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Autore: FairyCleo    13/10/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nightmare
 
Le cose stavano andando proprio come aveva programmato. Certo, aveva dovuto accelerare un po’ i tempi, se così si poteva dire, ma alla fine, quell’espediente aveva fatto in modo di fargli ottenere esattamente quello che desiderava.
Era determinato ad attirare nella sua trappola le sue prede predilette: Goku, il suo tramite, Vegeta, il suo pasto, e Genio, l’essere verso cui avrebbe dovuto vendicarsi per ottenere tutto quello che gli era stato negato in passato.
 
Era incredibile pensare a come il destino avesse posizionato ogni singola pedina al posto giusto nel momento giusto. In tutto quel tempo trascorso in solitudine, recluso all’interno dell’unico bene materiale che avesse mai posseduto, aveva avuto modo di pensare a quanto sarebbe stato meraviglioso vivere la sua vendetta. Egli sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivata. Sapeva che, prima o poi, avrebbe preso tutto ciò che era suo non per diritto di nascita, ma perché lo aveva guadagnato, perché era speciale, superiore a chiunque fosse mai venuto al mondo.
 
Manipolare Trunks si era rivelato più facile del previsto, ma con Goten era stata una vera e propria passeggiata di salute. Il bambino era stato così accuratamente preparato dagli atteggiamenti e dai cambiamenti di umore del suo “amichetto” da lasciarsi plasmare come creta. Certo, la sparizione di sua madre, la morte di Gohan e di quello stupido cane avevano iniziato a preparare il terreno, ma la sua opera magistrale era stato il modo in cui aveva portato Trunks a odiarlo. A quel punto, desideroso di avere solo per sé l’amore (se così si poteva definire) e le attenzioni di Vegeta, era stato lo stesso Goten ad allontanarsi definitivamente da Trunks, sperando così di ottenere tutto ciò che gli era stato negato. Non poteva sapere che, così facendo, avrebbe solo fatto sì che Vegeta e Goku si incontrassero di nuovo e che dal loro incontro l’unico a uscirne vittorioso sarebbe stato lui.
Era tutto talmente perfetto da non sembrare neanche vero: Goku era prossimo ad arrivare, lo sentiva chiaramente, Vegeta era talmente provato da non riuscire neanche più a pensare, e ciò avrebbe fatto sì che lui ottenesse tutto il potere che desiderava, bramava, che meritava.
Era stato il peggior errore mai commesso da quell’idiota con gli occhiali da sole scegliere di rinchiuderlo nello stesso posto dei suoi vecchi “amichetti”…. Oh, sì, era stato un errore madornale! A nulla erano valsi i loro innumerevoli sforzi perpetrati nel tentativo di fermarli: comparire a loro sotto forma di ombra o provando a possedere animali e ragazzini non era stata una mossa vincente, ma aveva solo fatto in modo di spedirli nella trappola che aveva ordito. Quell’agire disperato aveva solo fatto sì che si trovassero ancora più sull’orlo dell’abisso, e che riponessero le loro speranze in lui.
Avere Vegeta talmente vicino cominciava a essere un autentico strazio. Il principe dei saiyan era un bocconcino troppo prelibato, e lui voleva divorarlo a ogni costo. Il passare dei mesi lo aveva reso debole, insicuro e pronto per lui. Se avesse avuto ancora in vigore di un tempo, se la sua mente fosse stata lucida, avrebbe di certo già capito ogni cosa, e forse lo avrebbe ridotto a brandelli microscopici. Era uno stratega nato, Vegeta, lo aveva capito sin dal primo momento in cui lo aveva visto tramite i ricordi e gli occhi di Trunks, e proprio per quella ragione aveva deciso di farlo suo per ultimo, dopo aver permesso a Goku di assorbirne forza e poteri. Aveva voluto piegarlo, spezzarlo, distruggerlo, e doveva ammettere di esserci riuscito alla perfezione e in varie occasioni: privandolo della presenza della sua compagna, privandolo dei suoi poteri, facendolo diventare ridicolmente umano e più debole di una formica – forse il peggior affronto da rivolgere al principe dei saiyan – e facendolo deridere e usare da Leon, la peggior feccia presente sulla faccia della Terra. Vedere il mondo tramite i suoi occhi, sentire tutto immerso nella sua pelle era stato strano, ma rigenerante. Aveva fiutato l’odore della paura provata da Vegeta, l’aveva vista nelle sue pupille scure, aveva goduto a ogni gemito di dolore, a ogni osso rotto, a ogni ferita sanguinante. Il dolore era stato il nutrimento più forte che avrebbe mai potuto somministrargli, il più efficace per prepararlo al suo scopo ultimo. Vegeta, a breve, sarebbe stato più che perfetto e, di conseguenza, anche Goku sarebbe stato perfetto, e questo per far sì che lui potesse essere perfetto.
Ancora non riusciva a capacitarsi della fortuna che aveva avuto: le stelle avevano fatto sì che ogni cosa fosse al posto giusto al momento giusto, e non parlava solo di Trunks e della fortuna che aveva avuto nel trovarsi proprio nei pressi della grotta. Mai avrebbe pensato che sulla Terra potessero apparire guerrieri del calibro dei due saiyan puri, che potessero esistere esseri talmente potenti da piegare alla loro volontà le forze stesse della natura, che fossero in grado di incanalare un quantitativo inimmaginabile di energia proveniente da se stessi e dall’esterno. Le tecniche che conoscevano non erano paragonabili a nulla di quello che gli era stato insegnato, ma non era un caso se aveva scelto proprio Goku come sua vittima ultima: quel babbeo tutto muscoli era l’eroe forgiato direttamente dal suo mentore, era il suo pupillo, il suo prediletto. Quale beffa più grande poteva esserci, per Muten, se non passare a miglior vita per mano dei suoi allievi preferiti riuniti in un unico essere?
Nessuna… Proprio nessuna.
 
