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Autore: Milla Chan    12/09/2021    2 recensioni
Aveva maturato uno strano sentimento nei confronti degli umani. Non c’era più paura, ma non c’era nessuna rabbia, solo un misto di disgusto e indifferenza. Quella situazione, però, non gli pesava quanto i suoi genitori pensavano che avrebbe dovuto; o almeno così sembrava. Kenma passava gran parte delle sue giornate a giocare ai videogiochi, e quando sua madre gli chiedeva se avesse qualcosa da raccontarle, passandogli la mano tra i capelli scuri, lui la guardava con una sorta di senso di colpa negli occhi.
[KuroKen + altre coppie secondarie] [Tokyo Ghoul!AU, ma non è necessario seguire l'opera]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Between melting and freezing, the soul's sap quivers
 
Kenma aspettò che Kuroo fosse uscito dalla stazione prima di abbassare la pistola, rendendosi conto che la sua mano tremava troppo per dare l’idea di essere davvero in grado di usare un’arma.
Scrutò attentamente Akaashi dall’alto e vide che aveva un’espressione colpevole e stremata.
Il ghoul si voltò indietro e raggiunse Shouyou. Tese le mani per aiutarlo ad alzarsi e lo abbracciò non appena fu alla sua altezza, stringendolo con un velo di imbarazzo pur di tentare di tranquillizzarlo.
-Stai bene?-
-Sto bene.- affermò quello, anche se con voce vacillante.
Shouyou era lì. Era tremendamente pallido e ferito, ma il cuore gli si riempì di gioia, forse perché gli bastava sapere che era vivo e tra le sue braccia.
Si allontanò dal ragazzino ma tenne le mani sulle sue spalle mentre voltava nuovamente il viso in direzione di Akaashi.
-Hai fatto bene a dirgli dov’era Bokuto.- commentò Kenma con voce modulata.
-Lo ucciderà?- ansimò Akaashi, inquieto, forse parlando più a se stesso che al ghoul.
Kenma aggrottò la fronte, ma la sua faccia era nascosta dalla maschera e agli occhi di Akaashi appariva solo come una statua.
-No.-
Finalmente Kenma parlava al suo demone. Non pensava che l’avrebbe mai fatto, tanto meno in quel frangente.
-Hai deciso di dirglielo perché hai visto chi era?-
L’altro aspettò qualche secondo prima di rispondere.
-…Forse.-
-Sei della CCG, vero?-
Kenma si staccò da Shouyou e guardò dritto verso di lui, la sua arma ancora in mano.
-Come lo sai?-
-Queste sono le loro pistole, no?- disse scrollando le spalle. -… Akaashi, se dici di Kuroo a qualcuno, considerati morto.-
Non c’era rabbia nella voce di Kenma. Quella non era propriamente una minaccia, non voleva essere intimidatorio. Era solo un avvertimento oggettivo: non poteva permettere che qualcuno scoprisse l’identità di Kuroo, tantomeno la CCG, ed era disposto a fare qualsiasi cosa per evitarlo.
Shouyou li guardò preoccupato, ma un attimo dopo sentì la mano di Kenma sulla schiena e fu costretto ad avanzare assieme a lui verso la galleria, nella direzione opposta rispetto a dove era deragliato il treno, senza capire davvero cosa stessero facendo.
Continuava a voltarsi indietro, verso Akaashi, l’espressione di chi ha ancora tanto da fare e da dire ma non riesce a trovare le parole. Zoppicava un po’, ma Kenma l’aveva notato e lo stava aiutando tenendogli un braccio attorno al busto.
-Vieni Shouyou, dobbiamo andarcene, tra poco qui sarà pieno di persone. È più sicuro camminare fino alla prossima stazione piuttosto che uscire qui fuori.-
Akaashi si irrigidì e cercò di alzarsi in piedi nonostante ogni parte del suo corpo facesse di tutto per non collaborare.
Shouyou vide Akaashi ricadere a terra e rivolse a Kenma uno sguardo supplicante.
Il ghoul rimase per qualche attimo interdetto davanti a quegli occhi grandi, ambrati e lucidi.
-Per favore, aiuta anche lui.- gli chiese con un tono che non poté ignorare in alcun modo.
