“Tutta
questa storia non mi piace…. Sei certo che abbiamo fatto
bene ad
accettare questo caso?” Kaori si guardò intorno
con titubanza, mentre lei e Ryo
entravano nella hall dell'albergo, in stile antico, ai piedi del monte
Fuji.
“Che
rottura,
Kaori, sei tu quella che si lamenta che non accetto incarichi da
uomini… per
una volta che lo faccio, mi pianti la grana!” Ryo
sbuffò, mentre, dentro di sé,
se la rideva della grossa e pregustava la ricompensa finale che gli
sarebbe
toccata, o perlomeno il gusto della caccia... sì, era vero,
per una volta aveva
accettato un caso da parte di un uomo, ma Kaori non era certo nata
ieri, aveva
capito che lui non era esattamente mosso da nobili motivi e
perciò lo fulminò:
sapeva benissimo il perché della decisione del socio.
A
lui non
interessava il cliente, ma le di lui figlie, Yumiko e Yuriko, le
avvenenti
giovani gemelle, modelle di biancheria intima, che erano sparite nel
nulla
mentre facevano le turiste… Ryo, appena viste le fotografie
tratte da numerosi
cataloghi di intimo di alta gamma di diverse griffe europee, aveva
messo la sua
tipica faccia da allupato, ed aveva iniziato a sogghignare,
probabilmente
immaginando come le due sorelle lo avrebbero ringraziato una volta che
lui
fosse corso in loro aiuto.
Perché,
logicamente, anche loro sarebbero cadute vittima del fascino di Ryo,
come
succedeva sempre, ogni volta. Ed ogni volta, Ryo ci stava, stava al
gioco, si
lasciava sedurre da due moine, da sguardi ammiccanti, e non porgeva la
benché
minima attenzione a ciò che Kaori provava.
Anzi:
la
rimproverava pure, rammentandole che lui era il suo tutore. Che lei era
solo la
sua socia. Che lei non poteva decidere della sua vita. Non erano
sposati, che
si trovasse qualcun altro a cui fare scenate di gelosia…
Kaori
si sentì
pervadere da una sensazione di paura, quasi tutto il suo corpo fosse
percorso
da brividi, mentre camminavano nella hall, e si strinse nelle spalle,
rattristata ed insicura, mentre stava alle spalle di Ryo, e fu
totalmente
incapace di scacciare quei pensieri crudeli, derisori, che la
ferivano… si
sentiva osservata, quasi mille occhi le stessero scrutando dentro, nel
profondo
dell’animo, sussurrandole quelle parole che sì la
ferivano, ma che la giovane
donna non poteva che troppo spesso ritenere veritiere.
Accelerò
il
passo, notando che Ryo era ormai giunto al bancone e stava parlando con
una
vecchina, dall’età indefinibile, quelle donne dai
lineamenti quasi contorti dal
tempo, la pelle quasi di carta, i capelli raccolti in uno chignon
così stretto
che sembrava le tirasse la pelle del viso. Si fermò dietro
di lui, scrutandolo
ad alcuni passi di distanza, tentata di sfiorarlo ma avvertendo al
contempo di
non averne alcun diritto.
Le
sue spalle… una
lacrima minacciò di lasciarle gli
occhi, ma lei scosse il capo, non voleva piangere, voleva essere forte,
determinata, non voleva mostrargli come vivesse nel dubbio che, di lui,
avrebbe
visto solo quello, quella schiena forte, grande, ma che era quasi una
metafora
del loro rapporto.
Lui,
il capo;
lei, la segretaria/domestica/tuttofare, ma nulla di più. Un
maschiaccio. Un
peso. Qualcuno che, avesse potuto scegliere, lui di certo non avrebbe
mai preso
sotto la sua ala protettrice – lui che aveva diviso il campo
con uomini come
Mick Angel e Kenny Field, uomini capaci, in gamba, donne come Mary e
Sonia o
Saeko, tanto belle quanto letali, o anche solamente Kasumi, che forse
non era
sweeper come lui, ma era una ladra brava come poche…
E
lei, lei cosa
aveva da offrirgli? Nulla: Ryo stava con lei solo per pietà,
a malapena sapeva
fare le pulizie, non sapeva nemmeno cucinare, lo aveva sempre
detto…
“Beh,
che hai?”
Lui le domandò, seccato, alzando un sopracciglio, mentre
appoggiava con entrambi
i gomiti sul bancone della reception; la vecchina si era allontanata,
forse
alla ricerca di qualcosa di appartenuto alle ragazze, chissà.
Kaori
fece per
dare una risposta piccata, ringhiare, sbraitare, ma poi non lo fece,
nonostante
la tentazione: non era al massimo delle sue capacità, lo
sapeva bene, e
comunque, come diceva sempre Ryo, le sue capacità erano
estremamente limitate.
Cosa
pensi di fare accanto a lui? Non gli servi a nulla…
Kaori
si portò
una mano al collo, quasi stesse cercando la causa di quella corrente
fredda
improvvisa o la presenza di qualcuno che le avesse parlato,
bisbigliandole
quelle parole nell’orecchio, ma non trovò nessuno:
avrebbe dovuto immaginarlo,
era tutto nella sua testa, dubbi, stress, stanchezza e soprattutto quel
luogo
così spaventoso in cui le ragazze si erano
smarrite…
Il
bosco di Aokigahara,
meglio noto come il bosco dei
suicidi. A lei non
erano mai piaciute le
storie dell’orrore, temeva gli spettri, credeva nel
paranormale, e sapere che
era lì che avrebbero dovuto cercare quelle due ragazze non
l’aveva certo
rassicurata.
“Bah,
se vuoi
fare la sweeper ed essere mia socia, sarà meglio che ti
faccia passare questa
fissa, guarda che gli spettri mica esistono!” lui
esternò, tronfio come solo
Ryo poteva essere. E Kaori ringhiò, pronta a brandire uno
dei suoi martelli. E
allora, quelle due sorelle, come la metteva con loro? Avevano perfino
avuto
come cliente un fantasma, e lei era stata posseduta!
