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Autore: Spoocky    02/08/2021    5 recensioni
1804, Napoleone sta espandendo le sue mire su tutta l'Europa, una spia inglese inviata in Spagna viene a conoscenza dei suoi piani e cerca di riportare in Patria le preziose informazioni. Ma qualcuno lo ha tradito.
Riuscirà il messaggio ad arrivare al destinatario?
Genere: Angst, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Periodo Napoleonico
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Questa, miei cari, è la mia ultima (in senso cronologico) fatica.
Sto cercando di cimentarmi in una sorta di racconto romantico/gotico. E' un esperimento e vado un po' alla cieca.
Oltretutto è un lavoro in corso quindi non so in quanto effettivamente riuscirò a finirlo, spero di ricevere qualche commento che funga da stimolo per proseguire.
Intanto vi ringrazio per l'attenzione.

Buona lettura ^^


Conrad corse su per le scale con la sciabola sguainata e sfondò la porta con una spallata.
Si ritrovò in una stanza illuminata da lampade appese al muro, piena di macchinari e strumenti spaventosi.
Prima che riuscisse ad individuare chi stava cercando, venne assalito da un omaccione inferocito.
Senza battere ciglio, l’abbatté con un tondo fulmineo.
Voltandosi di scatto vide un altro avventarglisi contro con un coltellaccio, ma finì a terra dopo un colpo ben assestato alla tempia.
Hancock non lo degnò di un secondo sguardo: gli importava solo della figura longilinea appesa per i polsi in fondo alla stanza.

Quando finalmente la raggiunse, sentì il cuore spezzarglisi nel petto.
I lunghi capelli castani gli ricadevano sul viso, ma non appena gli prese il mento tra le dita non ebbe più dubbi: quello era Nathan Bertrand.
La rabbia feroce che gli era divampata nel petto fino a quel momento tornò più forte di prima nel vedere che il corpo tremante del suo secondo era un affresco di lividi e sangue rappreso. Si sforzò di dominarsi, però, perché Nathan aveva bisogno del suo aiuto e non della sua rabbia.
Incurante del fatto che fosse completamente nudo, gli avvolse un braccio intorno ai fianchi e gli fece passare l’altro sotto le ginocchia, sollevandolo abbastanza da fare in modo che i suoi polsi straziati non dovessero più reggerne il peso.
Immobile tra le sue braccia, il giovane emise un flebile lamento, ma non diede altro cenno di vita.
Quanto male potevano avergli fatto in un giorno?

All’improvviso apparve alle sue spalle Rafael, il suo contatto in quella zona.
Non essendo alto quanto Conrad, il catalano dovette arrampicarsi su uno sgabello per armeggiare con le catene che imprigionavano i polsi del giovane: “A quanto pare le dicerie del villaggio erano giuste.” disse nel suo inglese sospettosamente privo d’accento “Li avete uccisi tutti?”
“Uno solo: quello vicino alla porta. L’altro dev’essere solo stordito. L’ho colpito alla testa con l’elsa della sciabola ma non credo sia morto.”
“Muy bien, perché quello è il nostro informatore principale. O meglio, lo sarà quando lo faremo parlare. Attento ora: sto per lasciarlo andare. Lo tenete?”
“Sì, sono pronto.”
“Bien. Ecco, ora il ragazzo può riavere i suoi polsi.”
Hancock non batté ciglio nel ricevere il peso morto del giovane sulle braccia.
Sistemandoselo addosso perché gli poggiasse il capo sulla spalla, cominciò a guardarsi intorno per cercare un posto dove adagiarlo.
Fu Rafael a trovarlo per lui: “Qui, mettetelo qui.” Lo avvertì indicando una sedia imbottita, probabilmente usata dai carcerieri tra una sessione di tortura e l’altra.