Kenma sospirò e si guardò indietro, incerto sul da farsi. Shouyou era in evidente stato di shock, Akaashi era solamente malconcio e la CCG l’avrebbe portato in salvo non appena sarebbe arrivata, non aveva bisogno del suo aiuto. D’altro canto, però, ora sapeva di Kuroo. Sembrò pensarci su, esitare, prendere coraggio. Poteva tenerlo lontano dalla CCG col pretesto di aiutarlo, evitare che parlasse di ciò che aveva visto. Cambiò idea più volte, ma alla fine invertì la direzione e tornò davanti al ragazzo che avevano lasciato indietro.
-Hai complici qui in giro? Assicurami che non è una trappola.- chiese duramente.
Akaashi alzò la testa, ansante, le mani sulle rotaie e i denti stretti. -No.- deglutì e si affrettò a spiegare. Doveva vivere, doveva scappare e sparire. -Mi stanno cercando.-
Kenma aggrottò per un attimo le sopracciglia, interrogativo.
-Non proverai ad uccidermi?- gli chiese, fermo davanti a lui.
Akaashi avrebbe voluto ridacchiare amaramente, ma il suo volto era come bloccato e riuscì solo a piegare leggermente le labbra verso l’alto.
-Vorrei farti la stessa domanda.-
Kenma roteò gli occhi, un po’ frustrato per quel sorriso minuscolo, ironico e stanco. Sanguinava copiosamente e un po’ lo compativa: era strano vedere quanto gli umani fossero effettivamente fragili.
-Kuro non sarebbe felice di sapere che ti ho fatto del male.- replicò semplicemente. -E non credo di volerlo, comunque. Quindi non mettermi in condizioni di doverlo fare, per favore.-
Akaashi fece una smorfia confusa e dubbiosa. Fino a poco prima, nessuno dei due sembrava tenere particolarmente alla sua vita.
Se la storia con Bokuto non fosse mai successa, Akaashi non si sarebbe mai fidato di un ghoul. Mai in vita sua. Eppure in quei mesi stava scoprendo una realtà nuova, una realtà in cui i ghoul dimostravano un lato sconosciuto a lui e al mondo.
Quel ghoul sembrava essere amico di Hinata, e la situazione gli sembrava irreale e innaturale, ma se Hinata si fidava così tanto di lui da stargli vicino e accodarsi a lui, allora forse avrebbe fatto bene a seguire il suo esempio, soprattutto in quel momento.
-Ti conosco?- chiese incerto, afferrando la mano che Kenma gli porgeva.
Non rispose alla sua domanda.
-Hai detto che ti cercano. Che significa?- ribatté piuttosto Kenma, mentre lo aiutava ad alzarsi.
Akaashi strizzò gli occhi per il dolore. -Ho fatto evadere Bokuto.- disse con voce flebile.
Kenma sbatté un paio di volte gli occhi sotto la maschera, sorpreso. -La CCG lo teneva in custodia?-
-Sì.- asserì l’altro, tenendosi il fianco con una mano e stringendo il braccio di Kenma con l’altra. -Tu… Lo conoscevi?-
-È complicato. Hai un posto dove andare?- domandò il ghoul, sinceramente interessato a quella storia e rendendosi conto della gravità della situazione.
Akaashi lo guardò un attimo, per poi tornare a guardare a terra e scuotere la testa.
Kenma fu colpito da quell’atteggiamento. Non aveva idea che il suo demone fosse uno studente della CCG, né che avesse tanto fegato. A quel punto, però, non stava né dalla parte degli umani, né dalla parte dei ghoul, e provò una forte pietà nei suoi confronti.
Raccolse la maschera di Kuroo, salì sulla banchina per recuperare la tracolla che Akaashi aveva lasciato cadere malamente sul cemento, e insieme raggiunsero Shouyou.
Procedettero lungo la galleria buia, avanzando a passo costante ma lento a causa delle ferite. Entrambi gli umani si aggrappavano a Kenma, che li guidava lungo la galleria. Non parlavano.
Kenma prestava una particolare attenzione a Shouyou, preoccupato per il suo respiro corto, le mani sudate e tremanti. Akaashi, invece, cercava chiaramente di non dare a vedere quanto dolore provasse ad ogni passo, ma il suo viso gonfio e le ferite non mentivano.
Kenma non sapeva come gestire quella situazione e l’unica scelta sensata in quel momento sembrò quella di fermarsi, anche solo un attimo, per far riprendere loro fiato e mettere in chiaro un paio di cose.
