Non era rimasto nessuno lì, dietro di me era come se si spalancasse una voragine, oltre la quale i miei compagni di squadra avevano reso chiare le loro intenzioni: "non possiamo né vogliamo giocare con le tue alzate". Uno schiaffo in faccia avrebbe fatto meno male di veder quella palla cadere senza che nessuno ci si avvicinasse neppure. Fine dei giochi, confermata dalla panchina e dalla sconfitta in finale. Ritrovarmi il tipo della squadra avversaria di quella partita in palestra al liceo fu uno shock ancora maggiore di vedermi rifiutato dall'Accademia a cui avevi fatto domanda. Ricordavo perfettamente il suo atletismo e la sua disumana velocità, e anche la sua totale mancanza di tecnica ed esperienza. Era rimasto debole. Non lo trovavo adatto né necessario a vincere, glielo dissi in faccia, senza paura che potesse offendersi o smettere di giocare: sentivo che sarebbe stato solo l'incentivo per farlo smuovere un po'. E così accadde. La sua presenza in campo era inversamente proporzionale al suo fisico, e per fortuna, dato il compito di esca che in seguito avrebbe svolto alla perfezione. In quel tre contro tre giocato in palestra ero sempre sull'orlo di quella voragine, che ormai era diventata l'ossessione delle mie giocate. Sarei di nuovo caduto o rimasto isolato su una delle due sponde se lui non avesse urlato quel Kageyama! Sono qui. E c'era, infatti, ci sarebbe sempre stato, in tutta la lunga evoluzione della nostra veloce. La mia certezza era che lui avrebbe schiacciato e ci sarebbe stato.