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Autore: milkbreeeead    12/11/2021    1 recensioni
Di Keith non si saziava mai, era quello il problema. E ogni volta che l'aveva vicino quella cripta non si richiudeva come avrebbe dovuto, forzando tutto il marcio là dentro.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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E forse erano anche un po' simili, in fondo.
Lì, distesi in quel letto troppo grande per entrambi, tutto quello spazio interposto, che Lance avrebbe voluto riempire di parole; ma era immancabilmente vuoto. Vuoto, era quello che li accomunava. Era ciò che componeva le loro anime, ed entrambi cercavano di riempire quell'oblio in maniera diversa; ma c'era, innegabile, sentenza di morte. Ne sentivano il respiro freddo sul collo, come spifferi da finestra socchiusa, e anche se riuscivano a scacciarlo per un po', quello tornava non appena le loro menti si ritrovavano empie.
Silenzio. Non che la testa di Lance fosse silente, anzi: era un perpetuo vociferare, spesso insensato, come eco ridondante, ed erano ansie o paranoie o pensieri intrusivi o ritornelli, qualsiasi cosa che riuscisse a tenerlo lontano dal ciglio del baratro, qualsiasi cosa che non lo lasciasse cadere, che lo arpionasse saldamente al suo personaggio di facciata.

Il segreto era circondarsi di gente. Circondarsi di occhi, bocche, dita e voci, di scalpori, di relazioni, di esperienze, per creare questa ragnatela che perlopiù regge, ma non appena qualcosa di più pesante di una mosca vi si poggia sopra è destinata a infrangersi e a svanire come polvere. Ed era quello che si era iscritto a pallacanestro: non perché effettivamente gli piacesse quello sport, ma perché era decisamente più semplice riempirsi di varie persone in una volta piuttosto che errare senza sosta in cerca di qualcuno.

Di Keith non si saziava mai, era quello il problema. E ogni volta che l'aveva vicino quella cripta non si richiudeva come avrebbe dovuto, forzando tutto il marcio là dentro.

Non era stato facile tornare a essere suo amico. Dopo un'interminabile faida d'orgoglio le cui radici risalivano alle medie – "quello era palesemente un fallo antisportivo, l'ha fatto intenzionalmente!"– i due si erano ritrovati spesso insieme nel fare gli esercizi o nelle formazioni delle squadre, visto che l'intesa era più che evidente, loro malgrado; ma col tempo avevano imparato a conoscersi, e a capirsi, e quasi quasi in campo erano cosa sola, movimento unico, come lungo respiro. Non erano in sincronia: loro stessi erano la sincronia. E Lance in realtà non comprendeva del tutto il perché di quello strano legame, né di cosa provasse a riguardo: non c'era tempo per pensarci, né volontà, perché Keith aveva già un ragazzo che era con loro in squadra e che più volte aveva minacciato di picchiarlo, se non avesse smesso di passare il suo tempo col corvino.

James Griffin era un po' troppo per Keith, lo sapevano tutti. Tutti tranne Keith.

Di solito Lance cercava di non intromettersi nella loro situazione: sapeva che tutte le coppie avevano alti e bassi, era all'ordine del giorno, ma era più che legittimo che si preoccupasse per lui e la sua incolumità; dopotutto, Griffin sembrava non avere pietà né sensi di colpa. Alzava la voce un po' con tutti, ma solo contro Keith alzava le mani; o meglio, era ciò che sospettava. Certi lividi non passavano inosservati, decisamente no. E Lance... Dio, la viveva così male, incapace di darsi una mossa e trarlo in salvo da quel bruto. Ma in fondo, cosa avrebbe potuto fare? Lui e Keith non erano nemmeno così tanto amici. Avevano dinamica, intesa, chimica, ma non sostanza, anche se Lance avrebbe desiderato il contrario. Ed era così strano averlo vicino e non sapere che dirgli, e guardare quei segni e chinare il capo e tapparsi la bocca, che non era il caso di far adirare tanto James, che poi avrebbe urlato ancora più forte, che poi avrebbe aggrottato le sopracciglia, preso Keith da una parte e sussurratogli qualche minaccia a lui ignota. Ed era così strano vederlo fingere di star bene, era così strano giocare con lui e Griffin come se niente fosse, era strano e a Lance non piaceva per niente.

Anzi, era un miracolo che quella volta Griffin non ci fosse. Erano in trasferta per via di un torneo, uno di quelli fuori città che Keith sembrava odiare, poiché James faceva di tutto per tenerselo il più vicino possibile, per non concederlo a nessuno, quasi fosse la propria cassaforte o cane da compagnia. Quanto doveva essere insicuro per comportarsi in maniera talmente possessiva? Quanto doveva odiare se stesso per non riuscire ad amare qualcun altro come avrebbe dovuto?
Griffin sembrava non porsi domande. Lance soleva immaginare la sua mente come landa desolata o come tempesta assordante.
Naturalmente, quando si presentava alle trasferte la camera d'albergo la condivideva con Keith, e Dio solo sa cosa succedesse al suo interno; non che adorasse ammetterlo, ma più volte Lance era rimasto sveglio cercando di origliare le loro conversazioni, per capire se effettivamente Griffin avesse un lato che vale la pena amare o se fosse iracondo proprio com'era in pubblico, e per tenerlo d'occhio, per intervenire, semmai Keith si fosse trovato in situazioni di pericolo. Keith, Keith, Keith, era l'unico nome a cui riusciva a pensare, rimbombava come canzone al megafono.
Si erano ritrovati in stanza assieme, quella volta. Non che ci fosse qualcosa per cui esultare, dato che il letto era uno solo. Ma Lance si ritrovò a nascondere un sorriso con la mano.

