
Pochi minuti dopo che John se n'era andato, il DI Greg
Lestrade e Sally Donovan varcarono le porte dell'ospedale e riuscirono a
strappare il numero della stanza di Sherlock a un’indaffarata infermiera, che
lanciò un rapido sguardo ai loro distintivi da poliziotti e indicò loro come
raggiungerla.
Arrivarono nella stanza e trovarono Sherlock da solo,
addormentato e troppo pallido per stare bene.
"È passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui l'ho
visto in condizioni così cattive, – commentò Lestrade a bassa voce – Lui sembra
sempre invincibile."
Donovan si strinse nelle spalle: "Ho sempre pensato che
non fosse soggetto a tutte le cose che accadono a noi mortali, – disse – Ma se
può sposarsi, suppongo non sia impossibile che possa anche ammalarsi."
"Sposato, – borbottò Lestrade, incrociando le braccia e
fissando Sherlock – E non ci ha nemmeno invitati, il maledetto segaiolo.
Comunque, non dovrebbe avere un marito preoccupato incollato al suo fianco?"
Come a un segnale, la porta si aprì ed entrambi si voltarono,
speranzosi e curiosi. Le loro aspettative furono deluse.
"Oh, è un po' presto per l'orario di visita, – esordì un'infermiera,
chiaramente sorpresa di trovare qualcuno nella stanza. Guardò i loro distintivi
– Uh, agenti. C'è qualche problema?"
"Cosa...? Oh, no, siamo solo venuti a trovare un
collega, – ribatté Lestrade in tono allegro – Sa come siano i turni di lavoro e
come non sia sempre possibile rispettare l'orario di visita. Ci siamo molto
preoccupati, quando abbiamo saputo che era stato ricoverato in ospedale."
Lei annuì: "Oh sì, suo marito l'ha portato qui ieri
sera. Un uomo dolce e caro, e molto angosciato. È stato seduto al suo fianco
per tutta la notte. Beh, non posso biasimarlo. Con una febbre oltre i 42 gradi,
chiunque sarebbe stato preoccupato."
"Sembra che se ne sia già andato," notò Lestrade,
guardandosi intorno.
L'infermiera annuì, chiacchierando in modo spensierato mentre
cambiava la flebo di Sherlock: "Oh sì, doveva andare a lavorare, credo. Dovete
averlo mancato di poco. Comunque, ho delle cose da fare, quindi se voleste per
favore scusarci... potete tornare più tardi."
E li cacciò fuori dalla porta prima che potessero protestare.
"Beh, è ancora vivo, – si consolò Donovan – Non sembrava
che stesse troppo male, vero? Non sembrava nemmeno in terapia intensiva e tutto
il resto. Pare che ci sia persino qualcuno che si prenda cura di lui."
Greg strascicò i piedi: "Sì. Immagino di sì. Solo... non
ti sembra strano?"
"Che cosa?" chiese Donovan, svoltando lungo il
corridoio verso l'ascensore.
"Tutto questo, – ribatté Lestrade, gesticolando verso la
stanza di Sherlock – Finge la propria morte e torna dopo due anni, senza una
parola di spiegazione, e poi mesi dopo ci fa scoprire per caso che è sposato? E
John, con cui non parla da mesi, si presenta sulla scena di un crimine con lui
e afferma di saperlo?"
"Forse è lui," suggerì Donovan sorridendo.
"Sally, per favore."
"Sì, sì, lo so. Quello che sto dicendo è che, se lui e
Sherlock non si sono davvero parlati e prima di questo Sherlock era dio sa
dove, lui si è sposato o mentre era via o prima ancora di partire. Non pensi
che avrebbe dovuto accennare a quello ad un certo punto? O che John avrebbe
parlato di un marito che si intrufolava nel loro piccolo appartamento?"
"Sì, probabilmente."
"Quindi, deve essere successo dopo la sua finta morte, –
concluse Sally, scrollando le spalle – Sei solo ferito perché lui non ti ha
invitato al matrimonio."
"E se anche fosse? – domandò Lestrade, piuttosto sulla
difensiva – Lo conosco da otto anni, l'ho trascinato di persona fuori dalla
fogna. In senso letterale."
"Forse non volevano fare un gran chiasso, – suggerì lei,
la sua voce si addolcì – Sono sicura che per una volta non aveva intenzione di
offenderti."
"Ah. Non ci ha nemmeno presentato il ragazzo, né ci ha detto
il suo nome o altro. Nemmeno una dannata foto."
Sally sospirò: "Hai intenzione di lamentarti di questo
per il resto della settimana?"
