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Autore: Miriel_93    30/11/2021    0 recensioni
Perciò, Nana…amami…perché ho bisogno del tuo amore, anche se non sono una rosa spezzata.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Takumi Ichinose
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sai, Ren…da quando te ne sei andato…quel futuro vero il quale noi tutti eravamo protesi è diventato un foglio bianco. Un foglio sul quale non ho disegnato ancora niente. Senza Nana…non posso cominciare.

Oggi si sono svolti i funerali di Ren.
Avrei tanto voluto correre da Nana ad abbracciarla, ma non ne ho avuto il coraggio. Faceva quasi paura, rannicchiata nel suo cappotto invernale, con gli occhi nascosti dagli occhiali scuri.
E così, invece di stringerla tra le braccia nel vano tentativo di consolarla, sono rimasta al fianco di Takumi, singhiozzando silenziosamente mentre fissavo il terreno ghiacciato tirando su col naso.
Nana non ha pianto.
Non le ho visto versare nemmeno una lacrima.
Non che mi aspettassi di vederla disperarsi, non è mai stato da lei mostrare le proprie debolezze, ma quella reazione così…fredda e composta mi aveva lasciata davvero senza fiato.
«Insomma, Nana, vuoi smetterla di piangere?» Mi rimproverò Takumi, con un tono così esasperato e infastidito che, sulle prime, mi manda in bestia. Nella sua auto regnava il silenzio. Si sentiva solo il rombo placido del motore e i miei singhiozzi leggeri.
«Non…non ci riesco», risposi, tirando su con il naso un’altra volta. Non avevo la forza di arrabbiarmi.
«Cos’è, hai intenzione di piangere anche per chi non l’ha fatto?» Mi domandò, guardandomi con la coda dell’occhio. Sembrava irritato.
«No…è che…», non riuscii nemmeno a finire la frase. Scoppiai di nuovo a piangere con violenza, nascondendo il viso tra le mie mani tremanti.
«Che strazio», borbottò Takumi, scalando le marce con un sospiro rassegnato. «Tra gli ormoni della gravidanza, la morte di Ren, la sofferenza di Nana e chissà che altro, mi sa che finirai per allagarmi la macchina», aggiunse, con quel suo fare sprezzante. A volte mi chiedevo come avevo fatto ad innamorarmi di un uomo così. Poi mi ricordavo della mia tendenza a cadere sempre tra le braccia sbagliate. E stavolta ci ero caduta proprio con tutte le scarpe.
«Sei un mostro insensibile!» Gli urlai contro, puntando il mio sguardo rabbioso sul suo viso disteso.
«Sapevo che l’avresti detto», notò, appoggiando il gomito sul bordo del finestrino, come se niente fosse. A volte mi veniva il dubbio che non mi ascoltasse, quando parlavo. Le sue reazioni erano sempre così pacate, quasi annoiate, che sembrava che io dicessi solo ed esclusivamente delle ovvietà.
Era sempre così freddo. A volte mi faceva paura.
Passandomi la manica del cappotto sotto il naso, abbassai lo sguardo sulle mie ginocchia, cercando di smettere di singhiozzare.
Una volta arrivati a Shirogane, dove ormai risiedevamo stabilmente, aspettai pazientemente che Takumi parcheggiasse e spegnesse il motore, prima di scendere dall’auto e avviarmi verso l’ascensore che, dal garage sotterraneo, ci avrebbe portati al piano a cui si trovava il nostro appartamento.
Proprio non riuscivo a credere che Takumi potesse essere così insensibile. Sembrava che la morte di Ren non lo toccasse minimamente. Non pretendevo certo che fosse dispiaciuto per Nana, mi rendevo conto che, per lui, era quasi un’estranea, ma considerato quanto sul serio prendeva il suo lavoro e il successo dei Trapnest, mi aspettavo almeno un po’ di sconforto, da parte sua. Invece si comportava come se il giorno dopo, svegliandosi, avesse trovato tutto al proprio posto, come se nulla fosse successo.