Non appena si arrestarono, il ragazzino coi capelli rossi si accovacciò a terra con un sospiro affaticato, fissando il vuoto.
-Shouyou.- chiamò Kenma, inginocchiandosi accanto a lui. -Una volta usciti da qui vuoi che ti riporti a casa? Se preferisci, puoi venire da me, è più vicino.-
Il ragazzino guardò quella maschera bianca per qualche secondo prima di abbassare lo sguardo sulle proprie mani, ferite dalle lamiere della metropolitana deragliata.
Sentiva ancora quell’odore nelle narici. La nausea gli chiudeva ancora la gola, perché i suoi vestiti erano sporchi, insanguinati, aveva Tobio addosso e temeva che, se avesse continuato a pensarlo, avrebbe davvero finito col vomitare.
-Perché non mi hai mai detto che eri un ghoul?- chiese con una forte nota di delusione nella voce.
Kenma rimase fermo qualche attimo, poi si tolse la maschera con un gesto lento e controllato.
Non aveva più alcun senso tenere segreta la propria identità ad Akaashi, visto che non c’era il rischio che informasse la CCG. Inoltre, una volta arrivati nella stazione successiva, avrebbe preferito di gran lunga evitare di far scoppiare il panico.
Shouyou alzò di nuovo gli occhi su di lui, come se avesse bisogno di vederlo ancora in faccia, di assicurarsi ancora una volta che fosse lui, che fosse vivo, che fosse lì, dopo tutti quei mesi in cui era sparito.
-Davvero non è ovvio?- chiese Kenma, vagamente a disagio, accorgendosi che il silenzio si stava protraendo per troppo tempo. 
Le labbra di Hinata tremarono e ricacciò indietro le lacrime.
-Sì.- ammise scuotendo la testa e sbuffando, disorientato, la voce spezzata. -Sì che è ovvio, era una domanda stupida... È che… Non lo so.-
Una domanda stupida, certo, ma non aveva potuto fare a meno di porla, spinto da qualcosa di più grande di lui.
Akaashi nel frattempo guardava di sottecchi, ma con curiosità, il volto di Kenma avvolto dalla penombra.
Aveva un profilo delicato e l’aria tranquilla, e Akaashi dovette ammettere che non se l’era affatto immaginato così, mentre era sul punto di sparargli in testa. Per un attimo, pensò addirittura che fosse una ragazza, forse distratto dai capelli biondi un po’ lunghi e il fisico esile. Gli sembrava di averlo già visto, ma non sapeva dire esattamente dove.
-I miei genitori sarebbero terrorizzati se mi vedessero così.- pensò Shouyou a voce alta, il ritmo che accelerava ad ogni parola. -E non so come arrivare a casa, a quest’ora, perché la linea della metro sicuramente è stata bloccata e casa mia è così lontana e…-
-Te l’ho detto, puoi venire da me. Fatti una doccia e riposati.- lo fermò Kenma, mentre la sua espressione si faceva addolorata nel notare l’agitazione del più piccolo. -Shouyou, respira…-
Sotto la sua pelle bruciava qualcosa, bruciava soprattutto il bisogno di saperlo al sicuro, ma anche di passare del tempo con quel ragazzino che finalmente aveva ritrovato, tempo che aveva dovuto buttare via e che non sarebbe mai più tornato indietro.
-Puoi mandar loro un messaggio e dire che stai bene, e che torni domani.-
Hinata annuì e si asciugò velocemente gli angoli degli occhi con le maniche del giubbotto.
Kenma si alzò in piedi e aiutò Akaashi a fare lo stesso.
-Akaashi.- iniziò, con un tono meno acceso, riponendo la maschera nella grande tasca interna del cappotto. -Anche tu vieni con me, per stasera. Fidati di me.-
-Non ho altre opzioni.-
Kenma assottigliò gli occhi e cercò di capire se considerare quel commento in maniera positiva o negativa, ma non riuscì a venirne a capo, distratto anche dall’idea di far entrare ben due umani in casa.
Era sempre stato restìo all’idea di stare con altre persone, e casa sua era uno spazio speciale ed estremamente privato: si rese conto che non era affatto da lui proporre una cosa del genere, anche se era una situazione di emergenza.
