Autore: Avalon9
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice
of life
Personaggi Principali:
Ryou Shirogane; Zakuro Fujiwara
Altri Personaggi:
un po’ tutti, ma solo citati
Rating: arancione
In proposito: “Perché non mi sono
innamorato di te?” le chiede Ryou, il respiro ancora
un po’ affannato e un languore morbido nel corpo.
“Perché non
avrebbe funzionato” scrolla appena le spalle Zakuro,
mentre si rigira nel lenzuolo al suo fianco, le loro gambe a intrecciarsi. “Lo
sappiamo entrambi” continua, allungandosi fino a sfiorargli il collo, la pelle
sensibile attorno alla voglia.
“Un vero peccato”.
Tre anni dopo una
chiacchierata in un caffè che si andava restuarando,
una complicità costruita nel tempo e la disillusione di non potersi amare.
Disclaimer: Tokyo mew mew é
di Reiko Yoshida e Mia Ikumi. L’idea della storia, invece, è tutta mia.
Note: one shot; missing moment; raccolta.
Cose: qualcuno dice che
nella vita ci sono onde e onde. E che se vuoi davvero sapere cosa significa
vivere, devi scegliere la tua onda e cavalcarla. Ebbene: io ho deciso di fare
così. E continuare a scrivere di getto, come non facevo da davvero tanto, tanto
tempo.
Dal verde
all’arancione, poi. Anche se all’inizio essere rossa. Che l’altalena dei rating
per me non sia una novità va a braccetto con l’immagine che c’è nella mia
testa: della storia in sè. E di questi due in
particolare.
Chè mai ho visto come innamorati, ma come amanti
solitari. Mi è piaciuto scrivere della loro complicità e dell’assenza di pudori
e pregiudizi. Hanno combattuto assieme, ma soprattutto sono cresciuti assieme.
E nulla mi toglierá mai dalla testa l’idea che fra
loro ci sia un feeling speciale.
E’ stato
divertente, ma anche difficile. Perchè da una parte
volevo rendere Ryou ancora con quella sfumatura di insicurezza
e tormento e angst che per me gli è propria, e al
contempo volevo dare di lui l’immagine di chi comunque va avanti. O almeno ci
prova a modo suo. E Zakuro. Zakuro
è un personaggio troppo bello da gestire, si adatta perfettamente alle pieghe
della vita come pochi.
Non ho definito
il rapporto fra loro per scelta, ma se leggete attentamente noterete un certo
particolare che sottende tutto.
Giusto per
chiarire le tempistiche, infine: le avventure dei nostri eroi si svolgono fra
gli anni 2000 e 2002 (sì: sono proprio di anni di pubblicazione del manga in
patria). La conversazione fra Ryou e Retasu avviene nel 2010, otto anni dopo la fine della
battaglia contro gli alieni. E questa scena si colloca quasi tre anni più
tardi. Per le etá dei personaggi, fate un po’ voi i
calcoli. Diciamo pure che sono adulti, sì.
Ultima nota:
l’appartamento di Ryou a NY. Io l’ho immaginato come
quello di Neal Caffrey di White Collar. Non perché i
due personaggi abbiano granché in comune, quanto piuttosto perché è l’ambiente
che vedo perfetto per lui.
Cinque passi
Passo due - Desideri
La prima cosa che percepisce, mentre
chiude la porta alle sue spalle e slaccia il montgomery, sono le note di Wild is the Wind nella
voce profonda e affascinante di Nina Simone. Poi arriva il rumore della doccia
e il lieve sentore di note floreali, fresche e fruttate, eppure estremamente
raffinate.
“Ricordami perché ti ho dato le chiavi di
casa mia” le domanda, appoggiandosi allo stipite della porta. Il bagno é un misto di vapore caldo, rosa e bergamotto e riflessi di
qualche candela accesa quasi per distrazione.
“Perché sei un misantropo e qualcuno ogni
tanto deve controllare se sei ancora vivo” si sente rispondere dal vano doccia,
la figura appena delineata contro il vetro satinato che ancheggia sulle note
jazz in sottofondo.
Ryou ridacchia, mentre si piega a recuperare
un asciugamano dal mobiletto per lasciarlo sul gancio accanto al box.
