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Autore: Rosheen    03/09/2021    0 recensioni
«Il fatto è che c’è una cosa che volevo dirti da tanto tempo, ma non riuscivo mai a trovare l’occasione giusta per farlo.»
«E sarebbe?»
«Grazie. Solo grazie.»

***
Per una giovane cadetta dell'Ordine dell'Illuminazione può essere difficile rimanere rinchiusa in una stanza polverosa a tradurre antichi manoscritti, specialmente in una giornata di sole.
Per fortuna non è la sola a pensarlo.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BY THE WILLOW TREE

 
 
 
 
 
Il grattare delle piume sulle pergamene era ritmico, incessante, l’unico rumore che spezzasse il silenzio dell’immensa biblioteca. Nella stanza erano presenti almeno una trentina di persone, ognuna rigidamente seduta al proprio banco da lavoro e china su un vecchio e polveroso tomo, nessuna che emettesse un suono più forte di un lieve respiro.
Dalle alte finestre aperte sul cortile interno giungeva il fruscio del vento, carico dell’odore del gelsomino e delle rose, lo scrosciare dell’acqua nelle fontane e nei ruscelli e un vociare sommesso proveniente dalle affollate strade di Waterdeep.
Solo un’altra pagina pensò Aideen, intingendo la punta della piuma nella boccetta d’inchiostro e rimuovendo il liquido in eccesso, un’altra pagina e poi potrò andarmene di qui. Lathander, non riesco più a tenere gli occhi aperti…
Lì dentro era buio, là fuori invece c’era il sole. Lì dentro, nell’immensa biblioteca dell’Ordine dell’Illuminazione, era freddo, le spesse mura non lasciavano penetrare il calore che pervadeva la città. Qualcuno voltò le pagine di un libro. Un uccellino stava cantando, appollaiato sul ramo di un albero.
Solo un’altra pagina. Quella parola… cosa significava, quella parola? “Dannazione”? “Costrizione”? No, non era costrizione. Forse “oceano”? Le onde che si infrangono sugli scogli, l’urlo del mare, il sapore del sale sulle labbra, le impronte di due paia di piedi sulla sabbia bagnata. L’acqua le divora, ne restituisce solo un paio… le orme proseguono il loro cammino, solitarie…
«Aideen. Psss, Aideen!»
La ragazza aprì gli occhi di scatto, impiegando qualche secondo buono per mettere a fuoco il libro per metà tradotto aperto davanti a lei. Quando si era avvicinata così pericolosamente alle pagine ancora fresche d’inchiostro?
«Aideen, tirati su prima che la Vecchia Talpa ti becchi.» Oscar, seduto nel banco accanto, lanciò alle proprie spalle uno sguardo terrorizzato, come a voler sottolineare quanto poco gradisse l’idea di ricevere una lavata di capo dalla Vecchia Talpa.
Aideen si ricompose, appoggiò la piuma, ancora stretta fra le sue dita, sul tavolo e controllò preoccupata il libro al quale stava lavorando minuziosamente da più di cinque decadi: nessuna macchia d’inchiostro, nessuna piega, nessuna sbavatura. Aveva avuto una fortuna sfacciata. Se per colpa di un errore così banale come appisolarsi avesse in qualche modo rovinato la traduzione, dovendola ricominciare daccapo, non se lo sarebbe mai perdonata.
Era ben intenzionata a finire quel lavoro in fretta, ne aveva già avuto abbastanza di leggere, tradurre e riscrivere quel tomo in Infernale. La detestava, quella lingua malefica, così rozza e gutturale, come il basso ringhio di una belva famelica.
Avrebbe di gran lunga preferito trascorrere quella giornata in giardino, distesa sull’erba fresca, la pelle accarezzata dai caldi raggi del sole, cullata dal basso ronzio degli insetti. E Cassandra sarebbe stata con lei, allungata al suo fianco, avrebbe intrecciato le dita alle sue e sentito il sapore dei suoi baci sulle labbra.