Lestrade ci pensò su: "Probabilmente sì."
*****
John tornò in ospedale dopo il lavoro, solo per vedere come stesse
Sherlock, e fu contento di trovarlo sveglio.
Sherlock sembrò sorpreso e altrettanto contento di vederlo:
"John. Che cosa ci fai qui?"
"Sono venuto a controllarti, – disse John con disinvoltura, riappropriandosi
della propria sedia – Ti ricordi come
sei arrivato qui?"
Sherlock scosse la testa, con la fronte aggrottata, così John
gli raccontò tutto.
"Non me lo ricordo affatto, – mormorò Sherlock – Non
ricordo che fosse giovedì. Mi ricordo che avevi detto che saresti passato
giovedì sera. Devo aver perso la cognizione del tempo."
Sembrava deluso dalla circostanza e John scrollò le spalle,
non sentendosi troppo indulgente, mentre ricordava la propria perdita di
memoria: "Sì, beh, una forte febbre può avere questo effetto. Eri
incosciente quando ti ho trovato e non sono riuscito a trovare niente per
abbassare la febbre. Mycroft è stato con te per ore."
Sherlock sbatté le palpebre: "Mycroft?"
"Sì, è arrivato in ospedale appena cinque minuti dopo di
noi. È rimasto per quasi tre ore, ha guardato a malapena il suo telefono per
tutto il tempo."
Sherlock si accigliò e distolse lo sguardo, giocherellando
con il bordo della coperta mentre elaborava l’informazione.
"Immagino che stiate andando più d’accordo in questo
periodo," disse John in tono dolce, sperando di non sembrare troppo invadente.
"Suppongo, – ammise Sherlock – È stato... molto coerente
nel suo comportamento mentre ero… – si fermò e si schiarì la gola – È venuto a
tirarmi fuori. Alla fine. È venuto per riportarmi a casa. Certo c'era un caso,
ma mi piace pensare che non potesse…" si interruppe di nuovo.
E, oh, c'erano cose che non stava dicendo, John ne era sicuro.
All'improvviso, voleva sapere, ma quando aprì la bocca per chiedere, la porta
si aprì ed entrò una dottoressa più anziana dei due uomini.
"È ancora sveglio, signor Holmes! Molto bene! Ora le
farò solo un rapido controllo, –disse in tono vivace – Pensa di riuscire a
sedersi? E magari il suo amico potrebbe aspettare fuori?"
"Questo è mio marito, – ribatté Sherlock – E lui stesso
è un medico."
"Ah. Beh, in questo caso, spero che mi lascerà proseguire
con la visita, signore. So come possiamo diventare noi medici di professione
quando i nostri cari sono malati. Mia moglie mi prende sempre in giro per
questo motivo, ma le assicuro che sono davvero qualificata per fare il mio
lavoro."
"Non mi è mai passato per la mente di dubitarne, – la
rassicurò John – Mi siederò qui e farò finta di non esserci. Sherlock, sii
collaborativo, per favore."
Sherlock gli fece una smorfia, ma si sforzò comunque di
mettersi seduto e permise alla dottoressa di controllare i suoi riflessi facendogli brillare una luce negli occhi.
****
Si sedette dando le spalle a John in modo da non dover vedere
la sua faccia mentre veniva strapazzato dal medico. Quando si era seduto era
sembrata una buona idea, ma poi lei si era tolta lo stetoscopio dal collo e
all'improvviso non lo era più.
"Sto solo controllandole il cuore e i polmoni.
Non vogliamo che si intrufoli un'infezione, – disse, in un tono allegro quasi
irritante. Beh, questo sarebbe finito molto presto – Potrebbe togliersi la
t-shirt per me? O almeno spingerla in su."
L'ospedale non si era attrezzato con quei camici inconsistenti che
sembravano essere un punto fermo nei programmi televisivi americani sugli
ospedali e Sherlock ne era grato, anche se in questa occasione non avrebbe
fatto la differenza. Con riluttanza, si alzò la maglietta sopra la testa e
sentì la dottoressa aspirare l’aria fra i denti in modo profondo. Tutti i suoi
muscoli si tesero.
Lei non disse una parola, tranne che per: "Potrebbe
essere un po' freddo" e proseguì con il suo compito. E dietro di loro, sembrava
che John non stesse respirando ed era silenzioso, silenzioso, silenzioso.
La dottoressa terminò in modo rapido, assicurando a entrambi
che i polmoni e il cuore stavano bene, e Sherlock con gratitudine si rimise la
maglietta.
John non disse una parola.