*
 
Goten sembrava essersi svegliato all’improvviso da un incubo. Non avrebbe saputo descrivere per bene quello che gli era capitato, ma si sentiva come se non avesse veramente vissuto quello che aveva vissuto, come se qualcuno o qualcosa lo avesse pilotato dall’esterno e lo avesse portato a fare quello che aveva fatto. Ma cosa?
 
“Non mi sento molto bene…” – aveva mormorato, cadendo indietro sul letto. Era pallido, sudato, sembrava fosse sul punto di vomitare. Trunks, però, non aveva mosso un muscolo, tanto grande era lo spavento che si era preso. Avevano strappato il quaderno a metà. Avevano ridotto quel coso malefico a un ammasso di pagine sparse e pelle sfilacciata. Aveva trascorso un lunghissimo attimo a fissare i fogli in disordine, a bocca aperta, come se fosse stato ipnotizzato. Poi, però, si era reso conto di quello che era accaduto, e aveva capito di non sapere cosa fare.
Goten si era inginocchiato sul bordo del letto e aveva vomitato schiuma e bile. Emetteva gemiti talmente spaventosi da aver dato l’impressione di essere sul punto di gettare via anche l’anima, questo mentre suo padre si era accasciato al suolo, privo di sensi.
Preso dall’ansia e dallo sconforto, Trunks si era isolato dal mondo circostante, si era inginocchiato e aveva cominciato a prendere le pagine in mano, cercandovi sopra una parola, una frase, qualsiasi cosa potesse spiegare tutto quello che era capitato.
 
*
 
“Tsk… Un’altra allegra giornata!” – aveva detto tra sé e sé, affacciandosi circospetto con aria accigliata, sbriciando oltre i vetri sporchi e opachi a occhi quasi strizzati, in modo da non lasciarsi accecare da quei lividi raggi taglienti come lame.
Aveva chiuso gli occhi e tirato un respiro profondo prima di dirigersi verso quel tavolino sghembo che gli faceva da comodino, scrivania e anche da lavabo, se così poteva definirlo. Sempre con estrema meticolosità e accuratezza, si era sfilato il largo e sgualcito camicione con cui dormiva, aveva afferrato la brocca di ceramica dal bordo sbeccato e l’aveva inclinata quanto bastava per farne così cadere il contenuto in una bacinella con cui avrebbe potuto fare coppia, se solo le decorazioni fossero state ancora visibili. E qui, come ogni mattina, gli era occorso raccogliere tutto il suo coraggio per immergere le mani in quell’acqua gelida e lavarsi così viso, collo, torace, ascelle e ogni punto raggiungibile senza l’ausilio di una spazzola o una spugna.
Era quello il suo destino, ormai, era quello il suo unico scopo. Vegeta lo sapeva, lo aveva capito, interiorizzato, accettato. Doveva sopravvivere per garantire la sopravvivenza dei due piccoli mostriciattoli che aveva accanto. I giorni di gloria che lo avevano visto ergersi al di sopra del mondo intero erano ormai un lontano ricordo. Tutto, ormai, era giunto al termine.
 