Il discorso non valeva tanto per Shouyou quanto per Akaashi, perché se per il primo aspettava quel momento da fin troppo tempo, per il secondo, invece, era l’esatto opposto. Non sapeva chi fosse davvero, non sapeva nulla di lui e l’unico legame che sentiva con lui era uno strano e sottile filo sbucato dal nulla. Era impossibile fingere che non esistesse.
Ne avrebbe parlato con Kuroo una volta tornato a casa e avrebbero deciso cosa fare. Sperava che stesse bene e che sarebbe tornato presto, senza portare con sé brutte notizie.
Doveva spiegare ad Akaashi quella situazione, doveva spiegargli la storia di Kuroo e Bokuto per fargli capire che tutta quella violenza non era stata altro che frutto della disperazione.
Nel pensarlo, spostò istintivamente gli occhi su di lui e notò quanto fosse silenzioso, e di certo tutto il sangue che aveva perso non aiutava.
Ora che gli era più vicino, Akaashi guardava Kenma con attenzione: cercava di distinguere meglio i suoi lineamenti, capire il colore dei suoi occhi, registrare i dettagli, per quanto possibile sotto le fioche luci della galleria, ma il risultato era solo uno sguardo intenso e concentrato e, forse, un po’ intimidatorio, tanto che Kenma sembrò irrigidirsi appena.
Poi, però, Akaashi chinò il capo con gratitudine e Kenma si sciolse.
Akaashi era più alto di lui di almeno una decina di centimetri, forse anche di più, ma sicuramente meno di Kuroo. Eppure, nonostante ciò, in quel momento gli sembrava la persona più bisognosa di protezione che avesse mai visto.
-Credo che avremo tutti e tre un bel po’ di cose da raccontarci.- commentò sovrappensiero Kenma, prima di rimettersi a camminare, sognando ad occhi aperti il tepore del proprio appartamento.

Nel freddo del dicembre di Tokyo, invece, Kuroo correva, correva più veloce che poteva.
I polmoni bruciavano, le gambe bruciavano, il suo respiro si condensava nell’aria gelida che gli sferzava il volto.
La città, i grattacieli, le luci artificiali. Tutto gli passava accanto e lui cercava una sola cosa, solo la porta arrugginita di quello scantinato che si era ripromesso di non vedere mai più.
Era lontano, lontanissimo, ma non importava, ci sarebbe arrivato, anche se il cuore gli stava esplodendo nel petto, anche a costo di strisciare sull’asfalto.
Non riusciva a crederci, non riusciva a pensare, nella sua testa passava tutto e nulla, si urlava di correre più veloce e si accavallavano immagini indistinte e lontane, riemergevano sensazioni che credeva di aver dimenticato, ma che erano tornate violentemente non appena aveva sentito quell’odore.
A un certo punto avevano iniziato ad assalirlo i dubbi, come se gli fossero letteralmente saltati addosso per rallentare la sua corsa, mentre svoltava nei vicoli sempre più bui, sempre più stretti: non sapeva se l’avrebbe davvero trovato lì, non ne era sicuro, non aveva alcuna certezza.
Non aveva certezze, ma aveva speranze, e non ne aveva mai avute così tante, talmente tante che gli riempivano il petto e gli rendevano difficile respirare.
Spalancò la porticina rugginosa -così piccola, ora- con un gesto secco e si precipitò giù per le scale, le lacrime agli occhi perché l’odore gli sembrava così forte da coprire quello acre e marcio di quell’ambiente abbandonato.
Arrivò all’ultimo gradino e si piegò in avanti, una mano appoggiata al muro e l’altra a stringersi la stoffa al petto, senza più ossigeno, la gola in fiamme.
Un ragazzo stava seduto su una delle coperte ammuffite che erano rimaste lì in tutti quegli anni. Era magro. I capelli un po’ lunghi, grigi. Aveva le gambe incrociate, le spalle abbassate, le mani abbandonate sulle caviglie.
Qualcosa dentro Kuroo si crepò, come un’enorme e pericolosa diga, e un verso strozzato uscì dalla sua gola.
Quel ragazzo alzò la testa e gli occhi grandi, spalancati, d’oro, arrossati per le lacrime, lo colpirono come un pugno nello stomaco. Esplose come una bomba.
Kuroo scoppiò a piangere, e tutto dentro di sé si spaccò definitivamente in mille pezzi, schegge che finirono ovunque, e gli facevano male, un male atroce.