E gli teneva un lembo della maglietta, scoprendo la pelle sotto di essa, che si teneva ben lontano dallo sfiorare; aveva dei limiti, dopotutto, e non voleva disturbarlo, anche se il suo sonno pareva travagliato. I sospiri e gli sbuffi tesi provenienti dal ragazzo dormiente al suo fianco lo tenevano vigile; viveva in funzione del suo stato d'animo ormai, era patetico. Strinse la maglietta un po' più forte quando lui si spostò bruscamente, rischiando di cadere dal letto a due piazze che condividevano, e trattenne il respiro per qualche istante. Che se ne fosse accorto? Cercò di calmarsi. No, no, sembrava troppo turbato per badare a un ragazzo che lo teneva per la maglietta, cercando in essa il suo tocco. Aveva troppi corvi per la testa.
"Griffin?" un mormorio, e il fiato di Lance si mozzò di nuovo. Dios mio.
Si mise sull'attenti, rizzandosi sul letto, tra le dita la sua maglietta. Mentre il fiato di Keith si faceva via via più affannoso, Lance si interrogò sul da farsi: svegliarlo, compromettendo probabilmente il resto della nottata e la mattina successiva o lasciarlo dormire, abbandonandolo ai propri demoni? Sebbene odiasse Keith reduce da poche ore di sonno –era a dir poco intrattabile, odiava ancora di più vederlo in quello stato, nel tormento; non era neanche sveglio.
Si prese di coraggio e si mise a scuoterlo con veemenza, cercando di tirarlo fuori da quell'incubo; Keith dopo poco rinvenne di colpo, il fiato corto e gli occhi lucidi, il suo cuore batteva così forte che a Lance parve quasi di udirlo martellare contro la cassa toracica.
"Keith? Ehi, tutto bene?" Lance poggiò una mano sulla sua spalla, e con sgomento si accorse che era scosso da un tremolio. Keith si passò sul viso la propria, che vibrava incontrollabilmente, e diede fondo a uno sbuffo spezzato.
Rimase per un po' in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, e Lance gli accarezzò timidamente la schiena, cercando di dargli un po' di conforto. Dio se gli faceva male vederlo in quello stato, e Dio se avrebbe voluto accarezzargli i capelli e stringerlo a sé e dirgli che ci sarebbe sempre stato e... e probabilmente sarebbero rimaste fantasie. E probabilmente Keith si sarebbe rimesso a dormire come se nulla fosse, e Lance avrebbe dovuto cancellare quell'episodio dalla propria memoria.

"Scusami, Lance" riuscì a formulare, la voce tremula.

"Perché?"

"Perché ti sei svegliato per me, perché mi devi vedere in questo stato" teneva la testa bassa, come se non riuscisse a sostenere il suo sguardo. Lance sorrise, malinconico, e poggiò la mano che prima tratteneva la sua maglietta sulla sua gamba, e gli diede una piccola pacca. "Non c'è niente di male nel mostrarsi vulnerabili".

Keith sospirò. "Non voglio darti fastidio, stavi dormendo, lasciami perdere. Tutte le notti sono così, ormai sono un habitué".

"Che sia d'abitudine o no, non mi interessa. Hai bisogno di me".

"Non è vero".

Fu il turno di Lance a sospirare. "Keith, non iniziamo discorsi infantili, va bene?" Lui annuì, abbandonando il capo contro la sua spalla; e fu una sorpresa, senza dubbio. Keith non cercava neanche il contatto del suo ragazzo, figuriamoci quello di un suo compagno di squadra; e invece era lì, a respirare la sua pelle, il suo fiato ancora teso contro il suo collo, a solleticarlo. Prese la situazione a due mani e la sua carezza si spostò sulla sua nuca, e in un primo momento Keith si irrigidì; poi si lasciò plasmare da quelle dita, e socchiuse gli occhi contro il viso arrossato di Lance, che senza dire niente lo attirava a sé.

"Lo odio, Lance" mormorò con tono grave, e Lance lo sapeva, oh, lo sapeva chi era la persona a cui si riferiva. "Lo odio, ma non riesco a lasciarlo andare. Lo odio, ma allo stesso tempo non posso stargli lontano, perché lo amo, o amo quella parte di lui che amavo prima. Cosa gli ho fatto?"

"Non hai fatto proprio niente e lo sai, okay? È uno stronzo, e non ha il diritto di trattarti in questa maniera. Meriti molto, molto di meglio" Keith circondò la vita di Lance con le sue braccia e premette il viso contro il suo; sentì le sue lacrime bagnare le proprie guance. E Lance lo strinse ancora più forte, accarezzandogli i capelli, districandone i nodi, intrecciandovi le dita al suo interno. E Keith era talmente vicino, e la sua pelle andava a fuoco, e forse lui aveva premuto il proprio viso contro il suo per capire se stesse arrossendo, e mio Dio magari l'ha capito, e se l'ha capito io cosa faccio?

Ma Keith non disse una parola, lacrime che bagnavano le gote livide del corvino e quelle caramello del castano, e Lance gliele asciugò per quanto poteva, interponendo tra le loro guance le proprie dita, e Keith si piegava contro quelle dita, quasi ne cercasse di ricreare la forma, quasi cercasse di marcarsi quelle mani per sempre sul viso. Pensò che voleva baciarlo.

"Mi fa male, Lance. Spesso. E lo so che l'hai notato, mi guardi sempre con quell'aria triste, e so che vuoi intervenire ma non puoi. Vorrei solo che tornassimo a essere com'eravamo all'inizio, capisci?" Il cuore di Lance si accartocciò e si contorse su se stesso, e sanguinava a quelle parole, e strizzò gli occhi per forzarsi a reprimersi.

"Raccontami, come si comportava con te all'inizio?"

