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Autore: MuItifanacc    31/07/2021    0 recensioni
[Black Widow]
Solo quello che sarebbe potuto succedere se Natasha Romanoff venisse prese più in considerazione durante il primo film Avengers
Genere: Azione, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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C’erano cose che Nat non aveva detto a nessuno prima di morire, è morta con i suoi segreti, anche quel dannatissimo segreto che aveva scoperto prima di partire indietro nel tempo con Clint, lui che lo credeva un vero amico, la prima persona a cui si era aperta veramente e che sapeva letteralmente tutto di lei, persino di sua sorella, le aveva mentito, o meglio glielo aveva tenuto nascosto, non solo a lei ma a tutti quanti, era tutto il suo piano di vendetta quello, ma non pensava sarebbe stato così doloroso pensò mentre cadeva nel vuoto, era certa che avrebbe indossato la sua migliore maschera e che avrebbe fatto credete a tutti che fosse stata lei a buttarsi e che lui avesse provato di tutto per fermarla, inutilmente, era più che certa che sarebbe finita così, con lei morta per un suo capriccio, perché il suo ragionamento non le andava bene di certo, perché solo le sue idee erano le migliori. Perché non potevano semplicemente aspettare Thanos e rubagli la gemma una volta che lui l’avesse presa, era crudele far morire una bambina, ma o con la pietra o senza lei sarebbe morta comunque, e poi c’era un altro punto a loro favore per loro, Thanos era senza poteri in quel momento, ed erano 2 contro 1, avevano anche abbastanza tempo per creare un diversivo, una trappola, qualsiasi cosa, ma per Clint era molto più pericoloso che farsi pestare a sangue ed essere buttata in quel precipizio. Rivolse un ultimo pensiero a tutti gli Avengers, a tutto quello che avevano passato e infine a sua sorella e alla loro ultima avventura, uccidendo Draikoff e finalmente distruggendo la stanza rossa e rendendo libere le sue vedove. Così sentendo l’eco del suo richiamo, quel piccolo fischio nella testa, tutto il suo corpo fu colpito da qualcosa, o meglio lei colpì qualcosa, e dentro di lei si sprigionò il dolore più forte che avesse mai sentito, era come se tutte le ossa le si fossero spezzate stralciando tutto quello che vi si trovava intorno, muscoli, vene e tessuti. L’ultima cosa che riconobbe prima di perdere totalmente i sensi è stato lo sguardo soddisfatto di Clint che con in mano la pietra se ne andava tranquillamente. Yelena seppe della morte di sua sorella Natasha soltanto 2 mesi dopo lo scontro, quando la ebbe cercata per giorni interi e di lei non c’era più alcuna traccia. Così sconfitta e amareggiata si costrinse ad andare a New York, la città degli eroi, si era sempre chiesta perché tutti gli eroi abitavano lì, non dovevano dividersi per il mondo in modo da coprire ogni nazione? Per lei aveva più senso così. Arrivò sotto la torre degli Avengers e rimase incantata dalla sua bellezza, era enorme cercò di paragonarla ai palazzi che aveva già visto ma si schiaffeggiò mentalmente, come poteva paragonare New York a Mosca oppure a Budapest. Riluttante entrò e venne accolta da un giovane uomo, molto giovane, che stava giocando al telefono mentre camminava e per poco non la colpì. -Stai attento ragazzino. Lo sgridò lei marcando fortemente il suo accento. Lui imbarazzato si scusò e chiese se avesse bisogno di informazioni. -Certo, sto cercando Natasha Romanoff, dovrebbe abitare qui vero? Vide lo sguardo del ragazzo che successivamente si presentò a lui come Peter o Spiderman, diventare molto cupo e triste e le disse di seguirla, era già intimorita da lei e non aveva neanche il coraggio di guardarla negli occhi figuriamoci di dirle che Natasha era morta. Il tragitto fu fatto in silenzio e Yelena osservava attentamente tutti i dettagli di quella torre così futuristica e semplicemente fantastica, sapeva che era la torre di un multimiliardario e si vedeva proprio. Si scrisse un appunto mentale che se avesse visto la signora Potts le avrebbe dovuto fare le condoglianze. Peter la accompagnò fino alla stanza di Steve, dove lo chiamò per risolvere la questione. Appena Steve aprì la porta e vide Peter e questa giovane donna si presentò, non avendo perso la galanteria degli anni 40. -Piacere Yelena, sono qui per mia sorella, Natasha. Sentendo il motivo per cui era arrivata fin lì, Peter lasciò subito la stanza e chiuse la porta dietro di lui, lasciandoli soli. Steve si sedette sul letto mentre lo sguardo di Yelena ricadde su un capo di abbigliamento perfettamente adagiato su una sedia, era il suo gilet, il gilet che gli aveva regalato, quello con le tante tasche, il primo capo di abbigliamento che aveva comprato in totale autonomia. -Perché lo hai tu? Chiese avvicinandosi all’oggetto in questione. -È di Natasha, teoricamente è mio ma glielo avevo dato. Continuò prendendolo tra le mani. -Sai Natasha doveva volerti davvero bene, da quando ci ha fatti riunire fino a quel viaggio quantico lo ha sempre indossato, le confessò amaramente lui. -Aspetta, perché fino a quel viaggio? Steve era fermo in quella posizione non poteva dirglielo, come poteva farlo, avrebbe voluto inventare una scusa qualunque ma non ebbe il coraggio di mentire a quegli occhi, le ricordavano molto quelli di Natasha, si erano completamente diversi ma avevano una sola cosa