“Forse non vuole che io lo veda in determinate condizioni”, riflettei, sbirciando il profilo di quello che sarebbe diventato mio marito con la coda dell’occhio, mentre aspettavamo che arrivasse l’ascensore. “Magari vuole dimostrarsi forte per farmi coraggio”, pensai, di nuovo. “Smettila, Nana! Smettila di cercare di difenderlo! Takumi è un egoista insensibile e lo sai benissimo”, mi rimproverai, mettendo il broncio. Distolsi immediatamente lo sguardo dal suo viso, puntandolo verso le porte dell’ascensore che cominciavano ad aprirsi proprio in quel momento.
«Non vedo l’ora di farmi un bel bagno caldo», disse, una volta entrati in ascensore, premendo il pulsante del nostro piano.
Non risposi. Mi limitai a stringere convulsamente i manici della mia borsetta.
«Ehi, hai smesso di piangere, finalmente. Mi fa piacere», notò, girandosi verso di me con un sorriso a tendergli le labbra.
Stizzita, strinsi i denti e voltai leggermente il viso dall’altra parte.
«Ho capito, ho capito, sei di cattivo umore», notò, sospirando. «Suppongo che dovrò fare il bagno di solo, allora», aggiunse, stringendosi nelle spalle.
Repressi l’istinto di picchiarlo con la borsa. Era davvero un mostro.
Appena arrivati in casa, mi tolsi il cappotto e sgattaiolai in camera per indossare qualcosa di più comodo e meno lugubre. Intuendo che volevo restare da sola, Takumi andò direttamente in bagno. Seduta ai piedi del letto, aspettai di sentire l’acqua della vasca scorrere, prima di dirigermi in cucina, iniziando a preparare la cena.
Senza le chiacchiere del mio futuro marito, però, per quanto irritanti e insensibili fossero, mi sentivo veramente sola.
Per evitare di rimettermi a piangere, accesi la televisione, ma tutti i canali parlavano della stessa cosa: “il chitarrista dei Trapnest, morto in un tragico incidente d’auto, è stato cremato nel pomeriggio. Quali saranno le ripercussioni della sua dipartita sul gruppo musicale?”
Rinunciai e spensi tutto, restando a fissare per qualche istante lo schermo nero del televisore.
“Nana…vorrei tanto che io e te fossimo ancora coinquiline. Non potrei fare nulla per alleviare il dolore che stai provando, questo lo so…ma sento che se fossimo nel nostro piccolo appartamento, tutto andrebbe meglio”.
Nel giro di mezz’ora finii di preparare la cena.
Takumi non era ancora uscito dal bagno.
Decisi di sedermi a tavola ad aspettarlo, ma i minuti passavano e lui sembrava deciso a non raggiungermi.
Perplessa e, lo ammetto, anche un po’ preoccupata, andai a bussare leggermente alla porta del bagno.
«Takumi?» Chiamai, timidamente. «La cena è pronta», aggiunsi, restando in attesa di una risposta.
«Arrivo».
Sollevata, tornai a sedermi al mio posto, assicurandomi che il cibo fosse ancora caldo.
Quando uscì dal bagno, avvolto nell’accappatoio bianco, Takumi aveva la solita espressione rilassata stampata in viso. E io che credevo che, una volta solo, si fosse finalmente lasciato invadere da un po’ di sano sconforto. Dovevo davvero smetterla di crederlo migliore di quanto fosse in realtà.
«Ah, ci voleva proprio», commentò, prendendo posto a tavola e stiracchiandosi pigramente. Aveva i capelli ancora bagnati.
«Dovresti asciugarti i capelli», lo ammonii, servendogli la cena. «Finirai per ammalarti».
«Allora ci tieni a me», mi provocò, con un sorriso sornione. «Non ti preoccupare, i miei anticorpi funzionano a meraviglia», mi assicurò, cominciando a mangiare.
Dopo quel breve scambio di battute calò il silenzio. Non avevo nessuna voglia di parlare con lui. Ero ancora scossa per tutto quello che era successo in quei giorni. E ancora di più per la sua mancanza di tatto.
