Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    02/09/2021    2 recensioni
Non ci furono più parole tra loro, solo quel gesto di condivisione che non aveva bisogno di altro.
Fuori la pioggia continuava a cadere, ma il calore della stanza li proteggeva dal gelo di quel pomeriggio d’autunno.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic scritta per la challenge Wriptember del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart - GRUPPO NUOVO
 
Fandom: Attack on titan
Autore: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Titolo: Un pomeriggio d’autunno
Prompt: Malattia, Prime piogge, immagine (day 1)
Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackermann
Generi: Hurt/comfort, fluff
Rating: verde
 
UN POMERIGGIO D’AUTUNNO
 
L’autunno era arrivato con largo anticipo.
Lo avevano annunciato le prime piogge che, ormai, continuavano da giorni, senza dare tregua e senza lasciar intravvedere un solo raggio di sole.
Erwin Smith, un vassoio tra le mani nel mezzo del quale troneggiava una ciotola fumante, si fermò qualche istante a guardare fuori dalla finestra e ad ascoltare il tamburellare delle gocce sui vetri, unico suono di quel pomeriggio solitario e silenzioso.
Sospirò e, senza darsi la pena di bussare, spinse la porta davanti a sé e si fece largo nella stanza immersa in una fitta penombra.
Solo la luce di una lampada rischiarava appena la zona del letto, sul quale una persona stava sdraiata, la testa sollevata grazie a un consistente mucchio di cuscini e una pezza sulla fronte.
Erwin sorrise.
Hanji, probabilmente, era già passata e aveva prestato un po’ di attenzioni al malato.
Il giovane uomo, il pallore del viso punteggiato da chiazze rosse dovute alla febbre, mosse lentamente il capo, per cercarlo con lo sguardo.
“Ah, sei tu” borbottò. “Per un attimo ho temuto che la quattrocchi di merda stesse tornando all’attacco”.
“Non dovresti essere così ingrato, Levi. Ti ha sistemato un giaciglio caldo e comodo, ti ha messo la pezza sulla fronte…”.
“E mi ha infilato le mani ovunque con la scusa di controllare le mie condizioni di salute”.
“Sei ingiusto, Levi. È grazie a lei, in fondo, se ora stai molto meglio… almeno così sembra”.
L’altro gli rispose con una smorfia di evidente disgusto, che provocò in Erwin un nuovo sorriso: era inutile insistere, non l’avrebbe mai ammesso quanto le cure di Hanji si erano rivelate provvidenziali.
Decise così di lasciar cadere l’argomento e, dopo aver posato il vassoio sullo spazioso comodino, si accomodò sulla sedia e allungò una mano, a sfiorare il viso del giovane.
Questi si ritrasse, indispettito. La pezza scivolò di lato, sul cuscino.
“Il solito indisponente. Volevo solo sentire se hai la febbre”.
“Non ce l’ho, non ho bisogno di balie”.
“A me sembra di sì invece… e ancora piuttosto alta, basta guardarti in faccia”.
“Un modo carino per dirmi che faccio spavento?”.
Erwin ridacchiò:
“Più o meno”.
In realtà gli sembrava bellissimo e adorabile, anche più del solito, ma non glielo avrebbe mai detto: una simile osservazione non era da lui… e non era da Levi sentirsela rivolgere.
“Allora, cosa sei venuto a fare? L’ambasciatore della quattrocchi?”.
“Riesci a restare qualche minuto senza tirarla in ballo?” lo redarguì Erwin, mentre prelevava la scodella dal vassoio.
Gli occhi di Levi seguirono con sospetto ogni sua mossa:
“È il mio incubo, mi traumatizza. E quell’intruglio è sicuramente una delle sue sostanze tossiche che mi mandano sottosopra lo stomaco”.
Era difficile non mettersi a ridere e, in effetti, una risatina sotto i baffi Erwin non poté trattenerla, mentre rigirava il cucchiaio nella ciotola.
“In realtà è solo brodo, Levi, e l’iniziativa di portartelo è stata mia. Non ho bisogno dei consigli di un’esperta per sapere che chi ha preso freddo fino ad ammalarsi ha bisogno di una bevanda calda per tirarsi su”.
Gli occhi di Levi, lucidi ma stranamente attenti, nonostante la febbre, continuarono a controllare ogni gesto, ogni reazione: sembrava un gatto selvatico, diffidente e pronto ad estrarre gli artigli contro la mano che si apprestava a fargli una carezza.
Erwin avvicinò il cucchiaio alle labbra: per un attimo Levi pensò che volesse assaggiare il brodo egli stesso, invece si limitò a soffiarci sopra.
Gli occhi di Levi si ridussero a due fessure attraverso le quali si accesero scintille, simili a lame pronte a scattare.
Quando il cucchiaio si avvicinò alla sua bocca, lui strinse le labbra e affondò la testa nel cuscino, quasi volesse venirne inghiottito.
“Levi…” lo incoraggiò Erwin. “Dai, se non lo bevi mentre è ancora caldo non ti servirà a niente”.
Il giovane sollevò una mano, solo per respingere quella di Erwin e allontanarla dal proprio viso:
“Farmi imboccare? Spero tu stia scherzando!”.
Erwin sospirò, levò gli occhi al cielo, riportò il cucchiaio nella ciotola e lo scrutò con infinita pazienza:
“Vuoi che me ne vada e che ti lasci fare da solo?”.
“Fa troppo freddo, voglio tenere le braccia sotto le coperte”.
“Lascia che te lo dica, Levi. Se non vuoi farti imboccare perché ti sembra una cosa da bambini, con una simile risposta non è che brilli per maturità”.
Gli occhi di Levi si aprirono del tutto, il viso scattò e Erwin venne trafitto dal più ostile e aggressivo degli sguardi.
Non che la cosa lo impressionasse, tra loro era la norma… come era la norma anche il fatto che quello sguardo mutasse subito dopo, per abbassarsi e addolcirsi, così come la voce, morbida, che uscì dalle labbra di Levi, un lieve borbottio che significava resa, accettazione e fiducia incondizionata, quella che riservava solo a lui:
“Solo un paio di cucchiai… d’accordo?”.
Erwin sorrise, per l’ennesima volta, riprese il cucchiaio, lo avvicinò al volto di Levi che, finalmente, smise di ritrarsi.
Il liquido caldo scivolò nella sua gola, i due cucchiai diventarono tre, poi quattro… finché nella ciotola non rimase neanche una goccia di brodo.
Non ci furono più parole tra loro, solo quel gesto di condivisione che non aveva bisogno di altro.
Fuori la pioggia continuava a cadere, ma il calore della stanza li proteggeva dal gelo di quel pomeriggio d’autunno.
   
 
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