in comune, quello sguardo con cui ti guardavano, capace di attraversarti le ossa e scoprire tutti i tuoi nervi. -Forse è meglio se ti siedi. Le disse lui cercando di confortarla ma non aveva idea di come fare. Steve partì dall’inizio, da come Natasha aveva riunito la squadra, da come avevano organizzato i piani, da come si erano ritrovati soltanto loro 2 a mangiare pane e burro d’arachidi bevendo vodka fin quanto lui non le fece promettere che si sarebbero separati soltanto 1 minuto. -E poi, chiese lei davvero fiera della sorella, con le lacrime agli occhi che cercava di ricacciarle indietro sapendo che stava per sentire qualcosa di veramente brutto. -E poi sono passati 2 mesi, 3 giorni e 46 minuti da quella promessa, disse Steve indicando la sveglia a led rossi sulla sua scrivania, che scattò in avanti di un altro minuto. Yelena non voleva crederci, non poteva essere morta, Steve le raccontò tutto quello che sapeva, ma la sua mente da spia, non brava come sua sorella ma che poteva tenergli testa, trovò un buco nella storia raccontata. -Perché sono dovuti andare loro 2? Chiese in un sussurro, non voleva piangere davanti qualcun altro, sapeva che si fosse rotta, ma non ora, avrebbe avuto tutto il tempo per farlo dopo, da sola, senza nessuno, così da poter sfogare tutto quel dolore, senza che la gente cercasse di fermarlo, non poteva essere fermato quel genere di dolore, ufficialmente il suo cuore si era spezzato e non potrà risanarsi mai più. Prese il suo vecchio gilet e corse fuori dalla torre, Steve provò ad andargli dietro ma sapeva che era tutto inutile, d'altronde capiva il suo dolore, non poteva comprenderlo del tutto perché Natasha era la sua migliore amica, ma poteva capirlo, almeno in parte, anche se la parte distrutta del suo cuore non era grande come quella che aveva perso Yelena. Yelena viaggiò a lungo, senza fiatare, senza una lacrima scesa e soprattutto senza pensare a niente, si rifiutò di pensare a qualsiasi cosa perché sapeva che ogni cosa le avrebbe ricordato sua sorella, e lei doveva resistere, era forte e avrebbe resistito, almeno fin quanto non era completamente da sola. Era finalmente arrivata, aveva fatto scambio con tanti mezzi pubblici ma ci era finalmente arrivata, Steve le aveva detto dove l’avevano seppellita, si c’era la sua tomba ma il suo corpo era ancora disperso, ringraziò il cielo che era notte, così nessuno sarebbe andato lì. Scavalcò la recinzione e andò alla ricerca della tomba di sua sorella, non che il corpo fosse stato ritrovato, ma era bello avere un luogo dove poterla piangere in pace. Aveva ancora il suo gilet tra le mani e così decise di metterlo, appena il tessuto incontrò la sua pelle un’ondata del profumo di Natasha la avvolse e stordita dalle emozioni che le riempirono gli occhi, riconobbe la sua tomba, la riconobbe principalmente per il suo simbolo, quello della vedova nera, il suo nomignolo, aveva tanti alter ego ma quello era semplicemente il soprannome che aveva tenuto dalla stanza rossa, tutte le addestrate erano vedove, ma a lei le era stato affibbiato quel colore perché era la ricercata numero 1 da Draikoff e dal KGB. Le gambe le cedettero, e si ritrovò inginocchiata sul freddo terreno, dovette poggiare anche le mani tanto era scossa dai singhiozzi e dal tremito. Dalla sua gola uscivano strazianti lamenti mentre il suo viso era fradicio di lacrime, i suoi polmoni scossi da singhiozzi non le permettevano un’adeguata ossigenazione, aveva rinunciato alla messa a fuoco della sua vista, tanto a cosa le sarebbe servita in quel momento, voleva soltanto raggiungerla, si erano ritrovare dopo tanto tempo e l’aveva già persa, di nuovo, quanto erano piccole era terrorizzata da quello che le poteva succedere ma ora no, se l’avrebbe cavata sia con Nat sia da sola, ma ora non era sicura di riuscire a gestire i suoi sentimenti, perché quando si è piccoli non provi tutte queste emozioni, e soprattutto non le provi così duramente. Si lasciò completamente prendere dalle emozioni, tanto che urlò, urlò di rabbia, di rancore, di disperazione, urlò tutte le emozioni che stava provando, fin quanto non sentì la sua voce diventare sempre più rauca, ma i suoi singhiozzi non si placarono e neanche le sue lacrime. Sentì il suo corpo sempre più debole ma non le importava, così si lasciò andare e cadde per terra, su un fianco, proprio sulla tomba della sorella, era come sentirla più vicina in quel modo, una parte della sua mente le diceva che così colmava il dolore che era più vicina a Natasha ma sapeva benissimo che il suo corpo era ancora su Vormir, e soprattutto sapeva che non avrebbe mai potuto averla indietro. Venne svegliata dal cinguettio degli uccelli e svogliatamente aprì gli occhi, non si rese conto di dove fosse perché non sapeva di essersi addormentata, lentamente si alzò facendosi forza sulle braccia e incrociò lo sguardo con la tomba di sua sorella, e passò le dite sul bassorilievo dove era incisa la parola sorella, figlia, sorella, Avengers. Pensò che fosse un’ingiustizia che non le avessero scritto Eroina, dopo tutto si era sacrificata per salvare l’universo, un minimo riconoscimento dovevano darglielo. Estrasse dal suo stivaletto il vecchio coltellino che teneva per le emergenze, con molta cura incise a grandi caratteri, proprio sotto il suo simbolo, lei era un’eroina, non era un atto vandalico, non voleva di certo deturpare