Finito di mangiare, riordinai la cucina mentre Takumi accendeva il televisore, constatando la stessa cosa che avevo constatato io. In tv non si parlava d’altro che della morte di Ren e di ciò che avrebbe significato per la band.
Silenziosamente, andai a farmi un bagno che speravo essere rigenerante, lasciando il bassista dei Trapnest a seguire l’ennesimo servizio di circostanza.
Immersa nell’acqua calda fino al mento, cercai di capire cosa potessi fare per Nana. Sapevo che, qualsiasi cosa avessi detto o fatto, lei avrebbe reagito chiudendosi a guscio, cercando di non lasciar trasparire il suo dolore. Mi sentivo terribilmente in colpa. Avrei dovuto essere da lei a farle forza anche se fingeva di non averne bisogno, invece di essere qui a recitare la parte della brava mogliettina. Ero davvero una persona orribile.
Quando uscii dal bagno, Takumi era ancora seduto sul divano a guardare la televisione. Nel frattempo, però, parlava al telefono.
«Certo. Capisco. Domani, come prima cosa, dovremo discutere sulla nostra prossima mossa. Per qualche periodo ci converrà mantenere un profilo basso, evitare apparizioni pubbliche e via dicendo. Dobbiamo far passare il messaggio che noi Trapnest siamo una specie di famiglia e che non smaniamo per sostituire Ren. Sì, lo so che dovremo farlo, ma farlo subito danneggerà la nostra immagine. In ogni caso, ne riparleremo domani mattina», lo sentii dire, prima di riattaccare.
Freddo e calcolatore fino al midollo.
«Non ti senti meglio, dopo un bel bagno caldo?» Mi domandò, piegando la testa all’indietro per guardarmi. I lunghi capelli neri, ormai asciutti, sembravano una cascata corvina che scivolava lungo lo schienale del divano.
«Più o meno», risposi, dirigendomi verso la nostra camera da letto. Non vedevo l’ora di addormentarmi e lasciarmi alle spalle tutta quella dolorosa faccenda.
Infilai il pigiama e scivolai sotto le coperte mentre sentivo Takumi spegnere il televisore e assicurarsi che la porta d’ingresso fosse chiusa. Pochi istanti più tardi, mi raggiunse in camera.
«Ma come, già pronta per dormire?» Mi chiese, un po’ stupito. «Beh, forse non hai tutti i torti, è stata una giornata pesante e domani dovrò mettermi d’impegno nel capire come procedere con la band», mi spiegò, come se glielo avessi chiesto.
Quando lo sentii sollevare le coperte dalla sua parte del letto mi rannicchiai ancora di più di quanto non avessi già fatto.
«Buona notte, Nana», mi augurò, posandomi un bacio sui capelli.
Spense la luce e per qualche istante credetti che potesse davvero essere tutto così semplice. Credetti davvero che mi avrebbe semplicemente lasciata lì a crogiolarmi nei miei pensieri.
Naturalmente mi sbagliavo.
Con un fruscio leggero delle lenzuola, Takumi si avvicinò a me. Mentre mi cingeva la vita con un braccio per attirarmi verso il suo corpo, sentii il suo profumo riempirmi i polmoni.
C’era stato un tempo in cui tutto quello che desideravo era poterlo vedere da vicino. Sognavo di salutarlo, di scambiare due parole con lui, di riuscire a farmi fare un autografo. Sembrava passato così tanto tempo, da allora. Che fine avevano fatto i miei sogni innocenti da fan dei Trapnest? Probabilmente si erano disciolti come neve al sole nel momento esatto in cui, tornando a casa dopo il lavoro, ad aprirmi la porta dell’appartamento 707, al settimo piano di una palazzina con i mattoni a vista, era stato proprio Takumi. Sì, probabilmente era quello il momento in cui la dura realtà aveva ridotto in poltiglia i miei sogni.
Da ragazzina stupida qual ero, mi ero costruita un’immagine del tutto campata per aria dell’affascinante bassista dei Trapnest. Con quei suoi capelli lunghi e lo sguardo magnetico e misterioso, non era stato per nulla difficile trasformarlo nel ragazzo perfetto, nel sogno proibito di qualsiasi ragazza.
