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Autore: Fragolina84    08/11/2021    0 recensioni
Questa fanfiction si inserisce nel contesto da me creato con la serie "I love Avengers".
Il protagonista della storia, nata dopo la visione della miniserie The Falcon and The Winter Soldier (di cui non c'è nessuno spoiler), è James Bucky Barnes.
Sono passati due anni da quando gli Avengers lo hanno ritrovato nella base Hydra in Siberia, ma Bucky non si è ancora abituato alla sua nuova vita. Sarà Rebecca, la giovane proprietaria del Caffè Roma, a prenderlo per mano e ad aiutarlo nel percorso di guarigione.
Le stava dando l'ultima possibilità per tirarsi indietro. Perché lui era guasto. Rovinato, forse per sempre. Probabilmente corrotto fino al midollo senza possibilità di redenzione. E lei non meritava uno come lui.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I love Avengers'
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Rebecca è distrutta dalla rottura con James
ma non può fare altro che continuare a vivere.
Cerca di tornare alla sua vita di prima,
di dimenticare l'amore che provava per il Soldato d'Inverno.
Ma dimenticare non è possibile...
Buona lettura!

Rebecca si buttò nel lavoro. 
Dopo il primo, iniziale sgomento aveva ripreso le redini della propria vita. Faceva turni massacranti al bar e frequentava la palestra quattro volte a settimana. Tutto pur di restare il meno possibile nel suo appartamento. Perché là c’erano i ricordi e lei non li sopportava. 
Tuttavia, la notte quei ricordi che durante il giorno riusciva a seppellire in profondità tornavano a galla e la obbligavano a bagnare il cuscino di lacrime. 
Poi arrivava l’alba e lei si piazzava sul volto la solita maschera e usciva. Dormiva pochissimo e mangiava come un uccellino, bloccata in una sorta di loop infernale. 
Trascorse un mese e mezzo di quella routine e Sarah era ormai preoccupata da morire. Ma tutte le volte che aveva provato ad affrontare l’argomento, Rebecca si chiudeva a riccio e rifiutava di ascoltare. 
Una mattina, mentre riordinava le scorte in magazzino in un momento di calma, Rebecca si sentì chiamare da Sarah. Tornò in sala e si bloccò. 
«Ciao, Steve» disse, dopo quel momento di stupore. Non aveva più visto nessuno degli Avengers da quando… Gli sorrise: «Sono felice di vederti.» 
Poi notò la sua espressione e quel poco di colore che aveva sul volto defluì, lasciandola pallida come un cadavere, tanto che Sarah le si avvicinò. L’afferrò per il braccio, ma Rebecca non se ne accorse nemmeno. 
«James?» chiese. Ansimava, alla disperata ricerca di ossigeno, mentre mille scenari uno più devastante dell’altro si affacciavano alla sua mente. 
«È stato ferito. È molto grave.» 
Senza alcuna esitazione, Rebecca si tolse il grembiule e afferrò la borsa sotto il bancone. 
«Sarah…» 
«Ci penso io, vai» fece l’altra. 
Uscì con Steve e salì sull’auto che era parcheggiata davanti al bar. Steve partì a sirene spiegate e attraversò a velocità folle la città, bruciando una quantità di semafori. 
Non appena furono alla Avengers Tower l’accompagnò in infermeria, mentre l’ansia di Rebecca cresceva in modo esponenziale ad ogni passo. 
James era disteso sull’unico letto occupato. Il braccio in vibranio era steso lungo il fianco, inerte. L’altro era piegato sul petto, bendato quasi per intero. Una flebo, il cui ago era piantato sul dorso della mano destra, pendeva sulla sua testa e gocciolava pigramente. Non era intubato e respirava autonomamente, anche se aveva la cannula nasale. 
Rebecca si avvicinò al letto e si chinò su di lui. Il suo volto era perfetto, senza nemmeno un graffio: sembrava addormentato. Non lo vedeva da un mese e mezzo e il cuore, nonostante tutto, accelerò il battito. Per la prima volta da quando lui era sparito, si sentì di nuovo viva. 