“Signor
Saeba?” La
vecchina riapparì; guardava Ryo con aria dolce e trasognata,
ma sembrava
lanciare, al contempo, sguardi freddi e crudeli a Kaori. La donnina non
era
sola: un giovane di bell’aspetto, forse coetaneo di Kaori,
dai boccolosi
capelli biondi e gli occhi azzurri era con lei – un ragazzo
che, a dispetto dei
colori quasi innaturali, era giapponese, come evidenziato dalla grana
della
pelle e dai lineamenti somatici. “Michi è una
guida. Sarà lieto di venire con
voi alla ricerca delle giovani scomparse.”
La
donna si profuse in
un
inchino, dando ancora una volta a Kaori la sensazione che lei non fosse
la
benvenuta, e poi sparì, lasciando il trio da soli. Michi si
voltò, guardandola
allontanarsi, ed il suo sguardo amichevole
e complice presto si trasformò in ghiaccio, il
freddo che sembrava
essere emanato da quegli inusuali occhi di ghiaccio.
“Perdete
tempo,”
Affermò, con brutale sincerità, con un tono che
sembrava parlare del tempo, di
una partita di calcio, e non di una situazione di vita o morte.
“A quest’ora
saranno già morte. Nessuno si perde per caso in quel bosco
– si va lì per
morire.”
“Sciocchezze!”
Ryo sentenziò, mettendosi le mani in tasca dei jeans neri.
“Probabilmente si
sarà rotta la bussola e avranno perso la strada!”
“Non
ditemi che
non vi avevo avvertiti…” Michi
continuò, la voce bassa; Kaori lo guardò, e le
sembrò quasi che il giovane sorridesse con
un’espressione perversa e crudele
mentre sollevava da terra il suo zaino e si incamminava verso
l’uscita
dell’hotel. “Andiamo, allora, inizieremo le
ricerche oggi, ma dovremo sbrigarci
– spesso cade la nebbia, su questo posto.”
L’ingresso
della
foresta, segnalata da un grosso cartello in legno, scritto in
Giapponese ed
Inglese, era a poche decine di metri dall’albergo, forse
duecento al massimo.
Michi e Ryo camminavano davanti, e Kaori stava loro dietro, tenendo la mano sul cuore,
sobbalzando al
minimo rumore che avvertiva fosse anche il semplice rombo di un motore.
“Accipicchia,
strano forte questo posto…” Ryo
sentenziò, alzando lo sguardo; alberi altissimi
si issavano, fitti, verso il cielo, i loro rami si intrecciavano, ai
lati del
sentiero, creando quasi un passaggio, una cupola che sembrava creata ad
hoc, e
non certo opera fortuita della natura.
“Sono
i minerali
presenti nel terreno. Rendono così gli alberi. Per questo la
foresta è molto
fitta, e ci si rischia di perdersi.” Michi spiegò
loro, freddo. “Non perdete il
sentiero, o sarà impossibile ritrovarvi – le
bussole ed i telefoni, qui, non
prendono. Per questo dovreste dire al padre delle ragazze di
rassegnarsi. Non
si esce vivi da qui.”
Di
nuovo, a Kaori
parve che lui la stesse guardando, con un ghigno sinistro, ma poi si
rese conto
che no, non era così… si disse che era stata la
sua immaginazione, e
nient’altro. Era solo un’impressione. Suggestione.
Quel luogo.
Se
ti perdessi qui, nessuno ti ritroverebbe più, nemmeno
Ryo… e
poi, perché dovrebbe cercarti? Sei solo un peso…
Si
guardò
intorno, ma non vide nessuno: la voce era nella sua testa, si disse.
Solo
l’immaginazione ed il freddo, era solo la corrente
d’aria, il vento. Si
convinse che era la sua immaginazione, che quel luogo la stava
impressionando
più di quanto non volesse dare a credere, a vedere, ma man
mano che avanzava, e
scendeva il buio, Kaori sentiva che quelle parole erano sempre
più vere, e
vedeva, avvertiva Ryo più lontano che mai, sia col
corpo… che con l’animo.
Non
ha mai detto di amarti come donna. Perché per lui sei solo
una
virago, un travestito, non hai fascino, capacità…
sei solo un problema, un
ostacolo. Se tu non ci fossi, non sarebbe sempre in pericolo. Sarebbe
sano e
salvo. Felice. Accanto ad una donna che può davvero amare.
Kaori
si morse le
labbra, e fu quasi tentata di correre via, indietro, mollare tutto e
tutti:
odiava quel caso, quel luogo, non si era mai sentita così
insicura in tutta la
sua vita, però poi vide qualcosa, quasi un flash, un lampo-
giallo in mezzo al
vede, marrone, grigio e nero del bosco.
Una
tenda da
campeggio.
“Ryo,
torna qui!”
Lo chiamò. ”Ma… il padre delle gemelle
non ha detto che avevano una tenda
così?”
Ryo
squadrò la
struttura; sembrava, effettivamente, quella di cui l’uomo
aveva parlato.
“Ho
carta e
penna, lasciamo alle ragazze un messaggio,” Michi
sentenziò. “Si sta facendo
buio. Se torneranno alla tenda, lo troveranno e torneranno a
casa.”
“Sempre
che non
si siano perse…. la nostra bussola è andata, e
probabilmente anche la loro era
nello stesso stati.” Ryo sbuffò, mentre prendeva
una piccola bussola dalla
tasca della giacca: gli aghi ruotavano, pazzi, muovendosi incapaci di
fermarsi.
“Dormiamo qui, riprenderemo le ricerche domani mattina.
Almeno, adesso sappiamo
che erano in zona. Kaori, vai con Michi, farò io il primo
turno di guardia.”
Michi
si limitò a
scrollare le spalle, e Kaori lo lesse come un'ammissione che, che
stessero o
meno, a lui non importava, sarebbe stato pagato comunque, anzi, forse
quel
contrattempo avrebbe magari comportato un bonus. Michi si
avviò verso la tenda,
scostando con una mano il pesante tessuto impregnato
dall’umidità della nebbia
che stava scendendo, e Kaori si voltò a guardarlo, prima di
tornare a fissare
Ryo, col cuore in gola e gli occhi bassi.
“Beh?