La realtà si era rivelata tanto diversa da farmi girare la testa.
Quando mi strinse a lui, sentii l’eccitazione di Takumi premermi contro la schiena.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Scattai a sedere, furiosa come non ero mai stata prima in vita mia.
Mi sentivo tradita. Sentivo che i miei sogni, le mie illusioni, le mie aspettative, erano stati traditi completamente.
Nonostante avessi capito che razza di persona fosse Takumi, c’erano stati dei momenti in cui avevo avuto l’impressione che, tutto sommato, potesse essere comunque un bravo ragazzo. Bastava solo avere pazienza, adattarsi un po’ a lui e spingerlo ad attarsi un po’ a me. Come qualsiasi altra coppia.
A quanto pareva, invece, avevo sbagliato tutto. Tutti i miei calcoli si erano rivelati errati. Takumi non avrebbe mai riservato nulla di diverso.
«Come puoi essere così insensibile!?» Sbottai, guardandolo con gli occhi sgranati. Non potevo credere che fosse davvero così meschino e menefreghista.
«Si può sapere che problemi hai?» Mi chiese, con la sua maschera di pacata tranquillità solo leggermente disturbata da un velo di incredulità.
«Che problemi hai tu, al massimo!» Replicai, stringendo il lenzuolo tra le mani. «È tutto il giorno che non fai altro che fare battute e comportarti come se non fosse successo nulla», continuai. Sentivo le lacrime pungermi fastidiosamente gli occhi, ma le ricacciai indietro.
«Dovrei tenere il muso come fai tu? Oppure piangere come una fontana fino a disidratarmi?» Domandò, appoggiando la schiena alla testiera del letto con fare tranquillo. Nei suoi occhi, però, vedevo brillare una certa irritazione.
«Potresti almeno mostrare un po’ di umanità», lo accusai, corrugando la fronte.
Sulle prime, Takumi non rispose. Normalmente si sarebbe acceso una sigaretta ma, almeno sotto quel punto di vista, era molto attento. Non faceva nulla che potesse far male al bambino. Beh, quasi nulla.
«So che mi consideri orribile, vuoto e insensibile», disse, alla fine. «Me l’hai già detto più di una volta. Se è questo che pensi di me, non vedo perché tu debba costringerti a restare qui. Se hai paura di dover crescere il bambino da sola, te l’ho già detto, ti pagherò le spese del mantenimento», aggiunse. «Abbiamo già avuto questa discussione, mi pare», notò, fissandomi con quei suoi occhi di ghiaccio.
«Io non…»
«Ascoltami bene, Nana. Io non sono il principe azzurro delle favole. Probabilmente sono la persona che meno ci assomiglia. Però ho combinato un casino e sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. Questo è l’unico lato principesco del mio carattere. Se non ti sta bene, puoi benissimo decidere di condurre la vita che reputi migliore, sia per te che per il bambino che porti in grembo. Non posso garantirti di essere un buon marito o un buon padre. Però te l’ho detto. Ti amo. A modo mio, certo, ma ti amo. A volte, però, ho come l’impressione che tu abbia scelto di crescere questo bambino con me semplicemente perché questo corrisponde al sogno di qualsiasi fan dei Trapnest».
È andato così pericolosamente vicino alla verità che, per un momento, ho avuto paura che mi avesse letto nel pensiero.
«Takumi…»
«Lasciami finire, per favore. Tu mi credi orribile, vuoto e insensibile. Cito quasi testualmente le tue parole. E anche oggi mi hai accusato di essere un mostro semplicemente perché non mi strappo i capelli per la morte di Ren. Non credere che non me ne freghi niente. Ren era anche un mio amico, oltre che un membro fondamentale per la mia band. E già questo secondo aspetto riveste una certa importanza. In qualità di nostra fan dovresti capirlo», aggiunse, rimproverandomi con lo sguardo. «Se a differenza tua non passo le mie giornate a piangere o a ripetermi quanto triste sia tutto quello che è successo è semplicemente perché sto reagendo da persona matura. Ed è la stessa cosa che dovresti fare anche tu. Prendi esempio da Nana», concluse, passandosi una mano tra i lunghi capelli. «È ora di crescere. Apri gli occhi e smettila di aggrapparti alle tue fantasie da ragazzina, Nana. Tra una manciata di mesi diventerai madre, comincia a comportarti di conseguenza», mi suggerì, quasi con leggerezza. «Se quando avrai aperto gli occhi scoprirai che la verità è troppo diversa dall’illusione infantile che ti eri creata, sappi che la mia offerta è ancora valida. Se, invece, deciderai di essere in grado di convivere con la dura realtà, sarò ben felice di sposarti e di crescere questo bambino con te. La scelta è tua», concluse, alzandosi.
