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Autore: maraman    18/07/2021    0 recensioni
Domani, sì, domani ci avrebbe pensato. Domani.. attendendo il giorno in cui finalmente potrà richiudere quella porta, anche se dopo quell’esperienza non sarebbe mai stato più lo stesso, e dire: "Ok, il mondo sta andando avanti e ora possiamo tornare a muoverci anche noi."
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Avevo bisogno di sfogarmi e quando sento questa necessità, io scrivo. Scrivo quello che provo, ma riesco a farlo bene solamente prendendo questi due piccioncini che tanto amo. Li butto su un foglio bianco e gli faccio provare quello che io sto sentendo in quel preciso momento.

Una persona a me molto cara è stata male e mi trovo in quel limbo dell’attesa, dell’assenza, della lontananza – soprattutto grazie a questo Periodo Covid durante il quale non si può nemmeno far visita negli ospedali. È semplicemente una piccola one-shot / sfogo che le mie mani hanno proiettato in Izaya.

Per chi vorrà anche solo prendere una piccola parte di questo mio momento di attesa, è qui.

Grazie. A presto.

 

***

 

Your absence is my waiting

 

 

I piedi gli penzolavano nel nulla, mentre il suo sguardo osservava la scena che gli si presentava di fronte: il mondo che continuava a proseguire nelle sue incessanti attività, la vita. Il cielo scuro della notte era costantemente illuminato dalle luci della città, perché Tokyo non dormiva mai, come ogni grande metropoli. Lasciò cadere tutto il suo peso sulle braccia, appoggiando i palmi delle mani aperte sul cemento del cornicione. Aveva vagato per l’appartamento ore ed ore senza riuscire a venirne fuori, fino a quando l’aria aveva iniziato a mancargli e quel peso nel suo petto si faceva via via più pesante. Aria, ho bisogno di aria. E così si era ritrovato lì, dove avevano passato notti a guardare il cielo, immaginandolo diverso, immaginandosi diversi. Altrove, senza però aver mai avuto il coraggio di cercarlo, quel luogo, perché erano ancorati a quella vita, perché senza quella vita non si sarebbero conosciuti, non si sarebbero odiati, non si sarebbero detti tutto.

« Piangi per me? »

Un sorriso scappò sul volto di Izaya.

« No, mai. »

La figura ridacchiò, infilando la mano sinistra in tasca mentre con le dita della destra stringeva la sigaretta, brace rosso fuoco che ardeva nella notte.

« E quindi cosa stai facendo qui? »

Izaya fece spallucce, senza voltarsi. Se mi giro, lui sparirà.

« Il mondo sta andando avanti, lo vedi? »

La figura si accigliò.

« Certo, anche tu. »

« No, io sono fermo. »

Lo sentì ridere, quella sua risata intrisa della nicotina di troppe sigarette fumate.

« Stai respirando, quindi stai andando avanti. »

Non è così semplice. Non lo è mai.

Il mondo doveva fermarsi e soffrire con lui. Perché invece non succedeva? Perché vedeva le persone in giro, che vivevano la loro stupida vita? Invece lui era lì, in mezzo alla strada, in mezzo alla folla, la folla che lo spintonava, senza nemmeno guardarlo, senza nemmeno vederlo.

 

Sono invisibile.

 

Izaya Orihara si sentiva invisibile. Era vivo? Socchiuse gli occhi, inspirando. Percepì quella vaga sensazione che non sai spiegare a parole: l’aria entra e scende giù, la senti proprio scivolare sulle pareti interni della gola, riempiendoti poi i polmoni, riempiendoti tutto.

« Tu non sei fermo, Iza. Lo hai deciso tu, perché è più comodo così, perché certe volte scegliamo di rimanere in attesa, perché andare avanti fa più paura. »

Il problema è che noi siamo sempre in attesa, ma ce ne rendiamo conto solamente nel momento in cui quello che stiamo aspettando è fondamentale, questione di vita e di morte. E allora percepisci quella porta che, fino a poco prima era sempre stata accostata, ora è lì, lo spiraglio più nitido, il buio che cerca di invadere la tua luce, una piccola figura d’ombra che si affaccia e inizia a mormorarti parole all’orecchio, parole che non vuoi sentirti dire, parole che pensavi fossero solo parte del tuo subconscio. Una piccola ed infima zanzara fastidiosa.

Izaya riaprì gli occhi, ricomponendosi e indicando il palazzo di fronte al loro, le spalle gobbe, quasi come se fossero stufe di tutti i pesi sopportati.

