Albert
mi aspettava in auto. Mycroft mi accompagnò, ma prima
di salire si fermò, mi guardò con attenzione.
“Stai lontana dai guai, esci
sempre con qualcuno almeno per i primi giorni. E riposa, guarirai
più in
fretta.” Mi sfiorò con le dita il cerotto sul
collo. Gli occhi tradirono un
sottile tremore. “Perdonami per la situazione assurda in cui
ti ho
portato.”
Presi
la sua mano, era fredda. “Ora
basta, se devi partire voglio che tu sia
sereno. Starò bene. Promesso”
Eravamo
vicini, troppo. Lo baciai, fu io a reclamarlo, ma
sentivo che anche lui lo voleva senza avere avuto il coraggio di
chiedermelo.
Fu
un bacio, dolce e amaro, di abbandono, ma di speranza. Imparavamo
uno dall’altro. Il suo sapore lo avrei tenuto con me, e lui
avrebbe portato il mio
nel suo viaggio pericoloso, altro non potevamo donarci. Mi staccai
turbata,
tremavo di paura, ma lui non mi lasciò, abbassò
la testa. Mormorò debolmente,
la voce incrinata.
“Non
posso prometterti nulla, sei una specializzanda e io un
diplomatico già navigato.
Cerca di
capire che mi sento combattuto. Devo partire e non so cosa
potrà succedere. Non
voglio che tu rimanga ad aspettarmi inutilmente.”
“Lascialo
dire a me, se voglio farlo o no, non decidere per
me!” Lo scossi con forza, le mani strette sulle sue spalle.
Riuscii a fare in
modo che mi guardasse. Sbottò di colpo, incupito.
“Laura,
sei una incognita che ho incrociato nella mia vita
già programmata! Lo capisci o no? Ho un lavoro difficile. E
tu sei giovane, hai
tutta la vita davanti.” Non lo lasciai, ora lo tenevo stretto
per le braccia.
Temevo di perderlo così senza una spiegazione.
“Una
incognita Myc? No, non lo sono, perché so di volerti
bene. Quando tornerai, sarò pronta per iniziare con te
qualcosa di più solido,
diverso dal tuo prendere e lasciarmi. Così mi fai solo del
male.” Ero
disperatamente attaccata alle sue risposte, volevo almeno una certezza.
Lui
non si dava pace, pensava che lasciarmi fosse la
soluzione giusta. “È per questo che non voglio
illuderti, tu hai bisogno di
stabilità. E io non posso garantirtela.” Fece per
voltarsi, ma lo tenni stretto
con tutte le forze che mi rimanevano.
“Sei
sL empre stato presente, ti ho ritrovato al mio fianco
ogni volta che sono stata in difficoltà. Come fai a dire una
stupidaggine del
genere.” Gemette
di dispiacere. Dovevo
sapere, non avevo alternative.
“Guardami, dimmi la verità, dimmi che
non provi nulla per me!”
Lui si riscosse dal
torpore, non voleva del tutto perdermi, la sua voce si fece decisa.
“Non essere
sciocca, lo sai cosa sento per te! Ma ti sto dicendo le
difficoltà a cui
andremo incontro continuando questo rapporto. In più ora io
devo partire, e non
sono sicuro di nulla.”
Gli
presi il volto con entrambe le mani. “Ti sto facendo
capire che non mi importa, perché voglio un futuro con te.
Vuoi che te lo dica
chiaro e ben scandito, razza di stupido?
Ti amo! E
niente può cambiare in
me.” Glielo gridai con tutta la disperazione che avevo nel
cuore.
“Dio,
Laura. Mi rendi tutto così difficile! Mi stai
sconvolgendo la vita.” Un
sospiro
leggero lo tradì. “Sei
arrivata nel
momento sbagliato.” Afferrò le mie mani strette
sul suo volto e le tenne forte,
ci accomunò un dolore irrazionale. Mi decisi, fui secca e
determinata per
un’ultima volta.
“Dillo,
Myc, ora lo devi dire. Guardami
dritto negli occhi. Dimmi se provi
quello che io provo per te. Ma dì la verità, non
mentire a te stesso e a me.”
“Laura.
Lo sai cosa sento, non obbligarmi a…”
Balbettò,
cercando aria.
“Dillo.”
Ero decisa, lo incalzai di più, non me ne sarei
andata senza una risposta.
“Ti
amo Laura… E questo mi distrugge.”
Era solo un filo di voce, le sue mani bianche
tormentate, presero ad accarezzare il mio volto.
“Va
bene. Va bene così. Non ti assillerò
più. Quando
tornerai io ci sarò, mi basta sapere del tuo amore per avere
la forza di
aspettarti. Si
allontanò di pochi passi,
scosse la testa vinto dalle mie affermazioni.
