Quando Mycroft riaprì
gli occhi, non capì subito in che posto
fosse. Era seduto, la schiena appoggiata a una roccia di una piccola
isola
brulla con qualche arbusto e pochi alberi, circondata da acqua di un
azzurro
intenso. Vicino a lui c'erano delle altre persone con la stessa aria
stupita e
trasognata. Le guardò e si sentì solidale, come
se gli appartenessero. Ebbe la
strana percezione di essere morto.
Tutto sommato si sentiva bene. Anzi
benissimo. Nessun dolore,
nessun tormento, nessun rimpianto. Era decisamente sereno come non lo
era mai
stato. Notò le sue scarpe lucide e costose, macchiate di
rosso e gli venne una
gran voglia di toglierle. Le sfilò insieme ai calzini,
rimase a piedi nudi a
godere l'aria che gli giocava tra le dita dei piedi.
Fu allora che vide la giacca del
completo tre pezzi forata al
centro del petto, la stoffa strappata. La scostò, la sua
camicia preziosa era
macchiata di rosso. Un rosso vivo, ancora pulsante. La cravatta
irrimediabilmente lacerata.
Eppure non sentiva dolore, il suo
cuore spezzato si era fermato.
Quel buco nel cuore glielo aveva fatto Sherlock. Il suo amato fratello.
Ora
ricordava: era morto per mano sua, con l'arma che gli aveva fornito
Eurus a
Sherrinford: l'imposizione della scelta tra amicizia e famiglia. E John
Watson
era molto di più.
Strinse le labbra sottili e si
massaggiò il petto. Poi sorrise,
infondo lo aveva voluto lui, si era offerto per rendere a Sherlock la
cosa più
facile. Si era reso conto che John era la sua famiglia e lui non ne
faceva più
parte. Il suo compito era finito.
Si alzò in piedi, si
tolse la giacca, il gilè, via la cravatta,
aprì la camicia lasciando che pendesse di fuori,
camminò scalzo fino alla riva.
Non era più in vita, era
un fantasma, ecco perché era lì. Si
guardò intorno, quel posto gli ricordava i suoi studi
scolastici della Divina
Commedia. Scosse la testa, pensando che l'aldilà era
già stato scritto secoli
prima.
Aveva sempre pensato di finire
all'inferno, ma a quello dantesco,
proprio no. Ora avrebbe pagato la sua inutile vita con atroci
sofferenze.
Sarebbe finito fra i dannati, quelli che non avevano avuto tempo per
gli
affetti, quelli che non avevano creato legami, né dato
amore...
Si avvicinò all'acqua e
vide sotto di lui il buio dei gironi
infernali, il vociare angoscioso della dannazione, avvertì
l'odore della
punizione eterna. E rabbrividì, la sua vita non era stata un
granché di
beatitudine. Era rassegnato, si strinse nella camicia strappata e
sporca di
sangue e gemette per il freddo.
Fece altri due passi e fu attirato
dal calore che veniva
dall'alto. Volse lo sguardo: una energia luminosa, accecante, avvolgeva
corpi
fluttuanti nell'aria che respiravano e si nutrivano di quello splendore
abbagliante. Era il paradiso, la ricompensa, il bisogno di pace.
Si fermò, la luce alla
sommità di quel cielo terso lo attirava.
Era tutto così bello, così assolutamente
appagante.
Non sapeva perché era
nel mezzo, in quella specie di attesa.