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Autore: SkyDream    25/08/2021    3 recensioni
[BokuAka][Fluff!Alert]
Raccolta disomogenea su una delle coppie più dolci e romantiche del fandom.
Bokuto e Akaashi convivono, si amano e meditano di trascorrere per sempre la vita insieme tra le difficoltà quotidiane e i ricordi di tempi passati.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I Was Born To Love You
[BokuAka]

 
Capitolo 3
 
Cielo terso, privo di nuvole.
Aria di autunno, foglie leggere e arancioni che si depositano sulle mattonelle ingrigite del cortile. Splendono sotto il sole, qualche uccellino cinguetta e zampetta di fronte l’immenso Liceo Fukurodani.
L’orologio scatta, la campana suona con i soliti quattro battiti.
Poi un fulmine.
No, no, non è un fulmine! Forse è una persona!
Un ragazzo esce dalla classe correndo come un forsennato, ha i capelli che sfidano la gravità – forse per il gel o forse per la velocità con cui sgambetta giù per le scale – e la cravatta annodata al contrario.
Derapa per un corridoio, sfiora un paio di matricole che quasi urlano al suo passaggio e si catapulta nell’ultima aula in fondo.
Probabilmente ha appena segnato il record giapponese della maratona dei cento metri, ma non importa. Non in quel momento.
La porta si apre e Akaashi non sembra minimamente stupito di vederlo lì, abbassa lo sguardo sul suo orologio da polso. Ci ha messo meno di un minuto per correre da una parte all’altra della scuola, caspita!
«Allora? Com’è andata? Eh?» Bokuto non la smette di saltellare sul posto, sembra in preda ad un eccesso di caffeina.
«Sessanta.»
«Sessanta? Hai preso sessanta?!» Lo schiacciatore sbianca, raggiunge il colorito del muro dietro di sé e sembra sul punto di avere una sincope.
«Ho preso sessanta.» conferma il più piccolo impassibile. Sembra totalmente apatico.
«Ma avevamo studiato insieme! Ci siamo impegnati tantissimo!» Bokuto porta i due pugni all’altezza del petto, proprio come un bambino e sembra abbia gli occhi lucidi.
«Bokuto-san, era il mio test, non il tuo. Perché ti preoccupi così tanto?» Akaashi solleva un sopracciglio, confuso. Ha ancora qualche difficoltà a interpretare quell’uragano del suo capitano.
«Ma, Akaashi, io volevo davvero che tu fossi il numero uno! Anzi, io credo che tu lo sia! Hai studiato tantissimo e ieri mi hai ripetuto tutto. Cosa è successo?».
Akaashi arrossisce leggermente e svia lo sguardo, lo focalizza su qualche studente che passa dal corridoio accanto e rivolge un’occhiata incuriosita a quel quadretto mezzo urlante.
«Forse… ecco, ero un po’ teso e la mia mente non ha collaborato».
«Ti sei impanicato e la testa ti si è svuotata?» Bokuto porta una mano sotto il mento e inclina appena il capo, sembra annuire.
«E’ successo anche a te?» chiede l’alzatore sgranando gli occhi incredulo. E chi se lo sarebbe mai aspettato che anche Koutaro Bokuto soffrisse di ansia da prestazione durante i compiti in classe!
«Sì, ero così in ansia per la partita del pomeriggio che ho dimenticato tutte le risposte del test e ho preso quasi zero!» E con che tono fiero lo aveva detto…
Akaashi ridusse gli occhi a due fessure e sospirò, stanco.
«Però, non sembri neanche deluso. Perché?» Bokuto era sinceramente incuriosito, aveva finalmente smesso di dondolare sui suoi piedi.
«E’ inutile sentirsi delusi per un semplice compito, no? Sono altre le cose serie per cui preoccuparsi. Da oggi stesso comincerò a studiare di più».
«No! Non sono d’accordo. Ti eri impegnato così tanto che è normale rimanerci male ed essere un po’ tristi. Lo so che non è importante, ma tu ieri non hai fatto altro che ripetere e ripetere…» Bokuto piantò i suoi occhi lucidi su quelli dell’altro.
«Se vuoi, Akaashi, posso essere io deluso al posto tuo!»
«No! No, non ho le forze per risollevare anche te, Bokuto-san! Bokuto-san!» Ma niente da fare, lo schiacciatore aveva già portato la fronte al muro e sembrava avvolto da una sinistra aria grigia.
Akaashi si avvicinò, dispiaciuto di averlo trascinato in quella disfatta.
«No, Akaashi, non provare a consolarmi! Sono così affranto che niente e nessuno potrà mai più risollevarmi!».
L’alzatore alzò un sopracciglio e quasi scoppiò a ridere. Quel ragazzo non seguiva nessun filo logico!
«Niente e nessuno? Proprio niente e nessuno, ne sei sicuro?» chiese trattenendosi ancora, un sorriso gli sfuggì dalle labbra. A che gioco stava giocando?
«In effetti una cosa e una persona potrebbero. Dopo gli allenamenti andiamo a prendere un gelato? Così ci consoliamo!» Bokuto staccò la fronte dal muro – mostrando una tacca rossa sopra le sopracciglia – e portò i pugni sui fianchi con aria fiera.
«E sia, ti concederò il gelato per riprenderti dal dolore del mio compito andato male.» il più piccolo era profondamente intenerito da quella visione, gli fu davvero grato per avergli rimesso il buon umore.
«Perfetto! Allora ci vediamo all’ora di pranzo al solito posto!» Bokuto gli afferrò le mani – ed entrambi sentirono una ventata di caldo insolito – prima di scappare nuovamente per i corridoi.
Si fermò dopo un paio di passi, rivolgendosi nuovamente verso il suo amico.
«La prossima volta ti presto il mio portafortuna!» quasi gli urlò, entusiasta.
«Quale sarebbe?».
Bokuto indicò un ciondolino a forma di gufetto attaccato al telefono.
Akaashi scoppiò finalmente a ridere.
«Quello te l’ho regalato io, Bokuto-san! Non vale!».
 
 
Erano passati quattro anni.
Bokuto dondolava di fronte un’aula con aria impaziente, una sfilza di ragazzi con dei libri a mano lo guardavano confusi.
Forse per la sgargiante felpa dei MSBY?
La porta si aprì e Akaashi – ancora – non fu minimamente sorpreso di esserselo ritrovato davanti.
«Allora? Com’è andata? Eh?».
«Ho preso la lode.» la voce monocorde, atona. A stento tratteneva un sorriso.
«La lode? Allora il mio portafortuna ha funzionato!» Bokuto gli saltò addosso quasi travolgendolo e sentendolo sorridere contro la sua spalla.
«Come sempre, Kotaro.» Akaashi rise leggermente prima di sentire le labbra del suo schiacciatore sulle proprie.
«Ora andiamo a prendere un gelato, vero?».
Akaashi annuì e lasciò che le loro dita si intrecciassero prima di uscire dall’università.
Dalla sua tasca penzolava un piccolo gufetto attaccato al telefono.
   
 
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