Lo sentì sorridere. "Era dolce. Agrodolce, c'erano momenti in cui mi dava su i nervi. Ma è normale, ha sempre avuto questa apparenza ai miei occhi, un equilibrio. Mi ero aperto con lui e lui lo aveva fatto con me, e mi piaceva come mi abbracciava, aveva un modo tutto suo di farlo; ormai non mi abbraccia più da tanto tempo, mi sono dimenticato come ci si sente. Il primo bacio me l'aveva dato d'improvviso, e di lui amavo il suo essere imprevedibile, il suo sorprendermi in ogni cosa. E mi piaceva la sua voce, quel tono calmo che ormai è impossibile da immaginare, e mi trattava come se fossi l'unico al mondo – e in effetti era così, ero l'unico per lui, perché in molti lo odiano e col senno di poi capisco il loro punto di vista. Non sarei mai amico di un tipo così, eppure eccomi qua, a rincorrerlo anche se lo odio e anche se mi ha tradito e anche se mi fa del male. Sono patetico, davvero".

Lance rimase per qualche istante col fiato sospeso, e realizzò: in lui cercava James. In quell'abbraccio, in quelle carezze. E sapeva, in fondo, che era così, che Keith amava ancora quel ragazzo, e sapeva che non c'era confronto, ma per un attimo aveva sperato; ed era solo la spalla su cui piangere. Nient'altro.
Sanguinava ancora.

"Non sei patetico, ascoltami bene. Sei solo confuso e spaventato, com'è giusto che sia, vista la situazione. E sei ferito, ed è più che legittimo. Ma te lo dico davvero col cuore in mano, lascialo, Keith. Per favore. Non sopporto vederti così affranto. Sei letteralmente il miglior giocatore della squadra e sei... sei davvero incredibile, a trovare qualcun altro non ci metterai che uno schiocco di dita".

Lo sentì sorridere di nuovo, e sorrise anche lui. "È dolce da parte tua dirmi questo, ma non dovresti preoccuparti per me, davvero. Avrai le tue rogne di cui occuparti, e io-"

"Keith" tagliò corto, con tono serio "ti voglio aiutare, ma tu devi lasciare che io lo faccia".

"Non voglio".

"È la cosa migliore per te".

Keith sospirò, poi sciolse il lungo abbraccio. Lance avvertì la mancanza del suo corpo contro il proprio come se ne mancasse una parte.

"Credo sia ora di tornare a dormire".

"Sei sicuro?" Keith annuì; e sul suo capo chino Lance gli lasciò un piccolo bacio, il viso paonazzo, e la chioma nera si alzò di colpo, rivelando un'espressione sorpresa sul viso del ragazzo, che vide di sfuggita, visto che all'istante si rimise disteso e si voltò verso l'esterno.

"Buonanotte, Keith" mormorò, ma non ricevette risposta.

Silenzio.

"Lance?"

"Mh?"

"Mi tieni la mano?"

***

Okay, era abbastanza definitivo: Lance aveva una cotta per Keith. Non che fosse mai stato un mistero, ma la realizzazione lo aveva stroncato lì su due piedi, e adesso che ne aveva la consapevolezza era diventato tutto molto più difficile da gestire perché ai suoi occhi ogni gesto era fraintendibile, e non è che morisse dalla voglia di farsi menare da James.
Ma era così, e doveva fare i patti con la realtà: a lui Keith piaceva. Piaceva un sacco. E questa cosa pesava, pesava così tanto, e pesava non potergli chiedere di uscire, e pesava avere la sua testa sulla propria spalla quand'erano seduti in pullman assieme, e pesava trattenersi dal poggiare la propria di rimando, perché anche se Griffin non era da quelle parti sentiva i suoi occhi addosso, ed era come avere duecento fari accesi puntati contro. E gli piaceva un sacco quando durante gli allenamenti si lanciavano quelle stupide occhiate di sfida, e gli piaceva un sacco quando lo marcava e doveva stargli addosso per forza, e gli piaceva un sacco quando si sedevano in panchina, aspettando di rientrare, e stavano spalla contro spalla. E gli piaceva un sacco quando Keith usciva di nascosto per andare al campetto vicino casa sua per fare quattro tiri in santa pace con Lance e gli altri, e gli piaceva un sacco quando gli scostava i capelli dal viso, e quando gli faceva i complimenti dopo aver segnato.
Voleva dirglielo. Glielo voleva urlare in faccia e farlo piangere, o sussurrarlo all'orecchio e farlo ridere.
Ma non poteva, dato che Griffin era sempre lì, sempre, costantemente. E Lance sinceramente era stanco di doversi reprimere, di seppellire tutto quanto, che tanto quando c'era lui tutto saltava fuori, che di nascondersi non ne poteva più.

Fumava.
Lo faceva spesso, d'inverno. D'estate no, gli faceva venire caldo. E d'estate Griffin partiva, quindi non aveva motivo di farlo. Ma era inverno, c'era la cena di squadra per il compleanno dell'allenatore Shirogane e Keith era fuori, e fumava. Avere accanto il suo ragazzo doveva essere estenuante, a giudicare dal suo pacchetto di sigarette vuoto, nonostante lo scontrino confermasse che l'acquisto era avvenuto il giorno prima. E Lance, a cui l'odore di sigaretta piaceva, era accanto a lui, al freddo, a stringersi nel proprio cappotto, le braccia conserte, come a fermare quell'emorragia che imperversava nel suo petto ogni volta che era al suo fianco. Specialmente quando fumava. Fumare lo rendeva attraente.
E Lance fece finta di buttare fuori del fumo con la condensa, e a Keith venne un po' da sorridere e lo invitò a fare un tiro, ma rifiutò con un cenno della testa.
"Fumare non fa bene agli atleti".

"Certo che sei proprio pignolo, eh".

"Ci tengo, tutto qui".

