Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    11/08/2021    0 recensioni
«Tutti noi abbiamo scelto… potevamo tirarci indietro, ma non l’abbiamo fatto… potevamo separarci, negare ciò che ci lega, rifiutarlo, scappare via gli uni dagli altri…».
Gli rispose un sospiro, Shin scivolò un po’ più vicino a lui, le loro spalle si sfiorarono, poi la guancia di Shin si posò sulla spalla di Shu.
«Abbiamo scelto… di salvarci a vicenda…».
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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FANFIC PARTECIPANTE A – INCHIOSTRODISTELLE CHALLENGE – INDETTA DAL GRUPPO STARDUSTWAY
 
Prompt: In acqua non ero costretta a parlare con nessuno, ma solo a nuotare.
Per anni l'acqua è stato il mio rifugio, poi è diventata la mia prigione.
AMANDA BEARD
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Titolo: Acqua sotto le stelle
Autore: PerseoeAndromeda
Personaggi: Shu e Shin
Genere: introspettivo, angst, sentimentale hurt/comfort
Rating: giallo per presenza della tematica del lutto
 
 
ACQUA SOTTO LE STELLE
 
 
In acqua non ero costretta a parlare con nessuno, ma solo a nuotare.
Per anni l'acqua è stato il mio rifugio, poi è diventata la mia prigione.
AMANDA BEARD

 
 
«Tu ami tanto l’acqua, vero, Shin-chan?».
Gli occhi di Shin si sollevarono dallo specchio limpido del lago, nel quale i suoi piedi si attardavano, non importava quanto freddo facesse quella sera: lui faticava ad interrompere il contatto con il proprio elemento, faticava sempre… da sempre… da molto tempo prima che Suiko entrasse nella sua vita.
Non ricordava un momento in cui quel contatto non fosse stato importante.
Ma ricordava esattamente quand’era diventato, addirittura, morboso.
Il suo sguardo incontrò quello di Shu.
Shin non lo sapeva, ma il nakama non aveva smesso di contemplarlo neanche per un istante: aveva seguito a lungo, preda di un incanto, le sue gambe che oscillavano oltre il bordo del pontile, i piedi che sfioravano l’acqua con le dita, mentre gli occhi di smeraldo si perdevano in qualcosa di lontano, di troppo lontano da lui.
Di qualunque cosa si trattasse, Shu si scoprì ad esserne geloso e aveva sentito il bisogno di riportarlo a sé, in qualunque modo, anche con la domanda più stupida, più banale che potesse venirgli in mente.
Ma in realtà, forse, così banale non era: il rapporto di Shin con l’acqua lo aveva colpito fin dal primo istante.
Non che lui non fosse legato alla terra, non sarebbe stato il samurai di Kongo, così come Ryo prendeva il suo potere dal fuoco, Touma dal cielo, Seiji dalla luce.
Ma Shin e l’acqua sembravano…
Innamorati quasi.
Pensarlo gli fece mettere il broncio per un istante, ma lo cacciò quasi subito.
Se l’acqua lo faceva stare meglio, poteva andare solo bene e lui desiderava solo che Shin, il suo triste, malinconico Shin, stesse bene… o meglio almeno… solo un po‘ meglio, un po` più sereno.
«Certo che amo l’acqua, Shu… tu non ami la terra? Ryo non ama forse il fuoco?».
Come se questa spiegazione bastasse e fosse la più ovvia del mondo, ritornò a concentrarsi sui riflessi della notte che si accendevano come tante lucciole sullo specchio liquido e, in quel lieve movimento, rintanò la testa, una ciocca di capelli gli scivolò sulla spalla, rapendo lo sguardo di Shu.
Anche i piedi di Shin si mossero e l’acqua emise un lieve sciacquio, così lo sguardo del samurai della terra scese più in basso, per farsi ipnotizzare di nuovo dalla dolce danza delle gambe nude, le curve flessuose dei polpacci che si disegnavano nelle ombre dell’oscurità.
