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Autore: All_I_Need    14/07/2021    5 recensioni
Vi ricordate di quel mercoledì che John ha dimenticato perché Sherlock gli ha messo qualcosa nel té? John non lo ricorda. Però torna a sconvolgere la sua vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

Sweet Home Baker Street

Capitolo 7

Qualche minuto dopo che John era tornato dalla telefonata a Mary e aveva reclamato il proprio posto accanto al letto di Sherlock, Mycroft si alzò.

"Temo che il lavoro non possa aspettare più a lungo. John, sono sicuro di potermi fidare di te per tenere d'occhio mio fratello."

Suonava come "Farai meglio a non tradire questa fiducia o dovrò ingaggiare qualcuno per romperti le gambe."

"Certo," ribatté John. Non aveva intenzione di tornare a casa presto, visto che Mary era arrabbiata e non aveva ancora avuto il tempo di sbollire la rabbia. E, beh, Sherlock avrebbe potuto avere bisogno di lui: "Ti chiamo se dovesse esserci un qualsiasi cambiamento."

Sapeva che era un'offerta piuttosto inutile, dato che probabilmente Mycroft avrebbe potuto fare inoltrare al proprio cellulare le letture delle apparecchiature mediche o qualcosa del genere, se avesse voluto, ma l'uomo annuì comunque e se ne andò rivolgendo un ultimo sguardo al fratello.

Una volta che la porta si fu chiusa, John sospirò e si sistemò più comodamente sulla sedia. Sherlock non si era mosso da quando l'avevano portato qui, ma John sapeva che gli antibiotici stavano facendo il loro lavoro e che sarebbe migliorato ancora, ora che stava finalmente riposando. Sherlock sembrava incredibilmente fragile in quel letto e un po' più magro di quanto fosse stato anche all'inizio della loro amicizia. John guardò la linea affilata della clavicola di Sherlock e decise che lo avrebbe portato fuori a cena, non appena fosse stato in grado di farlo. Era evidente che l'idiota avesse bisogno di nutrirsi.

Si guardò intorno e notò il comodino, dove qualcuno aveva appoggiato una piccola borsa con chiusura lampo con i pochi averi di Sherlock. Essendo arrivato in pigiama, non ce ne erano molti. Solo il suo orologio da polso e la scintillante fede nuziale. Argento, pensò John e allungò la mano verso la borsa prima di riuscire a fermarsi. Estrasse con cura l'anello e lo esaminò.

Non argento, – pensò, sorpreso – titanio.'

Ovviamente aveva senso. Aveva più o meno lo stesso aspetto, ma era molto più durevole, era meno probabile che si graffiasse durante il Lavoro.

Era stata una scelta sensata, nella misura in cui Sherlock faceva scelte sensate. Ma perché mai avrebbe dovuto volere un anello in primo luogo? John gli aveva consegnato i documenti del divorzio e la risposta di Sherlock era stata mettere un anello. Per quale motivo? Era un tentativo di fargli un dispetto? Di attirare un'attenzione non necessaria sulla loro situazione? No, sembrava sciocco. Sherlock non avrebbe detto a tutti che si era sposato solo per divorziare un paio di settimane dopo. Non aveva senso.

Pensieroso, John rigirò l'anello tra le mani, ma si fermò quando sentì qualcosa di irregolare.

Socchiudendo gli occhi e inclinando l’anello, notò che all’interno c'era un'incisione. Era una specie di codice numerico.

John aggrottò la fronte: "XXIX-I?"

Era molto probabile che fossero numeri romani. Se ci fossero stati più numeri, avrebbe pensato che fosse una data. Sapeva che il loro matrimonio era stato all'inizio di marzo ed era chiaro che l’incisione non  lo riguardava. Forse era una sorta di codice binario? In tal caso, John non aveva idea di che cosa potesse significare.

Perché Sherlock aveva voluto incidere qualcosa nella sua fede nuziale? Sembrava quasi qualcosa di sentimentale, ma non se ne era mai interessato.

Quindi, una fede nuziale superflua con un'incisione in apparenza inutile. Non sembrava nemmeno nuova. In ottime condizioni, sì, ma non come se fosse stata acquistata e incisa solo negli ultimi due giorni. Conclusione: Sherlock aveva questo anello già da un po'.

John deglutì. Dall’inizio? L'aveva avuto al loro matrimonio? Lo aveva infilato lui stesso al dito di Sherlock? Sembrava inimmaginabile. Pensava di non averlo mai visto prima, ma ovviamente c’era sempre la questione della perdita di memoria.

Passando lo sguardo dallo sconcertante anello al viso addormentato di Sherlock, per la prima volta John si sentì come se avesse davvero perso qualcosa.