Non avevamo
detto che non dovevi avere paura?” La schernì lui,
in quel suo modo che a lei
parve cattivo e crudele che, in mille altre occasioni,
l’avrebbe fatta
arrabbiare, ma che lì, in quel momento, la faceva solo stare
peggio, la faceva
sentire...
Inadatta,
incapace, inutile… non certo come era stato Hide…
“Kaori,
se non
vuoi restare liberissima di non farlo. Di un caso così
semplice posso
occuparmene anche da solo, non mi serve certo la balia!”
La
donna sgranò
gli occhi, cercando quelli sfuggenti e freddi di Ryo, e si
sentì mancare, il
cuore che le si spezzava nel petto, andando in mille pezzi che
chissà se si
sarebbero mai più rimessi a posto.
Parlare
era
inutile: Ryo l’avrebbe solo presa di più in giro,
aumentando le sue
insicurezze, i suoi dubbi.
Adesso
basta, si
disse mentre, senza aggiungere altro,
si voltava e camminava lenta verso la tenda. Era tornata da Ryo
perché credeva
che, col tempo, le avrebbe detto - avrebbe ammesso- di amarla, ma con
ogni
giorno che passava, si faceva sempre più certa in lei la
consapevolezza che lei
avesse travisato le sue parole. Che lui avesse parlato per confondere
il
generale. Che lui l’avesse
illusa con
quel bacio per spingerla a lasciare la nave, alleggerendosi la
coscienza.
Adesso
basta, Si
ripeté, mentre entrava nella tenda, e
si sedeva su uno dei sacchi a pelo delle ragazze; avrebbe smesso di
credere
alle favole, ai sogni. Avrebbe fatto le valigie e raggiunto la sorella
in
America, si sarebbe lasciata quella vita alle spalle. Ryo, Miki, Mick,
Saeko…
Credi
davvero di poterti dimenticare del tuo amato fratello, di
colui che si è sacrificato per te per tutta la vita? Che
è morto nel giorno del
tuo compleanno, mentre tu ti facevi i castelli in aria immaginando il
suo socio
innamorato di te?
Si
tappò le
orecchie, nonostante sapesse che fosse totalmente inutile: Hideyuki non
era
certo lì con lei, era tutto nella sua testa, e quel luogo,
le leggende che lo
riguardavano, rendevano quel pensiero più reale, ossessivo,
trasformavano il
suo flusso di coscienza, modulandolo sulla voce calda e tranquilla
dell’amato
fratello adottivo, che però in quello stato agitato e
turbolento era divenuto
un sibilo freddo e crudele.
Non
dormì:
osservò, stringendosi stretta, la figura di Michi, il petto
che si alzava ed
abbassa ritmico, il flebile suono del suo respiro tranquillo; ogni
atomo del
suo essere era all’erta, e le ombre degli alberi, mossi dal
vento, le
ricordavano visioni di incubi infantili, paure incise nel suo DNA ed in
quello
di migliaia di altri uomini e donne per il mondo.
E
poi, la vide:
un’ombra che non poteva che appartenere ad una persona,
lunghi capelli mossi
dall’aria, foglie e rami calpestati, spezzati… col
cuore a mille ed il fiato in
gola, Kaori lasciò la tenda, afferrando la pistola
appartenuta ad Hideyuki, e
corse dietro all’ombra misteriosa, vento e gocce di cheta
pioggerella autunnale
che le rigavano il volto, i rami che le si impigliavano nei corti
capelli
rossi, scorticandole la pelle del viso.
“Aspetta,
ti
prego!” Urlò alla giovane, vestita di un lungo
abito bianco, che sembrava
risplendere ed emanare luce propria. “Sei una delle gemelle
Kurahashi?"
La
figura
femminile si fermò di scatto, e si voltò verso
Kaori, prendendo tuttavia a
camminare all’indietro, quasi fosse intimorita dalla donna,
che le puntava la
pistola al petto. Un raggio di luna illuminò il volto della
ragazza, giovane,
forse adolescente, lunghi capelli neri lisci, luminosi, più
scuri delle tenebre
– sembrava un folletto, un creatura delle fiabe,
un’apparizione mistica.
Senza
nemmeno
sapere esattamente il perché, la sweeper abbassò
la sua arma.
“Non
fidarti di
lui,” la ragazza singhiozzò, a malapena
trattenendo le lacrime, le parole erano
come strozzate da un senso di disperazione talmente profondo che non
sembrava
nemmeno più umana. “Non ti puoi fidare di Michi,
lui non è quello che sembra!”
“Cosa?
Ma di cosa
stai parlando?” Kaori allungò una mano verso di
lei, ma la ragazza si voltò, e
prese a correre all’impazzata, senza fermarsi, quasi rami,
radici e terreno
sdrucciolevole per i suoi piedini scalzi non rappresentassero un
problema.
Mentre lei si allontanava, Kaori udì una voce alle sue
spalle chiamarla ad alta
voce, sempre più forte… Michi.
Ricordando
le
parole dell’apparizione, Kaori strinse con quanta
più forza aveva in corpo la
pistola, e prese a correre nella direzione opposta a lui, col cuore che
le
martellava nel petto, e sudore freddo che le appesantiva i vestiti,
rendendole
difficile muoversi. Temendo che la raggiungesse, decise di abbandonare
il
sentiero, ripromettendosi di farlo solo quel tanto che bastava da
essere
lontana da lui e seguire ancora da lontano la via maestra: le avrebbe
permesso
di guadagnare tempo mentre Ryo, rendendosi conto
dell’accaduto, non avesse
corso dietro alla guida, per ritrovarla.
Sempre
che non abbia di meglio da fare. Chi ti dice che non abbia
incontrato una bella ragazza e che adesso non sia nella tenda a farsela?
La voce perversa le sussurrò
all'orecchio, facendola rabbrividire
ancora di più. Kaori si fermò
all’improvviso, e nel farlo scivolò su un ammasso
di foglie, e cadde, lungo una piccola scarpata. La caduta fu breve,
quasi
indolore, tuttavia non riusciva a capire bene da che direzione fosse
giunta,
sentiva solo freddo, i versi degli animali selvatici, il
vento… e qualcosa di
duro su cui era caduta. Si alzò, pulendosi alla meno peggio
i pantaloni, e con
dita esitanti sfiorò l’oggetto che le aveva
procurato quel fastidio.
