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Autore: Henya    01/12/2021    4 recensioni
Salve a tutti :) questo è il proseguimento della mia prima fanfiction "Never Lose Hope".
Anya , dopo essere partita con Rai per la Cina, ritorna a Tokyo dopo avere ricevuto alcune notizie dalla sua amica Hilary. Da qui ha inizio una lunga e ingarbugliata serie di eventi che, per chi già mi conosce, non saranno certo rose e fiori ^_^""
Spero possa piacervi :) Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Rei Kon, Yuri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ho perso il controllo del mio corpo. I miei piedi si muovono all’impazzata, uno dopo l’altro, e le mie mani cercano di aprire un varco per permettermi di attraversare una folla di studenti.

Sono le 10.54.

È tardi.

Anzi, è tardissimo.

In un rapido gesto apro la porta che conduce ai piani superiori di questa scuola, che un tempo frequentavo giornalmente, e trattenendo il respiro, salto da un gradino all’altro sino al terzo piano, dove si terrà l’esame finale.

Percorro il lungo corridoio correndo, rallentando in prossimità di ogni porta per verificare se sia quella giusta.

L’aula corretta dovrebbe essere in fondo al corridoio: l’aula C-8.







 

***









 

L’ultimo candidato presente, dopo i controlli dei documenti da parte del presidente di commissione, prende posto a sedere, in un banco nella fila parallela alla mia. Non mi aspettavo di vedere tanta gente provare questo esame, soprattutto persone di ogni età. Il più anziano credo abbia 56 anni.

Non è un po’ tardi per diplomarsi?

Ad ogni modo, la cosa che mi preoccupa è che Anya non sia ancora arrivata. Osservo il presidente di commissione controllare con aria seria il suo orologio al polso e, istintivamente, anch’io punto gli occhi sul mio e scopro, amaramente, che mancano meno di due minuti all’inizio del test.

Cavoli, Sarizawa, dove sei?, penso tra me e me osservando un banco rimasto vuoto.

Perchè stamattina sei sparita?

Il presidente si alza dalla sua sedia, scambia qualche commento a bassa voce con i suoi colleghi e avanza lentamente in direzione della porta, suppongo per chiuderla.

E di nuovo, punto gli occhi accigliati sul quadrante del mio orologio.

Non può essere davvero così stupida da non presentarsi…






 

*** 









 

Manca poco.

Pochissimi passi e raggiungerò la mia destinazione:l’aula C.8 che, ommioddio, un tizio sta per chiudere!

“Aspetti!!!” urlo all’improvviso, non appena vedo la porta in procinto di chiudersi quasi di fronte alla mia faccia. “Mi dispiace, non ho fatto in tempo prima. Ho corso più veloce che potevo, il lavoro…la…la…”. Non ho più fiato, non riesco a parlare, mi fa male il fianco destro ad ogni respiro.

“E’ fortunata, mancano 30 secondi, si sbrighi a mostrare i documenti!” asserisce serio e impassibile, invitandomi ad entrare.

Uff, meno male, ce l’ho fatta per un pelo. Non ricordavo fossero così indulgenti in questa scuola.

Avanzo verso una cattedra dietro cui sono seduti dei professori e mostro i miei documenti. Dopo una manciata di secondi, mi consegnano una penna e dei fogli e mi invitano ad accomodarmi in terza fila, nell’unico banco vuoto.

Solo quando mi giro mi rendo conto di quante persone ci siano, ma solo una di queste mi salta subito all’occhio, seduta proprio in quarta fila, in un banco posizionato trasversalmente al mio. Distolgo subito lo sguardo altrove e lo tengo di proposito fisso sul banco che mi appresto a raggiungere. 

Non ho il coraggio di guardarlo, non dopo ciò che è successo stanotte.

Solo quando mi siedo e il presidente ci comunica il via di inizio al test mi ricordo perché mi trovo qui: ho un esame da sostenere.

Mio dio, ma io non mi ricordo niente!

Gli altri candidati intorno a me scrivono già qualcosa e io, nonostante continui a tenere fissi gli occhi sulla prima domanda, non riesco a leggerla.

Mi sento lo sguardo penetrante di Kai addosso, e pesa, pesa tanto.

Ho l’ansia…







 

*** 








 

Contro ogni mia aspettativa, Sarizawa è riuscita ad arrivare in tempo. Mancavano pochi secondi. Davvero sorprendente, lo ammetto. 

Meno sorprendente è stato, invece, il fatto che mi abbia ignorato. Il suo sguardo sfuggente era alquanto prevedibile.