«Dove stai andando?» Gli chiesi, con una punta di paura nella voce.
«Sul balcone a fumare», rispose, con una naturalezza disarmante.
«Ma non mi hai lasciato dire la mia…», protestai, tirandomi il lenzuolo fino sul mento.
«Non sto andando sulla luna, Nana. Quando tornerò potrai dirmi tutto quello che devi», mi assicurò, recuperando il suo pacchetto di Gitanes e l’accendino.
Il tempo medio impiegato per fumare una sigaretta va dai tre ai cinque minuti. In poche parole, avevo dai tre ai cinque minuti per decidere che cosa volevo davvero.
Volevo lasciare Takumi? Il solo pensiero mi faceva stringere dolorosamente il cuore. E quella mia reazione mi faceva vergognare come una ladra. Forse aveva ragione lui, quando diceva che gli davo l’impressione di volerlo sposare solo per coronare il sogno di una ragazzina qualsiasi. Ero egoista, frivola e infantile. Però, al di là di quelli che potevano essere considerati motivi sciocchi e ingenui…se avessi lasciato Takumi, quali sarebbero state le mie alternative?
Sarei potuta tornare dai miei, ma l’idea di lasciare Tokyo, di lasciare Nana, mi faceva stare anche peggio. E poi, a dirla tutta, non ero poi così convinta che ai miei avrebbe fatto piacere riavermi in giro per casa, per di più incinta.
Tornare da Nobu era fuori questione. L’avevo già ferito abbastanza. Non potevo tornare da lui e chiedergli di crescere un bambino che molto probabilmente non era suo solo perché l’uomo che mi aveva abbagliata si era rivelato essere diverso da quello che pensavo. Sarebbe stato troppo egoista perfino per me.
E pensare che Nana credeva che saremmo stati perfetti insieme, io e Nobu. Secondo lei, io e lui avevamo gli stessi valori. Lo aveva definito un ragazzo onesto, pulito e sincero. E aveva ragione. Forse…forse era quello il problema. Nobu era troppo buono per un’egoista come me. Tra l’altro, eravamo due sognatori. E questo, probabilmente, era un altro dei motivi per cui, alla fine, avevo deciso di allontanarmi da lui, per quanto facesse male. Avevo bisogno di un uomo maturo e deciso. Forse era quello il motivo che mi aveva sempre spinto tra le braccia di uomini più grandi di me.
D’altra parte, però, ero anche una persona incostante e immatura e finivo per cambiare perennemente idea. Non a caso, con Takumi continuavo a saltare dall’inferno al paradiso a ritmo serrato. Un giorno mi davo della stupida per aver deciso di crescere questo bambino con lui e il giorno dopo aspettavo trepidante che tornasse dal lavoro per accoglierlo con un sorriso e una cena calda.
Però anche lui era piuttosto lunatico. Quando l’avevo lasciato per telefono, aveva lasciato tranquillamente ad intendere che una gravidanza sarebbe stata una scocciatura e poi, alla fine, quando si era presentato a casa mia e aveva scoperto che ero incinta sul serio, si era offerto immediatamente di prendersi cura di me e del bambino, proponendo addirittura di sposarci. Mi prendeva in giro per i miei modi infantili, poi mi confidava le sue preoccupazioni per la relazione di Reira e Shin. Un giorno era un iceberg, il giorno dopo era una fonte termale. A volte mi faceva girare la testa.
