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Autore: Nexys    24/09/2021    2 recensioni
Sono passati anni da quando Roy Mustang si è visto privato della vista a favore di una conoscenza superiore pagata a caro prezzo, e da quando l'ha riottenuta per grazia ricevuta, il suo mondo è cambiato. Una volta raggiunto il gradino più alto della sua carriera - e ambizione - la sua vita sta per cambiare ancora. Vestire i panni di Comandante Supremo è ciò che ha sempre desiderato, ma la sua vita ha ancora molto altro da offrire. La sua fiamma viva ha molto altro per cui ardere.
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Dal testo: “Quella ruga sulla fronte rischia di rimanerci, se non la smetti di guardarmi in modo così torvo”. Mustang non aspettò altro e nemmeno si premurò di guardarsi attorno, prima di posare il bicchiere intonso sul tavolo e cingere i fianchi della sua fidata sottoposta con un braccio. “Non sono ancora così vecchio, Elizabeth”, le mormorò ad un orecchio, profondamente divertito nel vederla arrossire e scomporsi per qualche istante.
[Brotherhood] [RoyAi] [Fluff] [What if?]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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        Il chiassoso vociare dei suoi sottoposti lo stava snervando più del solito. Avevano ragione a festeggiare – d’altronde quella era l’Occasione, con la O maiuscola – ma Roy Mustang non era mai stato molto paziente in generale, nemmeno in contesti del genere.
“Forse dovresti almeno fingere di essere felice”. Una voce familiare apostrofò i suoi pensieri. Si era fatto da parte per permettere ai partecipanti di godersi il rinfresco post-cerimonia, ma ovunque si nascondesse sarebbe stato al centro dell’attenzione, ne era sicuro. “Non capita tutti i giorni di essere nominato Comandante Supremo, sai com’è”. Era incredibile come a distanza di anni, Edward Elric si fosse fatto tanto alto da poterlo guardare negli occhi senza fargli inclinare nemmeno un minimo le vertebre cervicali. Si voltò per cercarlo, abituato ad abbassare lo sguardo per trovarlo, incrociando invece le sue braccia conserte. Non ebbe il tempo di aggiustare il tiro e far finta di niente: l’Alchimista d’Acciaio lo aveva colto in flagrante ancora prima che si voltasse. Con un sorrisetto misto tra il divertito e l’irritato, lo salutò. “Ringraziami, vecchio. Almeno ora non dovrai sforzare il collo per guardarmi”. Il neoeletto Comandante gli rivolse un falso cenno sprezzante. “Gli anni passano, ma continui sempre a urtarmi il sistema nervoso come la prima volta in cui ci siamo incontrati. Notevole, cane dell’eser- ah. Cane del mio esercito”.
Edward lo fulminò con lo sguardo. “Bada a come parli, Colonnello dei miei stivali”. Passarono trenta secondi di religioso silenzio e tensione, a causa della quale molti invitati al ricevimento si voltarono a guardarli con preoccupazione, prima di vedere i due scoppiare a ridere e abbracciarsi in modo quasi fraterno.