Due passi veloci, poi si lasciò cadere in ginocchio, proprio davanti a lui, e gli prese il viso scavato tra le mani. Mosse le labbra ma non riuscì ad emettere neanche un suono oltre ai singhiozzi che gli scuotevano il corpo.
I suoi occhi non stavano fermi. Vagavano senza fermarsi un attimo sul volto del ragazzo davanti a sé.
Bokuto si perse dentro quelle iridi scure, quelle lacrime trasparenti che brillavano di dolore e felicità e nostalgia.
Non era reale.
Non poteva esserlo.
Aveva fatto fatica ad orientarsi, stare all’aria aperta dopo così tanto tempo gli faceva girare la testa, e trovare la strada per arrivare a quello scantinato era stato più difficile del previsto. Man mano che si avvicinava, aveva visto dettagli che gli dicevano che era sulla strada giusta.
Era arrivato con un sorriso ampio e luminoso, il cuore che batteva fortissimo, ma davanti alla porta quell’emozione si era subito tramutata in terrore, e il terrore in dolore, e il dolore in lacrime amare e arrabbiate e consapevoli di aver perso tutto.
Non era rimasto niente, non era rimasto nessuno. Solo il silenzio, le ossa, l’odore acre e umido.
Aveva chiuso gli occhi con rassegnazione, seduto nell’esatto punto in cui dormiva tanti anni prima.
Poi ecco, il rumore della porta, il profumo, la sua figura, i suoi occhi, le sue mani.
Doveva essere un’allucinazione. Era finto. Era una bugia che il suo cervello gli aveva proiettato davanti perché non c’era niente, assolutamente niente, che avrebbe potuto farlo stare peggio e meglio allo stesso tempo, in quel preciso momento.
-Koutarou.-
Il suo nome, pronunciato con fatica dalla bocca di Kuroo piegata in una smorfia. Quel suono lo fece trasalire, e la sua schiena iniziò a tremare, i denti stretti forte. Era la sua voce, e le sue orecchie la registrarono come se fosse ciò che di più prezioso potesse ottenere.
Si concentrò sulla sensazione dei suoi polpastrelli sulle guance, e su quell’odore che gli pizzicava il naso, e gli sembrò di essersi scordato come respirare e come muoversi.
Non era un’illusione, e la sua testa non gli stava mentendo. Era reale e davanti a lui, e non sapeva come fosse possibile.
Alle lacrime di Kuroo si aggiunsero le sue, e assieme ad esse piccole imprecazioni singhiozzate, perché era terribile, terribile, bellissimo, e avrebbe voluto gridare.
Alzò le braccia e lo avvolse con urgenza, la stoffa stretta convulsamente tra le dita. Si lasciò andare contro di lui, proprio mentre Kuroo faceva scivolare una mano alla sua nuca e se lo portava contro la spalla.
Bokuto tenne gli occhi spalancati per qualche secondo, la guancia che scivolava contro il petto di Kuroo, prima di strizzarli forte, perché non vedeva più nulla. Profumava di casa e quel pianto era così rumoroso e così liberatorio che si sentì come se stesse evaporando, come se tutto il calore che gli si era concentrato in faccia si stesse rilasciando nell’aria.
Kuroo gli accarezzava la schiena, il viso tra i suoi capelli grigi, le palpebre tremanti e serrate, il pianto che si tramutava in risata, e poi di nuovo in pianto, mentre le lacrime scivolavano tra le rughe di quel sorriso impossibile da reprimere.

Era ormai notte fonda quando Kenma aprì frettolosamente la porta del suo appartamento. Fece entrare i due umani e si affrettò a farli sedere sul divano.
-Abbiamo bisogno di disinfettante, garze, ghiaccio…- elencò Akaashi, affaticato, rigirando attentamente le mani di Shouyou tra le proprie per controllare lo stato delle sue ferite.
Kenma sembrò indispettito e lo guardò con un broncio offeso.
-E tu non dovresti sforzarti.- puntualizzò con un borbottio stizzito, salvo poi bloccarsi, perché si rese conto di non avere tutto il necessario in casa. Lui e Kuroo erano ghoul, non servivano a granché cerotti e cose del genere.
-Il ghiaccio è in freezer e…- si arrestò, guardandosi attorno, le mani ferme a mezz’aria. -… Guardo se c’è una farmacia aperta qui vicino. Altrimenti anche al conbini dovrebbe esserci qualcosa. Voi fatevi una doccia, se riuscite.- concluse, sparendo nella camera da letto e tornando con dei vestiti puliti tra le braccia.
