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Autore: CedroContento    05/08/2021    3 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Glomi, che sono i glomi? Ah, goblin! Quei maledetti… Hanno sfondato la mia tromba, inservibile. Certo, ne ho una nuova ora, ma non buona come quella vecchia, non so se mi spiego, quella sì che era calibrata alla perfezione.”

Oin

 


 

I giganti sembravano essersi dileguati e, anche se la pioggia cadeva ancora insistente, il temporale si stava placando. 

I nani, ormai completamente sfiniti e sottosopra, fortunatamente non dovettero percorrere molta strada prima di trovare un rifugio: una grotta angusta, ma asciutta e riparata. 

“Sembra abbastanza sicura,” disse Dwalin, guardandosi attorno circospetto.

“Controlla fino in fondo, le grotte delle montagne sono spesso abitate,” ordinò Thorin, sempre prudente. 

“Bene, allora accendiamo un bel fuocherello,” annunciò Gloin, strofinandosi le mani e cominciando ad ammucchiare alcuni ramoscelli che trovò sparsi qua e là.

Se non fossero stati tutti così scossi e stanchi, forse si sarebbero chiesti se non fosse strano trovare tanta legna, così provvidenzialmente a portata e in grande quantità. Non c'erano alberi o arbusti a quell'altezza, si erano lasciati alle spalle gli ultimi un paio di giorni prima.

Sfortunatamente per loro, nessuno quella sera era abbastanza lucido da accorgersi di quella stranezza, nemmeno Thorin, a cui quella caverna in ogni caso non piaceva; non ci si sarebbe mai fermato se avesse avuto scelta.

“No, niente fuoco, non in questo posto. Cercate di dormire, partiamo come arriva l'alba,” disse solo il Principe dei nani. 

 

 

Nonostante fosse esausto il sonno non arrivò per Thorin quella sera. Oltre al fatto che non si sentiva per niente al sicuro in quella dannata grotta, continuava a pensare alle parole che aveva rivolto a lo hobbit. Si era pentito di avergli parlato con tanta durezza, anche se ciò che aveva detto lo pensava davvero. La verità era che lui stesso si era stupito di quanta disperazione aveva provato all'idea che a Bilbo fosse successo qualcosa, non riusciva a capire come avesse fatto ad affezionarsi tanto a lui. Non era affatto nella sua natura perdere la testa in quel modo, tanto da non riuscire quasi ad agire. Una parte di lui faticava ad accettare che Bilbo rappresentasse una debolezza, una debolezza che non poteva permettersi. 

“Dove credi di andare?”

La voce di Bofur risuonò nel buio, strappando bruscamente Thorin dai suoi pensieri. 

“Torno a Gran Burrone”.

Thorin trasalì udendo Bilbo. Lo Scassinatore aveva davvero un passo leggerissimo, nonostante fosse sveglio non lo aveva sentito alzarsi.

“No! No, non puoi tornare ora, fai parte della compagnia, sei uno di noi!” protestò Bofur, nel tentativo di far cambiare idea a lo hobbit. 

Quando Bilbo parlò ancora, però, Thorin sentì un inequivocabile decisione nel suo tono di voce. E anche dell'altro: rabbia.

“In realtà no, vero? Thorin ha detto che non dovevo venire, ha ragione: non sono un Tuc, sono un Baggins.”

Thorin si accigliò, non capendo bene cosa intendesse dire Bilbo. Non sapeva chi diamine fossero i Tuc e che differenza ci fosse nell'essere chiamato in uno o nell'altro modo. Accantonò quell'insensatezza, ripromettendosi di indagare un giorno. 

“Chissà che mi è saltato in testa, non dovevo uscire dalla mia porta,” continuò Bilbo, con amarezza.  

Thorin valutò l'idea di alzarsi e intervenire. Non voleva che Bilbo se ne andasse così, non voleva che finisse così. Ma non era nemmeno disposto a rimangiarsi quanto aveva detto, e non voleva interferire ancora con le scelte de lo hobbit, già una volta aveva commesso quell'errore; doveva permettergli di tornare in un luogo sicuro, se era quello che voleva, era meglio per entrambi.

“Hai nostalgia di casa, lo capisco, io-” tentò ancora Bofur. 