Non era così che Sherlock voleva che lo scoprisse. La
possibilità che accadesse non gli era nemmeno passata per la mente. Se lo
avesse fatto, avrebbe potuto chiedere a John di andare a cercare un
distributore automatico e portargli uno spuntino o qualcosa del genere. Ora era
troppo tardi.
Beh, non era mai stato uno che evitava una situazione
scomoda. Sherlock prese fiato e si risistemò finché non fu di nuovo coricato.
John si sedette sulla sedia e lo fissò e lo sguardo che aveva sul
viso... Sherlock abbassò gli occhi: "John..."
Non ci fu risposta e alzò di nuovo gli occhi per vedere una
miriade di espressioni che gli tremolavano sul viso.
John si leccò le labbra e aprì la bocca: "C... – fece
una pausa, si schiarì la gola, riprovò – Che cosa è successo."
Non riusciva nemmeno a ottenere abbastanza inflessione nella
voce da renderla una domanda.
Sherlock tentò di parlare con leggerezza, ma non ci riuscì. Sentì la
propria voce che si spezzava: "Ho scoperto che ai S-serbi non piace quando ti
infiltri nelle loro organizzazioni criminali.”
Trascorsero diversi secondi in un terribile silenzio. Poi
John saltò dalla sedia e iniziò a camminare su e giù accanto al letto:
"Sherlock..."
"Che cosa vuoi che dica? – chiese piano – Te l'avevo
detto, John. Beh, ci ho provato. Non è mai stato divertimenti e risatine."
"Avresti dovuto portarmi con te, - affermò John, mezzo
arrabbiato e mezzo disperato – Avrei potuto…"
"Non avresti potuto fare niente, – lo interruppe
Sherlock – Ti avrebbero ucciso e mi avrebbero costretto a guardare e poi
avrebbero ucciso me per buona misura. Non credere che non ci abbia pensato. Non credere
che non abbia escogitato sette modi diversi per farti uscire di nascosto dal
paese e farti venire con me. L'ho fatto, John. Lo volevo. Ma volevo di più che tu
rimanessi vivo."
Si fissarono l'un l'altro, John ai piedi del letto di
Sherlock. Lui si tirò di nuovo faticosamente a sedere: "Ne è valsa la pena, –
affermò con forza, anche se la sua voce si stava incrinando mentre diceva
quelle parole – Ne è valsa la pena per tenerti in vita. Lo rifarei in un batter
d'occhio."
Sostenne lo sguardo di John, desiderando di potergli ficcare le
parole nel cervello e fargliele ricordare per sempre, fargli capire
che cosa stesse davvero cercando di dire.
John scosse la testa: "Non c’è nulla che valga quello," dichiarò
con voce roca, indicando Sherlock.
"La tua vita lo vale, – ribadì Sherlock – Non sminuirti,
John. Non farlo mai. È solo un trasporto, ricordi? Posso vivere con un paio di
cicatrici sulla schiena. Non potevo vivere sapendo che eri morto e che avevo
avuto la possibilità di impedirlo e non l'avevo colta."
John aprì la bocca, probabilmente per protestare, e Sherlock
insistette: "Guardami negli occhi e dimmi che non avresti fatto lo stesso,
se i nostri ruoli fossero stati invertiti due anni fa. Se fosse stata in
pericolo la mia vita invece della tua."
"Lo era! – John scattò – Era la tua vita. E sei morto. Pensavo che tu fossi morto, Sherlock. Due maledetti anni e
poi torni e..."
Si interruppe e si coprì il viso con le mani:
"Dio."
Ci fu un breve silenzio e Sherlock chiuse gli occhi, incapace di
guardare John in quello stato. Dopo un minuto o due, sentì dei passi: John
stava tornando alla sua sedia. Poteva o sedersi di nuovo o prendere la sua
borsa e la giacca e andarsene.
Sherlock aspettò, sperando nella prima possibilità e aspettandosi
la seconda.
Così, quando John fece due rapidi passi verso il letto, ebbe
a malapena il tempo di aprire gli occhi prima che John si chinasse su di lui e
lo abbracciasse con tutta la sua forza.
NdT
Finalmente stanno iniziando a parlare e John sta ponendosi le giuste domande, anche se farle a voce alta potrebbe procurargli qualche piccolo problema.
Grazie
ad arcobaleno2014, garfield73, amy holmes_JW e T’Jill per le recensioni e
grazie a chi stia leggendo e seguendo il racconto.
Piccola
informazione di servizio: questo capitolo non è stato betato dalla mia
bravissima Beta, T’Jill. Tutti gli errori sono solo miei.
A
mercoledì prossimo.
Ciao
ciao