Ci fu un attimo di pausa. "Tieni anche a me, quindi?" lo provocò lui, e Lance sorrise di sottecchi.

"Non sentirti speciale".

E ancora silenzio. Lance lo odiava, il silenzio. E odiava che Keith fumasse e il motivo per cui fumava.

"Griffin ti ha dato filo da torcere?" domandò, sfilandogli la sigaretta dalle mani. Keith fece per riprendersela, ma poi lasciò cadere la mano. "Il solito. Non vuole che io parli con voi a tavola".

"Dio, ma come fai?" esclamò, e Keith si fece subito serio. "Lance, lo sai".

Si grattò il capo, arrendendosi all'ovvietà. "Sì, scusami. So che è difficile, non volevo essere indiscreto".

"Non fa niente, davvero" disse lui, ma Lance si strinse comunque nelle spalle, arrossendo.
Keith buttò la testa all'indietro e sospirò. "È che... è che ormai sono abituato. È successo così tante volte che è normale per me venir trattato male. Forse è il suo modo di amarmi, cosa ne so".

"Keith, se ti amasse non ti tratterebbe male. Se fossi in lui, mi farei un esamino di coscienza. È disgustoso il modo in cui si comporta, cosa ti dice, cosa fa, te l'ho già detto in trasferta: meriti tanto, tantissimo. E lui non è abbastanza"

Sospirò, ancora, ancora, e sospirava sempre, e Lance era così stanco di vederlo in quello stato. "So che hai ragione, ma fatico ad accettarlo".
Lance gli prese la mano, come sempre ornata di guanto, e la strinse, senza un apparente motivo. E Keith si appoggiò di nuovo alla sua spalla, ed erano soli, la sigaretta ancora accesa a scemare nell'aria fredda. E sanguinava.

"Keith" disse, il cuore a mille "C'è una cosa che dovrei dirti".

"Ti piaccio, non è così?" Tagliò corto Keith. Era così ovvio? Lance avvertì un senso di inquietudine e vuoto, vuoto, vuoto.
E stavolta lui sospirò. "Beh, sì. E mi dispiace".

"No, a me dispiace, per averti usato quella volta in trasferta".

"So che l'hai fatto, ma ti ho perdonato dal primo istante in cui me ne sono reso conto".

Keith si strinse di più a lui, e Lance si aggrappò a tutta la sua forza di volontà per non piangere. E gli poggiò un bacio sul capo, e sorrise, e oh, no, era tutto così perfetto e tutto così finto. Perché Lance era la sua spalla su cui piangere, e l'avrebbe solo usato, e lo sapevano entrambi.

"Non dovresti avere una cotta per me"

Lance sorrise, malinconico. "Non l'ho mica deciso io. Perché mai avrei dovuto decidere di prendermi una cotta per te? Sei la mia nemesi dai tempi del minibasket" Keith intrecciò le dita alle sue. "Mi dispiace. Mi dispiace da morire" si mise a ripetere contro la sua spalla, e a quel punto una lacrima colpì il suolo bagnato, e un'altra, e un'altra ancora. Non singhiozzava. Le lacrime scendevano e basta, mentre Keith mormorava le sue scuse, e si solidificavano sul suo viso, e facevano male, e facevano male anche le sue dita intrecciate alle proprie, e sanguinava ancora, emorragia, un fiume in piena. Ed era Keith che gli accarezzava le guance tentando di rassicurarlo: quella la ferita, non i punti di sutura.

***

"Cosa provi per me, Keith?"

La domanda era sorta spontanea dopo quella discussione. Era un pensiero che gli ronzava spesso nella testa, che lo tormentava, che lo ossessionava a tal punto da non riuscire a chiudere occhio per tutta la notte. Era così... ambiguo, no? Keith lo aveva rifiutato, ma con l'aria di chi avrebbe voluto accettare. Che lo avesse fatto per proteggere se stesso? Per proteggere lui? O semplicemente aveva le idee poco chiare e non voleva saltare a conclusioni affrettate? I quesiti senza risposta erano una costante nella sua mente, e lo assillavano quando erano insieme in qualsiasi situazione.
Non era cambiato niente tra loro, erano gli stessi, solo che adesso a Lance piaceva Keith e lui lo sapeva e forse qualcosa di diverso c'era, nel modo in cui lui stesso si teneva un passo indietro rispetto al corvino, nel modo in cui cercava in ogni modo di evitare i suoi occhi, nel modo in cui all'inizio degli allenamenti, prima che arrivasse Griffin, Lance e Keith si sedevano vicini e si toccavano con le spalle e non dicevano assolutamente nulla, godendosi quella quiete, entrambi troppo spaventati per allungare una mano e afferrare quella dell'altro. Ogni tanto parlavano, ma solo quando arrivava qualcuno in più; sarebbe stato strano se fossero rimasti semplicemente vicini in silenzio con gli altri intorno, e senza dirselo l'avevano capito.
Aveva scoperto da poco che Keith aveva salvato il numero di Lance sul cellulare con un cuore stilizzato. Non era cosa da Keith salvare un contatto con un cuore. Si scrivevano spesso, a qualunque ora, anche più di prima che Lance confessasse, e la cosa lo confondeva e lo rallegrava allo stesso tempo: aveva temuto che non volesse più parlargli, che forse Griffin l'avrebbe scoperto e ammazzato di botte, ma ora erano lì, e Keith gli scriveva qualsiasi cosa gli passasse per la testa, e Lance faceva lo stesso – trattenendosi tuttavia dal mandare smancerie che avrebbe voluto dirgli davvero. Era difficile, senza dubbio.
Ogni tanto, quando sapeva per certo che Keith non era con Griffin, qualche stupidaggine romantica gliela scriveva; e per sua fortuna Keith sembrava stare al gioco. Ogni tanto gli lasciava qualche bigliettino nel borsone del basket. Ogni tanto gli lasciava un bacio sulla fronte, quand'erano soli. Ma era ogni tanto, e Lance voleva che fosse sempre.