“Quando sei arrivata?” le chiede ancora,
togliendosi la giacca del suit e slacciando i primi
bottoni della camicia blu avio. Non ha mai amato i completi formali,
concedendosi piuttosto uno stile tutto suo, un misto di classico e casual più
pratico che elegante. Eppure con gli anni ha imparato a venire a patti anche
con il guardaroba, ben conscio che nell’ambiente in cui lavora un buon vestito é già di per sé il miglior biglietto da visita e l’ago che
fa pendere la bilancia degli affari in suo favore.
“Un paio di ore fa” si sente rispondere,
mentre lo scroscio della doccia cambia intensità e il vapore diventa una
condensa sullo specchio.
“E hai deciso di sequestrarmi il bagno”.
“Fuori nevica, se non l’hai notato” la
voce che si confonde con il ticchettio sul vetro della doccia. La musica
intanto é cambiata, e alle calde note jazz si sono
sostituite quelle più languide del blues. “E poi tu non ami le docce bollenti”.
“Non è un buon motivo per finirmi l’acqua
calda” le risponde a tono, ben sapendo che é una
battaglia persa. La sente ridacchiare sotto l’acqua, assieme all’odore talcato che adesso si fa più intenso, con il sandalo. Ryou conosce bene quel profumo, glielo ha fatto scoprire lui
anni prima, quando le ha regalato il primo vaporizzatore. Una fragranza
sensuale, elegante e raffinata assieme. E lei se ne é
innamorata, come solo una donna può innamorarsi di un profumo.
“Ti porto fuori a cena oppure…?” le
chiede alla fine, immaginando già la risposta mentre recupera il cellulare
dalla tasca interna del cappotto.
“Oppure”.
Ryou ridacchia ancora, si limita a scrollare
le spalle e si avvia verso il soggiorno.
“Il solito, immagino” le dice, alzando un
po’ la voce per farsi sentire sopra Sinnermen e lo scroscio dell’acqua.
“Perché per una volta non mi sorprendi?”
“Perché sei di gusti troppo difficili” la
rimbecca, prima di concentrarsi sulla
voce che gli chiede di cosa abbia bisogno.
Non si aspettava una sua visita, ma non è
nemmeno sorpreso di riceverla. Sono più di otto anni che se la ritrova in casa
nei momenti meno aspettati, quando finisce un lavoro importante o é solo di passaggio. Negli anni, hanno costruito una loro
strana routine, fatta di visite
all’ultimo minuto per una sola notte o pigre giornate trascorse assieme.
Alla prova dei fatti, quando Kei non lo accompagna in America, é
lei l’unica persona con cui possa dire di interagire in modo naturale. O quasi.
Quando Zakuro
lo raggiunge in soggiorno, Ryou ha scambiato il
completo elegante per i soliti jeans chiari e un maglione di chachemire a collo alto, come sua abitudine. Ha appena
richiuso la porta finestra, un leggero sentore di tabacco a confondersi con il bouquet lieve e fruttato dello
Chardonnay.
“Vedi che se vuoi sai sorprendermi?” gli
sorride lei, occhieggiando al cartone di pizza sul basso tavolino del salotto e
rubandogli un sorso dal calice di vino.
“Lieto di esserci riuscito, wolfie” le
risponde a tono, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio.
Ha i capelli ancora un po’ umidi e quel
profumo conturbante che la rende seducente anche in quel momento, scalza e con
una felpa crema e mattone oversize addosso.
“La mise
é la prova per una nuova sfilata?”
“L’ho trovata in fondo al tuo armadio”
alza le spalle Zakuro, mentre si accomoda sul divano
e raccoglie le gambe sulla seduta. “Mi è sembrata comoda. E io per oggi ne ho
abbastanza di tacchi alti e vestiti firmati”.
“Non ti sta male” commenta Ryou, mentre la raggiunge e si accomoda accanto a lei sul
divano. Zakuro gli ammicca appena, una fetta di pizza
in mano e la grazia che la contraddistingue anche nelle banalità.
Perché é
banalità starsene seduti su quel divano, a consumare una pizza dal gusto forte
di pomodoro e basilico, raccontandosi le ovvietà della giornata, le mani che si
sfiorano a rubarsi il bicchiere. Ryou non ne ha preso
un secondo, sa che è inutile. Quando si ritrovano così, ci sono cose che sono
naturali: come condividere lo stesso bicchiere o litigare su cosa guardare alla
televisione.