“Ti
stai dannando, mia piccola selvaggia! Non sai quello che
ti aspetta con me.” Mi
fissò quasi
smarrito, ma rasserenato dalla mia perseveranza.
“La
risposta la sai. Amo quello che sei, per come sei. Per
quando litighiamo e ti trovo poco dopo vicino a me. Per tutte le volte
che sei
insolente e subito dopo dolce e protettivo. Ti amo, Mycroft Holmes e ti
aspetterò.”
“Laura….
Non so se merito una simile fiducia. Non sai come tornerò.
Potresti aspettarmi per niente.”
“Non
mi importa, sarò paziente, lo decideremo insieme al tuo
ritorno, ma dovevo sapere cosa provavi.”
Gli
posai sulle labbra un ultimo bacio. Lo sentii tremare,
lo accarezzai sulla nuca. “Ricordati di questo, quando ti
sentirai solo. Io ci
sarò.” Annuì, infilò le mani
nelle tasche del suo vestito costoso. È così che
lo volevo ricordare, elegante e fiero. Il mio perfetto gentleman.
Trattenni
le lacrime per non adombrarlo, salii in auto,
mentre Albert discreto non fece nemmeno un respiro. Non mi voltai,
mentre
l’auto scivolava via, eppure sentivo i suoi occhi seguirci.
Avevamo
aspettato troppo, presi a studiarci, a provocarci, entrambi
chiusi nelle nostre fortezze. La solitudine che ci aveva accompagnati
per anni,
era fiorita e ci aveva uniti. Mi ricordai del libro di Goethe che mi
aveva così
tanto colpito quando l’avevo letto e quella frase che mi
aveva emozionato: “In
questo lasciare e prendere, fuggire
e ricercarsi,
sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà
atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto
legittimo un termine tecnico come affinità elettive.”
La
nostra era stata una sorta di “solitudine”
elettiva. Appoggiai la fronte al vetro, consapevole che non avevo avuto
molto e
non avevo dato altrettanto. L’orgoglio si era portato via
tutto. Se qualcosa era
stato seminato ora era congelato. Freddo, sospeso alla mercé
del caso.
Una
lacrima salata solcò la mia
guancia: ero consapevole che lo amavo. Il freddo British Government
aveva intaccato
il mio cuore, con un tatuaggio indelebile. Strinsi forte il suo libro
prezioso,
la cosa più cara che avevo.
Albert
mi avvisò che eravamo
arrivati. Lo salutai mestamente.
“Dottoressa,
conti su di me. Sono
al suo servizio.”
“Oh,
Albert hai altro da fare, che
stare dietro a me.”
“Laura,
è un ordine di Mycroft.” Fu
lento e confidenziale nel dirlo. E
sinceramente me lo aspettavo.
“Albert,
se ho
bisogno so che ci sarai, e comunque grazie!”
Si girò
sorridente, quasi rassicurante. “Tornerà,
dottoressa, perché ora ne ha il
motivo.”
Fece
salire il
finestrino prima che potessi replicare. Così lo salutai con
la mano mentre
metteva in moto l’auto e andava
via.
Baker
Street era già sonnolenta,
poche luci accese, salii i 17 gradini e aprii la porta.
“Ciao
Laura, ti
aspettavo.” Lo
vidi sprofondato sulla
poltrona il fratello “sulle gambe” di Mycroft,
quello che si annoiava
continuamente.
“Ciao,
Sherlock. Penso che tu sappia già cosa è successo
oggi, quindi sorvola.” Mi
toccai il cerotto sul collo, lui aggrottò
la fronte. Mi
invitò a sedermi. “Che
vuoi?” Lo apostrofai risentita. Suo fratello si sacrificava
costantemente per
lui. E lui lo avrebbe fatto?
“So
quello che
pensi, ma lo abbiamo deciso insieme. Non mando mio fratello a farsi
ammazzare. Nemmeno
per l’English Establishment intero.”
Lo
fissai seccata. “E quindi?”
Gli buttai addosso senza pensare.
“Non
sarà solo,
te lo garantisco. Lo riporterò a casa.”
Congiunse le mani sotto al mento come faceva spesso quando
elaborava. “Ma
tu non chiedermi nulla. Né cosa succede, né tanto
meno notizie su di lui.”
Scossi la testa avvilita, era così che agivano gli Holmes,
dovevi accettare e
basta.
“Sta
bene.” Mi alzai. Lo
fissai stizzita.
“Fallo
tornare,
possibilmente vivo, se questo è il tuo compito.”
La voce tradì la mia
inquietudine. Me ne
andai di sopra e lo
lasciai lì, solo e turbato. Ero
frustrata da questo loro atteggiamento, dove i sentimenti non
esistevano. Io
avevo un cuore ed era rosso e speranzoso, come quello della maggioranza
della
gente.
Uniche
eccezioni loro tre: Mycroft,
Sherlock e la loro congelata sorella Eurus.