Un macchinario accanto al letto registrava i suoi parametri che, ai suoi occhi di patita di Grey’s Anatomy, sembravano stabili. Un bip cadenzato e regolare scandiva il suo battito. 
«Cos’è successo?» chiese, con un filo di voce. 
«Si è preso una raffica di mitragliatrice in pieno petto. È colpa mia, non avrei dovuto mandarlo in missione. Non era abbastanza lucido, da quando vi siete lasciati.» 
Non era abbastanza lucido da quando vi siete lasciati. 
Steve si fermò ai piedi del letto. Rebecca scostò un po’ il lenzuolo: il petto di James era avvolto dalle bende che avevano lasciato filtrare un po’ di sangue. 
«Quando siamo arrivati era in condizioni critiche. La dottoressa Cho l’ha portato subito in sala operatoria. È rimasto sotto i ferri quasi sei ore e, appena è uscito, sono venuto a chiamarti.» 
Con mano tremante, Rebecca gli sfiorò la fronte. La pelle era fresca e liscia. 
«Come me, James ha una capacità di guarigione accelerata. Ma la dottoressa sostiene che in questo caso le ferite erano talmente gravi che il suo cervello è andato in standby. È una specie di coma, ma non sappiamo come e quando si sveglierà.» 
Rebecca gli posò la mano sul petto con delicatezza. Lo sentiva espandersi ad ogni respiro, lento e regolare. 
«Ho infranto una promessa, nel portarti qui. Bucky mi aveva fatto giurare che non avrei interferito fra voi due e che avrei accettato la sua decisione di rompere con te.» 
Si voltò verso di lui: «Perché hai deciso di farlo?» 
«Personalmente non avrei voluto. Non volevo esporti a questo dolore. Ma, secondo Beth, tu sei l’unica che può aiutarlo adesso. E mia moglie capisce meglio di me queste cose.» 
«Vorrei che avesse ragione: significherebbe che lui ha bisogno di me. Ma temo che non sia così.» 
«Sussurrava il tuo nome, prima di perdere conoscenza.» 
Non poteva permettersi di aprire uno spiraglio nel suo cuore, non dopo che James l’aveva mandato in pezzi. Abbandonarsi alla speranza che le parole di Steve le promettevano era fuori discussione. Era lì per James, sì. Ma non appena si fosse ripreso e lei fosse stata sicura che era fuori pericolo, se ne sarebbe andata. Anche se questo avrebbe comportato morire dentro un'altra volta. 
«Conosco Bucky da tutta la vita» proseguì Steve. «Abbastanza da sapere che si è comportato come un idiota. Nella sua testa, tenendoti lontana ti avrebbe protetta dal suo passato, da ciò che l’Hydra l’ha fatto diventare.» 
Rebecca sedette con leggerezza sul letto. Sollevò il braccio in vibranio e se lo posò in grembo. Non riusciva a staccare gli occhi dal viso di James. 
«Una parte del Soldato d’Inverno è ancora dentro di lui e lo rimarrà sempre. Victoria e Wanda hanno lavorato su di lui per mesi, nel tentativo di cancellare la programmazione mentale che l’Hydra gli aveva imposto e, nonostante siano due delle creature più forti dell’universo, non ci sono riuscite completamente. E poi sei arrivata tu, una semplice umana – nel senso buono del termine, sia chiaro – che si è dimostrata più potente di due mutanti di classe Omega.» 
Steve si spostò. Si affiancò al letto dall’altro lato e allungò il braccio, afferrando con delicatezza la mano dell’amico. 
«Bucky è forte, si riprenderà.» 
Uno scalpiccio indusse entrambi a voltarsi: era la dottoressa Cho. Rebecca fece per alzarsi, ma l’altra la fermò. 
«Resta lì, mia cara. A Bucky farà bene.» 
«Credi che mi senta?» 
«Ovunque sia, sa che sei qui.» 