“É la tua nuova passione?” gli chiede Zakuro, allungandosi sopra di lui fino alla custodia del
DVD sul tavolino d’angolo. Ryou getta indietro la
testa e ride, mentre se la sente premere addosso senza malizia.
“Guarda che non sei una piuma, wolfie”.
“E tu diventi sempre più cafone” gli
soffia lei, due centimetri dalle labbra e la custodia che finisce per impattare
di spigolo sulla fronte di lui.
“Ma se sono un cavaliere” si difende Ryou, massaggiandosi la fronte e osservandola mentre legge
veloce la sinossi del telefilm.
“Ma qualcosa di leggero tu mai, eh?” lo
provoca alla fine, uno sbuffo divertito nella voce, mentre recupera l’ultimo
sorso di vino e lascia la custodia di Game
of Thrones sul tavolino, accanto al cartone vuoto
e alla bottiglia a metà.
“Prima di giudicare, dovresti guardarlo.”
“Mi è bastata la maratona del Signore
degli anelli, grazie” fa una smorfia Zakuro,
aggiustandosi i capelli che le spiovono sul viso. “Sai” riprende dopo un
istante. “Non ho mai capito questa tua passione per il fantasy. Ti avrei visto
piuttosto come un fan sfegatato di Star Wars”.
“Quello, se mai, é
Kei” ride Ryou, una
scrollata di spalle che sembra racchiudere tutta una storia.
“Non mi sorprenderebbe” mormora Zakuro, le labbra a sorridere contro il vetro. “Comunque
resto della mia idea”.
“Punto primo: Jackson è stato fantastico
nel ricreare la Terra di Mezzo” obietta Ryou,
enumerando sulle dita. “Punto secondo: non credi che ne abbia avuto abbastanza
di alieni, nella mia vita?”
Zakuro gli sorride appena, raccogliendo nella
mano l’indice e il medio che Ryou ha alzato nel suo
calcolo immaginario.
“Non riesci proprio a perdonarli?”
“Ti ricordo che ci lavoro, con loro.
Quando sono qui, é Pai che monitora
tutto e aggiorna i dati”.
“Non è quello che ti ho chiesto” gli
sottolinea Zakuro, mentre gli accarezza i ciuffi un
po’ lunghi che gli ricadono sul viso.
“Tu hai perdonato tua madre?” controbatte
Ryou, sapendo di farle male con quelle parole, riaprendo
una cicatrice che non si è mai del tutto rimarginata. E Zakuro
accusa il colpo, un sospiro trattenuto fra i denti, ma non abbassa gli occhi,
come a sbattergli in faccia il peso delle sue stesse parole.
“Sorry” soffia alla fine Ryou,
accarezzandole l’ovale del viso con il dorso della mano. “I’m an idiot. Volevo ferirti. E non te lo
meriti.”
“Almeno hai la decenza di ammetterlo”
sospira Zakuro, allungandosi sul divano e
accomodandosi meglio contro di lui, la testa incastrata nella sua spalla. “Anyway you’re not an idiot”.
“Thanks”.
“You’re an asshole, when you
get into it”.
Ryou ride, mentre la abbraccia e se la
sistema meglio addosso, allungandosi a sua volta sul divano un po’ troppo
stretto.
“Questa volta non posso darti torto, wolfie”.
“Perché?” lo provoca ancora Zakuro, il respiro che gli solletica la gola e le dita a
intrecciarsi con le sue. “Ci sono mai state volte in cui non abbia avuto
ragione?”
“Sei davvero impossibile” sorride ancora Ryou, una smorfia divertita nei suoi capelli che sanno di
fresco.
“You too” ricambia lei, socchiudendo gli occhi a godersi il
tepore del corpo di Ryou accanto il suo, il ruvido
dei jeans contro le sue gambe nude e la sensazione di silenzio della neve che
cade su New York.
Ryou ha spento quasi tutte le luci e una
debole luminescenza viene solo dai riflessi della città oltre la grande porta
finestra. Non le ha chiesto quanto resterà: sa bene che l’indomani potrebbe
svegliarsi e non trovarla come sa che potrebbe aggirarsi per casa per un mese
intero, in base ai suoi impegni.