Quando si rese conto di cosa teneva in mano,
ricadde all'indietro,
un grido di atavico terrore che le esplose dalla gola, risonando in
mezzo alle
tenebre, causando stormi di uccelli scuri che si alzarono in volo,
gracchiando
l’uno sull’altro, togliendole quel poco di luce
lunare che le aveva illuminato
il cammino.
Un teschio - umano.
Arrancando, i palmi delle mani sbucciati,
tentò di rialzarsi,
appoggiandosi al tronco di un albero; era freddo, umido e viscido,
ricoperto
forse di muschio, e più lei provava ad alzarsi,
più scivolava… ormai i
pantaloni erano zuppi, macchiati, e anche strappati
all’altezza delle
ginocchia, quasi fosse stata una bambina irruenta - peccato che non ci
fosse
nulla dei giochi infantili che per troppo poco tempo avevano impegnato
le
giornate di Kaori quando era fanciullina.
Trovò un appiglio nelle tenebre, una
liana forse, un ramo spezzato,
non ne era certa, e stringendo i
denti,
vincendo il dolore che la percuoteva come una miriade di piccole scosse
elettriche, Kaori si issò in piedi, abbracciando quel
qualcosa che l’aveva
aiutata, provvidenziale.
La luna fece capolino tra le nubi grigie, vincendo
le tenebre, e
si soffermò con i suoi raggi su di lei, illuminando
ciò che l’aveva aiutata –
qualcosa di appeso ai rami di quell’albero, un ammasso senza
forma alcuna
ormai…. Il vento si abbatté su di lei, alzando
un’ondata di nauseabondo fetore
di morte, di marcio, di carne imputridita, mentre un qualcosa
di indefinibile scendeva in
picchiata sul corpo ormai
privo di vita da chissà quanto tempo, dimenticato come
tanti, troppi altri, nel
corso dei secoli.
Il corvo beccò qualcosa, prima di
posarsi su un ramo, e voltarsi
verso di lei; nel becco, qualcosa che spendeva, colpito dalla luce
delle stelle
e della luna: un occhio di vetro. Kaori si portò una mano
alla bocca, mentre in
lontananza sentiva gridare il suo nome. Era Ryo o Michi a cercarla?
Rispondere sarebbe potuto essere la sua sola
ancora di salvezza.
Rispondere sarebbe potuto significare la sua fine,
se ciò che
aveva detto la ragazzina era vero, e Michi era ben diverso da
ciò che tutti
credevano e pensavano.
Prese a correre, inciampare, cadere e rialzarsi,
in quella macabra
corsa in cui continuava a trovare resti umani, oggetti appartenuti a
defunti
forse mai ritrovati, che mai avevano ottenuto la pace della sepoltura,
ed
intanto continuavano le urla, continuava la crudele risata nella sua
mente che
le diceva che a Ryo non importava nulla di lei, che lei era solo un
impiccio,
un impiastro, inutile e per giunta pericolosa.
Piangeva, Kaori, e le sue lacrime cadevano,
mischiandosi sul suolo
alla pioggerellina e all’umidità, piangeva, e
sentiva così freddo che nemmeno
le sentiva, nemmeno sentiva il vento sferzarle il viso.
Piangeva, Kaori, e scappava – da tutto,
da tutti, e forse anche da
se stessa. Solo da quelle voci non poteva fuggire: voci crudeli e forse
veritiere, che risiedevano dietro una porta del suo cuore che una volta
aperta
non voleva più richiudersi, e adesso la perseguitavano senza
sosta.
Sentiva Hideyuki, sentiva Saeko, sentiva perfino
Ryo e se stessa,
che le ripetevano quelle cose ad oltranza; lei voleva solo una cosa,
voleva smettere
di pensare. Di ascoltare, di sentire. Con ogni passo che faceva era
come se un
pezzo della sua lucidità venisse a mancare, quasi la ragione
le stesse
sfuggendo tra le dita, scivolando come seta.
Kaori non aveva mai desiderato la morte, avrebbe
dato la vita per
coloro che amava, questo sì, ma mai, nemmeno nel momento
più triste della sua
vita, aveva pensato di prendere quella decisione, eppure, era come se
quel
luogo stesse scegliendo per lei- le stesse imponendo la sua decisione.
Le
dicesse che, se voleva andarsene, poteva farlo in un solo modo: da
cadavere,
perché da viva… era impossibile.
“No…”
Pensò scrollando il capo, stringendo il ciondolo che portava
al collo, l’anello donatale dalla madre biologica, che il
fratello aveva
conservato per lei. “No, Ryo… tu… tu
non sei così… non lo pensi
davvero…”
Sentì come uno scricchiolio sinistro in
lontananza, e si fermò
immobilizzata, vedendo nella distanza la siluette di una casa, il cui
interno
era illuminato da una sola fonte di luce, forse una candela davanti
alla
finestra.
Vita. C’era qualcuno.
Nonostante quella fastidiosa sensazione che non
sembrava volerla
abbandonare, Kaori mosse piano, paino, i pesanti piedi, uno davanti
all’altro,
lentamente, un passo alla volta, fino a che, dopo un tempo che le parve
infinito, raggiunse la casupola, dall’aria quasi diroccata.
Alzò il pugno per
bussare, ma avvertì una sensazione alle spalle, quasi un
avvertimento, e per un
attimo ebbe l’impressione di sentire il calore di Hideyuki,
la presenza
dell’amato fratello, che lui stesse cercando di
fermarla…
Ma era sola, e forse Ryo nemmeno la cercava,
magari nemmeno si era
reso conto che lei non c’era più. Dandosi della
sciocca, si schiarì la gola
mentre si passava il pugno davanti agli occhi, scacciando le lacrime
che troppo
a lungo aveva versato a causa di quell’uomo.
Mai più.
Se ne sarebbe andata da quella foresta maledetta,
da Shinjuku, da
Tokyo e dal Giappone, si sarebbe lasciata tutto e tutti alle spalle,
avrebbe
ricominciato da capo. Ma prima, doveva arrivare all’alba.