 
*** 
 
Rebecca non si allontanava mai dal capezzale di James. Steve aveva provato più volte a convincerla a prendersi una pausa ogni tanto, ma lei non lo ascoltava, continuando a restare al fianco dell’uomo che non aveva ancora ripreso conoscenza. 
Restava accanto a lui, gli parlava in continuazione, leggeva per lui. Lo lavava e lo accudiva, aiutando la dottoressa a fargli la medicazione. La prima volta che vide i danni prodotti dalla mitragliatrice quasi svenne: grazie alla sua elevata capacità di guarigione, le ferite si stavano rimarginando, ma la parte destra del petto e il braccio erano stati letteralmente crivellati dai proiettili. 
«Dio del cielo, come ha fatto a sopravvivere?» 
«Il suo cuore è forte e Bucky non è uno che si arrende. Ma l’abbiamo preso per i capelli: se Cap l’avesse riportato indietro anche solo un’ora più tardi…» 
Helen si concentrò nel suo lavoro: con l’aiuto di Rebecca lo sollevarono con delicatezza e gli pulirono le ferite, bendandole poi nuovamente. 
«Quando si sarà ristabilito, lavorerò su quelle cicatrici. Non si vedranno neanche.» 
Helen le aveva detto di dormire sul letto accanto a quello di James, ma Rebecca aveva rifiutato l’offerta. Non voleva stargli troppo lontana, nel caso si fosse svegliato. Aveva trascinato una poltrona accanto al suo letto e passava la notte con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, tenendo fra le sue la mano di James. 
Era lì da due giorni ormai: Helen veniva a visitare James due volte al giorno e, anche se diceva che stava migliorando, Rebecca si struggeva per il fatto che non riaprisse gli occhi. 
All’ennesima visita, Helen si voltò verso di lei: «Rebecca, per quanto pensi di poter continuare in questo modo? Non mangi e non dormi come si deve da quanto?» 
Rebecca distolse lo sguardo, come se facendolo potesse mascherare le ombre sotto gli occhi o il pallore della pelle. 
«A Bucky non serve che tu crolli adesso, Becks» le disse con tatto. 
Rebecca sedette sul letto e accarezzò la fronte di James: «Non appena lui riaprirà gli occhi, mangerò e dormirò». Si chinò su di lui. «Quindi, dipende da te, James.» 
Il resto della squadra veniva spesso a trovare James. Si fermavano un po' a chiacchierare con lei che, lieta di quella distrazione, era felice di poterli conoscere meglio. 
La mattina del terzo giorno, Victoria scese in infermeria. Si trovava a New York per promuovere il suo ultimo romanzo. Era sola, Tony era rimasto a Malibu. 
Si avvicinò al letto di James. Rebecca era rannicchiata sulla poltrona ma era sveglia e girò il capo verso di lei che le allungò un bicchiere di carta. 
«Ti ho portato un caffè caldo. Con panna e zucchero. Mi sembrava che ne avessi bisogno.» 
«Grazie.» 
Mentre Rebecca sorseggiava il caffè, l’altra volse lo sguardo verso Bucky. 
«Come sta?» 
«È stabile. Helen è venuta poco fa. Dice che sta migliorando, ma non riprende conoscenza.» 
«E tu come stai?» 
«Sto bene.» 
Aveva risposto davvero troppo in fretta. Victoria la scrutò con attenzione: era dimagrita e i capelli avevano perso lucentezza. Aveva ombre violacee sotto gli occhi, che erano stanchi e privi di luce. La donna percepiva ciò che aveva dentro, un groviglio di ansia e preoccupazione che le stava corrodendo l'anima. 
«Desolata, ma mentire con me non è possibile. Lo sento che sei a pezzi. Da quanto non dormi?» 
Rebecca considerò l’ipotesi di mentire, ma non aveva senso: inoltre, aveva davvero bisogno di confidarsi con qualcuno. 
«Praticamente da quando mi ha lasciata» confessò. 