Ripose con cura l'anello nella borsa e poi la fissò accigliato. Forse era un cimelio di famiglia? Ciò avrebbe spiegato la strana incisione. In ogni caso, non sembrava una buona idea lasciarlo sul comodino, dove chiunque avrebbe potuto prenderlo. Lo avrebbe tenuto lui stesso fino a quando Sherlock non fosse uscito dall’ospedale, lo avrebbe tenuto al sicuro per lui. Annuendo, John si ficcò in tasca la piccola borsa.

Si addormentò mezz'ora dopo e non si svegliò finché non arrivò l’infermiera del turno del mattino, giusto in tempo per mandare un messaggio a Mycroft con un aggiornamento delle condizioni di Sherlock, per poi andarsene di corsa e per arrivare al lavoro in tempo.

*****

Pochi minuti dopo che John se n'era andato, il DI Greg Lestrade e Sally Donovan varcarono le porte dell'ospedale e riuscirono a strappare il numero della stanza di Sherlock a un’indaffarata infermiera, che lanciò un rapido sguardo ai loro distintivi da poliziotti e indicò loro come raggiungerla.

Arrivarono nella stanza e trovarono Sherlock da solo, addormentato e troppo pallido per stare bene.

"È passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui l'ho visto in condizioni così cattive, – commentò Lestrade a bassa voce – Lui sembra sempre invincibile."

Donovan si strinse nelle spalle: "Ho sempre pensato che non fosse soggetto a tutte le cose che accadono a noi mortali, – disse – Ma se può sposarsi, suppongo non sia impossibile che possa anche ammalarsi."

"Sposato, – borbottò Lestrade, incrociando le braccia e fissando Sherlock – E non ci ha nemmeno invitati, il maledetto segaiolo. Comunque, non dovrebbe avere un marito preoccupato incollato al suo fianco?"

Come a un segnale, la porta si aprì ed entrambi si voltarono, speranzosi e curiosi. Le loro aspettative furono deluse.

"Oh, è un po' presto per l'orario di visita, – esordì un'infermiera, chiaramente sorpresa di trovare qualcuno nella stanza. Guardò i loro distintivi – Uh, agenti. C'è qualche problema?"

"Cosa...? Oh, no, siamo solo venuti a trovare un collega, – ribatté Lestrade in tono allegro – Sa come siano i turni di lavoro e come non sia sempre possibile rispettare l'orario di visita. Ci siamo molto preoccupati, quando abbiamo saputo che era stato ricoverato in ospedale."

Lei annuì: "Oh sì, suo marito l'ha portato qui ieri sera. Un uomo dolce e caro, e molto angosciato. È stato seduto al suo fianco per tutta la notte. Beh, non posso biasimarlo. Con una febbre oltre i 42 gradi, chiunque sarebbe stato preoccupato."

"Sembra che se ne sia già andato," notò Lestrade, guardandosi intorno.

L'infermiera annuì, chiacchierando in modo spensierato mentre cambiava la flebo di Sherlock: "Oh sì, doveva andare a lavorare, credo. Dovete averlo mancato di poco. Comunque, ho delle cose da fare, quindi se voleste per favore scusarci... potete tornare più tardi."

E li cacciò fuori dalla porta prima che potessero protestare.

"Beh, è ancora vivo, – si consolò Donovan – Non sembrava che stesse troppo male, vero? Non sembrava nemmeno in terapia intensiva e tutto il resto. Pare che ci sia persino qualcuno che si prenda cura di lui."

Greg strascicò i piedi: "Sì. Immagino di sì. Solo... non ti sembra strano?"

"Che cosa?" chiese Donovan, svoltando lungo il corridoio verso l'ascensore.

"Tutto questo, – ribatté Lestrade, gesticolando verso la stanza di Sherlock – Finge la propria morte e torna dopo due anni, senza una parola di spiegazione, e poi mesi dopo ci fa scoprire per caso che è sposato? E John, con cui non parla da mesi, si presenta sulla scena di un crimine con lui e afferma di saperlo?"

"Forse è lui," suggerì Donovan sorridendo.

"Sally, per favore."

"Sì, sì, lo so. Quello che sto dicendo è che, se lui e Sherlock non si sono davvero parlati e prima di questo Sherlock era dio sa dove, lui si è sposato o mentre era via o prima ancora di partire. Non pensi che avrebbe dovuto accennare a quello ad un certo punto? O che John avrebbe parlato di un marito che si intrufolava nel loro piccolo appartamento?"

"Sì, probabilmente."

"Quindi, deve essere successo dopo la sua finta morte, – concluse Sally, scrollando le spalle – Sei solo ferito perché lui non ti ha invitato al matrimonio."

