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Autore: Giughi10    08/10/2021    0 recensioni
Quinto prompt del Writober 2021 indetto da fanwriter.it (Lista PumpINK)
Il giovane Enea vorrebbe avvicinarsi ad una rosa dalle spine molto appuntite.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, OC (Original Character)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'De Bello Sancto'
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Se ne era invaghito dalla prima volta che lo aveva visto. Stava seguendo il vecchio lungo la scalinata che risaliva la montagna e aveva scorto un ragazzino sui gradini davanti all'ultimo tempio. Aveva i capelli scuri e mossi che danzavano al vento: nella luce morente del tramonto sembravano serpenti inferociti. Avvicinandosi l'anziano lo salutò, prima di continuare la salita. I due giovani si fissarono negli occhi per qualche secondo. I suoi erano di un blu cobalto e l'oro che li screziava ricordava la luminosità delle stelle primaverili.

Quel tempio lo aveva sempre attratto più di tutti gli altri. Le colonne e i capitelli erano decorati da sculture di pesci e corde, dipinti dei colori del mare. Il frontone rappresentava il mito per cui Afrodite ed Eros si erano tramutati in pesci per nascondersi dal terribile Tifone; sulle fiancate il bassorilievo continuava il mito, raffigurando lungo un lato la fuga degli altri dei, divenuti anch'essi animali, in Egitto, lungo l'altro la lotta di Atena e Zeus contro il gigante, infine sconfitto e schiacciato sotto la Sicilia che lui stesso aveva sollevato. Quando doveva passare col vecchio aveva avuto modo di osservare l'atrio: il tetto era aperto e leggermente inclinato, così che la pioggia potesse raccogliersi nella grande vasca sottostante. L'impluvium vedeva al centro un pilastro sormontato da due pesci di marmo con le code unite da un nastro. Se a terra vi erano mosaici di fantasie geometriche bicolori, le tessere sulle pareti raffiguravano scene di battaglia. Le uniche costanti erano l'armatura dorata degli eroi e le rose che usavano come armi. Oltre all'entrata vi erano altre tre porte: prendevano sempre quella frontale, che conduceva in uno stretto corridoio. Le spire attorcigliate di due serpenti marini si intravedevano sulle pareti grazie alla luce dell'uscita, che sembrava distante miglia e miglia. Era come una lunga nuotata in apnea: la mancanza d'aria si faceva sempre più sentire e quando finalmente i polmoni ritrovavano fiato sembravano bruciare; così quando si raggiungeva l'esterno il sole accecava per qualche secondo gli occhi ormai abituatisi all'oscurità del passaggio. Oltre i musi dei mostri la visione era celestiale: un manto di splendide rose, rosse come il sangue. La prima volta che il loro aroma dolciastro lo aveva invaso aveva avuto la tentazione di inalarne il più possibile. Il vecchio aveva premuto un sacchetto di semi di lavanda contro il suo naso: "Sono estremamente velenose, non respirare il loro profumo." Appena avevano oltrepassato il giardino lo aveva guardato, il sacchetto tra le dita: "E allora come fanno i due che vivono lì? Hanno continuamente questi cosi attaccati alla faccia?" Non aveva ricevuto risposta.

"Che ci fai qui, Enea?" Si voltò verso il custode di quel luogo. Aveva parlato con tono gentile, leggermente stupito di quell'inaspettato visitatore. "Volevo guardare i mosaici, Sommo Alekos. Non volevo disturbare: ora vado." Gli sorrise: "Resta pure: sta piovendo e la scalinata sarà scivolosa. Non vorrei ti facessi male o ti ammalassi." Ringraziò con un inchino. Scompigliò paternamente i capelli del giovane che aveva visto sulle scale quella sera. "Vi lascio soli: questo anziano ha bisogno di riposarsi un po'." E senza aggiungere altro sparì dietro una delle porte laterali, che doveva condurre agli appartamenti privati. Studiò il coetaneo, che era rimasto immobile. La pelle diafana del viso accentuava delle brutte occhiaie. Si teneva il braccio sinistro, massaggiando piano con le dita. "Ehi, stai bene?" "Sì, è solo una botta." Allungò una mano verso di lui: "Posso vedere?" L'altro si ritrasse di qualche passo: "No, va tutto bene. È solo un po' fastidiosa." Inclinò piano il capo: "Ti tratta bene, vero?" "Perché non dovrebbe?" Vi era un tono offeso nelle sue parole. "Non mi sembri in forma, tutto qui." "Sinceramente sei tu quello ricoperto di lividi e tagli." "La gente non sa riconoscere l'ironia." "Oppure sei un idiota e te le cerchi." Arrossì leggermente: certo che per essere così giovane e mingherlino aveva una lingua bella tagliente! "A-almeno io me le cerco le botte! Tu invece perché sembri sfinito?" Abbassò lo sguardo e strinse un po' di più il braccio: "L'allenamento è sfiancante." "Eppure non ti ho mai visto nell'arena." "Infatti." Qualche istante di silenzio, in cui Enea fissò con estremo interesse le fantasie ai propri piedi, le mani nelle tasche dei pantaloni. "È che ve ne state sempre per i fatti vostri, la gente chiacchiera." Il ragazzo puntò lo sguardo nel suo: "Alekos è come un padre e non mi torcerebbe un solo capello." "E allora si può sapere, di grazia, come fa a ridurti così?" "Non sono affari tuoi." "Almeno posso sapere il tuo nome?" "Aris."