Deglutì, stupendosi una volta di più di quanto facesse male anche solo guardarlo, un male che però era dolce, perché in fondo era quel legame ad essere doloroso, era la paura di provarlo, la paura di perderlo… e quindi la paura di viverlo.
«Noi li amiamo, certo. Ma tu…».
Non concluse la frase, forse perché non trovava le parole, effettivamente non sapeva bene come spiegare ciò che aveva in mente. Non era bravo con le parole, non lo era mai stato, lui agiva.
Lui e Ryo agivano.
Shin e Touma erano quelli bravi con le parole.
Seiji era quello bravo con i silenzi e con l’immobilità.
Così la sua frase rimase in sospeso e quella sospensione penetrò negli occhi di Shin, si insinuò in lui, ne mutò lo sguardo, la lucentezza degli occhi si oscurò.
«Io, dall’acqua, sono stato salvato».
Shu si sentì ancor più confuso: non sapeva bene come interpretare quelle parole.
Così diede ad esse il primo significato che gli venne in mente, che era anche quello più banale:
«Beh… anche i nostri elementi ci hanno salvato, ci permettono di combattere e di…».
Shin fece un gesto stizzito, negò con il capo, nervoso, un piccolo sbuffo, quasi quelle osservazioni fossero per lui una seccatura… o la cosa più stupida che Shu potesse dire.
«Non intendevo in battaglia, non parlare sempre di quello!».
Shu si morse il labbro, risentito, far innervosire Shin non gli piaceva, la tensione tra loro lo metteva a disagio, era la sensazione più spiacevole che potesse immaginare, forse più ancora della paura in battaglia.
«Non ti arrabbiare» borbottò, in un tono che conteneva un po` di broncio, un po` di supplica.
Shin sussultò, lo guardò, come se solo in quel momento si fosse reso conto di ciò che era accaduto:
«No… io non…».
Si fissarono qualche istante, poi Shin scosse il capo, sbuffò ancora, ma questa volta contro se stesso:
«Scusami».
La testa rimase rintanata tra le spalle, gli occhi, in mezzo alle palpebre lievemente socchiuse, cercarono rifiugio di nuovo tra gli scintillii che le increspature provocavano sull’acqua: erano come una culla che lo dondolava, una ninnananna per i suoi pensieri sempre troppo turbinosi.
Shu non resistette, allungò una mano, insinuò le dita tra la spalla e l’orecchio così strettamente incollati e, rispondendo per isinto a quel tocco, la rigidità di Shin si sciolse, assecondò la carezza cercando, con la guancia, il palmo della mano.
La ciocca di capelli che prima aveva accarezzato la spalla solleticò la mano di Shu: nella gola del samurai della terra c’era un groviglio, dovuto a tutta la tenerezza che quel ragazzo gli comunicava. Shin era il suo punto debole e, al tempo stesso, la sua forza, perché di quella forza lo stesso Shin aveva bisogno.
Quella forza doveva esistere, soprattutto, per proteggere quella fragilità che Shu amava e che, al tempo stesso, lo terrorizzava.
"Ho sempre tanta paura per te" si trovò a pensare, mentre la sua mano si attardava, ferma, a sostenere la guancia in cerca di contatto.
Non glielo disse, perché lo avrebbe ferito, lo avrebbe fatto sentire debole e Shin non doveva sentirsi debole, altrimenti sarebbe stata la fine per lui.
"Perché sono così distruttivo? Perché pensare a lui riesce a mettermi tanta gioia, euforia, ma anche tanta paura e tristezza?".
La verità era che, quando dovevano combattere, lo spronava, a costo di forzarlo, se lo trascinava dietro, lo avrebbe probabilmente anche preso per mano per condurlo insieme a sé nel mezzo della mischia e a volte, lo sapeva, sembrava che lo volesse veder combattere.
In realtà aveva paura.
Shin non poteva fuggire al proprio destino, come tutti loro, e allora era necessario che fosse forte, era necessario che Shu rifiutasse di vederlo come il suo prezioso tesoro da proteggere, anche se avrebbe tanto voluto che fosse solo quello.