*
 
Quando aveva riaperto gli occhi, Goten si era convinto di essere stato travolto da un treno o da qualche altro mezzo meccanico di dimensioni abnormi, in quanto niente avrebbe potuto spiegare il perché si sentisse in quel modo. Avvertiva fortissimi dolori alle ossa, allo stomaco, ai muscoli e alla gola, per non parlare del mal di testa martellante che non accennava a dargli tregua.
Era come se avesse impattato violentemente contro il pavimento da un’altezza vertiginosa e avesse riportato fratture multiple, ma nonostante lo sconvolgimento mentale e fisico si era reso immediatamente conto che non potesse essere colpa né di un treno né di una caduta da altezze notevoli, considerando che nel mondo in cui vivevano non esistevano più da un anno né meraviglie del progresso né tecniche o abilità che potessero far pensare agli uomini di assomigliare agli dei.
Con estrema fatica, tenendo ben salde le mani sullo stomaco in subbuglio, Goten si era messo su un fianco, raggomitolandosi in posizione fetale. Proprio non riusciva a capire come mai stesse così male. Aveva mangiato qualcosa di avariato? Aveva fatto a botte con un ragazzino a scuola? Era caduto dalle scale? Stando al suo mal di testa, poteva trattarsi benissimo di una perdita di memoria conseguente a un trauma, ma quale? Come se ne avesse avuto pochi, ultimamente, del resto.
Testardo come l’uomo che l’aveva cresciuto e resistente come quello che l’aveva messo al mondo, però, Goten si era messo seduto sul bordo del letto e, senza fare troppo rumore, si era messo nella posizione più comoda affinché potesse vedere senza essere visto. Poteva anche avere un mal di testa da manuale, ma le sue orecchie funzionavano benissimo, e gli avevano permesso di sentire la voce di Trunks che si rivolgeva teneramente a suo padre.
 
“Forza, papà… Ce la puoi fare… Forza… Andrà tutto bene, coraggio, andrà bene”.
 
Vegeta era irriconoscibile. Steso supino sul suo letto di fortuna, il principe dei saiyan era di un pallore spettrale, sudava nonostante i brividi di freddo che scuotevano il suo corpo e pronunciava parole senza senso. Le frasi sconnesse fuoriuscivano dalle labbra secche e bianche senza soluzione di continuità, facendolo assomigliare a uno di quei malcapitati che erano vittime di possessioni demoniache.
Trunks gli teneva con fermezza la mano. Il bambino aveva lo sguardo duro di un adulto, di chi è a conoscenza della verità e ne porta il peso con le sue sole forze, deciso più che mai a non coinvolgere nessuno nei loschi affari in cui si era suo malgrado ritrovato.
Si era preso un momento per riflettere, Goten: se avesse agito d’istinto, avrebbe raggiunto Vegeta in meno di un secondo prendendo posto al suo capezzale, dando persino il cambio a Trunks, noncurante delle sue condizioni fisiche, ma avrebbe fatto bene? Sì, perché, comunque la si potesse vedere, Vegeta era l’unico che avesse mai considerato padre, e nessuno gli avrebbe potuto impedire di avvicinarsi a lui.
 
“Forza, papà… Andrà tutto bene… Ne sono sicuro… Devi stare calmo… Non devi fare sforzi… Stiamo bene, e presto starai bene anche tu… Fatti forza… Su”.
“Che cosa gli è successo?”.
 
Goten aveva visto Trunks irrigidirsi. Il suo migliore amico, suo fratello, sembrava essere diventato una statua di sale. Non si era preso neppure la briga di indirizzare lo sguardo verso di lui, e non era stato difficile intuire che fosse furioso e, purtroppo, che lo fosse proprio nei suoi confronti.
 
“Torna a letto”.
“Trunks… Per favore… Sono preoccupato… Voglio sapere che cos’ha!”.
 