l’unica cosa che la teneva vicino la sorella, voleva soltanto rendergli giustizia. -Sta venendo bene, qualcuno alle sue spalle parlò ma Yelena neanche si girò per vedere chi fosse, non le importava, aveva quasi finito il suo lavoro e non voleva di certo fare male l’ultima lettera. Sentì l’altra persona sedersi un po’ distante da lei e fortunatamente per lei la lasciò in pace. Quando ebbe finito, rimise il coltellino nel suo posto, poggiò la fronte sulla lastra, proprio sul simbolo, chiuse gli occhi e fischio, aspettò in rigoroso silenzio ma non ebbe nessuna risposta, aprì gli occhi quasi delusa dal suo gesto, come se avesse potuto cambiare la realtà, quando si girò e vide la persona che prima le aveva parlato. Era una donna, dai capelli rossi, molto atletica e gli occhi chiari, dalla descrizione potrebbe anche sembrare sua sorella ma non era minimamente comparabile a lei, era Pepper, Pepper Potts, la fidanzata di Tony Stark, il famigerato Iron Man. Subito si alzò in piedi e si stiracchio molto finemente, aveva sempre passato la notte dormendo per terra. Pepper le si avvicinò e fece la sua conoscenza porgendole la mano. -Piacere Virginia Potts, il suo nome suonò strano era abituata a sentirla chiamare Pepper, anzi all’inizio pensava fosse un uomo e che Tony fosse omosessuale. -Yelena Belova. -Ascolta Yelena, so esattamente come devi sentirti, fidati e vorrei darti un’opportunità per placare la tua rabbia, iniziò Virginia prendendo qualcosa nella sua borsa. -Io non faccio niente per niente, soprattutto ora, disse Yelena asciugando una lacrima fuggita al suo controllo e distogliendo lo sguardo verso la tomba. -Lo so, ma la tua ricompensa sarà nel vederlo morire. Disse porgendole il piccolo tablet con sopra una foto, una determinata foto, con una determinata persona che entrambe le donne odiavano. Clint Burton. -Puoi fare come vuoi, letteralmente come vuoi, basta che non veda più la luce del sole. Yelena era senza parole, non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse capirla così bene, che potesse capire i suoi veri sentimenti e tutto quello che provava. Non capì come, ma le sue braccia era strette intorno alla piccola vita della donna più grande, anch’essa le teneva le braccia intorno alle spalle e la lasciò sfogare per bene, sapeva come ci si sentiva e fortunatamente lei non aveva dovuto affrontare il lutto da sola, certo quella parte di lei non si sarebbe mai ripresa, ma aveva imparato a conviverci, e quando la nostalgia e il dolore erano troppo si rifugiava nei ricordi. Quando vide che i singhiozzi di Yelena si placarono riprese a parlare. -Smanettando nei vecchi file di Tony, ho trovato quello che aveva creato prima della battaglia, e c’erano le caratteristiche fisiche di tutti, su chi potesse usare il Mjolnir, su chi potesse usare il guanto e su chi avesse potuto morire a causa dello schiocco di Thanos, soltanto che c’era qualcosa di sbagliato in quel file dato che era stato manomesso, e ricercando ho trovato chi lo avesse fatto, era stato lui, Clint, ha fatto credere a Tony che la sua armatura avesse potuto assorbire la potenza dello schiocco quando invece soltanto Thor e Carol potevano. -Così lo ha fatto uccidere, la interruppe Yelena, e poi continuò. -E tu credi che sia stato lui a spingere Nat giusto? Virginia annuì lentamente senza mai distogliere lo sguardo da lei. -Posso venire con te? Le chiese spontaneamente Yelena interrompendo l’estenuante silenzio che si era protratto tra loro. -Certo che puoi, non ti lascio mica da sola. Le disse passandole il braccio sulle spalle e accompagnandola alla sua auto. Yelena si fermò soltanto un attimo, lanciò un ultimo sguardo alla tomba di sua sorella e giurò vendetta verso di lei, promettendole che se non avesse adempito al suo compito si sarebbero di certo rincontrate. Passarono i mesi e Yelena si era ufficialmente stabilita nella torre degli Avengers, non si vedeva molto in giro, stava vivendo veramente male il lutto, se la si voleva trovare era nella stanza di Natasha, non toccava niente, entrava si sedeva sul pavimento ed osservava tutti gli oggetti che vi erano all’interno, che un tempo appartenevano alla sorella, e stava lì giornate intere ad immaginare le possibili storie che avevano visto e che non aveva avuto abbastanza tempo insieme per poterle sentire direttamente da lei. Difficilmente usciva da quella stanza e le uniche persone che tollerava erano Steve e Virginia. Nessuno la chiamava più Pepper, era l’unica cosa che non voleva tenere di Tony, quel tanto amato soprannome, aveva tenuto perfino le armature, in caso potessero servire in qualche battaglia ma quello no, quel soprannome era l’unica cosa che teneva per sé. Steve con lei era fantastico, la trattava come la bambina che non era mai potuta essere, cercava di rallegrarla in ogni modo senza strafare troppo, la aiutava a sfogarsi nei giorni troppo stressanti e soprattutto la accompagnava sulla tomba della sorella. Nel frattempo il piano per far fuori Clint andava avanti però rimaneva sempre in stallo, mancava un dettaglio importantissimo, sapere dove fosse, era come scomparso dalla faccia della terra, come l’ultima volta, ma lì era stata Natasha a rintracciarlo. Quel pomeriggio erano soltanto lei Virginia nella torre e Yelena le si avvicinò facendole una particolare richiesta. -Potresti accompagnarmi in Ohio? Naturalmente Virginia capì cosa