E cosa provava per lui, Keith?

Malgrado tutto quello, ancora non sembrava esser giunto a una conclusione. Keith non aveva tempo per pensare, cercava di riempirsi di cose da fare per passare meno tempo possibile sia con Griffin che con Lance, e di discutere non ne aveva mai il coraggio, né con l'uno né con l'altro, che di perderli non aveva proprio voglia; ma James era una presenza tossica per Keith, e a sua volta Keith era una presenza tossica per Lance, la consapevolezza gli bruciava nello stomaco. La verità era che non provava proprio nulla di vero per lui, ma lo desiderava così tanto e disperatamente che alla fine qualcosa nel suo petto si smuoveva quando Lance gli lasciava un biglietto stupido, o gli mandava qualche messaggio sdolcinato, o quando le loro gambe si toccavano, seduti sulla stessa panca, o quando, dopo essersi guardato intorno, gli lasciava un bacio sulla fronte. Ed era così meschino, così crudele fargli credere che qualcosa ci fosse davvero, così desolante pensare che, in fin dei conti, non ci sarebbe stato proprio niente, e Lance non meritava tutto quello. Lance era la persona migliore che avesse mai conosciuto, Lance era chi avrebbe voluto davvero accanto.
Ma era costretto, ormai, da quelle catene ancorate a Griffin, e non aveva modo di liberarsi; quel ragazzo lo aveva in pugno, e Keith ne era terrorizzato. Voleva solo dormire.

E ci riusciva solo quando Lance era lì, solo quando in trasferta si ritrovavano insieme in stanza e dormivano nello stesso letto, anche se ce n'erano per entrambi. E Lance lo circondava con le braccia, e Keith si rannicchiava contro di lui, e respirava, e sapeva che lui non dormiva quando facevano così, lo capiva dal fiato; ogni tanto, in dormiveglia, lo udiva sussurrargli parole malinconiche, accarezzandogli un po' i capelli, e Keith lo stringeva un po' più forte, perché sembrava che ne avesse bisogno, e il respiro gli si mozzava per qualche istante e smetteva di parlare. Non sapeva cosa farsene, dei suoi sentimenti. Erano troppo nobili e troppo profondi, e lui ci stava lucrando sopra.

Lance era perfettamente al corrente del fatto che Keith non ricambiasse, ma forse non gli importava neanche. Gli bastava tutto quello, o forse no, ma poco importava. Doveva esserci per Keith, e se quello era il prezzo da pagare, ben venga: lo amava. Ed era decisamente troppo grande da gestire, quella roba, troppo complicata, ma non poteva rovinare le cose in quella maniera, perché lo amava e se farsi usare era l'unico modo per stargli accanto alla fine non aveva più rilevanza, che porre la sua felicità davanti alla propria era la priorità. Che lasciarlo dormire quieto contro il proprio petto alla fine era rassicurante, ma tremendamente doloroso, e doveva buttar fuori quelle parole. Che ripetergli che lo amava mentre lui dormiva non era abbastanza, perché non poteva sentirlo.

"Che cosa provi per me, Keith?"

E se lo chiedeva di nuovo, e glielo domandava sottovoce, raggomitolato sotto le coperte, i loro corpi avvinghiati l'uno all'altro. E Keith faceva quei suoi sbuffetti con le labbra, e Lance sorrideva e gli baciava il capo, e Keith, non troppo addormentato ma neanche troppo sveglio, gli accarezzava distrattamente e dolcemente il petto. E forse non era poi così addormentato, perché rispose:

"Non lo so".

Lance sussultò, il viso a fuoco, il cuore che impazziva e sanguinava e rimbalzava.

"Scusa, pensavo dormissi, non volevo che mi ascoltassi".

"No, sono io a doverti chiedere scusa per aver origliato".

Ci fu una pausa nel buio della stanza. "Hai sentito proprio tutto...?"
Annuì. Silenzio, un silenzio di riflessione, ma fin troppo assordante.

"Lance, voglio essere sincero con te: se provassi qualcosa per te ti metterei soltanto in una situazione scomoda. Non posso e basta, finché c'è lui".

Lui sbuffò, contrariato. "Devi levartelo di torno".

"Questo lo so, okay? Ma non è così facile come credi".

"Perché tu lo ami ancora, non è così?" Parole sputate come veleno caddero con un tonfo vuoto. Keith sentì l'aria farsi rarefatta.

"Lance, è complicato da spiegare".

"Sono stanco, Keith" sbottò lui "Sono stanco di essere la tua seconda scelta, di venir messo da parte perché c'è lui. Io ti sto accanto, mi faccio in quattro per te e sopprimo più di quanto credi quello che provo, e tu... e tu mi usi. Non dispiacerti, hai bisogno di affetto e io te lo sto dando e te lo darò sempre, ma voglio che tu sappia che c'è qualcuno che è disposto a trattarti meglio di lui, che ti aspetta proprio qui, va bene?" La voce tremula, gli occhi lucidi, Lance tirò su col naso e concluse il suo sfogo, sentendosi peggio di prima. Keith allentò la presa e rimase in silenzio per qualche istante.

"Sei troppo per me, Lance" mormorò con tono vacillante "e non ti merito".

"Non mi interessa. Voglio solo starti vicino, è tutto quello che desidero, e lo farò a prescindere".
Keith si sollevò sui gomiti per guardare bene Lance in viso, quel viso lacerato dalla sofferenza, e il suo cuore si strinse in una morsa mentre accarezzava la sua guancia. Lui sorrise languido, anche se tutto quello gli faceva male, e gli mise un ciuffo ribelle dietro l'orecchio; e Keith arrossì, anche se Lance non poteva vederlo, e sorrise flebile. E fece per avvicinarsi a lui, che forse quelle labbra un po' le bramava, ma fu interrotto quando Lance, a un centimetro dal suo viso, soffiò un:

"Keith?"