Parlare gli causava dolore ai muscoli e alla testa, ma lui voleva assolutamente sapere quale catastrofe si fosse abbattuta sul padre. Trunks glielo doveva, sebbene, per qualche motivo che non capiva, fosse terribilmente irritato a causa sua. Non avrebbe rinunciato a quel diritto per niente al mondo.
 
“È tutta colpa tua” – aveva tuonato, lapidario.
“Eh? Ma che dici? Cosa ho fatto? Io…”.
“Se mi avessi ascoltato quando ancora eravamo in tempo, se avessi fatto come ti avevo detto, lui non starebbe così. È solo colpa tua!”.
 
Aveva provato a capire il significato delle parole del suo amico, del suo fratellino, ci aveva provato per davvero, ma proprio non era stato in grado di farlo. Che cosa poteva aver fatto di così tanto grave da meritarsi un trattamento simile?
 
“Perché mi stai dicendo queste cose orribili? Io non ho fatto niente… Non capisco… Perché fai così? Io…”.
“Torna a letto. Sbrigati. Io e mio padre non abbiamo bisogno di te”.
 
Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, ma non pronunciare delle parole così taglienti, così cattive. Mesto, distrutto, Goten aveva ubbidito, tornando a letto senza riuscire a trattenere le lacrime. Sentiva che, proprio ora che aveva tutto, paradossalmente non aveva più niente.
 
*
 
Corri. Incameri aria. Provi a espandere il petto. Cerchi di non avvertire il dolore alla milza, i polmoni bruciare.
Le tempie pulsano, i pensieri volano, i muscoli si contraggono senza sapere come ciò accada.
La fatica è immane, ed è la paura a farti andare avanti, la paura che tu possa aver perso uno di loro, la paura che, ancora una volta, tu sia stato un essere inutile che si muove in un mondo che non ti appartiene.
Sei scalzo, e non ne conosci il motivo. I sassi tagliano le piante dei tuoi piedi, la terra infetta le ferite sanguinanti. Improvvisamente, ti accorgi di essere senza vestiti. Il vento sferza sulla pelle nuda. Rabbrividisci. Vorresti fermarti, rannicchiarti, riscaldare le dita violacee con il calore del tuo fiato, ma non puoi farlo. Ti muovi nel buio con passo svelto ma incerto, incapace di capire in quale direzione devi andare, dove potresti trovare quello che cerchi.
Se solo avessi ancora le tue capacità, se solo potessi sentire la loro presenza, avresti un segnale da seguire, non ti muoveresti più alla cieca, incapace di portare a termine quel compito così semplice eppure così importante.
Continui a correre. Non devi fermarti. Non puoi fermarti. La loro vita dipende da te e la tua vita dipende da loro.
 
Qualcosa nel buio si muove. È dietro di te, lo senti strisciare e sibilare come se fosse un serpente velenoso. Hai paura. Provi disgusto. Vorresti fermarti per capire cosa succede, ma non puoi. Devi correre perché devi trovarli e portarli al sicuro. Devi trovarli e portarli da te perché li ami più di quanto avresti mai potuto immaginare, più di quanto fatichi ad ammettere.
Purtroppo, però, non ti accorgi dell’ostacolo che ti è davanti, forse un sasso, forse una radice, e inciampi, non fai in tempo ad attutire la caduta con le mani, e batti con violenza la fronte. La bocca si riempie di terra umida, gli occhi bruciano, il naso si frattura e, oltre alla saliva, è il sangue a mescolarsi all’impasto informe che imbratta denti e lingua.
La testa gira, ma provi lo stesso ad alzarti. Solo allora ti accorgi che non puoi muoverti, che qualcosa ti avvolge e ti stringe, impedendoti di respirare.
Non puoi vedere le spire, ma è chiaro che ciò che ti ha avvinghiato non ha niente di umano. Per la prima volta da quando sei lì, benedici il buio, benedici la solitudine: non avresti sopportato di sapere che qualcuno ti vedesse così, che qualcuno sapesse che piangi per la paura, per l’orrore di sentirti la preda di qualcosa che striscia e che, lentamente ma inesorabilmente, sta per porre fine alla tua vita.
Sei un vigliacco. Aneli la morte. La invochi. Speri con tutto te stesso che quell’orrore cessi, perché sei stato all’Inferno e sai già cosa ti aspetta e che, questo qualcosa, è mille volte meglio di quello che stai vivendo.
 
“Vieni a prendermi” – ordini alla morte – “Fai in fretta”.
 