intendesse dire Yelena e dato che si stava struggendo sul grande divano di pelle facendo zapping alla tv decise di accettare l’offerta. Yelena non aveva l’autorizzazione per prendere il Quinjet però sapeva guidarlo molto bene, così con l’autorizzazione di Virginia e le abilità pratiche di Yelena si ritrovarono in pochi minuti ad atterrare nello spiazzale del cimitero. Yelena, seguita dalla rossa, camminava piano, molto piano quasi godendosi la sensazione, però naturalmente come ogni volta, appena vedeva la tomba della sorella gli occhi le si riempivano di lacrime. Si inginocchiò di fronte ad essa e con mani tremanti mise in ordine gli oggetti che alcuni fan avevano regalato, figurine, vecchi fiori e persino qualche suo pupazzetto. Poggiò la fronte sul simbolo e fischiò, illudendosi ogni volta che sua sorella rispondesse, ma niente. Lo fece di nuovo, e questa volta sentì qualcosa in risposta come un sussurro, si girò verso l’altra donna e chiese. -Hai detto qualcosa? Virginia scosse la testa, e lei si alzò rizzando le orecchie. Fischiò di nuovo e questa volta il suono in risposta era molto più chiaro, ma non poteva essere vero. -C’è qualcuno? Chiese iniziando ad avanzare verso la fonte di quel rumore. Sentì di nuovo il fischio in risposta. -Senti chiunque tu sia, non va bene questo gioco che stai facendo, stai ferendo delle persone che non conosci e non sai cosa potrebbero farti, minacciò furiosa verso chiunque la stesse prendendo in giro. Si rese conto di essergli molto vicina quando sentì il fischio chiaramente e poi un tonfo. Oltrepassò alcune cappelle tombali, e vide una macchia rossa in fondo ad una di queste, così corse verso quella cosa. Man mano che correva e si avvicinava i suoi occhi si riempivano sempre di più di lacrime, non poteva essere vero, e non poteva nemmeno essere un’illusione. Si fermò proprio ai suoi piedi e disse una cosa che non solo la scioccò ma lasciò scioccata anche Virginia che si era tenuta un po’ in distanza. -Nat? Nessuna risposta, aveva quasi paura di toccarla, era ricoperta di sangue, tutto il suo corpo era rosso, sembrava avesse fatto il bagno nel sangue. -NAT? Ripeté più forte, ma ancora non ebbe risultati. Si avvicinò e la girò delicatamente, appena i suoi occhi scrutarono il suo viso, e la riconobbe, le lacrime le inondarono la vista non permettendole un’adeguata visione. Si strinse quel corpo apparentemente senza vita addosso, e pianse, urlò e lasciò andare via tutte quelle emozioni che si erano già manifestate prima, ma mai con quella intensità. Un leggerissimo colpo di tosse la riscosse dai suoi pensieri, sua sorella era ancora viva? Si avvicinò e le poggiò il viso sul petto, proprio sul cuore. Si rialzò di scatto quando sentì il debole pulsare del suo cuore, come se avesse ricevuto una martellata in testa. Alzò lo sguardo e vide Virginia al telefono con qualcuno, non capì cosa stesse dicendo troppo sopraffatta dalle emozioni. Si strinse sua sorella tra le braccia e le parlò. -Ti prego, Nat, so’ che c’è la puoi fare, tutti crediamo in te, e tu sei una forte, sei l’unica che potrebbe sopravvivere a questo, ne sono sicura, anzi tutti ne siamo sicuri. Si sentì un forte boato in lontananza e pochi secondi dopo, una tuta metallica rosso e oro apparve ai loro piedi. Neanche si tolse il casco che si buttò sulla creatura in fin di vita. Provò anche lui a chiamarla e a scuoterla ma lei non dava risposta. -Voi andate al jet, io la porto direttamente alla torre. Ordinò Steve, e per quanto risultò difficile per Yelena lasciar andare il corpo di sua sorella sapeva che quella era la scelta giusta se voleva riaverla di nuovo sana e salva. In circa 10 minuti arrivarono alla torre e corsero verso l’infermeria, fuori dalla porta c’era Steve, distrutto, con ancora la tuta addosso. Yelena fece per entrare ma Steve la bloccò. -È inutile, ha bloccato la porta, non ci farà vedere niente finché non sarà stabile. Il respiro di Yelena stava aumentando così come la sua rabbia, era sua sorella, la credeva morta ed ora era viva, non poteva chiuderla fuori dicendole di aspettare, aveva aspettato troppo a lungo. Iniziò a prendere a calci e pugni la pesante porta di metallo, fin quando Steve rendendosi conto che si stava facendo del male la fermò di forza e lei le pianse tra le braccia fino allo sfinimento. Non sapeva quanto tempo fosse passato quando si svegliò, e sperò vivamente che tutto quello che aveva vissuto non fosse stato solo un sogno, ma tanto, ormai ci era abituata e non dava più false speranze ai sogni. Si alzò dal suo letto e si diresse in bagno per bagnarsi la faccia, doveva darsi una bella svegliata, le sembrava di aver dormito per giorni. Appena mise piede in bagno e vide il suo riflesso allo specchio, non poté fare a meno di notare tutto quel sangue secco sul suo corpo, il suo cervello la congelò sul momento rivivendo tutti gli avvenimenti recentemente passati fin quando come di colpo di sbloccò, e riconobbe che era tutto vero, come una furia corse dall’altra parte della torre, doveva esserne certa, non fece neanche caso a chi fosse andata a sbattere e alle imprecazioni che le mandava. Corse fino alla porta dell’infermeria e con più forza del normale vi andò a sbattere finendo rovinosamente contro quella parete, maledì Jervis e tutta la torre intera, e lasciandosi andare senza forze scivolò fino a terra dove vi rimase cercando di ascoltare