Batté il pugno chiuso contro il legno
quasi marcio, una, due, tre
volte, rifiutandosi di ascoltare quella voce che le diceva di andarsene
e voltare
le spalle a quel luogo, fino a che la porta non si aprì con
un sinistro
cigolio, e vento freddo la colpì – partendo da
dentro la casa, mentre la luce
si spegneva, la candela che aveva smesso di bruciare alla finestra.
Kaori non fece in tempo a voltarsi: nonostante il
desiderio di
andarsene, ritrovare la strada, ritrovare Ryo, c’era qualcosa
che la tratteneva
lì, in quel luogo, contro la sua volontà.
Incapace di muovere un solo muscolo,
centinaia di fredde dita striscianti la attaccarono, lunghe come rami,
sottili
come fili, forti come l’acciaio, e la trascinarono
all’interno della casa,
facendola cadere attraverso il pavimento, che sotto al suo peso si
sfracellò,
quasi fosse stato di carta velina.
Polvere. Umido. Vecchio. Marcio. Morte. Urina. E
singhiozzi e
risate: questo Kaori percepì con assoluta certezza quando
finalmente aprì gli
occhi, il suo intero essere dolorante, forse aveva anche un osso o due
rotto,
non ne era certa….
Qualcosa di vischioso, caldo, le correva
giù dal capo; la sweeper si
portò una mano alla fronte, e vi trovò la
sostanza, appiccicosa, e sussultò:
sangue. Stava sanguinando, e a giudicare dal pulsare nella testa, anche
piuttosto copiosamente.
Si rimproverò, cercando di caprie dove
fosse una via d’uscita – e
come fosse finita in quella specie di cantina – quando, sopra
di sé, dal buco
che lei stessa aveva provocato, sentì delle voci. Delle
risate – che se fino ad
un momento prima erano solo lontane, echi, adesso erano lì,
sotto al suo naso,
a prenderla in giro, deriderla, sminuirla.
La candela si accese di nuovo, sopra alla sua
testa, sembrava che
volasse, che forse una forza invisibile e misteriosa fosse
lì a sostenerla, e
baciate dalla danza della fiammella, Kaori vide i lineamenti delle
crudeli e
sadiche creature: una era la ragazzina, nel cui sguardo ora scorgeva
un’ombra
di malizia, di crudeltà sadica, mentre l’altro,
che allungava il braccio esile
e nero, scheletrico, verso di lei, come quei bambini che desiderano
afferrare
un insetto per torturarlo, era… era…. Quasi non
poteva pronunciare le parole,
nemmeno pensarle, tanto il pensiero le era sconosciuto, alieno, eppure
lui era
lì, davanti a lei, crudele come pochi, come mai era stato.
Suo padre- il suo vero padre. L’uomo che
aveva tentato di
assassinare la sua mamma. L’uomo che, respinto,
l’aveva rapita. L’uomo che era
morto in un inseguimento, e che era stato pronto a trascinarla con
sé
nell’aldilà, se fosse stato necessario.
E adesso, lui era lì, a fissarla come
se lei fosse stata un
giocattolo da rompere.
“Nessuno ti troverà
mai…” le disse la ragazzina, prima che la voce
cambiasse, divenendo quella che lei conosceva bene di Reika, che rideva
e la
scherniva. “Tu rimarrai qui, e Ryo sarà finalmente
mio… saremo una coppia, nel
lavoro e nella vita!”
“Finalmente si libererà di
te!”
“Sei solo un impiastro, inutile,
pericolosa!”
“Finalmente Ryo potrà cercare
di sedurmi come si deve!”
“Senza di te fra i piedi,
potrò prendermi la mia rivincita ed
ucciderlo!”
“Mi vendicherò!”
Kaori si tappò le orecchie, travolta da
quell’assalto di voci che
la facevano sentire piccola ed inutile come non mai, urlò
lei stessa, nel
tentativo di coprire le risa, le parole saccenti, crudeli, ma
nulla… il suo
pianto non faceva altro che unirsi a quelle delle due ragazze, che
stavano
abbracciate in un angolo, ormai solo il patetico ricordo delle
bellissime donne
che erano state un tempo.
Kaori le vide, e avvertì la loro
disperazione, che sapeva essere
la sua… sopra di lei, suo padre e la ragazzina, continuavano
la loro tortura, e
lei prese in mano la pistola che aveva in tasca, che mai aveva lasciato
andare
– che mai avrebbe abbandonato.
Quattro colpi – le sarebbero bastati per
mettere fine a
quell’agonia, allo strazio e alla perversione.
Quattro colpi: era tutto ciò di cui lei
aveva bisogno, e forse
anche meno.
Quattro colpi: e poi, sarebbe tutto finito.
Socchiuse gli occhi, mentre, alle sue spalle, si
irradiava il
calore, ed il fuoco, e la stretta sulla pistola si faceva sempre
più decisa.
Strinse i denti e ricacciò indietro le
lacrime, preferendo l’odio
alla sofferenza.
I quattro colpi, se li sarebbe fatta bastare.
Ryo si allontanò
di alcuni passi dalla tenda giallo fosforescente, camminando lungo il
sentiero
sterrato, dando calci alle pietre mentre si accendeva una sigaretta e
alzava lo
sguardo al cielo, terso: c’era la nebbia quella notte, ma di
tanto in tanto, la
luna spuntava, ed i suoi raggi facevano capolino.
Molti avrebbero trovato quel luogo spettrale
– cosa più che
giusta, viste le storie che erano sempre circolate sulla Foresta dei
suicidi –
ma non era così per lui. Immerso così nella
natura, in mezzo all’umidità, ai
versi degli animali, lui si sentiva quasi a casa, e ritornava ad un
passato che
logicamente non rimpiangeva, ma non voleva né poteva nemmeno
condannare o
rifiutare del tutto.
Ogni passo che aveva fatto, ogni azione, lo aveva
portato lì, a
ricucire i rapporti con persone che credeva morte, con uomini che erano
stati
avversari. La vita lo aveva perfino portato a capire – se non
a perdonare – il
suo padre putativo, Shin Kaibara. Aveva perfino imparato ad accettare i
propri peccati,
a perdonarsi – a darsi una seconda possibilità.