Zakuro odia gli alberghi quanto lui, e
quell’attico in Riverside Drive é diventato per
entrambi un rifugio particolare, il pied-a-térre ideale durante i loro soggiorni newyorkesi. Ryou possiede altri uffici, laboratori e appartamenti, sia
a New York sia in altre città, ma con quello ha sempre avuto un legame
particolare, forse il solo altro posto che sentirebbe di poter chiamare casa oltre alla sua mansarda sopra il
Caffè.
Lui lo occupa abitualmente, quanto torna
sulla east cost; Zakuro non sempre. Lo usa quando ha davvero bisogno di
staccare, o lo raggiunge quando lui ne ha combinata qualcuna delle sue ed è
scappato in America come suo solito. O se è successo qualcosa che nessuno dei
due é pronto ad affrontare.
“So”
la richiama lui, quando il tempo si è trasformato in un tenue dormiveglia. “Mi
vuoi dire che è successo?”
“Perché pensi che sia successo qualcosa?”
“Oltre al fatto che sei qui?” ridacchia
appena. “Sei più pungente del solito”.
“Tu, invece, sei zucchero filato”.
“Vedi?” sorridono entrambi, consci che
ormai nessuno dei due é più davvero capace di
nascondersi all’altro. C’è sempre stata una complicità particolare, fra loro,
la capacità di comprendere almeno in parte le azioni dell’altro, il sentirsi
sotto esame ogni volta che si sorprendevano a osservarsi. E quando al sospetto
si sono sostituiti la stima e il rispetto, sono nati loro, con le ore trascorse
in silenzio nel Caffè, a volte a lavorare altre solo a leggere o guardare un
film, accoccolati in un silenzio che era di placido conforto per entrambi.
“Sei dimagrito ancora?” gli chiede Zakuro, mentre passa la mano sulla trama morbida del
maglione, cercando la spigolositá delle costole.
“E’ per questo che sei qui?” le chiede.
“Per controllarmi perchè sei preoccupata?”
L’occhiata che Zakuro
gli rivolge, fra lo stanco e l’ammonitore, contiene più di un discorso e
racconta più di quanto Ryou vorrebbe ascoltare.
“Sto bene, wolfie” la rassicura in uno
sbuffo leggero, scivolando un po’ di più sui cuscini fino ad allungarsi completamente
sotto di lei. “Corro, mangio sano e non mi affogo nel lavoro.”
“Mi sembra difficile crederti” gli
ribatte, il mento sul suo sterno e i piedi che scalciano nell’aria, un misto di
innocenza e seduzione che esercita senza nemmeno accorgersene. “Qui c’è ancora
il segno degli occhiali” aggiunge pizzicandogli la radice del naso.
“Sono solo stanco” Ryou
scrolla appena le spalle, un’ombra di sorriso che non vuole diventare
un’ammissione di qualcosa. “É stata una settimana impegnativa”.
“Per il lavoro o per altro?”
“Ma tu non molli mai la presa?” le chiede
rassegnato, allargando le braccia quel tanto che lo schienale gli concede.
Perché conosce bene la preoccupazione che Zakuro ha
negli occhi. É lo stesso sguardo che Kei gli
rivolgeva quando era ancora bambino e si intestardiva in ritmi che il suo corpo
non avrebbe mai retto, pur di ricostruire ciò che il fuoco aveva strappato, per
impedirsi di soffocare nel dolore e nel senso di perdita che gli ha sempre
stretto lo stomaco.
Ed è lo sguardo che si è sentito addosso
negli ultimi tre anni, irritante e confortante assieme.
“Sono una ragazza ostinata” gli rimanda,
scivolando lungo al suo corpo e accomodandosi sul tappeto, una mano a
massaggiargli la testa mentre lui si rigira pigro di fianco, il viso mezzo
affondato nel cuscino.
“Una vera testa dura”.
Zakuro fa spallucce, appoggiando la testa di
sbieco sul suo petto, chiedendosi quando é successo
che Ryou ha iniziato a lasciarsi toccare in quel
modo. Lui, che ha sempre evitato abbracci e lievi pacche sulle spalle, che si
ritraeva al minimo sentore di un contatto, respira piano sotto la sua mano, gli
occhi socchiusi a rincorrere qualcosa di impreciso.