Ma lei non è venuta per te. Lei non è venuta affatto. Per quanto tempo ancora dovrai soffrire? Le spire avvolgono la tua gola. Non respiri, non riesci a deglutire. I polmoni bruciano, ma la tua vita non finisce. La vista è ormai compromessa, la mente è annebbiata, eppure… Eppure sei certo di aver visto qualcosa, o meglio, qualcuno.
 
Sì… È lì, è lui, non potresti mai confonderlo con nessun altro. Quei suoi capelli ridicoli, quella sua espressione da idiota non potresti confonderla mai. Ti osserva, immobile, studiando la tua espressione. Tra tanti, proprio lui doveva vederti così? Proprio lui doveva venire per assistere alla tua disfatta? Ti agiti, provi a strattonare via quell’appendice così pesante, ma non fai altro se non provocarti dell’altro dolore. Perché, se è lì per aiutarti, perché, se è sbucato dal nulla dopo tanto tempo, non si avvicina? Perché sorride nel vederti soffrire?
 
Poi, inaspettatamente, lo vedi avanzare. Ti fissa negli occhi, li vedi brillare nel buio nonostante non abbia assunto la forma di super-saiyan, continuando a sorridere.
Solo allora ricordi che lui è pericoloso, che ti eri allontanato per tenere in salvo i ragazzi e capisci che per te e per chi ami non c’è più scampo. Presto, farai parte di lui, e un solo pensiero di rincuora: forse, a quel punto, potrai rivedere la tua Bulma, potrai vivere con lei, seppure prigioniero in un corpo diventato ricettacolo di vite strappate ingiustamente.
E i bambini? I bambini cosa faranno senza di te? Come potranno difendersi? Stare al sicuro?
 
“Staranno bene” – è questo quello che gli senti dire – “Staranno tutti bene. Te lo prometto. Adesso però, devi stare fermo”.
 
Lo vedi afferrare le spire invisibili che ti comprimono le labbra e senti la pressione sparire. Siete uno di fronte all’altro, alla stessa altezza. Puoi guardarlo negli occhi. Lui è Kaharot. Sai che è lui. Eppure… Eppure, sai che non lo è.
Senti il panico crescere mentre lo vedi avvicinare il viso al tuo sempre di più. Respiri male, ma finalmente respiri, e non sai cosa fare per tenerlo lontano. Vuoi allontanarti, ma lui ti afferra il mento tra le dita e blocca ogni tuo movimento.
 
“Ce ne hai messo di tempo ad arrivare ma, alla fine, sei arrivato a me”.
 
Vuoi dire qualcosa, ma la mente è annebbiata e non sei in grado di formulare parole che abbiano un senso. Non capisci chi hai davanti, non capisci cosa voglia da te. Se vuole assorbirti perché non lo fa e basta? Perché gioca con te come il gatto con il topo?
 
“Devi stare tranquillo… Se ti agiti, il tuo sapore cambia e diventa cattivo”.
 
Umido e ruvido. Sono queste le sensazioni che provi quando passa la lingua sulla tua guancia. Il respiro si spezza, chiudi gli occhi perché provi orrore, chiudi gli occhi perché quei momenti ti ricordano qualcosa che senti di avere già vissuto ma di cui non hai memoria.
 
“Andrà tutto bene. Presto, tutto sarà finito. Abbandonati a me e non sentirai alcun dolore. Abbandonati a me… Mi farò carico di tutta la tua angoscia, di tutto il tuo dolore… E, a quel punto, potrai risposare. Tu vuoi riposare, non è vero?”.
 
È troppo vicino, troppo, troppo vicino. Apri gli occhi, guidato da un moto dell’orgoglio che da sempre di caratterizza, ti contraddistingue, ma quando vedi ciò che hai davanti, speri di poter tornare indietro, perché di orrori ne hai visti e vissuti a centinaia, ma qualcosa del genere non avresti mai pensato di poterlo vedere.
Il volto serafico e sorridente non c’è più, gli occhi di ossidiana hanno lasciato posto a due fessure gialle da rettile, e il fetore di morte che fuoriesce dalle labbra demoniache sembra infettare persino la tua anima. Provi a indietreggiare, ma è troppo tardi: ti attira verso di sé e impone il suo marchio sulla tua bocca socchiusa.
 