“No, tu non puoi! Tu non capisci, nessuno di voi capisce. Siete nani: siete abituati a questa vita, a vivere per strada, mai fissarsi in un posto, non appartenere mai a niente!” ribatté Bilbo. “No… scusami, non-” aggiunse poi piano, forse dispiaciuto.

“No, hai ragione. Non apparteniamo mai a niente,” ammise Bofur, tristemente.

Thorin sapeva che quelle parole avevano toccato un tasto dolente. Come lui, se gli altri nani avessero avuto scelta, sarebbero stati ben felici di stabilirsi e di poter chiamare di nuovo un posto 'casa'. Era stata nient'altro che la malasorte a costringerli a vivere così, ma Bilbo evidentemente questo non voleva capirlo, tanto era occupato a compatirsi. 

“Ti auguro tutta la fortuna del mondo, dico davvero. Ora va, prima che-” Bofur si interruppe tutto d'un tratto. “Che cos'è?” chiese perplesso.

Thorin non riuscì a controllare l'impeto di sapere cosa avesse sorpreso l'amico, si tirò su giusto in tempo per vedere Bilbo abbassare lo sguardo sulla lama della sua spada: brillava di un azzurro intenso.

Ebbe appena il tempo di realizzare consciamente cosa indicasse quel segnale, e lanciare un grido d'allarme, che avvertì la terra mancare sotto di sé. Sentì come in un sogno le urla di sorpresa degli altri nani. Lo stomaco gli finì in gola, facendogli mancare la voce, mentre precipitava nel ventre della montagna.

 

 

La caduta fu arrestata da una rete realizzata in modo grezzo e approssimativo. Solo orchi, goblin e troll realizzavano manufatti di quel genere, Thorin ne riconosceva lo zampino.

Si ritrovarono tutti schiacciati gli uni sugli altri, e i nani, che si agitavano convulsamente nel tentativo di raddrizzarsi, peggioravano solo la situazione.

Per diversi minuti Thorin non riuscì a distinguere altro che braccia, gambe, barbe e grossi pancioni. Quando finalmente fu in grado trovare un punto stabile e mettere bene a fuoco ciò che aveva attorno, si accorse di avere qualcuno cavalcioni sopra di sé: Bilbo.

Lo hobbit, con il volto in fiamme per l'imbarazzo per quella vicinanza inaspettata, evitava accuratamente di incrociare il suo sguardo. “Adesso… mi sposto…” articolò a fatica, cercando di scacciare la mano di qualcuno da una delle sue orecchie.

Come annunciato, provò a fare leva sulle braccia per cercare di scostarsi, ma Thorin avvertì qualcosa spostarsi sotto di sé e a Bilbo mancò l'appoggio sotto le mani, con il risultato che rovinò, ancora una volta, su di lui. I loro visi finirono schiacciati l’uno sull’altro e, incastrati così, a quel punto non avrebbero più potuto muoversi, neanche volendo. 

“Smetti di agitati,” riuscì finalmente a dire Thorin, con il fiato mozzato. Erano così vicini che quando parlò le loro labbra si sfiorarono.

Thorin si riscoprì a pensare che fosse una deliziosa tortura quella vicinanza. Sapeva di avere gli occhi puntati impunemente in quelli di Bilbo, ma non riusciva a distoglierli. Il peso leggero del suo corpo, premuto contro il proprio, gli dava delle scosse di piacere che si irradiavano fino alla punta dei piedi. Non aveva sospettato di desiderarlo tanto. E non c'era nulla che gli impedisse di allungarsi ancora quel poco e prendersi quelle labbra, se le voleva.

O forse in realtà c'era: quel turbine di emozioni che vedeva agitarsi negli occhi fin troppo sinceri di Bilbo, gli occhi che non poteva più nascondergli, gli stessi occhi che, in un momento, gli ricordarono che lo hobbit aveva deciso di allontanarsi da lui.

“Volevi andartene,” disse, e suonò troppo come un'accusa perfino alle sue orecchie. 

“Ti importa?” 

‘Sì’, avrebbe voluto rispondere Thorin. Fu in quel momento che i goblin li travolsero come un ciclone.