“Guardami” gli sussurra appena, scendendo
lungo il profilo del viso, disegnando la mascella che col tempo si è fatta più
marcata.
“Ryou” lo
chiama, sfiorandogli leggera le labbra con un dito. “Ichigo
sta bene adesso. Smettila di scappare.”
“Non sto scappando” soffia Ryou, intrecciando le dita con quelle di Zakuro che ancora gli sfiorano le labbra.
“Sei qui da sei mesi. E non hai fissato
una data di rientro” gli ricorda Zakuro, senza
livore. “Chiami di rado. Scrivi ancora meno” prosegue in un elenco che é un sussurro che cela appena una nota di apprensione. “Pai non ti sente da settimane”.
“Sono stato impegnato” tenta di
giustificarsi, sapendo benissimo che è una bugia. E sapendo che anche Zakuro lo sa.
“Cosa vuoi che ti dica, wolfie?” sbuffa
alla fine. “Avevo bisogno di staccare. Di cambiare prospettiva”.
Perché non si possono cancellare gli
ultimi tre anni in una manciata di giorni, la frustrazione di restare sempre
sul filo del rasoio, di esserci senza scoprirsi troppo. Ha perso venti chili
nel giro di un paio di mesi, logorato dal senso di impotenza e dal rimpianto,
solo per starle accanto.
Perché é stato
lui a spingerla a provarci ancora, a credere che il matrimonio con Aoyama doveva solo ripartire. Perché era quello che avrebbe
fatto un amico, quello di cui Ichigo aveva bisogno:
qualcuno che le dicesse che il suo amore da adolescente era una favola vera.
Ed è stato lui il primo che Ichigo ha chiamato, quando ha scoperto di essere incinta. Non l’ho detto ancora a nessuno. Nemmeno a Masaya. Volevo lo sapessi per primo tu, Shirogane-kun
gli aveva detto raggiante dall’altro capo del telefono. E lui si era
congratulato, nella voce un sorriso che mascherava lo strazio di una distanza
sempre più incolmabile. Però c’è stato. C’è stato quando Ichigo
è rientrata per dirlo ai suoi genitori, la mano stretta in quella di Aoyama e una serenità ritrovata nel sorriso. C’è stato per
commentare sarcastico le prime ecografie, con quell’irriverenza che era un
gioco fra loro soli, un modo per sottolineare che niente è cambiato negli anni.
Perché era quello di cui Ichigo aveva bisogno, prima
di soffiarle all’orecchio quel sarai una
madre fantastica che ha estasiato lei e dilaniato lui.
E c’è stato anche dopo. In quella sera di
febbraio in cui Ichigo lo ha chiamato, il terrore e
il dolore nella voce. Quando l’ha trovata in fondo alle scale di casa Aoyama, un tacco rotto e il sangue che non si fermava. Era
con lei e le stringeva la mano quando il medico le ha detto che per quella
caduta accidentale aveva perso il bambino e l’ha raccolta contro il suo petto
mentre Ichigo piangeva in silenzio, in modo quasi
delicato. C’è stato per offrirle il calore di un abbraccio senza chiedere
nulla, il viso affondato nei suoi capelli e le mani a stringere le spalle che
tremavano.
E c’è stato per lasciarla al conforto di Aoyama quando l’ha raggiunta, chiudendo la porta su un
dolore che non gli apparteneva e che comunque lo straziava. Come erano
diventati strazianti i singhiozzi di Ichigo.
E anche dopo. C’è stato quando il suo
matrimonio è andato in pezzi e al dolore si sono sostituiti il rancore e il
risentimento. C’è stato per andare a Londra, quando lei lo ha chiamato in
lacrime come una bambina, supplicandolo di andare a prenderla, perchè da sola non riusciva a tornare. Tredici ore di volo
diretto solo per risalire su un aereo e riportarla a casa.