Certo, ero un bell’impegno. Forse Nana aveva ragione a definirmi un cagnolino. Ricordavo il momento in cui aveva deciso di soprannominarmi “Hachi” come se fosse ieri. Aveva detto che mi affezionavo molto agli altri, che ero docile e ubbidiente…ma che richiedevo così tante cure…!
Aveva davvero ragione.
Anche Takumi, quando aveva scoperto che ero incinta, aveva lasciato ad intendere che mi considerasse una persona perennemente bisognosa di cure. Eppure l’aveva fatto con una dolcezza che mi aveva lasciata senza fiato.
Il rumore della porta a vetri che dava sul balcone che si chiudeva mi riportò di colpo con i piedi per terra. Sentii un leggero panico diffondersi dentro di me. Invece di trovare una soluzione mi ero persa in ricordi e considerazioni che non avevano risolto un bel niente.
Qualche istante più tardi, Takumi apparve sulla soglia di quella che, ormai, era la nostra camera da letto. Appoggiò una spalla allo stipite e, incrociando le braccia sul petto ampio, rimase lì.
«Allora, che dovevi dirmi?» Chiese, apparentemente tranquillo e rilassato.
Lo fissai per qualche secondo, indecisa.
«Mi metti ansia se resti lì», bofonchiai, nascondendo il viso contro le ginocchia piegate.
«Nana», mi rimproverò. Gli bastò una sola parola per farmi tornare in me.
«Scusami», mormorai, un attimo più tardi. «Mi rendo conto di essere infantile. Vorrei tanto comportarmi diversamente, dimostrarmi più matura e in grado di rimanere coerente con le mie scelte, però…»
«Lo sai che cosa mi ha colpito di te, Nana?» Mi chiese Takumi, interrompendomi. Sollevai lo sguardo, curiosa, incontrando i suoi occhi. «Il tuo carattere candidamente infantile», rispose, avvicinandosi al letto fino a sedersi sulla sponda. «Se ci pensi bene, abbiamo tutti bisogno della stessa cosa. Cerchiamo tutti qualcuno in grado di amarci incondizionatamente. Non è forse vero?» Mi domandò, di nuovo, voltandosi a sorridermi. Annuii appena, cercando di capire dove volesse andare a parare. «Ho capito fin da subito che eri l’unica in grado di darmi quello di cui avevo bisogno. E, per di più, senza avere troppe pretese. Non avevo ancora capito che eri come un cucciolo bisognoso d’affetto, credevo di cavarmela con qualche attenzione di tanto in tanto, non lo nascondo. Però, per la prima volta, mi sono sentito compreso, accettato. E non solo in qualità di membro dei Trapnest, ma anche come persona. Sembrava che qualsiasi cosa che mi riguardava esercitasse su di te un’attrazione devota. Mi trattavi come se fossi un dio che non volevi far arrabbiare per paura di uscire dalle sue grazie. Era davvero una bella sensazione», sul suo volto comparve un sorriso soddisfatto. «Poi, di punto in bianco, mi hai telefonato farfugliando qualcosa a proposito del vederci perché dovevi parlarmi. E mi hai detto di non richiamarti più. Sulle prime non ho dato molto peso alle tue parole, anche se mi avevano colto un po’ di sorpresa. Quando mi sono finalmente deciso a richiamarti, ho scoperto che il tuo cellulare rifiutava le chiamate con il numero nascosto. E lì, ho iniziato a provare rabbia. Sulle prime la mia reazione mi ha sorpreso. Come avrai sicuramente notato, sono uno che ottiene sempre tutto quello che vuole quando lo vuole e il fatto che tu mi fossi sfuggita così mi aveva davvero infastidito. Non sai quanto ci ho rimuginato sopra nel tentativo di capire che cosa significasse tutta quell’irritazione, da parte mia», spiegò. E meno male che quello avrebbe dovuto essere il mio turno di parlare. Il solito egocentrico. «Alla fine ho deciso di venire a chiederti spiegazioni. Avevo sentito dire che ti eri messa con Nobu, e quello mi infastidiva più di tutto il resto. Ero io quello che dovevi adorare, non quel ragazzino senza cervello. Quando ho capito che eri incinta…ammetto di aver provato piacere. Poi, ovviamente, quando ho realizzato le condizioni in cui ti trovavi mi è dispiaciuto e ho cercato di starti vicino quanto e come mi era possibile. Il resto lo sai», concluse, stringendosi nelle spalle.