E questo, grazie a una persona sola: Kaori.
Si morse le labbra, il filtro tra i denti,
mugolando, mentre ad
occhi chiusi osava ciò che fino a solo pochi mesi prima
sarebbe stato per lui
impensabile: la immaginava, ad occhi aperti, la sognava… e
la desiderava.
Sotto ai vestiti comodi, cosa aveva indosso quel
giorno, la sua
bella amazzone dai capelli rossi? Ryo soffocò un gemito
rauco mentre la mente
andava a quella foto leggermente osé, il corpo femminile
ormai adulto,
sbocciato, avvolto in quel sensuale pizzo celeste, così
chiaro da sembrare
quasi bianco: aveva quel completo, quel giorno, o altro? Semplice
cotone dalle
fantasie infantile, o audace pizzo- bianco virgineo, giocoso azzurro o
giallo,
peccaminoso rosso o nero?
La mano vagava, andava a strofinare leggera il
rigonfiamento
all’altezza del cavallo dei jeans neri, e Ryo
soffocò un gemito di piacere.
Orami era pronto. Era giunto il momento. Era stato
sconfitto, e lo
accettava, di buon grado. Si arrendeva alla sua socia.
Le aveva chiesto di rimanere al suo fianco e divenire la sua famiglia
(una proposta di
matrimonio sui generis), l’aveva baciata (anche se attraverso
un vetro), le
aveva detto di amarla (usando però un modo tutto suo, molto
contorto), e adesso
Ryo sentiva che fosse giunto il momento di dirle che l’amava
e cogliere il
bocciolo che era l’intonsa femminilità della sua
socia.
Renderla donna – la sua
donna.
Quando quel tipo era andato a presentare loro il
caso, lui aveva
fatto un po’ il cretino come suo solito, ma fin dal principio
aveva deciso che,
con il cospicuo assegno del loro cliente, l’avrebbe portata
da qualche parte.
Il mare? No, ormai faceva freschino.
La montagna? No, lei ci andava già ogni
tanto con le sue amiche.
Ryo voleva qualcosa che fosse soltanto loro.
Sospirò, grattandosi il capo, quando
ebbe un pensiero, una visione
che lo fece sorridere, compiaciuto: la sua dolce e bellissima Kaori,
completamene
nuda, immersa nelle acque bollenti di un centro termale, notte fonda,
solo loro
due soli nella fonte, lei appoggiata ad una roccia, lui che si
impadroniva del
corpo troppo a lungo agognato, e sanciva una volta per tutte la loro
unione…
Ryo rise. Già, le terme: sembrava una
bella idea. E scoprire cosa
lui avesse in serbo per lei… sarebbe stata davvero una bella
sorpresa, per la
sua socia!
La sigaretta consumata, Ryo la gettò a
terra e spense il mozzicone
con il piede, poi prese dal pacchetto una seconda bionda e fece per
accenderla,
ma ogni volta che la fiammella dell’accendino si accendeva,
dopo un attimo si
spegneva, quasi il vento fosse stato uno spirito birichino che gli
faceva i
dispetti.
“Torna indietro, Ryo, Kaori ha
bisogno di te!”
Appena sentì la voce, lo sweeper si
voltò alle sue spalle, ma non
trovò nessuno; scrollò le spalle,
riprovò ad accendere la sigaretta, ma ancora
una volta quella brezza birichina gli impediva di inalare ancora una
volta
l’anelata dose di nicotina, necessaria per scacciare il
desiderio di sbattere
quella guida fuori dalla tenda e mostrare alla sua amata socia come si
fosse
guadagnato il soprannome di Stallone.
“Vuoi andare da mia sorella o
no, testa di rapa!?”
“Maki?!” Ryo si
voltò, andando un po’ nel panico, i denti che
battevano per la tensione mentre una sola goccia di sudore gli cadeva
dalla
tempia lungo il collo. Si guardò attorno, e non vide nulla,
eppure sentiva
qualcosa, come un calore, una presenza – e non sinistre come
quelle che li
avevano accompagnati da quando avevano messo piede
nell’albergo, ma stavolta
rassicurante, protettiva.
Makimura, vecchio mio, sei
venuto a lanciarmi una maledizione perché ho deciso di
tenermi stretta Kaori e
non lasciarla andare mai più? Lo sweeper si domandò,
dimentico della sigaretta.
Mani in tasca dei jeans scuri, Ryo si
incamminò verso la tenda,
continuando a sentire quella presenza accanto a lui; si
voltò, ed in mezzo alle
ramaglie quasi gli parve di vedere una volpe dorata, dalle molteplici
code, che
emanava una luce abbagliante e camminava accanto a lui, seppure a
dovuta
distanza.
Era forse Makimura, giunto a sostenerlo? Un
presagio oscuro? O
solo la sua immaginazione che gli giocava brutti scherzi? Lui e Kaori
avevano
letto tanto di quel luogo prima di andarci, storie antiche, di anziani
abbandonati lì a morire nei tempi andati, di giovani che
entravano lì per il
solo scopo di suicidarsi, corpi avvolti in sudari bianchi o grigi che
pendevano
dagli alberi, ossa che la terra di tanto in tanto faceva affiorare, e
spirti
che sussurravano bugie alle orecchie di coloro che erano più
fragili per farli
perire, trasformando anch’essi in crudeli spettri
vendicativi, maligni.
“Kaori!” Quando
sentì Michi chiamare la sua socia a squarciagola,
Ryo prese a correre verso la direzione da cui proveniva la voce;
arrivò alla
tenda, ma la trovò vuota, quindi continuò a
seguire, in quel reticolo
labirintico, la direzione da cui immaginava provenissero le urla di
Michi.
Si guardò accanto: la volpe correva
affianco a lui, guardando
avanti, determinata, le sue nove code smosse dal gelido vento, che
danzavano
nell’aria leggere, e per quanto Ryo fosse preoccupato, quella
presenza lo
rassicurava e la rincuorava, quasi fosse la promessa di un futuro degno
di
essere vissuto, una vita piena di gioia e amore.