Una mano di Shin si sollevò a cercare quella di Shu ancora posata sulla sua guancia, si chiuse morbida intorno alle dita tanto più grandi del nakama, poi la accompagnò verso il basso, insieme alla propria. Entrambe le mani si adagiarono sulla coscia di Shin, il ragazzo di Hagi prese a giocherellare con le dita di Shu, senza rendersi conto dei brividi che provocava al nakama, perché il suo guardo e le sue attenzioni si perdevano lontano, laddove Shu temeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo davvero. C’era sempre qualcosa di sfuggente in Shin, una distanza data da una sofferenza, da un malessere che il giovane provava nei confronti di se stesso e che rendeva alcuni frammenti della sua anima irrimediabilmente misteriosi.
E Shu avrebbe desiderato scoprire cosa ci fosse al di là di questi muri che Shin rendeva invalicabili a loro che lo amavano tanto perché, per tanti versi, li rendeva invalicabili persino a se stesso.
"Fatti raggiungere" si trovava spesso a pensare Shu, febbrilmente, "fatti esplorare fino in fondo, lasciami entrare, lascia… che ti aiuti…".
«Vuoi saperlo perché mi ha salvato?».
Shu sussultò, quella frase sembrava quasi una risposta, come se Shin avesse ascoltato le sue intime preghiere.
Shin sentiva, dopotutto, in un modo particolare, anima con anima, cuore con cuore.
«Se… se vorrai dirmelo…».
La testa di Suiko si rintanò tra le spalle, ancora più di quanto già fosse: era incredibile come riuscisse a farsi piccolo, così piccolo che Shu aveva spesso l’impressione che si potesse rinchiudere in un guscio, per proteggersi dal mondo. Il suo sguardo si era fatto più triste.
«Mi dispiace se ti do l’impressione di non volerti parlare, a volte… non lo faccio apposta».
Shu si affrettò a scuotere il capo, per rassicurarlo, ma ogni parola venne soffocata dall’inatteso movimento di Shin, che si chinò di lato, verso di lui, per rannicchiarsi sul pontile e posare la testa sul suo grembo.
Il samurai della terra deglutì, se faceva così come avrebbe fatto a contenere tutte le emozioni che già si agitavano in lui?
Colto di sorpresa sollevò le braccia e le lasciò in alto, occhi sgranati, bocca spalancata a guardare la testolina rossa, quella nuvola di capelli sulle sue gambe, le mani appoggiate sulle sue ginocchia. Non poteva vederlo in volto, gli occhi di Shin erano rivolti all’acqua, ma per una volta Shu non fu geloso, perché lo sentiva che, in quel momento, ciò che Shin gli concedeva era completo, era tutto se stesso.
Si rilassò, abbassò le braccia, posò una mano tra i suoi capelli e, con l’altra, prese ad accarezzagli il braccio, su e giù, dalla spalla al gomito, ripetutamente.
Lo sentì fremere e anche lui fremeva.
«Non vi conoscevo ancora… non so cosa avrei fatto senza l’acqua».
Shu fermò un istante le proprie carezze, ma riprese quasi subito, sperando che risultasse, per Shin, un incoraggiamento a continuare.
«Quando mio padre mi lasciò, credevo che sarei morto di dolore se avessi concesso alle mie emozioni di venire a galla. Kaasan e Sayoko-Neesan erano devastate e io volevo solo proteggerle…».
"E tu non eri devastato, pesciolino?" avrebbe voluto chiedere Shu, ma tacque. Temeva che ogni parola avrebbe rischiato di rompere il momento. E quello era il momento dell’ascolto.
E così ascoltò.
Lasciò che le parole di Shin fluissero proprio come l’acqua che era diventata il suo rifugio dal dolore, come ci fossero momenti in cui gli sembrava di impazzire e allora correva al mare, correva sulla spiaggia, fino ad arrivare laddove i suoi piedi non riuscivano più a lambire il fondo e allora si lasciava andare, si lasciava letteralmente rapire dalle onde che non gli avrebbero mai fatto del male. All’acqua poteva confessare tutto il suo dolore, non rischiava che qualcuno lo sentisse, che le due donne che doveva proteggere si rendessero conto della sua fragilità e non si affidassero più a lui.