"Sì?"

"Per favore, non baciarmi."

***
Keith era cambiato.
Lance lo percepiva, lo provava sulla sua pelle, nel modo in cui cercava di evadere, nel modo in cui cercava in Lance un esodo sempre più strenuamente: era riuscito a dire no a James, era riuscito a ribellarsi, e si era permesso di uscire con i suoi amici, e passare la notte, al sicuro, da Lance; ormai non serviva più la trasferta perché Keith la passasse con lui. Spesso si ritrovavano l'uno a casa dell'altro, l'uno tra le braccia dell'altro, a raccontarsi tutto e niente, le mani ruvide ad accarezzare quelle guance paonazze. Era uno spreco, probabilmente, tutto quell'amore e niente da esplicitare; ma Lance era felice lo stesso, che quella versione di Keith era solo sua, che era un po' come stare insieme senza stare insieme.
Ci stava provando, finalmente; stava provando a lasciar andare Griffin, stava provando a ritornare in sé.
Ma non lo aveva ancora lasciato, non ci pensava neanche. Quando ne parlavano, nei rarissimi casi in cui accadeva, Keith sviava il discorso o tagliava corto o diceva che le cose andavano meglio, che Griff era più permissivo, che respirava, anche se non era altro che mera illusione. E Lance provava a convincerlo che non era così, che era talmente incantato da James che non poteva ragionare con lucidità, che il motivo per cui lui era così 'permissivo' era perché Keith si stava facendo valere, e pensare che lui si stesse facendo mettere di nuovo i piedi in testa no, no, non era ammissibile, e Lance avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare che ciò avvenisse.

E in effetti Griffin sembrava più calmo –o quantomeno manteneva il controllo; non sbottava più in campo contro gli altri, anche se il suo atteggiamento arrogante perseverava, e Keith non era più ricoperto di lividi. Però Lance aveva capito, oh se lo aveva capito, che Griffin stava solo cercando di riaccaparrarsi il suo ragazzo facendo buon viso a cattivo gioco, e non lo avrebbe permesso.

Ed era cambiato, ed era anche più sicuro nei suoi modi di fare, e Lance lo amava, quello non era cambiato affatto. E Keith era sempre più vicino e sempre più intimo e Lance si arrendeva a malincuore a quelle provocazioni, perché alla fine cosa c'era di reale in quelle carezze? In quelle parole, in quei baci che erano ovunque tranne che sulle labbra? Era meglio non illudersi, tenere gli occhi bene aperti e il cuore serrato, ma di serrato aveva solo lo stomaco in una morsa ogni volta che i capelli di Keith sfioravano il suo viso. E lo amava, ma odiava essere usato. E forse Keith non lo stava nemmeno usando, forse tutto quello era vero, ma finché sarebbe rimasto James al suo fianco sarebbe sembrato falso. Che quel rossore ormai perenne sulle guance di Keith e quei sorrisi genuini non erano altro che oggetti di scena.

Forse di perdonarlo era un po' stanco. Ma di lui, no, non lo sarebbe stato mai.

Ed erano in trasferta, un'altra volta, e Keith era in stanza con Griffin, un po' perché costretto, un po' perché voleva vedere come sarebbe andata quella volta.
In realtà, la presenza di James nella sua vita era come una zecca difficile da tirar via, non tanto perché gli piacesse ancora, ma perché non intendeva demordere; e ogni volta che tentava di mollarlo, Griff si faceva la vittima oppure lo scherniva, e Keith si ritrovava forzato a rimandare il discorso, e rimandare, e rimandare, anche se la cosa non gli andava a genio, in quanto c'era qualcosa che doveva crescere per qualcun altro sotto quel cemento che erano i suoi sentimenti per Griffin, e non meritava di restare lì schiacciato. Così aveva deciso: quella era la sera in cui lo avrebbe mollato definitivamente. Che effetti avrebbe avuto sul campionato o sul rendimento della squadra non importava un bel niente, era uno sport, ed era normale che ci fossero incongruenze tra gli atleti e che esse influissero sulla partita. Non importava, non importava.

E poi, lo doveva a Lance. Lo aveva fatto attendere troppo a lungo. Chissà se gli piaceva ancora.

Ed era lì, sul proprio letto, il cellulare in mano e la chat di Lance aperta, e semplicemente gli stava comunicando i risultati del draft dell'NBA di quell'anno, commentandoli insieme; a breve sarebbero andati a dormire, in quanto il giorno dopo si sarebbe tenuta la seconda fase del torneo a cui stavano partecipando. Forse ne facevano un po' troppi, e per giunta ne avevano vinti ben pochi, ma quel torneo sembrava promettere bene, dunque Keith, in quanto neoeletto capitano della squadra, ne era abbastanza soddisfatto.
Aveva colto quell'istante per parlare con Lance visto che Griffin in quel momento si stava preparando per andare a dormire: quand'era intorno a lui, Keith non poteva neanche accendere un secondo il telefono per controllare le notifiche che Griff allungava l'occhio per monitorarlo, per sventare ciò che sospettava ci fosse tra lui e Lance. Più volte gli aveva fatto scenate di gelosia, e più volte erano finite male, quindi aveva capito che stare al telefono quand'era nei paraggi non era una buona idea. Infatti, non appena udì aprirsi la porta poggiò il telefono sul comodino e prese in mano il libro che si era portato con sé come escamotage per non stare con James.

"Stai ancora leggendo quel libro?" domandò lui, poggiandosi allo stipite con lo spazzolino in mano, e Keith fece un cenno, fingendo di essere estremamente interessato alla lettura.