cosa stesse succedendo dall’altra parte. Fu sempre lei ore dopo ad interrompere quel silenzio assordante, dopo che le sue lacrime erano state versate tutte e che i suoi singhiozzi si fossero placati, e così come faceva quando erano bambine, le uscì come un sussurro, una flebile voce che cantava una vecchia canzone. Bye bye, miss American pie, drove my chevy to the levee, but the levee was dry. Le parole le uscirono un po’ forzate dalla bocca, ma il risultato pensò che era ottimo, se c’era un modo per far capire a Natasha che le era vicino era quello. Dall’altra parte della porta, un’ancora incosciente Natasha stava in qualche modo percependo quelle parole e una piccola lacrima riuscì a sfuggirle al suo controllo. Perché anche se il suo corpo l’aveva abbandonata, la sua mente forgiata dalla Red Room, dal KGB e dallo SHIELD era ancora attiva al 100 %, e giurava soltanto una cosa Vendetta. Yelena si svegliò nel suo letto, qualcuno doveva averla portata lì, e naturalmente il suo primo pensiero andò a sua sorella, si alzò pronta per andare a sfondare quella porta ma trovò un biglietto sulla scrivania. -Fatti una lunga doccia, vieni a fare colazione e poi andremo da Natasha. Non sapeva chi l’aveva scritto ma dopo un momento di sdegno si disse che aveva ragione, così dopo neanche 10 minuti uscì dalla stanza vestita di tutto punto e con i capelli bagnati. Si diresse in cucina dove trovò Virginia che stava preparando la colazione. -Vanno bene uova e pancetta? Le chiese. Lei annuì volto velocemente sentendo i morsi della fame risvegliati da quel magnifico profumo sella pancetta che friggeva. Mangiò veramente con gusto, e li si rese conto che non mangiava da 2 giorni, si guardò intorno e non vide arrivare nessuno, di solito la colazione era il momento più caotico della giornata, soprattutto con Thor e Bruce che non placavano mai la loro fame. -Dove sono tutti? Chiese quando aveva ripulito il piatto e Virginia la guardava soddisfatta. -Vieni con me. Le disse semplicemente lei, facendosi seguire. Yelena conosceva bene la strada che stavano percorrendo, si stavano recando in infermeria. Arrivati d’avanti la porta la bionda rimase bloccata davanti ad essa, non voleva un’altra delusione e soprattutto non voleva brutte notizie su sua sorella, non altre. Virginia le aprì la porta e la invitò ad entrare, la prima cosa che percepì era il forte odore di sangue della stanza e subito dopo riconobbe tre facce molto conosciute intorno ad un letto. Bruce stava armeggiando insieme a Jervis su alcuni macchinari, Thor era ai piedi del letto e Steve molto probabilmente stremato dall’età, stava dormendo su una sedia con la testa poggiata sul letto. Yelena si avvicinò incerta, non poteva essere morta se no gli altri non erano così tranquilli giusto? Fece qualche altro passo e la vide, eccola lì, distesa su quel letto, con un’infinità di bende che le ricoprivano il corpo, diversi aghi che le perforavano la pelle collegati a delle flebo, dei tubicini che le passavano nel naso e quell’odiosa macchina che le controllava il battito, che era debole ma costante. Yelena andò dall’altro lato del letto, prese una sedia e semplicemente prendendo la mano di sua sorella si lasciò andare in un pianto liberatorio, era la persona più felice della terra, non riusciva a smettere di sorridere nonostante le lacrime che continuavano a scenderle dagli occhi. -Nat, sono qui, c’è l’hai fatta, siamo tutti fieri di te, ci hai salvato tutti. I giorni passarono e con questi le ferite di Natasha miglioravano sempre di più ma ancora non aveva ripreso conoscenza, c’era stato un piccolo movimento della mano ma lo attribuirono ad uno spasmo muscolare, niente di più. Il suo ottavo giorno di incoscienza ci fu il primo segno di risveglio, Yelena che era al suo fianco si sentì stringere la mano e poco dopo un profondo respirò uscì dalla bocca della sorella. -Nat, se puoi sentirmi, so che c’è la puoi fare, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, io ti aspetterò qui. Cercava di confortarla e motivarla, ma tutto quello che ottenne fu un rapido movimento degli occhi e poi niente, come se fosse risvenuta. Ci vollero altri 3 giorni per vedere un suo movimento, questa volta al suo fianco c’era Steve, Natasha debolmente aprì gli occhi, e i loro sguardi si incrociarono, lei sembrò riconoscerlo quando sussurrò il suo nome, ma subito ricadde nell’incoscienza. Non ebbero altri segnali per ben 10 giorni, e per quanto il corpo di Natasha fosse migliorato, con tutte le ferite guarite, ora bisognava soltanto attendere che il tempo facesse il suo corso sulle cicatrici. Yelena stava impazzendo, vedere la sorella così era estenuante, avrebbe voluto che si fosse svegliata già settimane prima ed ora la sua pazienza era al limite. Fortunatamente quel giorno, decise di passarlo tutto il giorno in infermeria, stava rovistando sulla scrivania di Bruce, si annoiava davvero tanto e il suo cervello aveva bisogno di evadere dalla realtà così iniziò a giocare con tutti i vari oggetti che si trovavano su quella scrivania, finché non sentì un suono che la paralizzò all’istante, non poteva essere vero. Diede tutta la colpa alla sua immaginazione e ritornò a fare quello che stava facendo, quando lo sentì di nuovo, più chiaramente questa volta, di scatto si girò e incontrò quegli occhi verdi, era impossibile pensò dentro di sé. Involontariamente rispose