Avevo bisogno di sfogarmi e quando
sento questa necessità, io scrivo. Scrivo quello che provo, ma riesco a farlo
bene solamente prendendo questi due piccioncini che tanto amo. Li butto su un
foglio bianco e gli faccio provare quello che io sto sentendo in quel preciso
momento.
Una persona a me molto cara è stata
male e mi trovo in quel limbo dell’attesa, dell’assenza, della lontananza –
soprattutto grazie a questo Periodo Covid durante il
quale non si può nemmeno far visita negli ospedali. È semplicemente una piccola
one-shot / sfogo che le mie mani hanno proiettato in
Izaya.
Per chi vorrà anche solo prendere una
piccola parte di questo mio momento di attesa, è qui.
Grazie. A presto.
***
Your absence is my
waiting
I piedi
gli penzolavano nel nulla, mentre il suo sguardo osservava la scena che gli si
presentava di fronte: il mondo che continuava a proseguire nelle sue incessanti
attività, la vita. Il cielo scuro della notte era costantemente illuminato
dalle luci della città, perché Tokyo non dormiva mai, come ogni grande
metropoli. Lasciò cadere tutto il suo peso sulle braccia, appoggiando i palmi
delle mani aperte sul cemento del cornicione. Aveva vagato per l’appartamento
ore ed ore senza riuscire a venirne fuori, fino a quando l’aria aveva iniziato
a mancargli e quel peso nel suo petto si faceva via via
più pesante. Aria, ho bisogno di aria.
E così si era ritrovato lì, dove avevano passato notti a guardare il cielo,
immaginandolo diverso, immaginandosi diversi. Altrove, senza però aver mai
avuto il coraggio di cercarlo, quel luogo, perché erano ancorati a quella vita,
perché senza quella vita non si sarebbero conosciuti, non si sarebbero odiati,
non si sarebbero detti tutto.
« Piangi
per me? »
Un sorriso
scappò sul volto di Izaya.
« No, mai.
»
La figura
ridacchiò, infilando la mano sinistra in tasca mentre con le dita della destra
stringeva la sigaretta, brace rosso fuoco che ardeva nella notte.
« E quindi
cosa stai facendo qui? »
Izaya fece
spallucce, senza voltarsi. Se mi giro,
lui sparirà.
« Il mondo
sta andando avanti, lo vedi? »
La figura
si accigliò.
« Certo,
anche tu. »
« No, io
sono fermo. »
Lo sentì
ridere, quella sua risata intrisa della nicotina di troppe sigarette fumate.
« Stai respirando,
quindi stai andando avanti. »
Non è così
semplice. Non lo è mai.
Il mondo
doveva fermarsi e soffrire con lui. Perché invece non succedeva? Perché vedeva
le persone in giro, che vivevano la loro stupida vita? Invece lui era lì, in
mezzo alla strada, in mezzo alla folla, la folla che lo spintonava, senza
nemmeno guardarlo, senza nemmeno vederlo.
Sono
invisibile.
Izaya Orihara si sentiva invisibile. Era vivo? Socchiuse gli
occhi, inspirando. Percepì quella vaga sensazione che non sai spiegare a
parole: l’aria entra e scende giù, la senti proprio scivolare sulle pareti
interni della gola, riempiendoti poi i polmoni, riempiendoti tutto.
« Tu non
sei fermo, Iza. Lo hai deciso tu, perché è più comodo
così, perché certe volte scegliamo di rimanere in attesa, perché andare avanti
fa più paura. »
Il problema
è che noi siamo sempre in attesa, ma ce ne rendiamo conto solamente nel momento
in cui quello che stiamo aspettando è fondamentale, questione di vita e di
morte. E allora percepisci quella porta che, fino a poco prima era sempre stata
accostata, ora è lì, lo spiraglio più nitido, il buio che cerca di invadere la
tua luce, una piccola figura d’ombra che si affaccia e inizia a mormorarti
parole all’orecchio, parole che non vuoi sentirti dire, parole che pensavi
fossero solo parte del tuo subconscio. Una piccola ed infima zanzara
fastidiosa.
Izaya
riaprì gli occhi, ricomponendosi e indicando il palazzo di fronte al loro, le
spalle gobbe, quasi come se fossero stufe di tutti i pesi sopportati.
« Mi
domando cosa provino le persone, ognuno di loro, quando si chiudono nelle
proprie mura domestiche. Ti sei mai chiesto che vita abbia quella donna che per
caso ti cede il passo all’ingresso del bar, o quell’uomo di fianco al quale ti
siedi sul treno, o quel bambino che osserva una vetrina speranzoso? Quali sofferenze
hanno rinchiuso dentro la loro stanza. »
Lo sentì
sbuffare leggermente, ridacchiare. Voleva girarsi. Voleva vedere quegli occhi,
ma non poteva.