Il Tempio dei Pesci era ormai a pochi scalini di distanza. Non aveva alcuna intenzione di ascoltare le prediche del vecchio, non quando poteva invece cercare di non farsi sbranare da un lupo solitario. Entrò e lo vide mentre compariva dal corridoio dei serpenti: quando lo notò si immobilizzò, rimanendo nella penombra. "Che ci fai qui?" "Affari miei." "Affari tuoi in casa mia?" "Sì." "Non è il momento di fare come ti pare: vattene." "Su, non serve essere così scorbutici." "Te lo ripeto: vattene. Non sono dell'umore per sopportare nessuno." Lo vide ritrarsi. Fece un paio di passi avanti: "Ehi, comprendo di essere una visione sgradevole, ma non credevo di essere davvero così brutto o indesiderabile." "Davvero... non è il momento. Va via." Sembrò avere uno spasmo. Si avvicinò ancora: "Non ti lascio se prima non mi assicuro che stai bene." "So badare a me stesso e di certo non ho bisogn-" Crollò in ginocchio, vomitando sangue. Quando provò ad avvicinarsi gli occhi di Aris lo trafissero: "Rimani lì! Stammi lontano!" "Ti sembra il momento di pensare al tuo orgoglio? Sei ferito, ti devo aiutare!" Lo afferrò per il braccio sinistro, vedendo la pozza cremisi allargarsi tra le tessere: "Merda, ma come cazzo ti sei ridotto così?" Aris si liberò con uno strattone: "Non toccarmi, Enea!" Deglutì e si passò la mano sinistra sulle labbra e sul mento. Aveva il respiro affannato e roco, gli occhi arrossati. Gli sembrò che fosse ancora più pallido. "Posso almeno sapere cos'è successo?" "È solo il veleno delle rose... devo rendermi immune e così ne assumo dosi moderate ogni giorno." "Se ti fa stare così tanto male ti ritroverai ben presto senza più una goccia di sangue in corpo!" Scosse piano il capo e farfugliò qualcosa. Enea sospirò e si inginocchiò davanti a lui: "Comunque sia, ora ti aiuto e tu non farai storie." Aris fece per ribattere ma un colpo di vertigini lo fece cadere in avanti. Lo afferrò prontamente, per poi prenderlo in braccio.

Quella sera, steso nel letto, ripensò a ciò che era successo. Nonostante le iniziali proteste di Aris, lo aveva spogliato e pulito dal sangue, per poi lasciarlo a letto con addosso una tunica leggera e sul comodino acqua, mandorle e un paio di fichi secchi. Il ragazzo si era velocemente lasciato andare, troppo debole per protestare, e poi era scivolato nel mondo dei sogni.
Enea lasciò che il ricordo indugiasse sulle forme dell'altro: non avrebbe di certo mai avuto un'altra occasione simile. Erano in quell'età in cui il corpo iniziava a mutare più velocemente di quanto avrebbero voluto. Ma se lui si sentiva come un pulcino che all'improvviso si fosse ritrovato con le ali completamente formate, goffo e stordito, Aris sembrava piuttosto un fiore che finalmente stava preparandosi a sbocciare. Non poteva esattamente dirsi indifferente a quella bellezza. In fondo, solo uno stupido o un cieco lo sarebbe stato.
Asciugò la fronte sudata contro il cuscino, ansimando piano. Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma i segreti erano tali per un motivo. Le gambe ogni tanto tremavano per le ultime briciole di piacere, sentiva la testa beatamente intontita. Un brivido lo scosse violentemente lungo tutta la spina dorsale. No, non era affatto come le sensazioni di pochi istanti prima. Le dita iniziarono a intorpidirsi per il freddo, mentre il petto era caldo e sudato. Si sfiorò la fronte col dorso della mano e la sentì calda. Si rannicchiò, coprendosi con il lenzuolo. Non seppe esattamente per quanto il freddo gli attanagliò il corpo, ma gli sembrò un tempo eterno di tremori durante il quale le parole del suo maestro e di Aris gli rimbombavano nelle orecchie. Rose velenose al punto da poter uccidere col solo profumo, e un ragazzino appena diventato uomo che aveva il dovere di non esserne intaccato, costi quel che costi.
Il corpo protestò quando si alzò al mattino, ma lo ignorò: sarebbe passato in pochi minuti. Sciacquò il viso con l'acqua tiepida del catino, prima di coprirsi con vesti pulite. Lottò con la cintura, le dita irrigidite che si rifiutavano di muoversi come avrebbe desiderato. Le infilò nelle tasche dei pantaloni e ciondolò fuori dalla camera. Ascoltò il vecchio sbraitare per gli allenamenti saltati il giorno prima, mentre prendeva da un cesto una mela e la mordeva, indifferente. Sbuffò quando lo minacciò di fargli recuperare tutto il tempo perso, ma in fondo aveva proprio bisogno di distrarre il pensiero da quanto era accaduto.