Aideen controllò che la Vecchia Talpa non fosse nei paraggi e si sporse verso Oscar, che stava fingendo senza troppa convinzione di stare lavorando alla propria traduzione. «Scar, quanto ti manca?» domandò con un filo di voce.
«Venti pagine.» Dal tono in cui lo disse, sembrava piuttosto che fossero cinquecento. «Di questo passo non arriverò vivo all’ora di pranzo. Che senso ha metterci a lavorare a questi inutili manoscritti quando a quest’ora potremmo essere nella Sala d’Addestramento?»
«Shhh!» Il rimprovero giunse da una fila alle loro spalle.
«Idiota» commentò Oscar, abbassando così tanto la voce che Aideen faticò a sentirlo.
«Senti» riprese lei, «che ne dici di andarcene adesso?»
Oscar sgranò gli occhi dallo stupore. «Aideen, ti senti bene?»
«Affatto. Non rimarrò rinchiusa qui dentro un minuto di più, non in una giornata così bella. Vieni con me?»
Oscar piegò le labbra in un sorriso. «E me lo chiedi anche?»
Aideen ripulì con cura la punta della piuma, chiuse la boccetta d’inchiostro, spolverò la pergamena di sabbia, in modo che le scritte seccassero per bene e si guardò intorno per assicurarsi che la Vecchia Talpa non fosse nei paraggi, pronta a intervenire per rovinare il loro piano di fuga. Non aveva idea di cosa le fosse preso, fino a poche decadi prima non avrebbe mai osato trasgredire in questo modo alle regole col rischio di cacciarsi nei guai, ma quel giorno c’era qualcosa nell’aria, nel sole che dopo tanti mesi di assenza aveva fatto capolino da dietro le nubi che la spingeva a rischiare, a osare, solo per quella volta, di fare quello che voleva. Cercò gli occhi di Oscar, che non si era minimamente preso la briga di mettere in ordine il proprio banco da lavoro e stava attendendo un suo cenno per sgattaiolare fuori dalla biblioteca. Il cuore batteva forte, martellava nelle orecchie, sempre più veloce.
Ora! I due giovani si alzarono di scatto dalle sedie, l’una riponendola con cura al proprio posto, perfettamente allineata al bordo del tavolo, l’altro spintonandola con un gesto secco e lasciandola lì dove si trovava. Veloci, superarono le file di banchi ricevendo sguardi ora incuriositi, ora di rimprovero da parte dei compagni, scivolarono oltre la porta che dava sul corridoio senza fare il minimo rumore e se la richiusero piano alle spalle.
Iniziarono a correre, non sapevano nemmeno loro per quale motivo, nessuno li stava inseguendo, in direzione dell’immenso giardino dell’Ordine.
Si fermarono solo dopo aver raggiunto l’ombra di uno degli alberi più anziani, un enorme salice dalla chioma così folta e ampia da nascondere la loro presenza a chiunque fosse venuto in mente di cercarli. Oscar appoggiò le mani sulle cosce e si piegò in avanti, respirando affannosamente, Aideen portò una mano al petto e prese dei lunghi e profondi respiri nel tentativo di fermare il proprio cuore impazzito.
I loro occhi si incontrarono e i due ragazzi scoppiarono in una risata. Prima di incontrare Oscar Aideen non aveva mai riso, non davvero. C’erano stati dei momenti, a Luskan, in cui sul suo viso era passata l’ombra di un sorriso, in cui si era permessa di ridere; ma erano sempre gesti spezzati, incompleti, frenati dalla paura e dalla tristezza, dalla consapevolezza che erano, in qualche modo, sbagliati, che mal si accordavano a quel luogo e a quel tempo. Oscar era stata la prima persona con la quale Aideen si fosse sentita, per la prima volta in vita sua, libera.
 