« Sei tu
quello che ama gli esseri umani, dei due. Io amo solamente te. »
Cos’era
quella sensazione? Mio Dio, si sentiva la faccia strana, come un foglio
accartocciato, un po’ bagnaticcio e non riusciva a
vedere bene. Sussultò, costretto a dover aprire le labbra per respirare perché
dal naso non riusciva a farvi entrare aria. Sussultò quando gli scappò un verso
strano, all’apertura della bocca, un singulto che partiva dal profondo della
gola. Sussultò, quando percepì le scie leggiadre e salate partire dagli occhi e
seguire un percorso ben delineato, fino ad arrivare agli angoli del volto, alle
labbra, sulla lingua, sul cuore.
«
Shizu-chan? », il bisbiglio fu portato alle sue spalle dalla brezza. Quand’era
stata l’ultima volta che aveva pianto, in vita sua? Aveva mai pianto,
soprattutto, per qualcun altro?
Shizuo
fece qualche passo avanti, lo percepiva alle sue spalle, riusciva a percepirne
l’odore inconfondibile della sua pelle. Dio, come avrebbe voluto sbilanciarsi
un po’ all’indietro, appoggiare la sua schiena al petto di lui, il capo
persino, andando a stuzzicargli il mento con i suoi capelli neri come l’ebano. Lui
lo avrebbe preso, abbracciato e l’avrebbe consolato nella sua maniera goffa.
« Hai
mangiato, Iza? »
Izaya
scosse il capo.
« Tutto
quello che mi circonda in casa mi disturba. Dover apparecchiare un posto in
meno, dover lavare un piatto in meno, vedere una sedia vuota, io... »
La quotidianità
si era rotta, spezzata in due, in quattro, in mille pezzi, come quel bicchiere
che qualche settimana prima gli era scivolato dalle dita, troppo ubriaco. Quei cocchi
che fa niente, lasciamoli lì, adesso
voglio solamente fare l’amore con te.
« ...sono
solo. »
Lo disse. Diede
voce a quei pensieri dilanianti. Faceva così male. Inspirò con calma ed espirò.
Soffiò il naso e tornò a guardare più lucidamente il mondo che, nemmeno all’udire
quelle due parole, si era fermato.
« Non sei
solo. Vieni qui. »
No, non
poteva voltarsi, ma lo voleva con tutto se stesso.
« Perché
tu mi hai abbandonato, allora? »
Silenzio. Certo,
perché a certe domande non esiste una risposta. Non c’è nessun Dio che sappia
dirci il motivo di quello che succede oppure è troppo egoista e se lo tiene per
sé, divertendosi lassù, seduto sul suo trono ad osservare come gli umani si
stremino nel tentativo di comprendere.
« Non ti
abbandonerò, mai. Sei la mia pulce. », lo sentiva sorridere, « Ci vediamo
presto, Iza. »
« Non
farmi aspettare troppo, mi annoio senza le tue lamentele quotidiane,
Shizu-chan. »
Izaya lo
sentì ridere e poi, quando decise di mettersi in piedi e poi voltarsi per
scendere dal cornicione, il nulla gli rispose.
Si sentì
immediatamente stupido. Era talmente dipendente da Shizuo che, durante la sua
assenza, lo percepiva e addirittura ci parlava come se fosse sotto l’effetto di
un acido. Forse era la pastiglia che Shinra gli aveva
dato per stare tranquillo che gli dava allucinazioni?
Scrollò le
spalle, come per volersi levare strati di polvere. Sarebbe rientrato nell’appartamento
e avrebbe passato un’altra notte a domandarsi perché quel letto era così
freddo, senza il corpo di Shizuo.
Domani gli
avrebbe scritto un altro messaggio – l’ennesimo, tolti tutti quelli con cui gli
stava inondando la chat, ai quali Shizuo rispondeva a spezzoni.
Domani
sarebbe tornato sulla soglia dell’ospedale, mascherina sul viso annessa, a
sperare di poterlo rivedere.
Domani,
sì, domani ci avrebbe pensato.
Domani.. attendendo
il giorno in cui finalmente potrà richiudere quella porta, anche se dopo quell’esperienza
non sarebbe mai stato più lo stesso, e dire:
Ok, il mondo sta andando avanti e ora
possiamo tornare a muoverci anche noi.