Sentiva l’adrenalina scorrergli dentro, era agitato e all’erta, la mente affollata da troppi pensieri. Shouyou e Akaashi erano feriti, erano umani, erano in casa sua, e sapevano cos’erano lui e Kuroo.
Ah, Kuroo. Avrebbe voluto che fosse lì con lui, in quel momento, più di ogni altra cosa. Avrebbe voluto che gli dicesse di fermarsi un attimo e calmarsi, perché sicuramente gli sarebbe bastato guardarlo per capire il disagio e l’ansia che lo stavano assalendo, anche se esternamente non vi era che un viso immobile e serio.
Lasciò i vestiti ai due ragazzi e si portò due dita alle tempie mentre inspirava profondamente.
-Vado.- mormorò afferrando il portafoglio, per poi uscire di nuovo di casa, scivolando attraverso la porta come se non volesse essere visto da nessuno, odiando l’idea di dover rimettere piede fuori di casa.
Shouyou sobbalzò nel sentire la porta chiudersi. Aveva lo sguardo perso, notò Akaashi. I suoi vestiti erano sporchi di schizzi di sangue e di quelli che sembravano essere brandelli di qualcosa, forse carne, ma non voleva trarre conclusioni affrettate. Era pallido e silenzioso e, anche se non lo conosceva bene, era abbastanza sicuro che fosse successo qualcosa di estremamente spiacevole.
Combatté la stanchezza e la sensazione di pesantezza che gli procurava per appoggiare una mano tra i suoi capelli rossi e arruffati e attirare la sua attenzione, in un gesto dal sapore materno.
Shouyou si voltò a guardarlo con gli occhi vuoti e un’espressione che sembrava voler essere interrogativa, ma era chiaramente sovrastata dallo sfinimento.
-Che cosa ci facevi là sotto?- chiese piano Akaashi, con sincera preoccupazione.
Le labbra secche del più piccolo tremarono e dovette inumidirsele prima di riuscire a parlare.
-Stavamo tornando a casa. Tobio è...- annunciò con un sussurro, con voce malferma e una smorfia addolorata.
Akaashi lo guardò con la bocca leggermente aperta, impaziente.
-Kageyama? Cos'è successo, dov'è?-
-Due ghoul. L'hanno... Lui non c'è più.-
Shouyou avrebbe voluto continuare a parlare, ma fu interrotto da un singulto e dovette abbassare la testa, perché dirlo ad alta voce era ancora più terribile di pensarlo, e il cuore sembrava battergli proprio nel centro dello stomaco. Akaashi stette in silenzio, incredulo.
-Non ho potuto fare niente.- continuò Shouyou con un guaito. -L’hanno buttato sotto il treno. Senza motivo. L’ho visto. Era ovunque. Era…-
Si interruppe per deglutire e Akaashi notò la sua fronte sudata, il respiro affannato, le guance bagnate. Voleva dirgli di non parlare, ma non fece in tempo.
-È qui.- gemette il ragazzino toccandosi il giubbotto.
Calò un silenzio opprimente, e un attimo dopo Shouyou scattò in piedi e corse in bagno.
Akaashi lo seguì, nervoso, e si fermò sulla porta, chiudendo gli occhi quando gli giunse alle orecchie il conato di vomito.
Abbassò le spalle e sentì il petto riempirsi di tristezza davanti a quella scena.
Lo aiutò a calmarsi e a farlo respirare, ad andare in doccia e a cambiarsi, a farlo tornare sul divano.
Non aveva granché da dirgli, in realtà, e concretamente non poteva fare molto altro. Anche se avesse potuto, comunque, non ne aveva davvero la forza: gli sembrava che ci fosse qualcuno a martellargli il cervello e le braccia erano pesanti come macigni. Avrebbe voluto solamente stendersi e riposarsi, ma non era quello il momento.
Erano successe troppe cose, quel giorno. Alcune per colpa sua, altre perché vi si era ritrovato crudelmente in mezzo, e a queste ultime doveva ancora trovare un senso.
Kageyama Tobio era un ragazzino. Un ragazzino decisamente bravo, sicuramente sarebbe stato un ottimo investigatore in futuro, ma non aveva ancora compiuto sedici anni.