 

 

Bilbo credeva che la notte passata con i tre troll fosse stata la più folle della sua vita, ma aveva dovuto ricredersi: quella appena trascorsa era stata ancora più surreale.

Non era riuscito a distinguere molto dopo che lui è Thorin erano stati così malauguratamente, meravigliosamente appiccicati. Ma non aveva quasi fatto in tempo a desiderare di rubare quel bacio, che si era sentito investire da un'orda irruente di goblin.

Nella ressa aveva percepito Thorin fargli scudo contro il nemico, incassando al suo posto un paio di violenti colpi di frusta; poi, il nano gli aveva inaspettatamente fatto lo sgambetto, e Bilbo non aveva capito subito come mai avesse fatto una cosa del genere.

Bilbo era caduto e i goblin, intenti ad azzuffarsi con i nani, decisi a vendere cara la pelle, lo avevano superato senza badare troppo a lui. Allora aveva capito che Thorin aveva semplicemente trovato il modo più veloce per metterlo in salvo, di nuovo.

A quel punto, quando quella calca violenta e caotica si era allontanata, si era ritrovato solo. Ed indeciso sul da farsi, anche. Doveva seguire i suoi amici, ormai prigionieri, per cercare di liberarli? Quante speranze aveva di riuscire in un'impresa di quel tipo?

Alla fine non aveva avuto occasione di valutare realmente le sue possibilità, perché si era ritrovato faccia a faccia con un orrendo goblin, che verosimilmente doveva essere tornato indietro a controllare che non ci fosse più nessuno. Bilbo dovette estrarre la spada e battersi.

Non si era mai trovato tanto vicino ad un goblin; assomigliavano agli orchi, ma erano più minuti, le loro orecchie erano più appuntite, e soprattutto erano veramente brutti come Bilbo se li era sempre figurati. In un’altra occasione sarebbe bastato l’aspetto di quel mostro a farlo scappare a gambe levate. Se avesse potuto, ma non c'erano vie di fuga. Si trovavano infatti su una precaria passerella di legno sospesa – nient’altro che per miracolo - nel vuoto. Sotto di loro c'era solo un abisso buio e profondo, di cui non si riusciva nemmeno ad intravedere la fine.

L'istinto di sopravvivenza, l'adrenalina e le sue poche ore di lezione di scherma vennero in soccorso de lo hobbit. Aveva attaccato il goblin, con la spada dalla lama azzurra e brillante, proprio come gli aveva insegnato a fare Fili. Lo scontro però non era durato molto. Nella lotta era caduto con il suo avversario dalla pedana traballante, erano stati sbalzati violentemente su rocce e massi, fino a quando non avevano raggiunto il fondo buio e nero come la pece. 

Ad eccezione di qualche ammaccatura, Bilbo era atterrato tutto sommato illeso, sopra una famigliola di grossi funghi. Non era andata meglio al goblin, che nella caduta aveva battuto la testa e perso i sensi. Una vera fortuna. 

Era stato a quel punto che quella creatura era sbucata dall'oscurità.

Si era avvicinata furtivamente a loro, procedendo carponi, con la schiena ricurva e spigolosa, inarcata come quella di un gatto ostile. Era pelle e ossa, il viso tutto occhi, e aveva una grande bocca piena di denti sbeccati e aguzzi che sembravano delle zanne.

Gollum non aveva notato subito Bilbo, che, dal canto suo, si era guardato bene dal palesare la propria presenza. Lo hobbit ebbe modo di registrare subito come quell’essere fosse dotato di una forza sorprendente, nonostante il corpo esile e rachitico. Lo aveva osservato impietrito mentre trascinava con sé il goblin, ancora solo parzialmente cosciente, fino alla riva di un lago sotterraneo, illuminato dalla pallida luce della luna, che filtrava da una breccia nel soffitto a volta, per poi ucciderlo spietatamente e macabramente, brandendo nient'altro che un grosso sasso. Bilbo era certo che il rumore sordo della pietra, che colpiva ripetutamente e sfondava le ossa del cranio del goblin, avrebbero popolato i suoi incubi per un bel pezzo. Era la cosa più raccapricciante a cui avesse mai assistito, dovette tenere a bada la nausea. 