C’è stato per aiutarla a realizzare la
fine di tutto un sogno, per accompagnarla dallo psicologo e per convincerla ad
accettare il divorzio prima che i sensi di colpa la tirassero a fondo. E mentre
Ichigo ritornava quella di un tempo, un sorriso
sereno negli occhi appena velati di malinconia, Ryou
continuava a recitare il ruolo di migliore amico, quello che la spronava e la
confortava, senza mai permettersi un gesto di troppo, senza illudersi che ogni
sfioramento casuale non fosse che l’ancora di cui lei avesse bisogno per non
precipitare. Nello stomaco un grumo di sentimenti che lo facevano boccheggiare,
consumandolo.
E c’è ancora, nonostante tutto, i
chilometri e il lavoro. C’è per ascoltarla ridere di nuovo spensierata, per
canzonarla quando si arrabbia e prenderla in giro per sciocchezze. C’è come c’è
sempre stato, e come vorrebbe sempre esserci, ben sapendo che nulla cambierà
fra lui e Ichigo e che quel sentimento contorto e
autodistruttivo é la zavorra che lo trascinerà a
fondo.
“Kei è
preoccupato” continua Zakuro. “E anche Retasu, e Purin, e Minto iniziano
a preoccuparsi. Anche Ichigo”.
“E tu?”
“Io sono qui” gli risponde Zakuro, un soffio sulle labbra che si piegano leggere.
“Ci sei sempre stata” mormora Ryou, rigirandosi per accarezzandole lieve la pelle dietro
l’orecchio, dove sa che ha conservato una sensibilità maggiore.
E Zakuro gli
sorride piano, mentre gli sfiora il palmo della mano con un bacio leggero e si
allunga a strofinargli con il naso il collo, lí dove
il maglione cede alla pelle.
“Wolfie” la chiama Ryou, le labbra
di lei che respirano contro le sue, a due millimetri di distanza.
“Shhh” gli
sussurra Zakuro, un dito come di vento a risalire
lungo il viso. “Lasciami fare” lo invita, la lingua che disegna il profilo del
mento. “Non è tradimento” gli soffia piano, guardandolo negli occhi.
“Lo so” le risponde Ryou.
E chiude gli occhi, mentre la sente
sfiorargli l’orecchio e scendere lieve lungo il collo, fino a scostare il
maglione e rivelare la voglia che nasconde fra i capelli. Zakuro
la sfiora lenta, attenta, gustandosi l’incresparsi della pelle di Ryou a quel semplice contatto.
Ride piano contro la sua pelle, spiandolo
tra il velo di capelli e l’occhio che ha socchiuso. Lo bacia lenta, a un soffio
dalle labbra e cerca la sua mano, per stringergliela. E ancora gli sorride,
sottile, seducente, quando lo costringe ad alzarsi e lo sospinge sul letto.
Ryou non dice nulla. La segue docile e la
lascia fare, mentre gli solleva il maglione lungo le braccia, un fruscio lieve
di lana e capelli scompigliati. Le mani abbandonate sul copriletto, la guarda quando
si toglie la felpa così grande e gli si inginocchia fra le gambe. E continua a
guardarla anche quando Zakuro lo accarezza, attenta e
audace assieme, ripetendo gesti conosciuti, sicura di dargli quel piacere che
per un’ora, per un istante gli fará dimenticare ogni
cosa.
Come la prima volta che hanno fatto
l’amore.
Quando Zakuro
se lo é ritrovato davanti alla porta della suite, ormai quasi tre anni prima, le
mani nelle tasche della field militare e uno sguardo
disperato. É stata la prima volta che lo ha visto così: semplicemente a pezzi.
Ichigo é tornata a Londra. Da Aoyama le ha sussurrato, la testa che si
abbandona contro la sua spalla. Zakuro lo aveva solo
accolto in un abbraccio che sapeva di terra che non frana, e che aveva stupito
lei per prima, perché Ryou non era scappato. Era solo
rimasto lì, in piedi fra il corridoio e la soglia, il respiro pesante che
nascondeva qualcosa che non avrebbe mai voluto mostrare. E che lo stava
distruggendo.
Lo aveva fatto entrare, nella suite e nel
suo letto, assecondando una supplica che sapeva di disperazione. Zakuro lo ha amato, quel pomeriggio ventoso di fine aprile
con nell’aria il flebile profumo dei fiori di ciliegio. Lo ha amato perchè era quello che Ryou
desiderava, quello di cui aveva bisogno: sentirsi per un istante il centro di
qualcuno, il fulcro di un sentimento che è anche solo piacere. Zakuro lo ha amato
come lo ama tutte le volte, senza chiedere nulla, il nome Ichigo a rotolare fra gli ansiti
e i gemiti fiochi.