"Non è che lo fai per non parlarmi?"

Lui sbuffò. "Griff, mi lasci leggere in pace?"

James sorrise, un sorriso sinistro. Mise lo spazzolino nell'apposito contenitore e si distese sul proprio letto, osservando Keith, il cui battito prese a martellare per la paura. Che intenzioni aveva?

"Sei fermo a quella pagina da un po', non credi?"

"Fatti un po' i cazzi tuoi. Ognuno ha i suoi tempi"

"Lo fai per evitarmi, no? È un pretesto per non parlarmi"

"È solo un libro..."

"Se lo fosse, potresti metterlo giù e parlare con me, non credi?"

"Non ho voglia di parlare con te."

Griffin si alzò di scatto e gli strappò il libro di mano, per poi lanciarlo dall'altra parte della stanza. Keith sbuffò, stizzito, e gli lanciò un'occhiataccia. "Credi di aver risolto qualcosa così?"

"Stai facendo troppo l'arrogante stasera."

"Beh, è colpa tua. Se tu non mi trattassi in questa maniera, io sarei più gentile".

Griffin lo prese per il colletto, avvicinando il suo viso e sibilando:
"Vedi di comportarti come si deve, pezzo di merda. Sono il tuo ragazzo e devi portarmi rispetto".

Keith lo spinse via e si alzò. "Una relazione si basa sul rispetto, sì, ma reciproco. Non mi sembra che tu mi stia trattando come si deve".

Lui ridacchiò, i ciuffi castani a cascargli sul viso. "Quindi sarei io? Mi stai ignorando, è come se non esistessi. Non è educato, specialmente nei miei confronti".

"Ah, certo, io non posso usare certi toni con te, però picchiarmi e umiliarmi va bene, eh? Non so se lo sai, ma neanche questa è una cosa educata".

"Non ti picchio più, che cazzo stai dicendo?"

Keith a quel punto scoppiò, come colata lavica tutto quello che aveva dentro, tutto l'odio, il disgusto, l'ira. Come fungo atomico distrusse qualsiasi cosa incontrasse, e forse distrusse anche lui, sia implosione che esplosione.

"Mi spieghi che ti passa per la testa? Mi hai picchiato più e più volte, è già un problema di per sé, e non mi interessa se non lo fai più o se non hai più intenzione di farlo: è successo. L'hai fatto. Mi hai intenzionalmente fatto del male sia fisico che psicologico, urlandomi addosso sia in privato che in pubblico, gettandomi addosso la tua frustrazione come se fossi la tua punching ball personale, e mi hai trattato come un oggetto senza mai chiedermi cosa volessi io, di cosa avessi bisogno: nella tua testa ci sei solo tu, tu, tu, tu, e non ti sopporto, sei una persona di merda! Fatti due domande qualche volta, no? Secondo te perché sto con Lance e non con te? Perché lui mi tratta bene e mi fa sentire speciale e tu... tu mi odi, tu mi vuoi solo per te, perché sei una persona ossessiva e malata, e sai una cosa? Io ho pure provato ad amarti, qualche volta. E ho solo perso tempo! Mi sono sprecato con te, ho dato tutto per te, e l'unica cosa che ho ricevuto in risposta sono le botte, solo botte! E lo sai cosa facciamo io e Lance? Eh? Cosa fa lui? Lui mi accarezza, e mi abbraccia, e-"

Neanche il tempo di finire la frase che James aveva già messo le mani addosso a Keith, e fu uno schiaffo, poi un altro, e un altro ancora. E poi fu un pugno, e un dolore lancinante al setto nasale, sapore metallico in bocca, e inciampando cadde per terra con un tonfo. Provò a rimettersi in piedi e gridò aiuto, ma Griffin lo spinse di nuovo giù cacciando un urlo e tappandogli la bocca, togliendogli l'aria; ma Keith gli morse la mano e riuscì a liberarsi. James allora lo afferrò per i capelli con l'altra mano, strattonando con veemenza, e lacrime iniziarono a sgorgare per il dolore sul suo viso, e pregò di lasciarlo andare tra i singhiozzi ma lui non ascoltava, non ascoltava mai, perché avrebbe dovuto? Keith era un oggetto, gli oggetti non parlano, quindi perché avrebbe dovuto?

La porta si spalancò di botto, facendo sì che Griffin si fermasse, colto in flagrante; l'allenatore Shirogane e Lance si riversarono nella camera, e lui indietreggiò, in silenzio, mentre Shiro tuonava:

"Che cosa cazzo sta succedendo in questa stanza?!"

Griffin osò far finta di niente. "Nulla, io e Keith stavamo risolvendo una nostra faccenda da soli, ed è anche fastidioso che vi siate intromessi".

"Non fare questo giochino Griffin, tu vieni immediatamente con me. Sono già al corrente di alcuni tuoi comportamenti e prenderò provvedimenti. Prepara la tua roba, vieni a stare in camera mia e non accetto repliche, domani mattina sarai già sull'aereo di ritorno".

"Ma Shiro, domani c'è la partita! Non potete fare a meno di un playmaker!" Shiro lo prese per un braccio, trascinandolo fuori dalla camera. "Parliamone da un'altra parte. Lance, occupati di Keith. Torno a controllare non appena avrò finito con Griffin".

Lance annuì; Shiro richiuse la porta dietro di sé, lasciandoli soli, e si fiondò da Keith, stringendolo in un abbraccio, e per Keith fu come respirare di nuovo dopo un'apnea. Lo strinse a sé e il suo odore gli inondò le narici, e gli baciò la spalla, e Lance lo strinse ancora più forte. Sciolse quindi l'abbraccio per dare un'occhiata alle condizioni di Keith, poi gli lasciò un bacio sulla guancia e disse:

"Cristo, come ti ha ridotto... Stai bene? Pensi di avere qualcosa di rotto?"