"E se anche fosse? – domandò Lestrade, piuttosto sulla difensiva – Lo conosco da otto anni, l'ho trascinato di persona fuori dalla fogna. In senso letterale."

"Forse non volevano fare un gran chiasso, – suggerì lei, la sua voce si addolcì – Sono sicura che per una volta non aveva intenzione di offenderti."

"Ah. Non ci ha nemmeno presentato il ragazzo, né ci ha detto il suo nome o altro. Nemmeno una dannata foto."

Sally sospirò: "Hai intenzione di lamentarti di questo per il resto della settimana?"

Lestrade ci pensò su: "Probabilmente sì."

*****

John tornò in ospedale dopo il lavoro, solo per vedere come stesse Sherlock, e fu contento di trovarlo sveglio.

Sherlock sembrò sorpreso e altrettanto contento di vederlo: "John. Che cosa ci fai qui?"

"Sono venuto a controllarti, – disse John con disinvoltura, riappropriandosi  della propria sedia – Ti ricordi come sei arrivato qui?"

Sherlock scosse la testa, con la fronte aggrottata, così John gli raccontò tutto.

"Non me lo ricordo affatto, – mormorò Sherlock – Non ricordo che fosse giovedì. Mi ricordo che avevi detto che saresti passato giovedì sera. Devo aver perso la cognizione del tempo."

Sembrava deluso dalla circostanza e John scrollò le spalle, non sentendosi troppo indulgente, mentre ricordava la propria perdita di memoria: "Sì, beh, una forte febbre può avere questo effetto. Eri incosciente quando ti ho trovato e non sono riuscito a trovare niente per abbassare la febbre. Mycroft è stato con te per ore."

Sherlock sbatté le palpebre: "Mycroft?"

"Sì, è arrivato in ospedale appena cinque minuti dopo di noi. È rimasto per quasi tre ore, ha guardato a malapena il suo telefono per tutto il tempo."

Sherlock si accigliò e distolse lo sguardo, giocherellando con il bordo della coperta mentre elaborava l’informazione.

"Immagino che stiate andando più d’accordo in questo periodo," disse John in tono dolce, sperando di non sembrare troppo invadente.

"Suppongo, – ammise Sherlock – È stato... molto coerente nel suo comportamento mentre ero… – si fermò e si schiarì la gola – È venuto a tirarmi fuori. Alla fine. È venuto per riportarmi a casa. Certo c'era un caso, ma mi piace pensare che non potesse…" si interruppe di nuovo.

E, oh, c'erano cose che non stava dicendo, John ne era sicuro. All'improvviso, voleva sapere, ma quando aprì la bocca per chiedere, la porta si aprì ed entrò una dottoressa più anziana dei due uomini.

"È ancora sveglio, signor Holmes! Molto bene! Ora le farò solo un rapido controllo, –disse in tono vivace – Pensa di riuscire a sedersi? E magari il suo amico potrebbe aspettare fuori?"

"Questo è mio marito, – ribatté Sherlock – E lui stesso è un medico."

"Ah. Beh, in questo caso, spero che mi lascerà proseguire con la visita, signore. So come possiamo diventare noi medici di professione quando i nostri cari sono malati. Mia moglie mi prende sempre in giro per questo motivo, ma le assicuro che sono davvero qualificata per fare il mio lavoro."

"Non mi è mai passato per la mente di dubitarne, – la rassicurò John – Mi siederò qui e farò finta di non esserci. Sherlock, sii collaborativo, per favore."

Sherlock gli fece una smorfia, ma si sforzò comunque di mettersi seduto e permise alla dottoressa di controllare i suoi riflessi facendogli brillare una luce negli occhi.

****

Si sedette dando le spalle a John in modo da non dover vedere la sua faccia mentre veniva strapazzato dal medico. Quando si era seduto era sembrata una buona idea, ma poi lei si era tolta lo stetoscopio dal collo e all'improvviso non lo era più.

"Sto solo controllandole il cuore e i polmoni. Non vogliamo che si intrufoli un'infezione, – disse, in un tono allegro quasi irritante. Beh, questo sarebbe finito molto presto – Potrebbe togliersi la t-shirt per me? O almeno spingerla in su."

L'ospedale non si era attrezzato con quei camici inconsistenti che sembravano essere un punto fermo nei programmi televisivi americani sugli ospedali e Sherlock ne era grato, anche se in questa occasione non avrebbe fatto la differenza. Con riluttanza, si alzò la maglietta sopra la testa e sentì la dottoressa aspirare l’aria fra i denti in modo profondo. Tutti i suoi muscoli si tesero.

Lei non disse una parola, tranne che per: "Potrebbe essere un po' freddo" e proseguì con il suo compito. E dietro di loro, sembrava che John non stesse respirando ed era silenzioso, silenzioso, silenzioso.