Lo ama come si può amare per solitudine e
condivisione, con passione e senza sentimenti. Lo ama per usarlo e per farsi
usare, senza parole che sarebbero bugie cui nessuno dei due potrebbe credere.
Lo ama per semplice egoismo, per sentirsi amata. E per illudere lui dello
stesso falso amore.
Lo ama anche in quel momento, quando lo
sente sbuffare, un respiro trattenuto fra i denti che diventa un rantolo roco
di appagamento. Ryou le sorride piano, dolce e
colpevole assieme, quasi malinconico, mentre le mani scendono in un invito,
facendola alzare, le gambe che si intrecciano dietro i suoi fianchi, la bocca
sul suo seno. Zakuro sa di sudore, vetiver e storace,
un sapore che conosce e lo stordisce.
“You’re incredible” le sussurra Ryou
all’orecchio, una concessione che lascia aleggiare un intero discorso, e la
sente sorridere compiaciuta, il volto nell’incavo della sua mano, i capelli a
spiovergli sul petto.
“You’re really incredible” le ripete Ryou, e si lascia rovesciare sul letto, i fianchi stretti
da Zakuro, bella nuda e audace sopra di lui. “Perché
perdi ancora tempo con me?”
“Perché ne vale la pena” gli risponde Zakuro, un ringhio sordo in fondo alla gola e un graffio
che intacca appena la pelle dell’addome. “E perché ne hai bisogno. E io lo
voglio” aggiunge mentre inizia a muoversi su di lui, lentamente, come fosse la
prima volta, intrecciando le mani, il piacere che si insinua lieve, in punta di
piedi fra loro.
Ryou la guarda: Zakuro
é bella. Bella e pericolosa, magnetica, come ogni
volta, come sempre. É bella quando lo guarda, muovendosi seducente sopra di
lui; è bella mentre gli raccoglie una mano e se la porta al seno; é bella quando gli imprigiona il viso fra le braccia, tesa
sopra di lui, le labbra lucide che ammiccano nella penombra. É bella quando gli
accarezza il petto, indugiando poi con la bocca sugli zigomi e infine sulla
giugolo.
É bella mentre gli impone di guardarla,
di sentirla, di amarla come vuole essere amata. Come vuole amarlo. E Ryou sa che si lascerà andare, che l’asseconderà in ogni
movimento, in ogni fremito. Perché é lei che decide
ogni cosa, che sceglie se averlo con dolcezza o passione, se sfidarlo o
cullarlo perché trovi in quel contatto un briciolo dell’abbandono di cui ha
bisogno.
Zakuro é il suo
specchio, la sola che sia mai riuscita a metterlo davvero a nudo, l’unica cui
conceda di vederlo arrendevole e prostrato. Zakuro
c’è stata per lui ogni volta che é crollato, quando
l’insofferenza e la disillusione lo schiantavano a terra e tutto quello che
poteva fare era mostrare il suo miglior sorriso indisponente e raccattare la
prima scusa per scappare.
Ryou é sempre
scappato per non trovarsi in pezzi; e continua a scappare. Lo sanno entrambi.
Come sanno che quel loro modo di cercarsi, di toccarsi é
più dell’amicizia e non ha nulla dell’amore. E che a entrambi va bene così.
“Perché non mi sono innamorato di te?” le
chiede Ryou, il respiro ancora un po’ affannato e un
languore morbido nel corpo. La neve ha formato una coltre sottile sul
terrazzino e dalla finestra filtra una luce irreale, di luna pallida e neon.
“Perché non avrebbe funzionato” scrolla
appena le spalle Zakuro, mentre si rigira nel
lenzuolo al suo fianco, le loro gambe a intrecciarsi. “Lo sappiamo entrambi”
continua, allungandosi fino a sfiorargli il collo, la pelle sensibile attorno
alla voglia.
“Un vero peccato” bisbiglia Ryou, socchiudendo gli occhi, il respiro caldo di Zakuro che gli solletica la pelle.