Avrebbe infranto una promessa se avessero saputo quanto lui, a volte, si sentiva morire.
Lo aveva promesso.
Aveva promesso a Otoosan che sarebbe stato forte, che sarebbe stato l’uomo di casa, che le avrebbe protette.
Con Otoosan si era immerso le prime volte.
Stretto alla sua mano forte, esploravano misteriose grotte e anfratti dai quali facevano capolino creature misteriose e affascinanti, che si avvicinavano a quel bambino curioso e per nulla spaventato con una naturalezza che aveva del miracoloso, lo diceva sempre otoosan, ma nei suoi occhi di adulto c’era una sorta di consapevolezza, mista a malinconia…
Perché otoosan, probabilmente, sapeva…
Sapeva che in quel bambino che nell’acqua sembrava nato, che sembrava lui stesso una creatura del mare, si celava qualcosa di grande e a quel qualcosa non avrebbe potuto sottrarsi.
E forse sapeva anche che lui, suo padre, non avrebbe potuto accompagnarlo verso quel cammino così doloroso.
«Sai cosa mi disse, un giorno?» chiese all’improvviso, agitandosi sulle gambe di Shu.
«Cosa?» lo incoraggiò Kongo, assaporando tra le dita la consistenza di un ciuffo rosso particolarmente lungo.
«Io stavo giocando con l’acqua, rincorrevo le onde, prendevo la schiuma tra le mani, non solo giocavo col mare, lo… coccolavo… e da lui mi sentivo coccolato e protetto. Poi vidi Otoosan che mi osservava, ma non stava sorridendo, c’era una luce strana nei suoi occhi. Glielo chiesi… se c’era qualcosa che non andava, se fosse triste, se io avessi fatto qualcosa di male. Lui mi rispose: un giorno, l’acqua che tanto ami potrebbe diventare la tua prigione… e io non sarò al tuo fianco per accompagnarti lungo una strada tanto dolorosa».
Shin tacque, perché la voce si stava spezzando, un brivido corse lungo la schiena di Shu, che non seppe cosa replicare: l’unica cosa che gli venne istintiva fu interrompere le carezze sul braccio per chiudere intorno ad esso le dita, come a rendere il contatto più palpabile e saldo.
Fu quello, forse, che diede a Shin il coraggio di continuare, con voce di nuovo ferma, per quanto morbida e velata di sfumature emotive inafferrabili:
«Ero ancora un bambino, i bambini dimenticano in fretta. Non ci pensai più, fino al giorno in cui Kaosu mi mise davanti a ciò che mi aspettava. Tutto mi sembrò improvvisamente chiaro, rividi in un lampo tutto quanto come se appartenesse ad un grande disegno… fin dalla mia nascita. Ogni singolo istante della mia esistenza lo rivisitai come se… se io non appartenessi più a me stesso, ma mi fossi trasformato in un burattino, ero legato a dei fili mossi da una mano gigantesca, che sovrastava ogni cosa… la mia bella vita, la mia famiglia piena di amore… era diventato tutto un incubo, una gabbia… dorata, certo, fino al giorno in cui Otoosan morì… ma pur sempre una gabbia…».
Shu deglutì: era talmente doloroso ciò che stava ascoltando… e al tempo stesso così vero. Non aveva forse lui, in un certo senso, provato le stesse cose?
«Otoosan che mi teneva per mano e mi conduceva con lui sul fondo del mare… il giorno in cui lui mi fece quello strano discorso… la sua… morte… persino il mio desiderio di superare la prova e ritrovare la yoroi… tutto deciso, tutto scritto, tutto… non mio…».
Eppure…
No… non era tutto così crudele, non poteva esserlo.
Shu lottava dentro di sé per trovare la risposta che gli sfuggiva ma che, lo sentiva, era lì, era così semplice.
«Io amo l’acqua, è vero… ma è anche la mia maledizione… mi ha scelto… io sono suo… mi ha intrappolato… dipendo da lei… non le posso fuggire… e lei mi ha reso quello che non avrei mai voluto essere… non mi ha dato scelta».