«Perché mi hai detto tutte queste cose?» Domandai, con la fronte increspata. Ero senza parole.
«Perché non è giusto che tu mi veda come un mostro insensibile, vuoto e via dicendo. È vero, non sono perfetto, per quanto mi atteggi, ma sono un uomo come tanti. Ho anche io bisogno di amore, proprio come te», rispose, con una naturalezza e una sincerità che mi fecero annodare lo stomaco e incespicare il cuore.
«Takumi…io…»
«Non sono bravo ad amare, Nana. Amo a modo mio, in base a come mi sveglio la mattina o a come va la giornata. Ma non sono il mostro che credi», disse, avvicinandosi a me. Non potevo credere alle mie orecchie.
«Takumi…», iniziai, cercando di capire se mi avrebbe interrotta di nuovo. «La verità è che…la mia vita è cambiata completamente da quando ho conosciuto Nana. È come se tutto quello che la circonda risplendesse di una luce quasi magica. E per una ragazza cresciuta in campagna come me, il mondo di Nana è come un pianeta a parte. Purtroppo, nel disperato tentativo di essere accettata in questo mondo sfavillante ho commesso una lunga serie di errori…e ho finito col ferire le persone a cui tenevo di più. Ma ormai quel che è stato è stato…e non posso tornare indietro. Chissà, magari è stato tutto voluto dal Grande Demone Celeste. Sapevo che non me ne sarei liberata così facilmente», abbozzai un sorriso, stringendomi nelle spalle. Takumi mi osservava in silenzio. «Comunque stiano le cose…ho apprezzato molto quello che hai fatto per me. Mi sei rimasto vicino anche quando il mio comportamento mi ha isolata da tutto e da tutti, ti sei preso cura di me con più dolcezza di quanta ne meritassi…e quindi…».
Non riuscii a finire il mio discorso.
Takumi si avvicinò a me, posandomi una mano sulla guancia, zittendomi con un bacio. E io, a essere sincera, fui ben felice di lasciarglielo fare. Non credo che sarei riuscita a dire nient’altro di sensato. Forse avevo solo bisogno di non sentirmi chiedere spiegazioni.
A differenza di prima, non lo respinsi. Lasciai che mi spogliasse e io lo spogliai a mia volta. Le sue mani calde, che ormai avevo imparato a conoscere, mi scivolavano lungo il corpo, procurandomi lunghi brividi di piacere. Ansimando contro le sue labbra avide, mi aggrappai alla sua schiena mentre lui prendeva possesso del mio corpo come se gli appartenesse da sempre.
Forse non era quello giusto per me. Probabilmente mi avrebbe messa da parte più e più volte. Sicuramente mi avrebbe tradita.
A prescindere da tutto questo, però, la vita che mi cresceva in grembo meritava che io prendessi la decisione migliore. E, tra quelle attualmente a mia disposizione, Takumi era l’unica scelta che potevo fare.
Ero stata ingenua a fidarmi di lui, e ancora più ingenua a non pensare alle conseguenze delle mie azioni. Ora la sola cosa che potessi fare era accettare ciò che ne era derivato. Senza obiezioni. Anche perché, oggettivamente, avrebbe potuto andarmi peggio. Takumi avrebbe potuto lavarsene bellamente le mani, invece di farsi carico di una stupida come me. Quindi…chissà, forse il mio futuro non era poi così grigio, no?
 
Sai, Ren, proprio non capisco perché la gente debba pensare sempre che uno come me non dica mai la verità. Forse è per via del mio tono. Qualsiasi cosa io dica, la dico sempre con un tono così supponente e presuntuoso che suona sempre come una menzogna.