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Erano passati anni da quando il loro mondo di Alchimisti era stato scosso da una catastrofe molto più che solo sfiorata. Da quando aveva recuperato la vista, l’intero universo di Roy Mustang era notevolmente cambiato. In primis, il suo modo di vedere – letteralmente – la vita stessa, il suo ruolo in essa, il suo scopo. Era cresciuto con l’ideale di cambiare il mondo, di proteggere tutti i suoi sottoposti con le proprie mani, fino al punto di maturare la consapevolezza che lo aveva portato a raggiungere il grado di Comandante Supremo: innalzarsi al punto di poter proteggere chiunque, sotto di sé. Nonostante il suo carattere strafottente e difficile, tutto ciò a cui aveva sempre aspirato era stato il poter rendere il mondo un posto migliore grazie all’Alchimia e non solo. Avrebbe evitato con ogni mezzo una nuova guerra, aiutando invece chi avesse mai avuto bisogno a ricostruire quanto andato distrutto per colpa dei suoi predecessori e non solo. A 34 anni suonati, Roy Mustang era diventato finalmente un uomo fatto e finito, con grandi ambizioni più altruiste di quanto egli stesso si sarebbe mai aspettato da se stesso.
La cerimonia di investitura che lo aveva consacrato a nuovo Comandante Supremo era stata solenne e priva di screzi. Non c’era stato spazio per umorismo o sarcasmo, perché tutti gli elementi coinvolti avevano provato una certa emozione non trascurabile nel vedere l’uomo che avevano sempre rispettato – il più delle volte – e seguito con devozione, salire di grado ancora una volta, l’ultima. Anni di sacrifici, burocrazia e impegno sul campo lo avevano portato a guadagnarsi il rispetto di diplomatici, cittadini, sottoposti e semplici conoscenti grazie alla sua sincerità e determinazione. Se non fosse stato così tanto attaccato al suo onore militare, molti ritenevano che avrebbe facilmente preso parte in politica, e molto probabilmente lo avrebbero anche favorito e votato.
Una volta rimasto solo, si diresse verso il tavolo dedicato alle vettovaglie da festa e si versò un bicchiere di vino rosso, nella speranza di gustarselo senza interruzioni. Non gli dispiacque però sentire una mano gentile posarsi sulla sua spalla, invitandolo a voltarsi. Con un mezzo sorriso tese il bicchiere e lo offrì alla giovane ragazza che aveva cautamente richiamato la sua attenzione.
“Prego”, disse ad una sorpresa e velatamente commossa Riza Hawkeye. “Prima le gentil donne”. Lei sorrise appena, scuotendo la testa. “Comandante, l’ironia non Le si addice”. Mustang corrugò la fronte, visibilmente turbato dalla sua risposta. Era pur vero che lui avesse appena preso il posto del suo defunto nonno, ma arrivare a un così grave distacco dal giorno alla notte era un colpo basso e inaspettato. L’ex luogotenente gli restituì il bicchiere scuotendo il capo. “Volevo solo provare a scherzare…”, mormorò con evidente dispiacere dipinto sul viso. “Quella ruga sulla fronte rischia di rimanerci, se non la smetti di guardarmi in modo così torvo”. Mustang non aspettò altro e nemmeno si premurò di guardarsi attorno, prima di posare il bicchiere intonso sul tavolo e cingere i fianchi della sua fidata sottoposta con un braccio. “Non sono ancora così vecchio, Elizabeth”, le mormorò ad un orecchio, profondamente divertito nel vederla arrossire e scomporsi per qualche istante. Erano passati anni da quando avevano avuto la possibilità di conoscersi e diventare inseparabili. Da quando aveva riacquistato la vista, e la prima persona che aveva rivisto dopo la cecità era stata proprio lei, il suo mondo aveva iniziato a ruotarle lentamente attorno, come un satellite intorno a una stella. Nel giro di qualche tempo la loro relazione si era intensificata anche se di nascosto – dato che l’etichetta militare proibiva qualsiasi tipo di relazione sentimentale tra commilitoni – ma in quel giorno nessuno dei due pareva intenzionato a badarci più di tanto. “Forse dovresti fare attenzione…”, gli suggerì, guardandosi attorno con timore di essere notata più del necessario. “Sia mai che qualcuno possa accusarti dopo qualche ora di star già praticando abuso di potere”.
Roy alzò gli occhi al cielo. Solo Riza avrebbe potuto trovare una scusa del genere in un momento simile. Strinse la presa sui suoi fianchi e si voltò appena per recuperare il vino, prima di essere fermato dalla ragazza. “Sobrietà e onore”, lo rimproverò, fingendosi indispettita, prima di dare una veloce occhiata attorno a loro, e lasciare una carezza in punta di dita sul volto del suo superiore e amante. Scivolò con leggerezza via dalla sua presa, e si dileguò senza proferire parola, di fronte ad un Mustang perplesso, interdetto e con decisamente poca voglia residua di bere.

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Quando la festa si avviò al termine, si congedò da tutti coloro che erano rimasti ad aspettarlo per potersi congratulare con lui e porgere i migliori auguri, e con passo svelto si diresse verso il suo ufficio, chiudendocisi dentro di buona lena. Con un sospiro di evidente sollievo abbandonò il cappello da cerimonia e la giacca sul divanetto di cortesia, e slacciandosi il secondo bottone oltre il colletto della camicia bianca che indossava, si sedette sulla propria poltrona alla scrivania. Lanciò uno sguardo sui rapporti di Ishval che ancora non aveva toccato dalla mattina, e si sentì quasi in colpa per aver trascurato una così importante mole di lavoro, anche se per cause di forza maggiore. Da quando aveva preso ancora più seriamente il proprio scopo e la ricostruzione di Ishval – quasi come se avesse quantomeno voluto provare a redimersi dal male che aveva compiuto in nome di una causa discutibile – era la prima volta che il suo dovere passava in secondo piano. Ragion per cui si disse mentalmente che sarebbe rimasto sveglio fino a tarda notte fino al momento in cui non avesse terminato di esaminare quei documenti, per poter produrre nuove direttive da trasmettere al Consiglio l’indomani. C’era molto lavoro da svolgere, fondi da stanziare, spedizioni di provviste da preparare e alchimisti da mandare sul posto per aiutare a bonificare e ricostruire interi quartieri a partire da ciò che una volta dovevano essere stati. In cima a tutte le prerogative e priorità però, c’era quella di riconquistare la fiducia dei cittadini sfollati, mutilati e bistrattati da anni di angherie e lutti, e quello sarebbe senza alcun dubbio stato il compito più difficile di tutto il suo mandato.
 