Piangere non serve ad alleviare il dolore, a cacciare via la vergogna e il ribrezzo, la paura che provi e che dilania la tua anima che da tanto tempo, ormai, non è più così nera come vorresti millantare. Non lotti neanche più. Lo lasci fare perché ormai sai di non avere scampo, sai di essere svanito come neve al sole, perché sai di essere morto.
 
*
 
Quando Vegeta riapre gli occhi prende un respiro talmente profondo e talmente rumoroso da far sussultare i bambini, uno addormentato ai piedi del suo letto, l’altro disteso nel giaciglio disordinato che aveva dovuto condividere da più di un anno.
 
“Papà… Stai bene?”.
 
Si era girato su un fianco, cercando di respirare più a fondo, e poi si era messo seduto, provando a ricacciare indietro la sensazione di nausea che gli faceva bruciare l’esofago.
 
“Ehi… Ma che ti succede?” – aveva chiesto timidamente Goten, sollevato.
 
“A-acqua” – aveva chiesto, a fatica, e il su desiderio era stato presto esaudito dalle amorevoli attenzioni di Trunks.
“Ecco, papà… Bevi…Piano però… Piano… Ecco… Dammi il bicchiere… E sdraiati. Sì, ho detto sdraiati”.
 
Vegeta aveva ripreso a respirare regolarmente. Persino il suo colorito era migliorato, così come il suo caratteraccio.
 
“Non darmi ordini”.
“Scusa…” – aveva detto Trunks, arrossendo – “Ti senti meglio?”:
 
Vegeta non aveva risposto, ma prima di sdraiarsi aveva fatto scorrere lo sguardo su entrambi e aveva tirato un impercettibile sospiro di sollievo: stavano bene, quelle due canaglie. Erano al sicuro, e questo voleva dire che, finalmente, poteva riposare.
 
“Che cosa ti è successo?” – aveva chiesto Goten, arrampicandosi a fatica sul letto sotto lo sguardo truce di Trunks.
“Tsk! Non ne ho idea. Vi stavo cercando… Porca miseria, quei bastardi sono ovunque. Dovete stare attenti quando uscite, avete capito? Per noi questo posto non è più così sicuro”.
 
Senza volerlo, si erano scambiati uno sguardo confuso, ma avevano preferito non dire nulla.
 
“Papà… Dicevi delle cose strane… Hai nominato… Sì, credo che tu abbia chiamato Goku un paio di volte, mentre avevi la febbre, e…”.
“DELIRIO. Non sapevi cosa fosse? Bene, ora lo sai. Adesso, di grazia, filate a letto”.
 
Era incredibile quanta disparità ci fosse tra il suo aspetto e il suo temperamento. Sembrava che quella voce non provenisse dal suo corpo macilento, eppure era proprio la sua.
 
“Ma…”.
“Sentite, sono sfinito. Non ho intenzione di discutere. Andate a letto. Andateci adesso. INSIEME. Non lo ripeterò. Tsk! Perché siete ancora qui?”.
 
Riluttanti, avevano dovuto fare ciò che gli era stato ordinato. Sarebbe stato meglio lasciarlo riposare ancora. Soprattutto, non sarebbe stato saggio farlo arrabbiare.
 
*
 
Erano trascorse tra settimane dal giorno in cui Trunks era rientrato in possesso del quaderno, o di quello che ne rimaneva. Con una pazienza da certosino, il piccolo aveva raccolto le pagine strappate, intimando a Goten di non avvicinarsi mai più a quell’oggetto demoniaco.
Goten sembrava essersi ristabilito, e lo stesso era valso per il principe dei saiyan che, però, sembrava presentare più conseguenze rispetto a quelle del suo figlioletto adottivo. Era sempre più stanco, sempre più irritabile, e sembrava vivesse in un costante terrore apparentemente senza motivo.
 