Eppure, sono un tipo sincero. Ho un unico vizio: le donne. E le sigarette, ma quelle ormai non le conto nemmeno più. Ci sono così tanti fumatori al mondo che nessuno ci fa più caso. Però, basta che scoprano che sei un donnaiolo e sei bello che etichettato come bugiardo. Eppure non ne ho mai fatto un segreto.
Sono sempre stato un ragazzo dal carattere difficile, fin da piccolo. Come tutti, ho dovuto indossare una maschera per proteggermi. Eppure, a differenza tua, Ren, ma anche a differenza della tua donna, nessuno mi ha mai perdonato per questo. Voi potete drogarvi o pretendere di incatenare a voi le persone che amate e nessuno dice nulla.
Io, invece, sono un bugiardo. Io non posso provare sentimenti. Non posso amare. Io sono un mostro freddo e calcolatore che fa tutto per un suo personale tornaconto. E questo perché? Perché nonostante il mio carattere difficile, o forse proprio per questo, voglio avere sempre tutto sotto controllo. Voglio che le cose vadano esattamente come io le ho immaginate e pianificate. Però io sono un mostro, per questo. Yasu, invece, che ha la mia stessa aria da calcolatore, è una brava persona. Ma, d’altra parte, uno che ha studiato legge deve per forza esserlo, no?
Forse è proprio perché abbiamo lo stesso sangue freddo che Reira è attratta da me. Diamine, per una volta che qualcuno non mi odia vengo a scoprire che è perché ricordo un’altra persona. Non è forse un destino ingiusto, il mio?
Hachi però…Hachi sembra davvero attratta da me. Chissà, molto probabilmente dipende solamente dal fatto che è una fan dei Trapnest, ma con lei mi sento…amato, credo.
Con lei mi sento diverso. Non ho bisogno di fare il fenomeno, ai suoi occhi appaio già come un dio irraggiungibile. La sua presenza è rassicurante. Per non parlare, poi, del suo carattere esuberante. A volte mi ricorda Naoki. Ha proprio ragione la tua donna, Ren, quando la definisce una specie di cagnolino. Ovunque vada, porta con sé una ventata di buonumore e leggerezza. Capisco perché Nana fosse così restia a cederla a me. Era una specie di mascotte dei Blast, no? Capisco anche questo. D’altra parte, perfino io provo l’istinto di dare il meglio di me, quando Hachi è nei paraggi. E detto da me è tutto dire, vero?
Però siete proprio ingiusti con me. Io, in fondo, molto in fondo, sono un bravo ragazzo. Mi sono preso le mie responsabilità, rischiando perfino di crescere un bambino non mio. Anche se, pensandoci bene, dubito che Hachi sia incinta di Nobu. Quello ha tutta l’aria di essere uno di quelli che non rischia mai. Scommetto che ha sempre usato il preservativo. Sì, lo so, avrei dovuto usarlo anche io, ma che vuoi che ti dica.
Adesso, però, mi converrebbe imitare Nana e mettermi a dormire.
È proprio carina. Chissà, forse è proprio questa sua aria da ragazzina indifesa ad attirarmi tanto. Mi dà l’occasione di esercitare il mio controllo su di lei.
Chi lo sa.
È proprio meglio che dorma. Domani mattina mi toccherà sudare sette (dannazione, questo sette è proprio ovunque1!) camicie per trovare una soluzione a tutto questo casino. Mannaggia a te, Ren.
E anche a te, Hachi! D’accordo che abbiamo sistemato tutto anche stavolta, ma dobbiamo davvero affrontare questo discorso un giorno sì e l’altro pure? Sono un ragazzo sensibile, anche se non ci credi! E ti sono davvero affezionato…altrimenti, anche se un po’ temevo che avresti venduto questa storia alla stampa, me ne sarei lavato bellamente le mani della tua gravidanza.
Perciò, Nana…amami…perché ho bisogno del tuo amore, anche se non sono una rosa spezzata.
 
1 Forse è superfluo specificare ma, per chi non lo sapesse, “Nana” significa “sette” in giapponese. “Hachi”, invece, il soprannome di Nana Komatsu, significa “otto”.
 
  
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