La dottoressa terminò in modo rapido, assicurando a entrambi che i polmoni e il cuore stavano bene, e Sherlock con gratitudine si rimise la maglietta.

John non disse una parola.

Non era così che Sherlock voleva che lo scoprisse. La possibilità che accadesse non gli era nemmeno passata per la mente. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto chiedere a John di andare a cercare un distributore automatico e portargli uno spuntino o qualcosa del genere. Ora era troppo tardi.

Beh, non era mai stato uno che evitava una situazione scomoda. Sherlock prese fiato e si risistemò finché non fu di nuovo coricato.

John si sedette sulla sedia e lo fissò e lo sguardo che aveva sul viso... Sherlock abbassò gli occhi: "John..."

Non ci fu risposta e alzò di nuovo gli occhi per vedere una miriade di espressioni che gli tremolavano sul viso.

John si leccò le labbra e aprì la bocca: "C... – fece una pausa, si schiarì la gola, riprovò – Che cosa è successo."

Non riusciva nemmeno a ottenere abbastanza inflessione nella voce da renderla una domanda.

Sherlock tentò di parlare con leggerezza, ma non ci riuscì. Sentì la propria voce che si spezzava: "Ho scoperto che ai S-serbi non piace quando ti infiltri nelle loro organizzazioni criminali.”

Trascorsero diversi secondi in un terribile silenzio. Poi John saltò dalla sedia e iniziò a camminare su e giù accanto al letto: "Sherlock..."

"Che cosa vuoi che dica? – chiese piano – Te l'avevo detto, John. Beh, ci ho provato. Non è mai stato divertimenti e risatine."

"Avresti dovuto portarmi con te, - affermò John, mezzo arrabbiato e mezzo disperato – Avrei potuto…"

"Non avresti potuto fare niente, – lo interruppe Sherlock – Ti avrebbero ucciso e mi avrebbero costretto a guardare e poi avrebbero ucciso me per buona misura. Non credere che non ci abbia pensato. Non credere che non abbia escogitato sette modi diversi per farti uscire di nascosto dal paese e farti venire con me. L'ho fatto, John. Lo volevo. Ma volevo di più che tu rimanessi vivo."

Si fissarono l'un l'altro, John ai piedi del letto di Sherlock. Lui si tirò di nuovo faticosamente a sedere: "Ne è valsa la pena, – affermò con forza, anche se la sua voce si stava incrinando mentre diceva quelle parole – Ne è valsa la pena per tenerti in vita. Lo rifarei in un batter d'occhio."

Sostenne lo sguardo di John, desiderando di potergli ficcare le parole nel cervello e fargliele ricordare per sempre, fargli capire che cosa stesse davvero cercando di dire.

John scosse la testa: "Non c’è nulla che valga quello," dichiarò con voce roca, indicando Sherlock.

"La tua vita lo vale, – ribadì Sherlock – Non sminuirti, John. Non farlo mai. È solo un trasporto, ricordi? Posso vivere con un paio di cicatrici sulla schiena. Non potevo vivere sapendo che eri morto e che avevo avuto la possibilità di impedirlo e non l'avevo colta."

John aprì la bocca, probabilmente per protestare, e Sherlock insistette: "Guardami negli occhi e dimmi che non avresti fatto lo stesso, se i nostri ruoli fossero stati invertiti due anni fa. Se fosse stata in pericolo la mia vita invece della tua."

"Lo era! – John scattò – Era la tua vita. E sei morto. Pensavo che tu fossi morto, Sherlock. Due maledetti anni e poi torni e..."

Si interruppe e si coprì il viso con le mani: "Dio."

Ci fu un breve silenzio e Sherlock chiuse gli occhi, incapace di guardare John in quello stato. Dopo un minuto o due, sentì dei passi: John stava tornando alla sua sedia. Poteva o sedersi di nuovo o prendere la sua borsa e la giacca e andarsene.

Sherlock aspettò, sperando nella prima possibilità e aspettandosi la seconda.

Così, quando John fece due rapidi passi verso il letto, ebbe a malapena il tempo di aprire gli occhi prima che John si chinasse su di lui e lo abbracciasse con tutta la sua forza.

 

 

NdT

Finalmente stanno iniziando a parlare e John sta ponendosi le giuste domande, anche se farle a voce alta potrebbe procurargli qualche piccolo problema.

Grazie ad arcobaleno2014, garfield73, amy holmes_JW e T’Jill per le recensioni e grazie a chi stia leggendo e seguendo il racconto.

Piccola informazione di servizio: questo capitolo non è stato betato dalla mia bravissima Beta, T’Jill. Tutti gli errori sono solo miei.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao

 

   
 
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