“Che diavolo succede!?” Ryo
ringhiò appena raggiunse Michi in una
radura, dove un corpo pendeva, sinistro, da un albero, lasciato
lì da chissà
quanto tempo; la volpe si sedette al fianco di Ryo, composta, e la
giovane
guida si limitò a studiarla un attimo, quasi non fosse
sorpreso da quella
presenza, prima di tornare a guardare lo sweeper. “Allora,
dov’è Kaori?”
“Non lo so, è uscita dalla
tenda e poi si è messa a correre.” Il
giovane strinse denti, pugni, lo sguardo a terra, quasi si vergognasse
o fosse
dilaniato dal senso di colpa - una sensazione che Ryo conosceva bene,
ma che
non comprendeva in quel ragazzo.
Michi rimase in silenzio; poi, tentennate e
schivo, si avvicinò
alla volpe, e sfiorò la sua testa con una delicata carezza
che l’animale
accettò, lasciandosi andare a quel tocco delicato ed
amorevole, colmo di
rispetto e privo di paura.
Ryo guardò la scena, stupefatto, in
silenzio.
“Credo che la sua amica sia stata
vittima di una Kitsune malvagia,
o peggio, uno yūrei. Immagino che l’abbia spinta a lasciare
la tenda, ed abbia
iniziato ad ingannarla, riempendo la sua mente di bugie, ed il suo
cuore di
paure… forse perfino
da prima che arrivassimo nella foresta. Mia nonna aveva
avvertito una
presenza che seguiva Kaori, da quando era giunta in albergo. Credo che
avesse
iniziato a istigarla da quando siete arrivati qui."
“Sembri molto calmo, e saperne parecchio
di queste cose…” Ryo
rimase imperturbato a guardare il giovane, la mano sulla Python, pronta
ad
afferrare il calcio della sua pistola, qualora la risposta non gli
fosse
piaciuta o avesse avuto anche il solo minimo sentore che Michi potesse
essere il
vero colpevole della
sparizione di
Kaori.
Eppure, lo sguardo della volpe – di
Makimura – gli diceva che non
era così. Che si poteva fidare – che, anzi,
doveva, se voleva uscire vivo con
la donna che amava da quel luogo sinistro.
“Se si cresce accanto a questa foresta,
l’unico modo per poter
sopravvivere è comprenderla, ed affidarsi agli spiriti
benigni perché vengano
in nostro soccorso, come il tuo amico.” Michi
sospirò, alzandosi in piedi e
guardandosi intorno. “Gli yūrei si nutrono della sofferenza
di coloro che si
inoltrano in questo luogo, e la mia famiglia da secoli soccorre i
disperati ed
i dispersi, scacciando gli spiriti cattivi.”
"Sei...
cosa, una sorta di
esorcista?” Ryo gli domandò. Prese la pistola, tenendo il braccio lungo
il corpo, pronto ad
alzarlo e sparare se ne fosse giunta l’occorrenza, mentre i
due uomini si
incamminavano per sentieri sconosciuti, disseminati di oggetti e nastri
azzurri
che celavano ognuno il mistero di una sparizione, di una vita ormai
cancellata
dalla faccia della terra.
“Mischio il rito cattolico con quello
Shintoista, già. Discendo da
un Gesuita che arrivò qui nel mille e seicento, ed
iniziò ad esorcizzare le donne
che entravano nel bosco e venivano tramutate in spettri.” Il
ragazzo accese la
piccola lampada che aveva in mano, e illuminò la via, mentre
Ryo guardava il
terreno, alla ricerca di una pista che indicasse il passaggio di Kaori.
“Direi
che si vede che non sono proprio giapponese al cento per
cento.”
Ryo non rispose alla battuta, non
ridacchiò, scrollò solo le
spalle: in quel momento era il massimo che poteva fare.
Makimura – perché voleva
credere che la volpe fosse il suo amico –
prese a camminare davanti a loro, illuminando loro la strada; pareva
che al suo
passaggio gli alberi lasciassero libera la via, gli animali selvatici
si
zittissero e sparissero, quasi il passo della volpe benedicesse il loro
cammino, purificando quel luogo infame di morte…
perché, Ryo lo sentiva, quello
era la foresta. Per quanto Maki li proteggesse, quasi avvertiva il
respiro sul
collo, il sussurro crudele, le risate demoniache… uomini
più deboli, animi più
puri, sarebbero già stati portati alla pazzia.
A tanti era successo: era stato anche quello il
destino di Kaori?
Ryo strinse il calcio della pistola, ogni muscolo
del corpo teso
mentre si malediceva, chiedendosi se, fosse stato sincero, tutto questo
sarebbe
comunque successo o meno.
“C’è ancora
tempo… poco, ma
c’è.” La volpe si fermò ai piedi di un basso
crinale, e si voltò verso i
due uomini, prima di indicare un fitto banco di nebbia con il nobile
capo. Ryo
e Michi si scambiarono un rapido cenno di assenso, e presero a salire
la salita
ripida, aiutandosi con le mani, che sanguinavano causa delle pietre
acuminate,
delle ossa trasformate dal tempo e dagli agenti atmosferici in oggetti
acuminati e letali, rudimentali pugnali alla mercé dei pazzi
e dei disperati.
Arrivarono alla cima, dopo un tempo che parve loro
infinito, ben
più lungo di quello che avrebbero dovuto impiegare data
l’altitudine di quel
rialzo, e la nebbia magicamente si diradò, mostrando loro
cosa avevano innanzi:
una casa, anzi, una catapecchia, poco più di un rudere,
bassa e con le finestre
sprangate, la porta di legno marcio che non si capiva come non fosse
caduta a
terra.
All’interno, potevano scorgere una luce
ballerina, piccola e
minuscola, flebile, e soprattutto quell’urlo agghiacciante,
colmo di dolore e
disperazione - un suono che Ryo fu certo mai avrebbe potuto
dimenticare, avesse
vissuto altri cent’anni.
Era di Kaori: lei stava
urlando.