«Non è vero!».
Shu percepì Shin sobbalzare sotto le sue mani, per poi irrigidirsi.
«Guardami».
Non poté impedire di intridere la propria voce di supplica, aveva bisogno di vedere i suoi occhi, di fargli capire che credeva davvero a quel che sapeva, all’improvviso, di dovergli dire.
Shin si mosse, un po’ a stento, per passare dal fianco alla posizione supina, senza alzarsi. Sembrava che il grembo di Shu fosse diventato il suo rifugio.
I loro occhi si incontrarono, Shu temeva che quelli di Shin si sarebbero sottratti ai suoi, come sempre accadeva quando le confessioni diventavano troppo intime e andavano a scavare in punti pericolosi dell’anima.
Invece Shin lo guardava, con quelle pozze lucide di stelle, due occhi che sembravano essersi trasformati essi stessi in acqua.
D’altronde era così, i suoi occhi avevano tutte le sfumature del mare e, durante la notte, in essi si specchiava il cielo stellato come faceva nelle pozze d’acqua più trasparenti.
Le mani di Shu si posarono sulle sue guance, i pollici accarezzarono gli zigomi e li percepirono umidi.
La notte… oppure l’acqua traboccava dai suoi occhi?
«Tu hai scelto» sussurrò Shu, cercando di rendere più saldo sia il tocco che lo sguardo.
Gli rispose un sussulto, gli occhi si fecero più grandi in una muta domanda.
«Tu hai scelto nel momento stesso in cui hai deciso di tuffarti per cercare la yoroi, hai scelto quando hai accettato la missione che Kaosu ti ha affidato…».
Shin scosse il capo, sgusciò via dal contatto, con lentezza si rimise seduto e si distanziò un poco dal nakama, che lo vide rapito dalle ombre, i contorni meno nitidi, i lineamenti meno riconoscibili… e Shu pensò che, come spesso accadeva, Shin si stesse nascondendo, per celare chissà quale profondo malessere.
Ma se l’era aspettato, non importava quanto di se stesso Shin tentasse di oscurare ai nakama, loro lo avrebbero seguito e lo stavano capendo, sempre di più, un passetto per volta, per raggiungere quel cuoricino sempre troppo in subbuglio. Così il ragazzo di Yokohama strisciò con il proprio corpo sul pontile di legno per avvicinarsi, quel tanto che bastava per distinguere almeno un po’ di più i dettagli del suo corpo, ma fu la sua mano a compiere il passo decisivo, inseguendo quella di Shin. La trovò, posata poco distante, fredda e l’istinto fu quello di stringere forte, per cacciare via quel gelo e trasmettere il calore della propria pelle: Shu somigliava un po’ a Ryo in quello, era sempre caldo e quel calore era in grado di donarlo.
Sentì la mano di Shin irrigidirsi e, per qualche istante, temette che gli sarebbe fuggito, invece poco dopo il ragazzo di Hagi si rilassò, accettò il contatto, la sua mano si fece morbida e arrendevole in quella di Shu: era piccola nella sua tanto grande e forte.
«Hai scelto… di restare insieme a noi».
«Shu…».
Il suo nome pronunciato in quel modo, come il tintinnare di pioggia sulla terra…
«Tutti noi abbiamo scelto… potevamo tirarci indietro, ma non l’abbiamo fatto… potevamo separarci, negare ciò che ci lega, rifiutarlo, scappare via gli uni dagli altri…».
Gli rispose un sospiro, Shin scivolò un po’ più vicino a lui, le loro spalle si sfiorarono, poi la guancia di Shin si posò sulla spalla di Shu.
«Abbiamo scelto… di salvarci a vicenda…».
Shu deglutì, sollevò la mano del nakama, se la portò alle labbra e le posò per qualche istante sulle dita sottili, lambì con un bacio delicato la punta dei polpastrelli, gelida al tocco, poi sorrise:
«Vedi? L’acqua ti ha salvato quando eri bambino… ti ha salvato adesso, conducendoti fino a noi».
 
 
   
 
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