 
 

*   *   *

 
 
 
Era stato lui a rivolgerle la parola per primo. Si era presentato il giorno seguente il suo arrivo all’Ordine, durante il pranzo. Stava mangiando da sola, non aveva avuto il coraggio di sedersi accanto a nessuno; la maggior parte dei tavoli erano occupati da gruppetti più o meno giovani di Cadetti, Inquisitori e Cacciatori. In fondo alla sala, impegnati in una fitta conversazione, si trovavano quelli che Aideen era riuscita a identificare come i membri in pianta stabile alla sede di Waterdeep dell’Ordine: Galatea, la donna dal sorriso gentile che le aveva mostrato l’edificio e illustrato il programma dell’addestramento il giorno prima, stava ascoltando attentamente Galar, ricordandosi solo di tanto in tanto della presenza della zuppa di farro davanti a lei, che ormai doveva essere diventata densa e fredda.
Nel refettorio vigeva un’aria austera, il vociare dei commensali era sommesso, lieve come un canto, macchiato qua e là dal rumore delle posate che si scontravano col bordo delle ciotole. A nessuno sarebbe venuto in mente di spezzare quel meraviglioso incanto parlando ad alta voce. Nessuno, a parte Oscar.
«Ciao!»
Aideen impiegò qualche secondo per capire che la persona che aveva parlato si stava rivolgendo a lei. Alzò gli occhi dal proprio pranzo e soppesò con lo sguardo il nuovo arrivato. Era alto, molto più di lei e ben piazzato, aveva la stazza e le mani di chi doveva trascorrere il proprio tempo libero nella Sala d’Addestramento. La prima impressione che ebbe fu quella di trovarsi di fronte a un mezzo gigante o a uno di quei bruti che nei racconti amavano rapire fanciulle indifese per rubare la loro virtù. Eppure, a ben guardarlo, di spaventoso il ragazzo aveva solo la stazza. Il suo viso era giovane, adombrato da un leggero strato di barba e le stava sorridendo.
Il ragazzo indicò la sedia vuota di fronte a lei. «Posso sedermi? O è occupato?»
Il tavolo poteva ospitare almeno venti persone. In quel momento, c’era solo Aideen. La ragazza, incerta sul da farsi, annuì. Il giovane sorrise ancora più vistosamente, appoggiò il proprio vassoio sul tavolo e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, dedicandosi poi al proprio pasto con tanto vigore da attirare l’attenzione dei tavoli vicini.
Sentendosi osservata, Aideen abbassò la testa e riprese lentamente a mangiare, sperando che il calore che le era affluito alle guance non le avesse reso il viso rosso come un papavero. Nessuno dei due parlava. Il giovane, concentrato sulla propria ciotola, sembrava intenzionato a non lasciarsi scappare una singola goccia della zuppa. Aideen approfittò della momentanea distrazione per lanciare qualche rapida occhiata al nuovo arrivato, domandandosi cosa l’avesse spinto a sedersi proprio di fronte a lei. Di sedie libere, in fondo, ce n’erano a sufficienza.
Il ragazzo grattò rumorosamente col cucchiaio il fondo della ciotola, sospirò pesantemente e piantò i propri occhi nei suoi. Stava continuando a sorridere. «Tu devi essere la nuova arrivata, non è vero? Era una domanda retorica, ovviamente, certo che sei la nuova arrivata: un viso come il tuo me lo sarei ricordato se lo avessi già visto prima. Ti chiami Aideen, giusto? Me lo ricordo perché hanno detto il tuo nome ieri sera, quando Galatea ti ha presentata ufficialmente davanti a tutto l’Ordine. Storia imbarazzante, quella di avere gli occhi di qualche centinaio di persone tutti puntati su di te; ricordo che, quando è toccato a me, cercavo di apparire tranquillo e sicuro di me, ma in realtà me la stavo facendo sotto dalla paura. “La prima impressione è quella che conta”, mi sono detto, perciò mi ero ripromesso di apparire come se avessi tutta quella situazione sotto controllo, anche se, naturalmente, non era vero per niente. Tu, invece, sembravi un gattino spaventato, ero convinto che saresti svenuta da un momento all’altro! Che non è un offesa, eh, sia chiaro; a me piacciono i gatti…»
Ma quanto parla? pensò Aideen, rendendosi conto di essere rimasta con la bocca spalancata e il cucchiaio sospeso a mezz’aria per tutto il tempo. Non aveva idea di quanto ancora sarebbe durato quel soliloquio, ma non aveva cuore di interrompere l’appassionato fiume di parole del giovane.
Questi, invece, parve accorgersi della sua esitazione perché rimase in silenzio per un istante prima di rivolgerle l’ennesimo sorriso. «Sto parlando troppo, non è vero? Ti chiedo scusa, lo faccio sempre, ci provo a trattenermi ma è più forte di me, quando comincio a parlare non riesco più a fermarmi. Me l’hanno detto in tanti: “Oscar, dovresti sapere, ormai, quando è il momento giusto per parlare e quando per tacere.” Oscar sarei io, a proposito. Non mi ero neanche presentato, che idiota.» Il ragazzo le tese la mano, grossa almeno il doppio della sua e ricoperta di calli.
Aideen allungò la sua e gliela strinse. Aveva un tocco inaspettatamente delicato e caldo, ma la presa era ferma e sicura. Guardò nei suoi occhi, verdi e gentili, e sorrise.
 
 
 

*   *   *

 
 