Victoria prese una sedia e la avvicinò alla poltrona di Rebecca. 
«Anni fa, quando ad Avengers Hall vivevamo solo io e Tony e io non avevo ancora scoperto di essere così inquietante, organizzammo una festa con gli Avengers. Mia sorella Violet si trovava a passare qualche giorno da noi e si prese quella che io pensavo essere solo una sbandata per Bruce.» 
Rebecca continuò a sorseggiare la bevanda calda, sentendo la caffeina entrare in circolo. 
«Lei non conosceva la sua vera identità, ma io sì e non volevo che lo frequentasse. Giudicavo che fosse troppo pericoloso per lei, che non fosse adatto a lei. Mi misi fra loro, cercando di separarli.» 
Non aveva idea di dove volesse andare a parare con quella storia, ma rimase in silenzio, lasciandola proseguire. 
«Fu una pessima idea. Quando venne a saperlo, Bruce perse il controllo e, se non l’hai mai visto in piena trasformazione, non puoi avere idea di quanto mi spaventò.» 
Da quando frequentava James aveva imparato a convivere con le stranezze degli Avengers. Ma Hulk l’aveva visto solo in TV e, tra l’altro, piuttosto raramente. Ed era l’elemento più difficile da comprendere per lei. 
«Violet e Bruce sono una coppia da allora. Li hai visti insieme, quindi non devo spiegarti altro.» 
Rebecca finì il caffè e posò il bicchiere vuoto sul comodino di James. 
«Perché mi hai raccontato questa storia?» 
«Perché da quell’esperienza ho imparato che sentimenti come questi non possono essere ostacolati. Con mia sorella io ho agito in buona fede, pensando di fare il meglio per lei. Lo stesso sta facendo James con te.» 
Le sue parole presupponevano che James provasse ancora qualcosa per lei. Erano più o meno le stesse parole di Steve. Avrebbe voluto con tutto il cuore credere che fosse vero, ma aveva paura. Paura di illudersi, paura di restare delusa di fronte ad nuovo rifiuto. 
«Mi ha detto cose orribili» confessò con un filo di voce. 
Victoria si alzò in piedi e sospirò. «Sai, il mio potere mi permette di percepire i sentimenti delle persone. E quando James è tornato, quel giorno, era pieno di rabbia come nemmeno il giorno che si è risvegliato dall’ibernazione. C’era tanto odio dentro di lui che l’ho percepito a un isolato di distanza. Ma tutto quell’odio era solo e soltanto per se stesso». Le si avvicinò e le posò la mano sulla spalla. «E, dato che percepisco anche i tuoi sentimenti, so cosa provi per lui.» 
Le lacrime le riempirono gli occhi. Era stanca e preoccupata: desiderava che James si svegliasse e le sorridesse. Desiderava che le dicesse che Steve e Victoria avevano ragione e che aveva cambiato idea. 
«Lo amo così tanto» proruppe e scoppiò a piangere. Victoria l’abbracciò e la strinse a sé. Lasciò che si sfogasse, carezzandole i capelli. 
Quando Bucky gliel'aveva presentata, Rebecca le era piaciuta subito. Era una ragazza con la testa sulle spalle e aveva percepito dentro di lei una profondità di sentimenti davvero notevole. Anche se cercava di evitare di “leggere" le persone, a volte le capitava di sentirle senza volere. I sentimenti che Rebecca provava per James erano veri e autentici, ed era palese anche il contrario: James era innamorato di lei e il tentativo di allontanarla era solo per proteggerla. Ma, di fatto, aveva fatto soffrire entrambi. 
«Mi pento di non averglielo detto, ma le cose fra noi andavano così bene che non volevo spaventarlo o mettergli inutili ansie.» 
«Avrai modo di dirglielo quando si sveglierà.» 
Victoria le passò un pacchetto di fazzoletti e Rebecca si asciugò gli occhi. Victoria si accostò al letto e posò la mano sulla fronte di James. Rebecca vide scintille verdi nei suoi occhi e l’aria si caricò di energia. 