Il sole si accingeva a tramontare del tutto, tingendo le pareti dell’ufficio di un color arancio vivo simile al colore di una fiamma incandescente, quando qualcuno bussò alla porta. Bastarono due colpi secchi per disarcionare il Comandante Mustang dalla sua contorta catena di responsabili pensieri. “Avanti”, disse con un tono di voce fin troppo solenne, rassettando con entrambe le mani i documenti che aveva di fronte. A passo lento e misurato, Riza fece capolino dall’ingresso e con fare quasi circospetto si chiuse la porta alle spalle, accompagnandola con la schiena. Roy sollevò un sopracciglio con fare sospettoso, nuovamente perplesso di fronte al comportamento della sua compagna. “Riza?”, la chiamò, leggermente in allarme per via del suo atteggiamento. “Va tutto bene?”.
La giovane sospirò dalle narici, producendo un suono simile ad uno sbuffo, annuendo seccamente alle sue parole. “Sì. Ma dobbiamo parlare, da soli”, proferì, avvicinandosi alla scrivania e assumendo la solita postura di circostanza, da bravo soldato. Quel comportamento parve insolito agli occhi dell’uomo, visto e considerato che erano soli, tra quattro mura. Fece per alzarsi, con entrambe le mani posate sul tavolo. “Non penso che sia il caso che tu sia così form…”.
Seduto”, ordinò Hawkeye, con fermezza poco convincente. La voce le tremò inspiegabilmente verso la fine, a tal punto da produrre un suono quasi stonato. “Io… non posso più ricoprire il mio ruolo in quanto tua sottoposta”, disse, guardandolo dritto negli occhi. Roy rimase interdetto ed in silenzio per qualche momento, seduto come lei gli aveva imposto, a meditare su quanto aveva appena sentito. Lo sguardo della donna era fermo, ma le sue labbra vibravano appena, così come le sue spalle. Quella mancanza di sicurezza mista a nervosismo lo insospettirono e preoccuparono. Le rivolse uno sguardo tutto tranne che confuso.
“Che cosa stai dicendo?”, le chiese, con un tono di voce grave, tendendole una mano.
Lei fece un passo indietro e intrecciò le dita nel proprio grembo, sviando il suo sguardo. “Esattamente ciò che hai sentito. Non posso più prestare servizio, per te, adesso, così…”, e parlando si morse il labbro, un atteggiamento decisamente insolito per una donna come lei. Roy si alzò prontamente dalla scrivania, e ci girò attorno per avvicinarsi, prendendole le mani per stringerle tra le proprie. La ragazza alzò lo sguardo e tirò un sospiro, con l’espressione di chi non sa che pesci pigliare. “Roy…”.
L’uomo sentì il nervosismo crescere dentro il proprio stomaco. Detestava non essere al corrente di quanto gli accadeva intorno, da bravo maniaco del controllo qual era. “Spiegami. Spiega il perché di questa tua scelta. Se è ciò che vuoi e che desideri, io non mi opporrò alla tua decisione”, proferì con sincerità, incapace però di nascondere uno spesso alone di tristezza che marcò i suoi occhi scuri, rendendoli opachi.
Hawkeye prese coraggio, insieme ad un respiro profondo, prima di accennare un piccolo sorriso intimidito. Gli prese una mano e se la portò sul ventre, con un discreto imbarazzo da parte di entrambi. Di fronte all’espressione di un uomo adulto palesemente confuso, ammise la più tenera delle verità.
“Aspetto un bambino, ed è tuo, Comandante”.
 
 
 
I rapporti su Ishval avrebbero aspettato ancora un altro po’, quella notte.
Avevano molto altro da festeggiare.
Ma niente vino.









 
  
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