 
Il vento soffiò delicatamente, facendo danzare i lunghi rami del salice sopra le loro teste. Aideen aprì gli occhi. Il sole si intravedeva a stento oltre la chioma dell’immenso albero, ma là dove arrivava a sfiorarla poteva sentirne il calore sulla pelle. La ragazza fece scivolare la mano sul manto d’erba sul quale era distesa, lasciò che gli steli scorressero fra le sue dita, che si bagnarono di rugiada. Il tappeto di muschio era incredibilmente morbido e comodo sotto la testa, profumava di terra, di vita. L’odore del gelsomino e delle rose sapeva di risate, sapeva d’estate, dei baci di Cassandra.
Aideen si voltò per guardare Oscar, disteso al suo fianco, le mani intrecciate dietro alla nuca, gli occhi socchiusi e un lieve sorriso stampato in volto. Se solo il suo petto non si fosse alzato e abbassato così velocemente Aideen avrebbe giurato che stesse dormendo.
Il ragazzo aprì gli occhi e si voltò a guardarla con aria interrogativa. «Be’? Hai intenzione di fissarmi in silenzio ancora per molto? So di essere tremendamente affascinante ma, diamine, Aideen, cerca di controllarti: così mi metti in imbarazzo.»
«Scusa, stavo pensando.»
«E si può sapere a cosa pensavi così intensamente? Spero a niente di sconveniente, mi sentirei oltremodo violato nel sapere che il mio corpo e la mia persona sono stati oggetto dei pensieri erotici partoriti da quella tua testolina piumata- ehi! Perché mi hai tirato addosso dell’erba?»
«Perché te lo meriti, non provare nemmeno a far finta che non sia così. No, mi stavo domandando… Oscar, tu sei felice?»
«Mh… dunque, vediamo: ho appena evitato di passare un’altra ora chino su dei libri e sono disteso sotto un albero in compagnia di una delle ragazze più belle dell’Ordine. Se questa non è felicità, credo ci vada vicino.»
«No, io non… non intendevo in questo momento. In generale, ecco… credi di essere felice?»
«Che domande…»
«È un no?»
«No, non è un no, ma… Aideen, perché me lo chiedi? C’è qualcosa che non va?»
«No, affatto. Anzi, va tutto stranamente… bene.»
«E allora perché questa esitazione? Ehi, lo sai che se c’è qualcosa che non va a me lo puoi dire.»
«Lo so, Oscar, lo so… Oscar, ricordi cosa mi dicesti la prima volta in cui ci parlammo?»
«Ne ho dette tante, di cose, quella volta.»
«Lathander, non avevo mai sentito qualcuno reggere tutto da solo una conversazione in quel modo! Però, ecco, quel giorno, dopo che ci stringemmo la mano, mi dicesti una cosa: che se avessi avuto bisogno di aiuto avrei potuto rivolgermi a te in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa.»
«L’offerta rimane valida.»
«Il fatto è che c’è una cosa che volevo dirti da tanto tempo, ma non riuscivo mai a trovare l’occasione giusta per farlo.»
«E sarebbe?»
«Grazie. Solo grazie.»
«Prego… credo.»
«Ecco, vedi, quando ti sedesti al mio tavolo e mi rivolgesti la parola, ne rimasi sorpresa. Nessuno, a Luskan, aveva mai osato avvicinarsi a me, non da molti anni almeno, e certamente non con buone intenzioni…»
«Aideen, non sei costretta a parlarne.»
«Sto bene, tranquillo. All’epoca non potevi saperlo ma quel semplice gesto di cortesia, quella stretta di mano, il tuo sorriso, le tue parole lenirono in parte un dolore che mi porto ancora dentro ma che, grazie a te, si è affievolito. Bastò quello per convincermi che avevo fatto la scelta giusta ad andarmene, per farmi capire che, finalmente, ero arrivata a casa. Per questo, “grazie”. Volevo solo che lo sapessi.»
«Secondo me il sole ti ha dato alla testa.»
«Oscar! Guarda che sono seria.»
«Anch’io, cosa credi. Senti, Aideen, per quanto mi riguarda non c’è nulla da ringraziare. Quel giorno non stavo pensando di poterti, in qualche modo, salvare, non avevo idea di tutto quello che hai dovuto affrontare prima di arrivare all’Ordine e anche adesso non so nulla di più di quello che mi hai raccontato. Avevo solo visto un viso nuovo, il viso di una ragazza sola e spaventata e ho pensato Perché no? Perché non andare a salutarla? Non stavo facendo nulla, assolutamente nulla di tutto quello di cui avresti bisogno. Con tutto quello che mi hai raccontato su Luskan, su tua sorella, su tuo padre… Aideen, credimi, quello era niente in confronto a ciò che avrei voluto fare, a ciò che vorrei fare.»