«Sta sognando. Non posso vedere i suoi sogni, ma non sono certo gli incubi dei primi tempi. C’è tanta pace e tanto calore in questi sogni, e io ho sentito questi sentimenti in lui solo dopo che tu sei arrivata nella sua vita. Potrei scommettere che sta sognando di te.» 
 
*** 
 
Rebecca si era addormentata. Non ne aveva avuto l’intenzione, ma era mortalmente stanca e appena aveva abbassato la testa e l’aveva appoggiata con delicatezza contro il fianco di James, era crollata. 
Quando aprì gli occhi non si rese subito conto di cosa l’avesse svegliata. Poi James mosse il braccio e lei saltò su come una molla. Posò una mano sulla sua guancia, entrando nel suo campo visivo. I suoi occhi azzurri si fissarono su di lei. 
«Ehi, bentornato.» 
James sembrava confuso e la sua domanda successiva non fece altro che confermare quell’impressione. 
«Sono morto?» 
Rebecca sorrise, carezzandogli il volto: «No, sei solo rimasto fuori combattimento per un po’.» 
«Per quanto?» 
«Le tue ferite erano molto gravi, James» gli spiegò, posandogli con delicatezza la mano sul petto. «Sei rimasto in coma per qualche giorno.» 
Lui cercò di alzare la testa per controllare le proprie condizioni, ma la donna lo tenne giù: era ancora così debole che non le costò alcuno sforzo. 
«Sono venuta appena Steve mi ha detto che eri stato ferito.» 
«E sei… rimasta qui tutto il tempo?» chiese, girando lo sguardo verso la poltrona e notando i cuscini e la sua felpa preferita sul bracciolo. 
«Sì.» 
James la fissava e lei avrebbe dato tutto per sapere cosa gli passava per la testa in quel momento. Mosse il braccio in vibranio e le sfiorò la guancia. Rebecca non sentiva le sue mani su di sé da troppo tempo: il respiro le si mozzò in gola e rimase immobile, godendosi quel tocco. 
Le sue labbra erano così vicine e così invitanti e l’idea di assaporarle di nuovo la colpì come un ariete. Dovette aggrapparsi a tutta la forza che aveva per non baciarlo. Invece, si allungò su di lui e premette il pulsante di chiamata. 
«Chiamo la dottoressa Cho: deve sapere che hai ripreso conoscenza» gli spiegò. 
James continuava a fissarla, lo sguardo più limpido e consapevole rispetto a poco prima. 
«Dobbiamo parlare.» 
Sì, dovevano decisamente parlare. Lei avrebbe dovuto dirgli che l’amava, perché lui aveva il diritto di saperlo prima di decidere di tenerla fuori dalla sua vita. Avrebbe volto dirgli che quei giorni passati ad accudirlo le avevano fatto capire che non poteva e non voleva fare a meno di lui. Invece, gli posò un dito sulla bocca per farlo tacere. 
«Non adesso, James. Ora devi riposare e riprendere le forze.» 
Helen entrò in infermeria e li raggiunse, chinandosi su di lui. 
«Finalmente, Bucky. Ci hai fatto davvero preoccupare stavolta» gli disse. 
Rebecca fece per scostarsi, ma James le afferrò la mano con una presa sorprendentemente decisa. 
«Promettimi che non te ne andrai.» 
«Te lo prometto. Vado solo a dire agli altri che sei tornato fra noi, mentre Helen ti visita, ok?» 
Lui annuì e le lasciò la mano. 
James la seguì con gli occhi mentre usciva. 
Quando si era risvegliato e aveva visto il suo viso sopra di sé aveva sentito una dolorosa stretta al petto, qualcosa che non aveva niente a che fare con le ferite che aveva riportato. Rivedere i suoi occhi scuri aveva mosso qualcosa di potente dentro di lui, qualcosa che aveva pensato di essere riuscito a seppellire tanto in profondità da non poter più essere recuperato. 