al fischio mentre si avvicinava a sua sorella, ogni passò che faceva i sorrisi sui loro volti si ampliavano e le lacrime erano impossibili da trattenere. Fin quando non ci fu il loro contatto, Natasha era ancora troppo debole per alzarsi così era stata Yelena ad abbracciarla, appena i loro corpi si scontrarono si lasciarono andare in un forte pianto, Yelena sembrò calmarsi prima di Natasha e mentre continuava a tenerla tra le braccia poté effettivamente capire quanto avesse sofferto, le sue lacrime si trasformarono in singhiozzi, e questi in urla, non riusciva a pensare a cosa le fosse successo di così brutto da scalfirla in questo modo, diamine era la vedova nera, la più temuta spia russa del mondo, la sua mente era capace di farti credere qualsiasi cosa e riusciva a manipolare tutto quello che voleva, ed ora eccola lì, emotivamente distrutta a sfogarsi per tutti quei mesi di tortura che aveva subito, neanche quanto era scappata dalla stanza rossa si era sfogata in quel modo. Le sue urla allertarono tutti i presenti del palazzo, e nessuno poté fare niente per colmarle quel dolore, non era un dolore fisico, era tutta una sofferenza mentale, e nessuno poteva fermarla se non lei. Passarono diversi minuti in quella posizione, fin quando ad un tratto Natasha si placò e Yelena che l’aveva tra le braccia poté dire che sentisse veramente freddo dato che stava tremando fortemente. L’idea migliore che venne a tutti fu quella di farle fare una bella doccia calda, così aiutata da Yelena si alzò e di recarono nella stanza di Natasha. Gli altri volevano aiutarle ma avevano paura che Natasha non prendesse bene la loro presenza, anche perché non li aveva degnati nemmeno di uno sguardo, così tristemente lasciarono andare le 2 sorelle russe verso la loro strada. Arrivate nella stanza, Yelena la fece sedere sul letto ma lei non resistette in quella posizione e lentamente scivolò su un fianco, era troppo esausta per fare qualsiasi cosa, voleva soltanto sprofondare nel suo morbido letto e dormire per i prossimi mesi. Yelena capì le intenzioni di Natasha e le prese semplicemente un’altra coperta dall’armadio e la aiutò a infilarsi dentro il letto, la coprì meglio che poteva e fece per spegnerle la luce, ma Natasha sussultò di terrore, e scosse la testa. -Vuoi che la lasci aperta? Chiese dolcemente Natasha annuì anche se i suoi occhi si stavano già chiudendo e prima di addormentarsi sussurrò una frase che Yelena non potrà mai dimenticare. -Non lasciarmi sola. Erano semplicemente 3 parole, ma dette da sua sorella avevano un significato davvero troppo grande, lei era sempre quella che si curava le ferite da sola, che non voleva socializzare, che era sempre per fatti suoi, ma ora vederla così debole e stremata, le ha spiazzato il cuore. Così molto delicatamente, senza disturbarla troppo, si stese di fianco lei e piano piano si mosse fino ad averla tra le sue braccia, Natasha ancora in dormi veglia si accoccolò ancora di più tra quelle braccia e si lasciò andare, sentendosi finalmente al sicuro e in pace. Le ultime cose che percepì furono le parole di sua sorella e un leggero bacio sulla fronte. -Non ti lascerò mai più sola. C’era qualcosa di strano, molto strano, tutto intorno a lei era calmo, non sentiva né quelle urla né tutti quei rumori inquietanti che la tormentavano, anche il freddo sembrava essersi placato, quasi sentiva una strana sensazione di calore, forse doveva essere morta, era sicuramente per quello, l’ultima cosa che ricordava ero lo sguardo soddisfatto di Clint, ricordò benissimo la battaglia che ebbero, sembrava quasi strano vederlo combattere in quel modo, ma non si sarebbe mai aspettata quella pugnalata alle spalle, avrebbe sospettato di tutti tranne di lui, l’unico a conoscere tutta la verità su di lei, a conoscere sin da subito la vera lei, certo dopo aver reso pubblici tutti i dati dello SHIELD tutti sapevano chi era e la conoscevano da cima a fondo, ma nessuno sapeva quello che passava dietro quegli sguardi assassini, pochissime persone, si potevano contare sulle dita di una sola mano e lui era stato il primo in assoluto, e lui l’aveva tradita in quel modo, li aveva traditi, tutti quanti, sperò che Tony si fosse reso conto del suo imbroglio e che avesse affidato a Thor o Carol quell’arduo compito che prima o poi sarebbe toccato a qualcuno, era stato davvero un arduo compito quello di infiltrarsi nel computer di Tony ma fortunatamente le notti insonni le portavano consiglio e noia così si era ritrovata più di una volta in quel laboratorio, a cercare di bypassare tutte quelle chiavi di sicurezza che Tony vi aveva messo. È così qualche ora prima di partire, scoprì la verità e decise lo stesso di andare insieme a lui pronta a smascherarlo, ma non andò tutto secondo i suoi piani, infatti non si sarebbe mai aspettata che la colpisse con quel pugnale, e soprattutto che continuasse a percuoterla duramente per poi buttarla nel nulla. Poteva ancora sentire sulla sua pelle la sensazione di cadere nel vuoto, e il dolore che provò con lo schianto. -Nat, NAT ti prego svegliati, NAT! Sentì qualcuno chiamarla e scuoterla leggermente, aprì di scatto gli occhi e si ritrovò in una stanza, nella sua stanza, la sua stanza nella torre degli Avengers a New York, si guardò un attimo in torno stranita dalla situazione come era possibile, poi le venne tutto in mente, Red Skull, il combattimento, la