Chissà come, Gollum alla fine aveva percepito anche la sua presenza. Forse era tanto abituato ad essere solo, nelle profondità delle caverne, da accorgersi subito anche del minimo respiro estraneo.

Quella che era seguita era stata decisamente la conversazione più assurda che Bilbo avesse mai sostenuto. Almeno aveva affrontato quel avversario su un terreno che gli si confaceva più dello scontro fisico: con arguzia, un indovinello dopo l'altro. 

Gollum si era rivelato essere più acuto di quanto non si potesse immaginare, ma Bilbo lo era stato di più, e per questo era riuscito a vincere la scommessa che si erano lanciati.

La scommessa in questione prevedeva che se Bilbo avesse vinto Gollum gli avrebbe indicato la via per uscire; in caso di sconfitta, Gollum gli aveva detto che lo avrebbe mangiato, proprio come il mostro di una favola per bambini. Bilbo alla fine aveva avuto la meglio nella sfida, ma Gollum non aveva preso bene la sconfitta, si era infuriato e non aveva mantenuto i patti. (1)

E ora, Bilbo era perso nei bui meandri delle Montagne Nebbiose, in fuga da quell'individuo inquietante, che per quanto fosse piccolo aveva in sé una rabbia e un'aggressività che Bilbo non aveva mai visto in nessuno.

Sembrava che quel dedalo di gallerie non avesse mai fine. Tutta quella fatica solo per finire così, inghiottito dalle tenebre. Se non fosse stato per quell'anello forse sarebbe già morto.

Era un anello magico, rendeva invisibile chiunque lo indossasse, Bilbo lo aveva capito quando lo aveva infilato al dito. Lo indossava anche ora e il mondo appariva sfocato, come se lo si guardasse attraverso il pelo dell'acqua, e amplificato allo stesso tempo. Era un oggetto tanto meraviglioso che come se lo era ritrovato tra le dita Bilbo aveva deciso che lo avrebbe tenuto stretto e al sicuro per sempre, non voleva più separarsene. Sapeva che era appartenuto a Gollum, aveva visto quando gli era sfuggito di dosso, ma non voleva restituire il mal tolto, anche se sarebbe stata la cosa più giusta da fare, e la cosa che solitamente avrebbe fatto da hobbit onesto quale era. Adesso quell'anello però era suo e di nessun altro. Lo aveva trovato lui, quel tesoro, anche se Gollum si ostinava a dargli del ladro. 

Udì le voci e lo scalpiccio degli stivali dei nani quando ancora erano lontani. Il cuore gli balzò in gola mentre seguiva la direzione da cui proveniva il suono, non poteva credere alla fortuna di averli ritrovati lì giù, ancora vivi. Voltò un angolo e, alla luce del suo bastone magico, vide il familiare cappello blu di Gandalf; la visione più dolce di tutta la sua vita. Ma c'era anche dell'altro: tra lui e i suoi compagni c'era Gollum. Inconsapevolmente, nel tentativo di nascondersi da quelli che doveva considerare altri intrusi, stava sbarrando la strada a Bilbo.

Lo hobbit sospirò sconfortato da quella sfortuna, la libertà era così vicina e così inarrivabile. 

Non aveva molto tempo, i nani si allontanavano velocemente, presto sarebbero stati troppo lontani e Bilbo non li avrebbe più ritrovati, doveva decidersi a fare qualcosa. Era invisibile ed era armato, non poteva essere difficile superare Gollum.

Improvvisamente, un’idea lo colpì, e guardò la spada stretta nel suo pugno. Ciò che doveva fare gli apparì evidente, ineluttabile: doveva ucciderlo, non aveva scelta. Nauseato da ciò che stava per fare, alzò la spada, se era quello il prezzo per salvarsi doveva pagarlo. 

Studiò la sua vittima: in quel momento Gollum sembrava terrorizzato da quel trambusto e pateticamente vulnerabile. Bilbo ci ripensò giusto in tempo per fermarsi.