Le labbra di Rebecca si erano aperte nel sorriso che ricordava così bene, anche se aveva fatto di tutto per eliminarlo dalla propria mente. C’era sollievo in quel sorriso, il sollievo di vederlo tornare dal regno dei morti in cui solo per poco non era scivolato. Possibile che, nonostante quello che le aveva detto e la freddezza con cui aveva troncato con lei, Rebecca provasse ancora quei sentimenti per lui? 
Quei pensieri avrebbero dovuto aspettare: si sentiva così stanco che faticava a tenere aperti gli occhi. Helen reclamò la sua attenzione e si sottopose docile alla visita. 
Rebecca, dal canto suo, appena uscita dall’infermeria si appoggiò al muro e lasciò che l’emozione che aveva trattenuto prendesse il sopravvento. Lacrime di gioia e sollievo presero a scorrerle sulle guance e lei non fece nulla per fermarle. James era vivo e si era risvegliato: nient’altro aveva importanza. 
Riprese il controllo di sé e prese l’ascensore per salire di diversi piani, fino a quello che era il centro nevralgico dell’Avengers Tower. Maria stava passando davanti all’ascensore proprio quando le porte si aprirono e si bloccò vedendola. 
«Becks. Tutto bene?» chiese. Dalla sua espressione, Rebecca intuì che si aspettava cattive notizie e si affrettò a tranquillizzarla. 
«Sì, James si è appena svegliato.» 
«Grazie a Dio!» proruppe la donna, abbracciando Rebecca che sentì nuove lacrime pungerle gli occhi. «Vieni, Cap e gli altri saranno felici di apprendere questa fantastica notizia.» 
La seguì fino alla palestra, dove Steve si stava allenando con Visione, Wanda e Sam. Quando videro Rebecca si bloccarono con la stessa espressione che aveva visto sul viso di Maria poco prima ma quando notarono che entrambe sorridevano, capirono. 
«È sveglio. Sta bene» confermò. 
Steve la raggiunse di corsa, la cinse con le braccia e la sollevò, facendola piroettare. 
«Lo sapevo che avrebbe vinto questa battaglia» rise, mentre Rebecca gli si aggrappava e rideva con lui. «Quando pensi che potremo vederlo?» chiese, rimettendola a terra. 
«Helen lo sta visitando in questo momento. Penso che, se tutto andrà come previsto, potrete vederlo molto presto.» 
Steve disse che avrebbe organizzato subito una call con la sede di Malibu in modo da avvisare anche gli altri che Bucky era sveglio e stava bene, mentre Wanda e gli altri facevano a turno per abbracciare Rebecca che si sentì ancora più parte di quella famiglia. Poi si scusò e tornò da James: non voleva stargli lontana più di quanto fosse strettamente necessario. 
Quando arrivò in infermeria, Helen stava compilando la cartella di James che giaceva ad occhi chiusi e non reagì quando lei si avvicinò. 
«Tranquilla, sta solo riposando» la rassicurò Helen. «Anche se ormai è fuori pericolo, il suo corpo sta ancora mettendo tutta l’energia nella guarigione. Dormirà a lungo nei prossimi giorni». Helen finì di scrivere e posò la cartella, mettendo una mano sulla spalla di Rebecca: «Hai promesso che quando avesse aperto gli occhi ti saresti occupata di te stessa.» 
Rebecca scosse la testa, accarezzando il dorso della mano di James che non ebbe reazioni. 
«Voglio essere qui quando si sveglierà. Gliel’ho promesso.» 
«Dormirà per almeno un paio d’ore. Becks, voglio che tu esca a prendere un po’ d’aria e che mangi un pasto come si deve. E non sto parlando solo come amica, ma anche come dottoressa». Rebecca esitava ancora: «Non costringermi a chiedere a Cap di intervenire.» 
Rebecca girò lo sguardo su James e annuì. Si chinò e gli baciò la fronte. Lui sospirò nel sonno. 
«Tornerò prima che tu riapra gli occhi.»
 
  
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