scalata, il portale, e Yelena. Appena vide il suo viso sopra il suo, con quel bellissimo sorriso a 32 denti, quei capelli biondo cenere sempre disordinatamente legati e quegli occhi ormai sempre più lucidi. -Nat, tranquilla, ci sono io qui con te, sei al sicuro, è tutto finito. Cercò di tranquillizzarla parlandole dolcemente e tenendola stretta tra le braccia. Natasha non fece niente, non si mosse e nemmeno parlò, a mala pena respirava mentre il suo cervello correva all’impazzata. -Dove? Chiese staccandosi dall’abbraccio e con il tono di voce più serio che avesse mai avuto. Yelena sapeva bene di cosa stava parlando, o meglio di chi. -Non lo so. Rispose sinceramente. -Dovrà pagare, per quello che mi ha fatto. Yelena era molto preoccupata per Natasha, conosceva bene quello sguardo e non prometteva nulla di buono, sapeva che se avesse provato a fare qualsiasi cosa si sarebbe fatta più male di quello che pensava, così le parlò. -Nat, so come ci si sente, e voglio quanto te vendicarmi di lui, però adesso tu sei troppo debole, so benissimo che hai già elaborato un piano e che sarà sicuramente fantastico ma devi aspettare, almeno qualche settimana il tempo necessario per riprenderti. Quelle parole non andarono molto bene con la visione che aveva in testa Natasha che infuriata le rispose. -Tu non hai idea di come mi senta, lui mi ha tradito, mi ha pugnalato alle spalle e mi ha gettato in quel posto, tu non hai la minima idea di come fosse lì, del silenzio assordante, delle urla, del freddo e della solitudine, tu non hai idea di quello che ho passato, lui deve provare almeno quello che ho provato io se non di più, era il suo piano dall’inizio, doveva eliminarmi perché ero l’unica che poteva tenere la squadra unita così sarebbe diventato lui il capo, lui deve pagare. La sfuriata di Natasha durò parecchio e ogni parola che diceva il suo tono di voce si alzava sempre di più tanto che le ultime frasi furono urlate, lasciando ampio spazio alle sue lacrime di viaggiare sul suo viso e a qualche singhiozzo di scuoterla. Yelena la prese tra le braccia e parlò. -Io non posso perderti di nuovo. Quelle parole colpirono duramente Natasha, che alzò lo sguardo e incontrò gli occhi lucidi della sorella, lì Natasha capì quanto avesse sofferto Yelena per la sua mancanza e vedendo che iniziava a piangere, la fece stendere di nuovo nel letto e coprì entrambe con la pesante coperta. Erano entrambe coperte ed entrambe stavano l’una tra le braccia dell’altra, semplicemente godendosi il silenzio. Poco dopo sentirono dei colpi alla porta e qualcuno che parlava, era Bruce. -Ragazze buongiorno, se volete venire il pranzo tra poco sarà pronto, e non preoccupatevi ha cucinato Virginia. Yelena ringraziò Bruce e si rivolse a Natasha. -Vuoi andare? Lei annuì felice di aver ripreso in mano la sua vita ma prima decise che era meglio se avesse fatto una doccia, era troppo tempo che non ne faceva una e aveva proprio bisogno della sensazione dell’acqua calda che ti scorre addosso. Si scostò di dosso le coperte e con un agile scatto scavalcò sua sorella, finendo rovinosamente per terra. Yelena preoccupata si alzò e la aiutò ad alzarsi. -Forse hai ragione tu, sono troppo debole, puoi aiutarmi a fare la doccia? Non ebbe bisogno di ripeterlo 2 volte che subito le prese tutto il necessario e la aiuto ad andare in bagno. Natasha rimase sotto il getto d’acqua per interi minuti, si sentiva di nuovo felice in quel momento, al sicuro e amata. -Ti prego dimmi che non è successo niente a nessun’altro, chiese Natasha con la voce ovattata dall’acqua. Il silenzio di Yelena le fece capire che i suoi sospetti fossero veri. -Chi? Chiese terrorizzata. La più piccola non sapeva se fosse una buona idea dirglielo in quel momento, ma quando risentì la domanda di sua sorella e il suo tono di voce, capì che doveva per forza parlare. -Nat, Tu, Tony e Steve avete preso i colpi peggiori della battaglia, iniziò e non sentendo risposta continuò. -Tu sai, Steve come dire, è ritornato nonno Steve e Tony non c’è l’ha fatta. Yelena sentì da sotto la doccia un singhiozzo di Natasha. -Cosa è successo a Steve? Chiese confusa mentre le lacrime si mischiavano con l’acqua che le scorreva addosso. -Perché non te lo fai raccontare tu stessa dopo, cercò di infonderle un po’ di speranza, almeno il suo migliore amico era vivo, in tarda età ma vivo. -E Tony? È stato Clint vero? Non aveva capito che i file erano manomessi giusto? Yelena annuì tristemente mentre cercava di cambiare argomento, sapeva che tutto quel dispiacere non avrebbe portato nulla di buono a sua sorella in quelle condizioni, così aspettò qualche minuto e riprese a parlare. -Sai che ho preso un cane? L’ho chiamata Fanny, è una gigantesca palla di pelo, davvero enorme. -Fanny? Davvero? Le rispose Natasha sbattendosi la mano sulla fronte. Le dolci chiacchiere di sua sorella la distolsero dai suoi cupi pensieri, chiuse il getto d’acqua e subito da dietro la tenda un braccio le passò il suo accappatoio. Lo indossò rabbrividendo al freddo che era arrivato con la chiusura dell’acqua e si stupì della sensazione di calore che emanò a contatto con il suo corpo. -Perché è così caldo? Le chiese mentre usciva e afferrava il braccio di Yelena per non scivolare. -Perché l’ho indossato per tutto il tempo, così non era freddo, rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo, risposta che le