Trunks aveva completamente iniziato a ignorare Goten. Dopo l’episodio del quaderno, a cui era seguito il malessere di Vegeta, aveva deciso di tenere alla larga il ragazzino da sé e da suo padre. Si era convinto a causa sua, tutto fosse irrimediabilmente precipitato.
Aveva provato a scoprire cosa si fossero detti Goten e il mosto nel quaderno, ma non aveva trovato alcuna traccia della conversazione tra quei due. Era furba, la creatura del quaderno, era veramente troppo furba per lui che era solo un bambino ingenuo. A suo vantaggio, però, c’erano il fatto che lo avesse capito, finalmente, e non avrebbe più commesso errori o leggerezze – come quella di pensare di poterlo distruggere, per esempio. Quello che non aveva ancora capito, però, era il perché avesse deciso di fare quel balzo avanti nel tempo… Qual era il suo fine ultimo? A parte portare il caos nel mondo, ovviamente.
Goten, dal canto suo, non sembrava ricordare un bel niente di quello che aveva fatto. Evidentemente, il suo malessere fisico era una conseguenza di ciò che aveva fatto il mostro nel quaderno, e ne aveva avuto la prova dopo averlo visto migliorare nel momento in cui gli aveva sottratto quelle pagine maledette.
 
Stava passeggiando per il paese, Trunks, quando, passando accanto alla bancarella della verdura, le parole di due passanti avevano attirato la sua attenzione.
 
“Hai sentito? Sono ricominciate le sparizioni!”.
“Già… Purtroppo l’ho saputo… E dire che i soldati stanno arrestando e condannando a morte tutte le streghe ancora in vita… Ma è possibile mai che non ci sia un modo per fermare questo mostro?”.
“E come si fa a fermarlo? Non si sa niente di lui, se non che va in giro alla ricerca della sua progenie mostruosa”.
“Già… Che paura! E se vivessero in mezzo a noi?”.
“Non dirlo neanche per scherzo!”.
“Non scherzo, infatti… Non scherzo per niente”.
 
Sarebbe stato assurdo pensare che potessero riferirsi a quello a cui stava pensando Trunks. Ma, dato il posto in cui si trovavano, tutto poteva essere. Già, poteva benissimo trattarsi de ritorno di qualcuno da cui erano fuggiti più di un anno fa. Peccato solo che di lui non vi fosse più alcuna traccia.
 
*
 
Vegeta non riusciva a darsi pace. Continuava a pensare a quel suo stupido sogno, continuava a pensare a Kaharot, al suo volto che cambiava, alle sue parole spaventose e ai suoi gesti ancor più deprecabili. Aveva smesso di dormire serenamente – non che prima ci riuscisse – ma neppure la stanchezza era in grado di vincere i suoi timori più reconditi. Quel sogno era stato troppo vivido, troppo reale, ma lui non era stato in grado di dargli un significato fino al momento in cui non si era ritrovato nel bel mezzo di una discussione tra alcuni braccianti, terrorizzati dal “mostro che faceva scomparire le persone”.
 
“Vi giuro che l’ho visto con i miei occhi! Si aggira nei boschi al limite della città! Ha un aspetto affabile, ma non è che un mostro! Ci prenderà tutti se non staremo attenti! Ve lo posso assicurare!”.
“Ma che vai blaterando… Non si sente parlare di lui da più di un anno…”.
“Invece ha ragione… Io so che esiste… Si è portato via gran parte della mia famiglia! Sono l’ultimo maschio rimasto!”.
“Oh, che gli dei ci aiutino! Non siamo al sicuro!”.
“Ma cosa cerca?”.
“La sua progenie maledetta!”.
 
Ha un aspetto affabile, ma non è che un mostro. Era rabbrividito, e temeva di sapere perché. Lui non aveva doti divinatorie, e forse tutta quella superstizione gli aveva dato alla testa, ma Vegeta si era quasi del tutto convinto che il suo fosse stato una specie di sogno premonitore e che presto, molto presto, Goku sarebbe venuto a prenderlo.
 
“Tu che ne pensi?” – gli avevano chiesto, preoccupati. Ma lui, impassibile, non aveva risposto, e aveva deciso di tornare a casa prima del solito. Questo prima di vedere quel bastardo di Leon comparire all’orizzonte con alle calcagna due guardie dall’aspetto molto poco socievole.
 
“Brutti bastardi scansafatiche, venite qui! Questi signori hanno qualcosa da chiedervi”.
 
Sarebbe bastato fare loro qualche domanda, ma che gusto ci avrebbero preso se non avessero cominciato a picchiarli e tormentarli senza nessuna ragione? Vegeta aveva visto quei due bastardi frustare gli uomini e molestare le donne che, terrorizzate e mortificate, avrebbero giurato di aver visto qualsiasi cosa pur di essere lasciate in pace.
Quello spettacolo era disgustoso e aveva provocato in lui una sorta di déjà-vu, ma era stato quando era toccato a lui che le cose erano improvvisamente peggiorate, e senza un motivo apparentemente valido.
 
