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Autore: Fiore di Giada    04/10/2021    1 recensioni
Dedicato a Policarpa Salavarieta, una ragazza coraggiosa, fucilata a ventidue anni per essersi schierata contro i realisti spagnoli.
In questo breve scritto, si scava nella sua anima, mentre si avvia, senza alcuna esitazione, verso il patibolo, in una giornata di novembre del 1817.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico
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Il cielo, grigio di nubi, di tanto in tanto illuminato dalla luce di rari lampi, opprimeva la città di Bogotà, mentre il vento gelido spazzava le strade, sollevando piccoli vortici di polvere e rifiuti.
Policarpa camminava, le mani strette dietro la schiena, guidata da una guardia.
Il suo sguardo cupo, fiero, fissava davanti a sé e le sue labbra sottili erano atteggiate ad uno sprezzante sorriso.
A stento, si trattenne da una risata di scherno. Era ben cosciente del suo destino, eppure non rimpiangeva nulla.
Poteva quasi sentire il pensiero dei soldati spagnoli, che erano stati chiamati ad assistere all'esecuzione sua e dei suoi compagni.
Ebbri del loro potere e della loro boria, con la condanna sua e dei suoi compagni, credevano di avere fermato l'onda della rivoluzione.
Stupidi, non avevano compreso che erano maturi i tempi dell'emancipazione dal dispotico dominio spagnolo.
Gli uomini e le donne del Vicereame non erano più a disposti a sottomettersi ai capricci della Corona.
Pretendevano, come loro diritto inalienabile e non come graziosa concessione sovrana, il diritto alla scelta del loro destino, in qualsiasi ambito.
Lei e i suoi compagni potevano essere uccisi, ma il loro sangue non avrebbe fermato l'onda della rivolta.
Altri erano pronti alla ribellione e a prendere il loro posto in un tale, arduo cammino.
No, la lotta per la libertà non si era conclusa.

Le preghiere monotone dei sacerdoti, ad un tratto, si insinuarono nei suoi pensieri.
Il disgusto strinse lo stomaco della giovane in una morsa e, a stento, trattenne un conato di vomito. Gli spagnoli non avevano risparmiato nulla per la sua condanna.
Quei sacerdoti, con la fasulla dolcezza delle loro preghiere, speravano di ottenere un pentimento da lei e una morte cristiana, secondo il loro distorto concetto di religione.
Ma non aveva intenzione di offrire il suo spirito alle loro falsità.
Con le loro parole, abilmente manipolate, i religiosi spagnoli addormentavano gli spiriti degli abitanti delle colonie e li rendevano sottomessi capi di un gregge imponente, pronto a soddisfare le loro necessità.
No, non avrebbe tradito la sua gente, stufa della presenza degli spagnoli.
Non si sarebbe sottomessa ai preti.
Avrebbe preferito affrontare l’intero Inferno, dilaniata dagli artigli dei demoni, e serbare la limpidezza della sua anima.
Di scatto, si girò e il suo sguardo, ardente d’odio e ira, saettò sui presenti, soffermandosi sui soldati spagnoli.
–   Popolo indolente! Quanto sarebbe diverso il vostro destino oggi, se conosceste il prezzo della libertà! Vedete che, pur trattando una donna e un giovane, ho abbastanza coraggio da subire una morte e mille altre morti.
Vendetta, compatrioti e morte ai tiranni! *– gridò, risoluta. Doveva accendere nel suo popolo, sottomesso alle sirene della Spagna, l’ardore della libertà.
Potevano scegliere il loro destino e modellarlo con le loro scelte e le loro azioni.
Non erano condannati da una imperscrutabile divinità ad una esistenza di bestie prive di coscienza.
Anche in loro, pur flebile, brillava la luce dell’intelligenza e le loro catene, forgiate da secoli d’infamia, dovevano cadere.
Si girò e, a passo rapido, deciso, salì le scale del patibolo.