Cosa stava facendo? Lui non era un assassino, non lo era e basta, non aveva mai ucciso in vita sua e non voleva nemmeno cominciare a farlo. Per qualche motivo poi, anche se quello aveva minacciato di mangiarlo, aveva pena di Gollum. Bilbo si era sentito solo come non gli era mai capitato nelle settimane appena trascorse, ma non era paragonabile all'esistenza meschina che conduceva quel mostro, rilegato per chi sa quale motivo nelle profondità delle montagne, lontano dalla luce del sole, senza cibo, compagnia o un letto caldo. Gollum non aveva nulla, un angolino della sua mente confessò anche che Bilbo gli aveva già sottratto tutto ciò che possedeva di più caro. 

Non indugiò oltre, sapeva già che più tardi avrebbe dovuto fare i conti con sé stesso e con quanto aveva anche solo pensato di fare, e tanto bastava. Arretrò quanto potè per prendere una bella rincorsa, e balzò oltre Gollum.

Esultò troppo presto per la riuscita del salto: uno dei suoi piedi urtò il capo calvo del mostro, tradendo la sua presenza. Avvertì Gollum mulinare in alto le braccia, nel tentativo di afferrarlo, fallendo. Mentre se lo lasciava alle spalle, sentì le sue urla, rabbiose e disperate insieme rimbombare nell'ombra, seguite da minacce di odio eterno.

Quelle grida non potevano toccare meno lo hobbit, davanti a sé vedeva la luce del giorno, finalmente era uscito da quell'incubo.

 

 

Correndo a rotta di collo giù per il ripido pendio della montagna, Bilbo inspirò a pieni polmoni l'aria fresca; era meraviglioso essere di nuovo all'aperto.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse trascorso nel cuore delle Montagne Nebbiose, aveva perso completamente la nozione del tempo, potevano essere state ore come giorni. Il cielo era limpido e l'aria era tinta di rosa, non sapeva decidere se si trattasse delle prime luci dell'alba o degli ultimi raggi di sole del tramonto. 

I nani correvano veloci molti metri avanti a lui, ignari del fatto che lo hobbit li seguisse. Proprio quando stremato com'era, Bilbo si chiese se sarebbe mai riuscito a raggiungerli, finalmente si fermarono.

Nonostante la distanza, sentì con incredibile nitidezza Gandalf fare la conta dei presenti.

“Dov'è Bilbo? Dov'è il nostro hobbit?” chiese preoccupato lo stregone ad un certo punto, accortosi finalmente della sua assenza.

Lo hobbit avrebbe voluto urlare 'Sono qui!' ma stava ancora percorrendo gli ultimi metri e non aveva assolutamente il fiato per farlo.

“Dov'è il nostro hobbit?!” sbraitò Gandalf, furioso come Bilbo non lo aveva mai sentito, quando non ricevette alcuna risposta dai nani.

Bilbo era abbastanza vicino ormai, e cominciò ad agitare le braccia per segnalare la sua presenza, ma nessuno sembrò accorgersi di lui. 

“Accidenti al mezz'uomo, ora si è perso!” commentò Dwalin, con il suo solito tono infastidito quando si trattava dello hobbit. 

Bilbo si fermò a poca distanza dal gruppo, nessuno si era accorto che era proprio lì. Solo allora si ricordò che indossava ancora l'anello, era invisibile. 

“Mi sa che è sgattaiolato via quando ci hanno catturati,” azzardò Nori.

Sgattaiolato via. Era questo quello che pensavano di lui? A Bilbo venne istintivo nascondersi dietro un albero. Precauzione inutile, visto che comunque non potevano vederlo. 

“Che è successo esattamente?! Dimmelo!” intimò Gandalf a Nori.

Sembrava l'unico preoccupato che a Bilbo potesse essere accaduto qualcosa, e l'unico a non pensare che fosse invece fuggito, l'unico a fidarsi minimamente di lui.

“Te lo dico io che è successo,” eruppe la voce di Thorin, e Bilbo sentì il proprio corpo tendersi. Era ridicolo che gli importasse tanto cosa avesse da dire il Principe dei nani, conosceva già la sua opinione.

“L'ho fatto scappare io dai goblin,” continuò il nano. “Mastro Baggins ha trovato la sua occasione e l'ha colta, non voleva altro: pensava solo al suo soffice letto e al suo caldo focolare da quando ha messo il piede fuori dalla sua porta. Non rivedremo mai più il nostro hobbit, ormai sarà lontano. È meglio così,” concluse Thorin, ma dal modo in cui lo aveva detto a Bilbo non parve tanto soddisfatto della cosa. Ed era assurdo, visto che non aspettava altro che Bilbo tornasse da dove era venuto, anzi, era stato lui stesso a metterlo nella condizione di sparire. 