fece meritare un bacio sulla guancia. Natasha era di fronte lo specchio, la stoffa intorno al suo corpo era aperta sul davanti e mostrava tutte le sue nuove cicatrici, o meglio l’unica cicatrice, che ricopriva gran parte del suo corpo. Yelena le andò davanti, le sollevò delicatamente il viso e guardandola fissa negli occhi le parlò. -Nat, sono segni temporanei, prima o poi svaniranno, tranquilla. Era terrorizzata che avrebbe potuto impazzire alla loro vista, facendole ricordare tutto quello che aveva dovuto passare, che prima o poi avrebbe dovuto raccontarle per filo e per segno senza tralasciare nessun dettaglio. Natasha le si strinse tra le braccia e dando un’ultima occhiata allo specchio, che ora non rifletteva più il suo corpo ma quello di sua sorella parlò. -Mi ricordano che sono viva. Quella risposta lasciò Yelena un po’ spiazzata, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse forte sua sorella, era passata oltre l’inferno e ancora aveva la forza di affrontare il mondo a testa alta. Si staccarono dal loro abbraccio, e la più piccola dovette asciugarsi qualche lacrima sfuggita al suo controllo, Natasha le poggiò le mani sul viso e asciugandole i residui delle lacrime fece una cosa che non si sarebbe minimamente aspettata, le passò le braccia introno al collo e cercando di sostenere il suo corpo ancora debole iniziò a fare dei piccoli movimenti con le gambe, faceva dei piccoli passi 2 verso destra e 2 verso sinistra. Yelena le mise le braccia sulla vita e la sostenne da lì, assecondando i suoi movimenti, Natasha le poggiò la fronte sulla spalla ed emise un forte sospiro di sollievo, come se lo avesse trattenuto da sempre. -Non credi che manchi qualcosa? Aggiunse Yelena. Natasha la guardò perplessa fece per dire qualcosa ma venne prontamente interrotta da Yelena. -Manca che tu mangi qualcosa dato che si vede notevolmente la tua perdita di peso. Appena fece il suo ingresso nella grande sala da pranzo, tutti la accolsero con un applauso, dopo tutto aveva salvato l’universo ed era in qualche modo resuscitata. Dovette far appigliò a tutta la sua forza per restare in piedi, ma era più che sicura che sua sorella non l’avrebbe mai fatta cadere. Velocemente si ritrovò a stringere molte braccia e a condividere con loro un sacco di emozioni. Il primo che le corse incontro era stato Thor, ritornato dal suo viaggio con i Guardiani della Galassia per l’occasione, la strinse con tutta la sua forza tra le braccia e solo quando Natasha lo supplicò di farla respirare lasciò leggermente la presa. -Mi sei mancata signorina Tasha, le sussurrò Thor all’orecchio con la voce incrinata dal pianto. Natasha non lasciò la presa, sapeva quanto tutti ne avevano bisogno, così rimase tra quelle enormi braccia di quell’enorme Dio che le stava singhiozzando sulla spalla. Si staccò soltanto alla richiesta di Bruce di lasciarne un po’ anche per loro, Natasha lo guardò da cima a fondo e facendo quel suo solito ghigno con le labbra mentre alzava velocemente il sopracciglio le disse. -Da domani ti metto a dieta, non posso permettermi un Dio fuori forma nella mia squadra. Bruce stancò di aspettare spostò Thor e si fiondò tra quelle piccole braccia che tanto aveva amato. Il loro abbraccio durò molto meno, anche perché Bruce era quello che ci aveva già passato più tempo di tutti, anche se era incosciente, ma era stato lui a curarla. Quindi lasciò spazio a una donna, Virginia, che la accolse tra le braccia e si parlarono a lungo sottovoce all’orecchio. -So’ tutto quello che è successo, e lo stiamo già cercando, non preoccuparti. Affermò decisa la più grande. -Mi dispiace veramente tanto per Tony, iniziò Natasha ma fu interrotta dalle sue stesse lacrime. Entrambe le donne piansero il loro amato marito e fratellone, perché per quanto si punzecchiavano si volevano un gran bene, proprio come 2 fratelli. Quando si staccarono dall’abbraccio, entrambe con gli occhi lucidi, si diedero forza a vicenda e finalmente era arrivato il turno di Steve, o meglio nonno Steve. Gli occhi di Natasha lasciarono andare troppe lacrime solo nel vederlo, rimasero qualche attimo a guardarsi negli occhi, fermi l’uno di fronte l’altra, quasi come se stessero realizzando che la persona di fronte loro fosse reale. Fin quando Steve, con una grande falcata la raggiunse e la seppellì tra le sue vecchie braccia. Il suo viso era nascosto dai capelli bicolore di lei mentre teneva il suo viso premuto contro il suo petto, ascoltando il suo vecchio cuore. -Cosa ti è successo Steve? Chiese rivolta più a sé stessa che a lui. -Non potevo vivere senza te, dopo aver perso anche Peggy, così sono ritornato indietro nel tempo e ho vissuto la mia vita come l’avevo lasciata, soltanto che non ho mai spesso di pensare alla mia migliore amica. Entrambi sentivano il bisogno di rimanere in quell’abbraccio, non era come con gli altri che dopo un po’ si sono staccati, sarebbero potuti rimanere in quel modo per sempre. Fin quando Steve, ricordando la loro prima battaglia come squadra citò le sue stesse parole. -Nat hai fame per caso? Perché c’è il tuo stomaco che mi sta brontolando addosso. Dalla gola di Natasha uscì una piccola risata, quasi un grugnito, che fece ridere tutti quanti, erano questi i bei momenti che le erano mancati più di tutti, essere felice con introno le persone che amava.
   
 
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