« Mi domando cosa provino le persone, ognuno di loro, quando si chiudono nelle proprie mura domestiche. Ti sei mai chiesto che vita abbia quella donna che per caso ti cede il passo all’ingresso del bar, o quell’uomo di fianco al quale ti siedi sul treno, o quel bambino che osserva una vetrina speranzoso? Quali sofferenze hanno rinchiuso dentro la loro stanza. »

Lo sentì sbuffare leggermente, ridacchiare. Voleva girarsi. Voleva vedere quegli occhi, ma non poteva.

« Sei tu quello che ama gli esseri umani, dei due. Io amo solamente te. »

Cos’era quella sensazione? Mio Dio, si sentiva la faccia strana, come un foglio accartocciato, un po’ bagnaticcio e non riusciva a vedere bene. Sussultò, costretto a dover aprire le labbra per respirare perché dal naso non riusciva a farvi entrare aria. Sussultò quando gli scappò un verso strano, all’apertura della bocca, un singulto che partiva dal profondo della gola. Sussultò, quando percepì le scie leggiadre e salate partire dagli occhi e seguire un percorso ben delineato, fino ad arrivare agli angoli del volto, alle labbra, sulla lingua, sul cuore.

« Shizu-chan? », il bisbiglio fu portato alle sue spalle dalla brezza. Quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto, in vita sua? Aveva mai pianto, soprattutto, per qualcun altro?

Shizuo fece qualche passo avanti, lo percepiva alle sue spalle, riusciva a percepirne l’odore inconfondibile della sua pelle. Dio, come avrebbe voluto sbilanciarsi un po’ all’indietro, appoggiare la sua schiena al petto di lui, il capo persino, andando a stuzzicargli il mento con i suoi capelli neri come l’ebano. Lui lo avrebbe preso, abbracciato e l’avrebbe consolato nella sua maniera goffa.

« Hai mangiato, Iza? »

Izaya scosse il capo.

« Tutto quello che mi circonda in casa mi disturba. Dover apparecchiare un posto in meno, dover lavare un piatto in meno, vedere una sedia vuota, io... »

La quotidianità si era rotta, spezzata in due, in quattro, in mille pezzi, come quel bicchiere che qualche settimana prima gli era scivolato dalle dita, troppo ubriaco. Quei cocchi che fa niente, lasciamoli lì, adesso voglio solamente fare l’amore con te.

« ...sono solo. »

Lo disse. Diede voce a quei pensieri dilanianti. Faceva così male. Inspirò con calma ed espirò. Soffiò il naso e tornò a guardare più lucidamente il mondo che, nemmeno all’udire quelle due parole, si era fermato.

« Non sei solo. Vieni qui. »

No, non poteva voltarsi, ma lo voleva con tutto se stesso.

« Perché tu mi hai abbandonato, allora? »

Silenzio. Certo, perché a certe domande non esiste una risposta. Non c’è nessun Dio che sappia dirci il motivo di quello che succede oppure è troppo egoista e se lo tiene per sé, divertendosi lassù, seduto sul suo trono ad osservare come gli umani si stremino nel tentativo di comprendere.

« Non ti abbandonerò, mai. Sei la mia pulce. », lo sentiva sorridere, « Ci vediamo presto, Iza. »

« Non farmi aspettare troppo, mi annoio senza le tue lamentele quotidiane, Shizu-chan. »

Izaya lo sentì ridere e poi, quando decise di mettersi in piedi e poi voltarsi per scendere dal cornicione, il nulla gli rispose.

Si sentì immediatamente stupido. Era talmente dipendente da Shizuo che, durante la sua assenza, lo percepiva e addirittura ci parlava come se fosse sotto l’effetto di un acido. Forse era la pastiglia che Shinra gli aveva dato per stare tranquillo che gli dava allucinazioni?

Scrollò le spalle, come per volersi levare strati di polvere. Sarebbe rientrato nell’appartamento e avrebbe passato un’altra notte a domandarsi perché quel letto era così freddo, senza il corpo di Shizuo.

Domani gli avrebbe scritto un altro messaggio – l’ennesimo, tolti tutti quelli con cui gli stava inondando la chat, ai quali Shizuo rispondeva a spezzoni.

Domani sarebbe tornato sulla soglia dell’ospedale, mascherina sul viso annessa, a sperare di poterlo rivedere.

Domani, sì, domani ci avrebbe pensato.

Domani.. attendendo il giorno in cui finalmente potrà richiudere quella porta, anche se dopo quell’esperienza non sarebbe mai stato più lo stesso, e dire:

Ok, il mondo sta andando avanti e ora possiamo tornare a muoverci anche noi.

 

 

  
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