Senza aspettare altro, Ryo buttò
giù con facilità quelle quattro
tavole ormai inutili, e corse dentro, tuttavia rimase spiazzato quando
vide
cosa stava ridendo, gustandosi quel dolore: una era una ragazzina dai
lunghi
capelli neri, avvolta in un kimono bianco, quasi intangibile, eterea e
spettrale, ma l’altro, lo sapeva chi fosse
quell’uomo, le cui braccia erano
divenute gambe di ragno, sottili e fredde, gli occhi rossi e la lingua
appuntita come quella di un serpente velenoso.
Quel viso, Ryo, una volta, lo aveva visto in
fotografia.
Era il padre di Kaori – il suo vero
padre, quello biologico. Il
mostro, il ladro, il rapitore. L’assassino.
Ridevano, avvicinandosi verso di lui con fare
minaccioso, e
intento letale. Ridevano e godevano delle loro sofferenze e delle loro
paure,
del dolore, era come se quelle grida dessero loro ancora più
potere.
Grida, e singhiozzi… e non erano solo
di Kaori. Chi c’era con lei?
A Ryo in quel momento importava poco o nulla, avrebbe anche condannato
il mondo
intero, se avesse significato salvarla.
Michi si lanciò sulla donna, brandendo
una pergamena
purificatrice; la colpì, ed intanto le versò una
fialetta di acqua benedetta
sul volto di
porcellana, recitando una
formula in latino mentre il corpo da celestiale diveniva deforme,
mostruoso,
un’aberrazione di tutto ciò che era buono e
giusto, ed il ragazzo continuava
imperterrito a recitare la sua preghiera, fino a che di lei rimase solo
sabbia
e polvere, che una corrente fredda disperse nell’aria.
Ryo, intanto, balzò
all’interno del buco del pavimento, anch’esso
coperto di assi marce, e atterrò con felina grazia su un
lurido selciato di
terra e polvere ammuffita; senza mai abbandonare la sua fidata arma,
Ryo accese
l’accendino, sperando che la sua luce fioca fosse anche solo
di un po’ di
aiuto.
La rotellina scattò, accendendo la
fiammella, e Ryo guardò davanti
a sé; in un angolo, per terra, c’erano le due
gemelle, che singhiozzavano
disperate, abbracciate, solo una pallida imitazione delle veneree
silfidi che
erano state fino a poche settimane prima, le bellezze che avevano
posato in
quelle foto succinte ed ammiccanti;
davanti a loro, che lo guardava con occhi colmi di odio,
occhi colmi di
lacrime, c’era lei, Kaori.
Kaori: che gli stava puntando la pistola addosso,
con fare deciso,
seppure colmo di paura, tremando.
“Kaori, sono io,
Ryo…” La pregò, avvicinandosi
lentamente alla
donna quasi lei fosse stata un animale selvatico, feroce, pronto a
sbranare la
sua preda. “Ti prego, Sugar, torna da
me…”
Lei non dette segno di cedimento:
digrignò i denti, e tese le
braccia, così tanto che i muscoli le fecero male, e fece
fuoco.
Due colpi, due spari: sfiorarono il capo di Ryo,
senza tuttavia
toccarlo, e lo sweeper si chiese se fosse stato caso, fortuna, o la
prova che
Kaori era negata con le armi da fuoco.
Poi sentì un suono, come un sibilo,
acido che scioglieva qualcosa,
carne marcia, carne che bruciava, e la nausea gli salì alla
gola, fino a quasi
farlo vomitare; Ryo dovette coprirsi con la mano che teneva la pistola
il naso
e la bocca per evitare di rimettere
la
cena e la bile.
A terra, a sibilare, c’era la
creatura, il ragno mostruoso col volto del padre di Kaori.
La donna fece
un altro paio
di passi, e raggiunse Ryo, mettendosi al suo fianco; lo sweeper
poggiò una mano
sulla spalla della socia, mentre la guardava alzare nuovamente
l’arma sulla
creatura, ed alle loro spalle si materializzò nuovamente la
volpe.
Kaori alzò lo sguardo al cielo, mentre
calde lacrime di gioia e
pace le scorrevano sul viso. Il suo amato fratello era ancora
lì, con lei – non
se n’era andato, ancora la proteggeva
dall’aldilà, come aveva sempre fatto, e
mai e poi le avrebbe rivolto parole d’odio, di derisione, o
colme di rancore.
“Il momento è arrivato,
sorellina. Puoi chiudere il cerchio.”
Come già una volta, Kaori si
sentì abbracciata da Ryo, e si lasciò
andare al contatto col suo petto, permettendogli di stringere le sue
mani in
quelle di lui, grandi e calde, ed insieme
presero la
mira, due
colpi, era tutto quello che le era rimasto, ma le bastò.
“Non sei mio padre,” Lei gli
disse, standogli innanzi. “Non ti
permetterò mai più di avere tutto questo potere
su di me.”
Il corpo si contorse, bruciando, lampi di luce e
fuoco emessi dai
fori di proiettile, ed intanto, lei, fiera, risoluta e determinata, lo guardava, e
metteva fine a quel
triste capitolo della sua vita, e smetteva di farsi domande: lui poteva
essere
stato suo padre, ma lei… lei era Kaori Makimura, era City
Hunter, la sorella di
Hideyuki, l’amica di Miki, Mick, Saeko e compagnia bella,
e… ed era la donna di
Ryo, nel bene e nel male.
Il sole sorgeva, illuminando il mondo e
risvegliandolo, la natura
che finalmente trovava pace in quel luogo troppo a lungo funestato
dalle
maledizioni, e mentre nella luce del mattino Hideyuki ritornava
nell’aldilà,
grato di aver svolto il suo compito salvando la sua famiglia, Kaori si
gettava
nelle braccia di Ryo, come aveva fatto quel giorno nella radura.
Ma stavolta, fu diverso: non avrebbe
più sofferto per lui, era
giunto il momento che decidessero entrambi. Si alzò sulle
punte e gli lasciò un
bacio all’angolo della bocca,; lui sorridendo, la
afferrò per le spalle, e la
sollevò, dandole quello che entrambi avevano sempre
agognato.
Un bacio. Il suo amore. Una silenziosa promessa che aveva il sapore del per
sempre.