Attento a non provocargli dolore inutile, Conrad depose il suo fardello sulla poltrona.
Poiché ancora tremava, si tolse di dosso il pastrano e lo avvolse attorno alle spalle insanguinate dell’altro. Era tanto più magro del suo superiore che l’indumento parve inghiottirlo e, nonostante fosse foderato in velluto, doveva comunque aver strusciato malamente contro le sue ferite, perché gli strappò un gemito.
Sforzandosi di trattenere la rabbia, Conrad raccolse i capelli del giovane in un codino e li legò con un nastro per restituirgli un po’ della dignità che gli era stata strappata. Senza l’ingombro della sua folta capigliatura, il suo volto offriva un ben triste spettacolo. Fatta eccezione per le occhiaie che gli coprivano le palpebre ed un rivolo di sangue che gli usciva dal naso era pallido come un fantasma.
Hancock gli depose il capo contro lo schienale della sedia e gli si genuflesse di fronte. Prese le sue mani gelide tra le proprie, strofinandole per scaldarle. Non erano massacrate come quelle di altri agenti, ma anche a lui avevano strappato le unghie, e aveva le nocche spaccate: segno che aveva lottato per difendersi.
Dopo alcuni minuti, Conrad sentì le mani di Bertrand fremere e contrarsi tra le sue, come se cercasse di stringerle.

Subito dopo, il giovane emise un altro lamento e cercò di sollevare la testa senza riuscirci. Gemette di nuovo e aprì gli occhi.
Batté lentamente le palpebre, come risvegliandosi da un lungo sonno, mentre dalle sue labbra spaccate uscì un sussurro rauco: “Acqua… vi prego… acqua.”
Rafael, che portava una borraccia appesa alla cintura, l’aprì e la passò subito a Conrad: “Ecco, Nathan. Ecco, bevete tutta quella che volete.”
Gli sollevò la testa e gli accostò la borraccia alle labbra, ma, nonostante le sue premure, molta finì comunque per scorrere lungo il mento del giovane.
Quando Nathan gli fece cenno di non volerne più, Conrad volle asciugargli il viso con il proprio fazzoletto. Gli tamponò dolcemente le labbra e le narici, insistendo nei punti dove il sangue aveva ricominciato a scorrere.
“Grazie.” Sussurrò Bertrand, con un filo di voce.
“Shh, non vi sforzate.” Lo rassicurò Conrad “E’ tutto finito. Siete al sicuro, adesso.”
“Continuavano a fare domande.” Gemette il giovane, sempre più agitato “Chiedevano… tante cose…  io non … non ho … oh, Dio mio. Dio mio.”
S’accasciò ansante sulla poltrona, tremando come una foglia.

Non sapendo cosa fare senza fargli male, l’agente rimase immobile, sopraffatto dalla rabbia per quello che gli avevano fatto.
Poi però il giovane alzò una mano tremante e, con un dito insanguinato, indicò un mucchio di stracci: ciò che restava dei suoi vestiti. Conrad capì subito cosa cercasse di comunicare e si mise a frugare tra gli indumenti laceri.
Quando trovò ciò che restava del panciotto estrasse un pugnale dalla cinta e lo aprì, rivelando un messaggio cifrato nascosto dal ricamo e visibile solo all’interno dell’indumento. Trovò anche la seconda copia del messaggio, vergata su un pezzo di carta nascosto tra due toppe sulle brache. Nathan non aveva ceduto: le informazioni che portava erano ancora al sicuro.

Vedendolo tergiversare, tuttavia, Rafael si decise a prendere in mano la situazione: “Dobbiamo portarlo via di qui, non ce la fa più.”
Riscuotendosi, Hancock annuì: “Coraggio, Nathan. Vi portiamo al sicuro. No, non cercate di alzarvi, vi porto io.”
.“Signore, io non…”
“Nessun disonore per voi, signor Bertrand: nelle vostre condizioni non siete in grado di reggervi in piedi. E, se anche lo foste, non mi sento in tutta coscienza di tentare la sorte. Coraggio, ora, poggiatevi a me e stringete i denti.”

Nonostante Conrad avesse adoperato tutta la cautela di cui fosse capace, il movimento strappò al poveretto un grido straziante.
Accomodandoselo in braccio come fosse un bambino, esattamente come aveva fatto con altri colleghi, lo sollevò di peso e lo portò fuori da quell’anticamera dell’inferno, nascondendo alla sua vista le figure inerti dei suoi aguzzini.
Scese le scale con calma, facendo attenzione a non provocargli scossoni.
Se lo strinse al petto quando arrivarono alla porta del torrione, per evitare che prendesse freddo nella notte gelida.
Sorpassando rapidamente la mesta linea degli uomini presi prigionieri dai catalani di Rafael, Hancock si diresse verso il carro coperto che avrebbe costituito il loro mezzo di fuga.