Quale poteva essere stato il movente del suo omicidio? I suoi genitori erano celebri cacciatori di ghoul, ma uccidere loro figlio -senza mangiarlo, poi- non era affatto un metodo che rientrava nella linea d’azione dei ghoul.
Non osava immaginare cosa sarebbe successo quando la notizia fosse giunta in Accademia.
Alzò il capo per guardare il cielo nero fuori dalla finestra, e alla tristezza si aggiunse una strana inquietudine.

Circa mezz’ora più tardi, Kenma riaprì la porta di casa. Per un attimo rimase colpito dal silenzio. Si tolse le scarpe e seguì l’unica luce accesa dell’appartamento, quella in salotto.
Akaashi si voltò verso di lui e si portò un indice alla bocca. Kenma si rese subito conto che non si era lavato né cambiato, ma che perlomeno aveva preso un colorito più roseo, meno pallido.
Spostò lo sguardo su Hinata e vide che si era addormentato, accovacciato sul divano con la testa su un cuscino e con uno dei suoi pigiami addosso, stremato per quelle ore intense e terribili.
Akaashi si alzò faticosamente in piedi e uscì dalla stanza assieme a Kenma.
-Li conoscevi?- chiese sottovoce Akaashi.
-Chi?-
-I due ghoul che hanno ucciso Kageyama.-
Kenma aggrottò le sopracciglia.
-… Chi?- ripeté, confuso.
Akaashi assottigliò lo sguardo e storse le labbra.
-Era amico di Hinata, era sulla metropolitana con lui. L’hanno ucciso davanti ai suoi occhi e hanno fatto deragliare la metro. Ha raccontato in modo abbastanza confuso, ma credo che basterà accendere la televisione domani per capirci qualcosa.-
Kenma rimase senza parole e, senza distogliere lo sguardo, appoggiò sul tavolo della cucina la borsa con quello che era riuscito a trovare.
Si trattava forse di Oikawa? Era lui che aveva organizzato tutto, quella sera, ed era lui che aveva tentato di uccidere Shouyou. Il solo pensiero bastava a fargli stringere di nuovo lo stomaco per la rabbia e la paura.
-Non credo di conoscerli, no.- mentì con voce atona, voltando la testa verso la borsa di plastica. -Quando tornerà Kuroo potremo parlarne.-
-Kuroo vive qui?- chiese stupito Akaashi. Stare sul divano morbido, in silenzio, e rilassare il corpo contro i cuscini lo aveva aiutato un po’ a riprendersi e a tornare lucido, anche se i capogiri continuavano ad essere frequenti.
-Sì.-
Akaashi era già rimasto a bocca aperta nel vedere che Kenma li aveva portati nello stabile in cui c’era quel Neko Café in cui ogni tanto si fermava, e a quel punto c’erano davvero troppe coincidenze. Troppi ghoul. Davvero troppi ghoul.
-Vivete insieme?- proseguì con voce più profonda e un tono più allusivo di quanto avrebbe voluto.
Il più basso serrò la bocca e lo guardò negli occhi per secondi lunghissimi.
-Vai a farti una doccia, Akaashi. Tutto questo odore di sangue è fastidioso.- sibilò senza alcuna espressione. -Nel modo sbagliato.-
Akaashi trasalì. Si alzò in piedi senza una parola di troppo e si diresse verso il bagno, chiudendo gentilmente la porta dietro di sé.
Kenma si lasciò finalmente cadere su una delle sedie attorno al tavolo.
Voleva capire cosa fosse successo e cosa avrebbe dovuto fare, ma quel puzzle aveva così tanti pezzi che metterli insieme sembrava un’impresa impossibile.
Forse, poco per volta, ogni tassello sarebbe tornato al suo posto senza troppo sforzo.

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Note e chiarimenti
Quanti anni sono passati? C'è ancora qualcuno che legge questa storia? C'è qualcuno che riprenderà a leggerla? Ho ritrovato diversi capitoli già scritti nel mio computer e mi sono ricordata di non aver mai continuato a pubblicarla... Mi piange il cuore, perché ho passato tantissimo tempo a scriverla e orchestrarla, per poi lasciarla marcire in un angolo. Mi sembra doveroso tornare a pubblicarla anche se non sono più nel fandom, sono cresciuta (invecchiata?) e il mio stile di scrittura è cambiato drasticamente. Spero di rendere qualcuno felice.
   
 
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