Quando gli aveva fatto visita per assicurarsi che si fosse ripreso aveva sentito il suo sguardo posarsi sulle proprie mani. Inutile nascondergliele: le vene si erano ingrossate e inscurite e pulsavano dolorosamente. Il ragazzo gli aveva preso senza tante cerimonie il polso e aveva tagliato uno dei vasi, lasciando fuoriuscire il sangue infetto. Le dita avevano avuto qualche spasmo di dolore mentre venivano massaggiate per stimolare la circolazione. Una volta assicuratosi di aver estratto più veleno possibile aveva fasciato strettamente le ferite e gli aveva avvicinato una boccetta alle labbra, facendogli bere il contenuto amaro. "Neutralizzerà ciò che resta e i suoi effetti. Dovresti stare meglio a breve." Lo aveva guardato con occhi freddi: "Ora capisci perché non faccio avvicinare nessuno? Ti è bastato toccare il mio sangue per pochi minuti per ridurti così. E tutto ciò non farà che peggiorare." "Ma a te sta davvero bene ridurti così?" "Sì, se è per servire la nostra Dea e proteggere l'umanità." "Non esiste solo quello nella vita." "Per noi dovrebbe essere così." "E non lo è, perché siamo umani. Potrai davvero impedirti di amare per tutti gli anni che verranno? Potrai sopportare di vivere sempre distante da chiunque?" "Non importa. Io faccio il mio dovere, al contrario di qualcun altro." "E se io volessi baciarti?" Si guardarono negli occhi. Sul viso di Aris si allargò un sorriso beffardo: "Se io non fossi così bello tu vorresti comunque sfidare la morte per un bacio?" Arrossì fino alla punta delle orecchie, mentre il sorriso dell'altro si richiudeva in una linea dura: "Bello o brutto, dovrò comunque vivere solitario, Enea. Che mi piaccia oppure no. Fattene una ragione anche tu."

Da allora non era più riuscito a scambiare una parola con lui. E l'infatuazione non era di certo svanita: il tempo sembrava aver preso particolare gusto nel modellare il corpo di Aris per renderlo sempre più desiderabile. Fosse stato però solo l'aspetto, Enea avrebbe potuto trovare persone all'altezza dei propri gusti e di cui avrebbe potuto godere senza doverne evocare un fantasma nell'alcova. No, era quella sentenza amara che gli bruciava l'anima: Aris aveva letto le sue intenzioni, gliele aveva sviscerate davanti per mostrargli quanto fossero viscide ed egoistiche. Perché sì, non poteva negare che fosse implicato un certo desiderio fisico.
Ma allo stesso tempo vi era altro: quale era il suono della sua risata, dove soffriva il solletico; si chiedeva se la sua lingua fosse sensibile al calore, costringendolo ad aspettare che la bevanda o il cibo si raffreddasse, o in quale posizione preferiva dormire. Avrebbe voluto conoscere il suo passato e i suoi sogni, voleva poterlo stringere e rassicurare quando qualcosa lo preoccupava. Fantasticava di leggere fiducia nei suoi occhi color della notte, e non disprezzo.

"Aspetta, ti prego." Si era voltato verso di lui. Al collo portava una sciarpa candida ricamata d'oro, un lembo a coprire naso e bocca, mentre le dita erano avvolte in guanti della stessa seta. Gli si avvicinò: "Mi odierai per quello che sto per fare." Gli aveva preso una mano e aveva intrecciato le loro dita. "Odio più che altro che tu non prenda in considerazione ciò che voglio io." "Permettimi di rompere questo muro, solo una volta, solo per te." "No. Tu vuoi qualcosa da qualcuno che trovi bello, tutto qui." "Ti sbagli. O almeno, ti sbagli in parte. Sei splendido, e allora? Questo lo vedono tutti, ma quanti possono dire di averti visto vomitare sangue eppure rialzarti e continuare questa strada? Non sarebbe bello poterti donare, per una volta soltanto, un po' d'amore?" "Non voglio un uomo sulla coscienza. Qualche anno fa avrai potuto toccare il mio sangue e non morire, ma ora resisteresti? Già all'epoca ti avrebbe comunque dilaniato se non fossi intervenuto. In pochi giorni saresti stato nell'Ade, come potresti sopravvivere ora?" "Non preoccuparti per me: tu vuoi o non vuoi questo bacio?" Lo sentì stringere le proprie dita.
Le sue labbra erano morbide e fresche come i petali di una rosa e gli avevano provocato un pizzicore che gli aveva fatto vibrare il palato. Era come essere avvolto dal mare: ondate di piacere e dolore che avanzavano e si ritiravano, tenendolo in propria balia. Sentiva che sarebbe annegato, la mente che perdeva lucidità ad ogni secondo. Aris si allontanò, rendendo quel momento un rimasuglio di schiuma marina abbandonato sulla sabbia. "Vado a prenderti l'antidoto, prima che tu possa morire per questo." Sorrise: non poteva essere un'immaginazione il colore che aveva visto sulle sue guance.

 

   
 
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