Girò lo sguardo. Tra i suoi compagni spiccava l’alta figura del suo amato Alejandro**, i corti capelli color sabbia scompigliati dal vento.
Anche egli era stato condannato alla fucilazione.
E in quel momento la fiamma della determinazione, priva di ombre, riverberava nei suoi occhi castani.
Divampava, gagliarda, la natura fiera di lui, che l’aveva fatta innamorare.
Perfino il suo legame con Maria Ignacia Caydedo, dinanzi a quella suprema prova di coraggio e generosità, svaniva.
Era un’ombra inconsistente, che non annullava la luce sfolgorante della sua anima.
Ne era sicura, Dio, che era ben più potente dei suoi presunti ministri, che tanto si vantavano di capire i suoi obiettivi, aveva perdonato i suoi atti.
Si inginocchiò e rimase immobile, in attesa. Gli spagnoli avevano preteso di spararle alle spalle, per spezzare la sua esistenza di traditrice del re.
Ma non avevano tenuto conto della sua volontà.
Avrebbe lanciato un ultimo sguardo di sfida agli stupidi e tronfi soldati spagnoli.
Il re Ferdinando VII era uno stupido pavone, che non si accorgeva del mutamento dei tempi.

Il proiettile, con un sinistro scoppio, esplose.***
Di scatto, la ragazza si girò e il suo sguardo, simile a quello d’una belva, fissò i componenti del plotone d’esecuzione.
Il proiettile, implacabile, attraversò l’aria. Poi, dilaniò il suo petto.
Il sangue, impetuoso, sgorgò dalla ferita e impregnò la sua lunga veste viola.
– Viva la Colombia libera! – gridò, in un estremo anelito di vita.
Poi, l’oscurità velò il suo sguardo e cadde sul patibolo, morta.


P.S.: dedico questa storia ad una figura femminile maestosa, ma poco conosciuta, ossia Policarpa Salavarrieta, sarta e spia colombiana, fucilata a ventidue anni il 14 novembre 1817 dai realisti spagnoli, nel corso della breve fase della Reconquista, durante le guerre d’indipendenza dell’America centro meridionale. In una di queste guerre, in nome della libertà del suo popolo, è stato fucilato un nobile e coraggioso prete guerriero messicano, padre Miguel Hidalgo y Costilla,
Ma sono due figure diverse e, per quanto siano accumunate da un amore adamantino per la patria (Policarpa mi sembra l’indomita Colomba Antonietti, morta durante la Repubblica Romana) e da un coraggio leonino, Policarpa spicca perché una donna, per combattere, in quelle epoche, doveva avere una fermezza d’animo esemplare, capace di buttare giù a spallate gli stereotipi di genere, duri a morire ancora oggi.
Ho cercato su wikipedia e diversi link in spagnolo e devo dire che si sa poco di lei e sulla sua morte ho trovato due versioni differenti. In una, viene fucilata in ginocchio, in un’altra si gira e fissa i suoi carnefici, come Galeazzo Ciano al processo di Verona. (no, non intendo paragonare lei a Ciano, perché lui acquistò dignità solo verso la fine della sua vita, lei visse e morì dignitosamente. C’è una bella differenza. L’analogia si ferma solo a questo particolare)
*Le frasi citate sono state dette da lei, prima di morire. Mi hanno toccato, questa ragazza aveva la forza d’una tigre. Spero di avere onorato la sua memoria e di non offendere i colombiani con questa storia.
**Alejandro Sabairin è un altro rivoluzionario, di cui Policarpa si innamorò. Stando ai link consultati, lui non fu del tutto sincero, in quanto ebbe una relazione con Maria Ignacia Caydedo, figlia di donna Eusebia Caycedo, che era una sostenitrice della rivoluzione e si forniva di provviste e medicine i rivoltosi, anche quando erano in prigione.
Per onestà intellettuale, bisogna riconoscere in lui la dedizione assoluta alla causa della liberazione della Colombia. E questo, secondo me, era ben più importante per Policarpa rispetto ai suoi tradimenti sentimentali. Ma è una mia opinione.
*** Come ho detto, ho usato la versione in cui lei si gira e il grido da lei lanciato è una citazione modificata dalla fiction L’ultimo papa – re, che racconta l’attentato del 22 ottobre 1867, organizzato da Gaetano Tognetti e Giuseppe Monti, contro la caserma Serristori degli zuavi pontifici.
I due furono presi, processati e condannati a morte e, nella fiction, Monti, prima di venire ghigliottinato, urla : “Viva l’Italia unita!”
Penso sia una citazione adatta a Policarpa o La Pola, come è conosciuta tutt’ora.
See you later, ho parlato anche troppo.


   
 
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