"Grazie, Lance" disse Keith stirando le labbra in un flebile sorriso; poi aggiunse, "Mi ha colpito molto forte sul naso, ma oltre al sangue non mi pare che sia rotto, è solo indolenzito. Però grazie, insomma".

Lui sorrise di rimando, poi fece per tamponare il sangue dal naso con la manica del suo pigiama, ma Keith lo respinse.
"No, no, non voglio lasciarti macchie" Ma lui era irremovibile, dunque lo lasciò fare; poi gli prese il mento tra le dita e gli fece girare il viso da una parte e dall'altra, in modo tale da vedere se avesse lividi o altro, ma aveva solo la pelle un po' arrossata. Il corvino gli sorrise con aria sorniona, le sue dita sul proprio mento, e non appena incrociò il suo sguardo Lance arrossì.

"Aaah, Loverboy!" esclamò Keith alla vista, e Lance si coprì subito il viso tra le mani per l'imbarazzo.

"Da dove ti è uscita questa?" E lui rise, e forse soffocò un sorriso tra le mani anche Lance. Poi ci fu silenzio.

"Che succede, Lance?"

Singhiozzo. Un altro. Un altro ancora. Le lacrime, copiose, bagnarono le sue mani e il pavimento sottostante, e Keith lo strinse subito a sé ma Lance piangeva sempre di più. E Keith avrebbe voluto chiederglielo, chiedergli cosa ci fosse che non andasse, ma era terrorizzato dalla risposta perché la conosceva già.
Era lui la causa. E faceva male.

Tirò su col naso, fece un bel respiro, tentando di ritornare in sé, ma i respiri erano tremuli e il cuore andava troppo forte e le parole incespicavano l'una sopra all'altra, e Keith tentava di rassicurarlo, ma sapeva di non poterlo fare.

"Okay" deglutì "okay, scusami. Era il momento peggiore per avere un crollo emotivo, non volevo".

"Mi hai detto tu che va bene piangere, quindi fai pure".

"Non posso, non devo e non voglio. Sarebbe ridicolo piangere da parte mia, visto che sei tu quello messo peggio".

Keith sospirò. "Smettila di reprimere, va bene? È tutto a posto, adesso, io sto bene. Quindi sfogati pure" Lance annuì; ma non piangeva più. Fissava il vuoto come se tutto ciò che lo circondasse non avesse più senso, come se avesse perso la sua scintilla.

Stavolta il cuore a sanguinare era il suo.

Lo abbracciò, lo strinse, gli passò le dita tra i capelli, ma Lance sembrava non essere più capace di rispondere a qualsiasi stimolo esterno, a malapena ricambiava l'abbraccio. E gli prese il viso tra le mani, avvicinando il proprio, e lui sorrise con quell'aria languida e malinconica allo stesso tempo, gli occhi gonfi, e mormorò: "Per favore, no";
ma Keith lo ignorò, e forse avrebbe dovuto farlo molto tempo addietro, che tutte quelle clessidre gli sembravano sprecate, che forse un bacio del genere gliel'avrebbe dato molto prima, che forse se ne sarebbero dati tanti altri, ed era arrabbiato, e cercò di nuovo quelle labbra per colmare quella rabbia, come a ripagare tutte le volte che aveva sprecato quei baci per quel mostro, come a compensare tutto il male che gli aveva arrecato, ma non lo riempiva, no, quel vuoto non andava via, perché Lance era in silenzio, immobile, e non ricambiava.

Quando si separò da lui, ricercando una reazione, lo vide di nuovo in lacrime, a fissare il pavimento, e con quell'espressione in viso, quella che faceva più male di mille lame conficcate nel petto.

"Non farlo mai più" disse con quel sorriso triste, e Keith lo ignorò di nuovo e lo baciò una seconda volta, ma Lance lo spinse via.

"Ti amo, Keith, più di quanto immagini" disse "ma non voglio che ti metta nei guai per me"
Quelle parole furono come mare in piena, lo investirono a velocità supersonica, e dovette fermarsi a elaborare la cosa per qualche istante, le dita che scivolavano sulle sue spalle. Gli lasciò l'ennesimo bacio e disse:

"Credi che mi importi? Sono stanco anch'io. E anch'io voglio quello che vuoi tu".

"Non è vero. Non sono ciò che vuoi. In me cerchi un rimpiazzo, no?"

Keith si strinse nelle spalle. "Forse all'inizio era così, ma le cose sono cambiate e io voglio te e voglio anche che tu mi creda, perché sono sincero, e so che lo sai".

"Non farmi del male" riuscì a formulare Lance tra i singhiozzi "Ti prego".

"Perché dovrei?"

"L'hai già fatto, e io non voglio fare lo stesso con te".

"Non ci autodistruggeremo, okay? Tu mi hai... tu mi hai tirato fuori da questa situazione, non mi faresti mai del male, e io so di avertene fatto e sono mortificato, ma voglio dimostrarti di poter fare di meglio. Io provo lo stesso, Lance. E non lo dico per farti felice o perché sto pensando a lui. Sei tu".

Fu allora che Lance riuscì a sorridere, e Keith prese il suo viso tra le mani e lo baciò, una terza volta, e lui ricambiò finalmente, e poi di nuovo, e ancora un po', che non ne aveva mai abbastanza, e forse quello spazio non c'era più, e forse quella notte avrebbero dormito insieme, avvinghiati in un letto troppo grande per entrambi, dita intrecciate e la mente libera.

Sanguinavano entrambi. Ma potevano guarire.
 

.......
Salve a tutti! Torno nel magico mondo di efp con una Klance, spero vivamente che sia piaciuta :)

 

   
 
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