Ad aspettarlo c’era Pedro, fratello maggiore di Rafael.
“Ahi. Esto poro nino.” Commentò scuotendo la testa prima di aiutare Conrad a stendere il giovane sul pagliericcio che gli avevano preparato nel retro del carro.
Memore delle ferite che aveva sulla schiena, Hancock lo fece coricare sul fianco e s’accertò che fosse ben avvolto nel pastrano prima di stendergli addosso una coperta dopo l’altra.
“Eccoci, hijo.” Lo rassicurò Pedro, poggiandogli una coltre piegata sotto la testa come cuscino “Non è un granché, ma starai al caldo.”
“Grazie.” Sussurrò Bertrand, tentando di raggomitolarsi nel suo giaciglio.
“Cercate di riposare un poco, adesso. Dio sa quanto ne avete bisogno.”
Conrad gli diede una stretta affettuosa sul braccio e si sedette accanto a lui, posizionandosi in modo che
potesse raggiungerlo facilmente tendendo una mano.

Rafael mise dentro la testa: “E’ tutto a posto?”
Sia Conrad che Pedro gli fecero cenno di sì e lui si ritrasse, chiudendo il telo a copertura del carro.
Lo sentirono montare a cassetta e annunciare: “Vámonos, Ernesto.”

 


Il viaggio non fu semplice: la mulattiera che dovevano percorrere era dissestata e i frequenti scossoni del carro erano un’agonia per il povero Nathan, al punto da strappargli delle grida strazianti.
Più volte, nel corso del tragitto, dovettero fermarsi per fargli riprendere fiato.
In quelle brevi pause, alla luce della lanterna di Pedro, Conrad gli sollevava la testa, gli asciugava il sudore dalla fronte e le lacrime dalle guance. Cercava di fargli bere qualche sorso ma, come nella prigione, molta dell’acqua che gli dava finiva per scorrergli addosso, tanto era debole.
Alla fine si risolse a bagnare un fazzoletto ed umettagli le labbra come poteva, per dargli almeno un poco di sollievo.
Ogni volta lo riadagiava sul suo giaciglio e gli prendeva la mano, sperando che stringere la sua lo avrebbe aiutato a sopportare il dolore.
Avevano ormai perso il conto di quante volte avessero ripetuto quella sorta di rituale quando il giovane, stremato da quel calvario, s’accasciò privo di sensi tra le loro braccia.
 


Il monastero di Sant’Agostino si ergeva solitario su una scogliera a picco sul mare, circondato da una fitta foresta.
Per arrivarci era necessario percorrere una stradina tortuosa che costeggiava il bosco fino al portone principale del monastero. Come tutte le proprietà della Chiesa, era considerata terreno sacro ed inviolabile dai soldati del Re di Spagna: il nascondiglio perfetto per delle spie straniere in attesa del rimpatrio.
Trattandosi di un luogo sacro, non vi erano presidi armati nelle vicinanze ma, qualora ce ne fossero stati, il carro coperto dei catalani non avrebbe destato alcun sospetto perché simile in tutto e per tutto a uno dei tanti che ogni settimana portavano ai monaci quelle poche provviste che non riuscivano ad autoprodurre e ritiravano i loro prodotti per il mercato del villaggio vicino.

Quando il carro entrò nel cortile interno del monastero il Sole era già sorto e i suoi raggi ancora acerbi illuminavano il giorno di una luce tersa.
Le numerose soste fatte lungo la strada si rivelarono una fortuna perché arrivarono nel breve intervallo tra la l’Ora Prima e le Lodi mattutine. Furono accolti da due barellieri, che aiutarono Conrad e Pedro a adagiare il corpo inerte di Nathan su una lettiga per portarlo nell’infermeria del monastero, dove Padre Antonio Ramirez, erborista e medico, ed il suo novizio Miguel si sarebbero presi cura di lui.
Conrad venne invece indirizzato verso il refettorio, dove avrebbe potuto consumare un pasto caldo prima di ritirarsi nella stanza che gli era stata preparata per riposare un poco.
Pedro e Rafael, insieme al cugino Ernesto, tornarono invece da dov’erano venuti: il loro compito non era ancora terminato.
Dovevano ancora interrogare gli aguzzini dell’agente inglese e, dopo aver visto in quali condizioni lo avevano ridotto, smaniavano al pensiero di somministrare loro una dose abbondante della loro stessa medicina.
 
  
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