E forse avrebbe potuto farlo sul serio, poteva davvero tornare a casa. Ormai erano comunque tutti convinti che fosse fuggito, o erano certi che se non fosse stato ora sarebbe stata solo questione di tempo; non sarebbe mai riuscito a far cambiar loro idea, non importava quanto si impegnasse. 

Thorin aveva parlato con sicurezza, Bilbo pensò infastidito che il Principe dei nani credeva di sapere sempre tutto, credeva di sapere tutto su di lui. Beh, sbagliava.

Proprio la presunzione di Thorin fece venir voglia a Bilbo di dimostrargli che aveva torto, torto marcio: “No, invece,” disse, sbucando da dietro l'albero.

Era contento di non avere più il fiatone, perché poté mettere tutta la sicurezza che gli serviva nella voce. 

“Bilbo Baggins! Non sono mai stato tanto felice di rivedere qualcuno in vita mia!” esclamò Gandalf, sollevato. Bilbo non aveva dubbi che fosse la verità. 

“Bilbo! Ti davamo per scomparso!” esclamò Kili, altrettanto rincuorato. 

“Ma come hai fatto a superare i goblin?” chiese Fili. 

“Già, come?” chiese Dwalin, socchiudendo gli occhi, diffidente. Ma che problema aveva? 

“Bah, ma che importanza ha? È tornato!” gli venne in soccorso Gandalf, vedendo che Bilbo si muoveva a disagio davanti a quel interrogatorio, esitando a spiegare cosa gli era successo. 

“Ha importanza, voglio saperlo!” intervenne Thorin, che, insolitamente, non cercava di dissimulare il fatto di essere stato preso in contropiede.

Bilbo sostenne il suo sguardo fieramente, soddisfatto di essere riuscito in quell'impresa, ma in breve il modo in cui lo stava guardando Thorin gli fece perdere tutta la sua spavalderia. Sembrava contento.

“A me importa, m'importa,” continuò il nano, mandando definitivamente in frantumi tutta la baldanza di Bilbo, e rispondendo senza alcun dubbio a quella domanda che solo loro due conoscevano. “Come mai sei tornato?” 

'Perché sono un idiota, ecco perché sono tornato,' sarebbe stata la risposta più giusta, quella più onesta. Ma c'era un'altra cosa che Bilbo voleva, doveva, assolutamente dire, perché ciò che aveva detto a Bofur ancora gli rimordeva senza tregua la coscienza. Aveva parlato con risentimento, senza pensare abbastanza, la sera in cui era quasi sgattaiolato via, mentre tutti dormivano. Doveva rimediare a quelle parole dette con troppa indelicatezza, e che forse anche Thorin stesso aveva sentito. 

“So che dubiti di me, lo so, lo hai sempre fatto. E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri, e la mia poltrona, il mio giardino. Vedi, quello è il mio posto, è casa mia. Perciò sono tornato, perché voi non ce l'avete, una casa. Vi è stata portata via, e voglio aiutarvi a riprenderla, se posso,” disse guardando in parte Thorin, ma soprattutto Bofur, al quale aveva bisogno di chiedere scusa in particolare.  

Nessuno aggiunse più nulla in seguito a quella spiegazione. Gandalf si limitò a sorridergli con affetto, gli altri nani della compagnia invece si guardavano i piedi; tutti ad eccezione di Thorin, che non aveva distolto lo sguardo nemmeno un istante da lui. 

Bilbo cominciava a sentirsi un po' a disagio in quel silenzio, sotto quello sguardo penetrante del Principe dei nani, ma lo rimpianse amaramente quando venne rotto dall'inequivocabile ululato di un mannaro. 

“Siamo finiti dalla padella alla brace,” sobbalzò Thorin. 

“Scappate!”

 


 
  1. Non è andata proprio così vero? Il pov però è quello di Bilbo, e, in particolare su questo argomento, già tende a rigirarsi la realtà come gli conviene. (su)

 

   
 
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