«Ed è per questo che ti ringrazio. Perché tu, pur non sapendo nulla del mio passato, hai deciso di offrire la tua amicizia a una perfetta sconosciuta che, per quanto ne sapevi, poteva essere una ragazzina spocchiosa e altezzosa. Ma tu hai rischiato ugualmente, non ti sei fermato a riflettere su chi potessi essere, hai semplicemente visto una persona in difficoltà e sei andato a parlarle. Ti ringrazio perché, semplicemente, sei tu. E tu mi rendi felice. Perciò ho bisogno di sapere che anche tu lo sei. Lo sei, Oscar? Sei felice?»
«Sì. Adesso, sì.»
Le lunghe dita del salice danzavano sopra di loro, sospinte dal vento, creando delle ombre sul viso improvvisamente serio di Oscar. Gli occhi del ragazzo erano stranamente ancorati ai suoi, la guardavano con un’intensità che Aideen non gli aveva mai visto prima ma che riconobbe. Anche Cassandra, quella sera, l’aveva guardata allo stesso modo. Oscar dischiuse leggermente le labbra, come se fosse sul punto di dire qualcosa; il suo viso era vicino, pericolosamente vicino al suo.
Ti prego, non farlo. Ti scongiuro, non vuoi davvero farlo…
Forse qualcuno aveva ascoltato le sue preghiere e aveva deciso di mandarle un aiuto per sfuggire da quell’imbarazzante situazione perché si sentì un rumore di passi provenire da oltre la cortina di rami del salice. Anche Oscar doveva essersi accorto che non erano più soli perché si alzò a sedere di scatto, gli occhi alla ricerca della fonte del rumore.
Aideen tirò un sospiro di sollievo e imitò l’amico: riusciva a intravedere un paio di piedi e l’orlo di una lunga veste oltre la protezione dei rami, ma non avrebbe proprio saputo dire a chi potessero appartenere. Un’idea ce l’aveva, ma era impossibile, doveva essersi sbagliata… non poteva averli trovati, non lì…
«Aaah, siete lì, non è vero? Credevate davvero di potervi nascondere a lungo? Nossignore. Deve ancora nascere qualcuno in grado di fregarmi.»
Quanto odiava avere ragione. Era lei, non c’erano dubbi. Quella voce gracchiante, sgradevole, come il verso di una vecchia cornacchia in procinto di raggiungere miglior vita, poteva appartenere solo a una persona.
La voce riprese a parlare: «Venite fuori, razza di scansafatiche, non costringetemi a venire a prendervi. Siete Cadetti del nobilissimo e retto Ordine dell’Illuminazione, non vi permetterò di trascorrere il vostro tempo a bighellonare e a fare solo gli dèi sanno cosa. Fuori!»
I due Cadetti del nobilissimo e retto Ordine dell’Illuminazione si scambiarono uno sguardo rassegnato, si alzarono in piedi, spazzolarono gli abiti dalle foglie e dal terriccio e uscirono al cospetto del proprietario della voce da cornacchia. Ricevettero una lunga e asfissiante lavata di capo dalla bibliotecaria dell’Ordine dell’Illuminazione, un’anziana Inquisitrice ormai inabile al combattimento ma con ancora così tanto vigore e voglia di vivere in corpo che, anche se doveva aver superato ormai da tempo la veneranda età di cento anni – nessuno, all’Ordine, nemmeno i Cadetti più anziani sapevano dire con certezza quanti anni avesse di preciso, ma alcune voci di corridoio narravano che fosse in circolazione anche quando i loro insegnati non erano che dei semplici allievi – continuava ad aggrapparsi alla vita con encomiabile tenacia. I due Cadetti accettarono senza provare minimamente a replicare la punizione che la Vecchia Talpa aveva scelto per loro, perché sapevano bene che catalogare da cima a fondo tutti i libri della biblioteca non era che una punizione leggera in confronto a quello che la sadica mente di quell’anziana signora poteva partorire.
Li avrebbero attesi notti lunghe e insonni; alla fine le mani sarebbero state scosse da continui crampi a furia di scrivere, le unghie sarebbero diventate nere per l’inchiostro, gli occhi avrebbero bruciato per la stanchezza e Oscar con tutta probabilità si sarebbe lamentato per la maggior parte del tempo. Sarebbero state notti difficili, ma ne era valsa la pena.
Perché forse, se la Vecchia Talpa non li avesse trovati e interrotti, Oscar l’avrebbe veramente baciata come temeva. E allora, che avrebbe fatto? Gli avrebbe detto che si era innamorata di Cassandra e che si erano messe insieme? Sì, avrebbe dovuto farlo, perché era la verità e perché era la cosa giusta da fare, ma avrebbe dovuto spezzargli il cuore e questo Aideen non se lo sarebbe mai perdonata.
Perché il suo cuore poteva anche appartenere a qualcun altro, ma un pensiero leggero come una piuma che fino a quel momento l’aveva solamente solleticata ora aveva preso forma: non poteva farlo soffrire, non poteva permettersi di perderlo perché era proprio Oscar, più di tutti, a renderla felice.

   
 
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