“Ci ritroviamo” – aveva detto uno di loro, sadico – “Vedo che ti sei ripreso bene… Oh, non fare quella faccia! Sono certo che per te sia stato indimenticabile”.
 
Si sentiva stranamente agitato, ma aveva cercato di non darlo a vedere. Perché aveva come la sensazione di aver già avuto a che fare con loro ma di non ricordarlo? Che cosa gli stava succedendo?
 
“Forse, ha bisogno di una rinfrescatina… Non trovate, Leon?”.
“Lasciatelo perdere… Del resto, questo cane ci ha fatto divertire abbastanza, non trovate?”.
 
Era stato come se un peso di centinaia di chili gli avesse schiacciato il petto. Che cosa gli era successo? E perché non ne aveva memoria?
 
“Guarda che sguardo che ha, questo cane… Mi fa proprio pena…”.
“Secondo me, è lo sguardo di uno che sa qualcosa e vuole tenercelo nascosto… Non trovate?”.
“Già… Hai perfettamente ragione”.
 
*
 
Lo avevano interrogato per ore, punzecchiandolo e svilendolo orribilmente. Vegeta, frastornato, a tratti inorridito, li aveva affrontati a testa alta, cercando di convincerli che non sapesse niente della creatura di cui parlavano. Aveva dovuto fare estrema attenzione per non far capire loro che conoscesse la sua identità che, suo malgrado, avesse avuto rapporti con lui. Fortuna che era stato temprato da anni e anni di interrogatori fatti da un verme ben più schifoso di loro due, e che conoscesse vari trucchetti per mentire, perché altrimenti non ne sarebbe uscito indenne. La parte più difficile era stata convincerli che Goten non avesse nulla a che fare con lui, questo dopo che Leon aveva osservato come “i capelli del suo secondogenito corrispondessero alla perfezione alla descrizione fatta da alcuni sopravvissuti”.
Se non fosse stato chi era, se non avesse vissuto ciò che aveva vissuto, avrebbe perso la ragione, ammettendo così di essere a conoscenza di cose che non avrebbe dovuto sapere. Eppure, Vegeta era ancora lui, nonostante tutto, ed era riuscito a mantenere buoni quei bastardi asserendo che non ci si poteva fidare completamente di chi vive un forte trauma e che, in ogni caso, si parlasse di un adulto, mentre Goten aveva compiuto da poco sei anni. Per un istante, aveva pensato che fossero sul punto di fare qualche collegamento, ma poi aveva capito di essersela cavata in qualche modo: non erano poi così intelligenti come credeva, alla fine.
 
“Vattene” – gli era stato ordinato, e aveva ubbidito senza fiatare.
Avrebbe preso subito la via di casa, se improvvisamente Leon non lo avesse afferrato per un braccio, avvicinandosi al suo orecchio.
 
“Sai, credo che tu abbia ragione… Non ci si può fidare completamente di chi vive un’esperienza traumatica… O no?”.
 
Aveva avvicinato il volto al suo collo e aveva inspirato forte il suo odore, facendo in modo che lo sentisse, che sentisse il respiro sulla sua pelle nuda. Un brivido di puro orrore aveva attraversato la sua schiena. Sarebbe svenuto se non avesse deciso di resistere per i bambini.
La voce melliflua e l’espressione sadica di Leon lo avrebbero perseguitato per giorni. L’unica cosa di cui sentiva di aver bisogno, era di lavarsi, di grattare via lo sporco che ricopriva non tanto la sua pelle, ma la sua stessa anima, quell’anima nera che aveva imparato, non troppo tempo addietro, a riconoscere la luce.
 
Continua…


Carissimi/e!
Che tempo, oggi! Non ha smesso di piovere neppure per un istante. Sono così triste… =( Odio le giornate grigie e umide. Ma devo ammettere che questo tempaccio mi ha permesso di dedicarmi maggiormente a questo papiro.
Ebbene: Goku è vicino. Così vicino da aver invaso i sogni del principe, ferendolo, umiliandolo, terrorizzandolo.
Dannato mostro nel quaderno, perché non finisci all’inferno? =(
 
A presto!
Un bacino,
Cleo
   
 
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