Il test è iniziato da circa cinque minuti e, non so il perchè, invece di cominciare, fisso pensieroso la sua schiena. Nemmeno lei ha iniziato a scrivere…

Ci sono dei pensieri che mi tormentano da stamattina: il fatto che sia venuta nella mia stanza, quello che è successo subito dopo, il non averla trovata stamattina al mio risveglio…Ho persino chiesto a Reina, quando sono sceso in cucina, se l’avesse vista uscire. Ma niente…

Basta, Kai.

Lascia perdere questi pensieri, per qualche ora, e fai questo benedetto esame, ma soprattutto superalo, o non avrai accesso a nemmeno un decimo dell’eredità del vecchio!









 

***









 

Sto procedendo molto lentamente a differenza dei miei vicini di banco, che sembrano essere già arrivati ai quesiti della terza pagina. Il fatto di essere ancora alla terza domanda da più di dieci minuti mi scoraggia e non poco.

Non so se sia dovuto al fatto di non avere studiato abbastanza, all’aver dormito poco ed essermi svegliata presto, a quello che è successo…mio dio. 

Stringo con forza la penna, chiudendo gli occhi, nel vano tentativo di cancellare dalla mia mente alcune immagini e scene tratte dalla notte scorsa.

Quando stamattina ho aperto gli occhi e mi sono resa conto di dove ero, ovvero nella camera da letto di Kai Hiwatari, ho represso dentro di me un grido di disperazione. E’ stato difficile e se ho mantenuto la calma è stato solo perché non volevo che si svegliasse. Dormiva beatamente seminudo nell’altra parte, a pancia in giù, a pochi centimetri dal mio volto.

Cavolo, se si fosse svegliato sarebbe stata la fine.

Così ho stretto i denti e ho provato ad alzarmi senza emettere il benché minimo rumore. C’è stato un momento, ahimé, dove si è mosso. Mi sono ritrovata immobile, al centro della stanza a fissarlo impaurita. Ma fortunatamente si era solo girato dall’altra parte, tornando a dormire.

Dopodiché sono fuggita indisturbata da villa Hiwatari.

E per tutto il tragitto, fino in caffetteria, mi sono data mentalmente della stupida per la grande sciocchezza che avevo fatto. 

E mi sto dando della stupida anche adesso, sia per quello che ho fatto con lui, sia per non riuscire a svolgere questo test.

Ma chi me l’ha fatto fare?






 

“Mancano quindici minuti alla fine della prova” annuncia il professore a gran voce.

Cooooosa?!?

Quindici minuti? Ho capito bene?

Al suono di queste parole, tutti intorno a me iniziano a girare le pagine e controllare le loro risposte, mentre io rimango immobilizzata a fissare un punto vuoto sul mio banco. Ho risposto alla maggior parte delle domande, ma me ne restano dieci da svolgere e non avrò il tempo di rivedere alcune delle risposte di cui non mi sento sicura.

Oh santo cielo, non ho saputo gestire il tempo a disposizione, eppure sembrava bastarmi.

Basta perdersi d’animo, Anya.

Fai un bel respiro profondo e cerca di risolvere più quesiti che puoi, comunque vada, avrai fatto del tuo meglio.

Ma lo sconforto prende il sopravvento nel momento in cui mi rendo conto che alcuni dei candidati si alzano con in mano il loro compito già finito! Ma come hanno fatto??

Ed entro ancor più nel panico quando noto Ka Hiwatari consegnare il suo foglio alla commissione ed uscire dall’aula riservandomi un'occhiata di sbieco.

Non posso crederci! Ha finito prima di me? Come ci è riuscito? 

Non può essere…

Sono solo io la capra qui dentro?

Beh, in realtà c’è ancora qualche povero disgraziato che come me cerca di rispondere alle ultime domande.

Non mi resta che tentare il tutto per tutto…
















 

Il tempo è scaduto, come ha appena annunciato ufficialmente il professore.

Con sguardo afflitto mi alzo e consegno il test, imitata da tutti gli altri. Una volta uscita dall’aula, mi osservo intorno, per controllare se vi sia traccia di Kai nei paraggi del corridoio. 

No.

Nessuna traccia. 

Via libera.

Sistemo meglio la tracolla in spalla e ripercorro a ritroso il percorso verso l’uscita di questo edificio infernale. E quando raggiungo l’atrio, ahimè, vedo Kai seduto su una panchina.

Pensavo fosse andato via. Lo speravo. Davvero tanto!

Immagino lo abbia fatto per aspettarmi.

Per andare via devo necessariamente passargli davanti, e per quanto tentata sia di ignorarlo e fare finta di non vederlo, so che non posso farlo e che questo complicherebbe ancora di più le cose. 

E’ impossibile sfuggire a Kai Hiwatari.

Sarebbe come sfuggire alla morte.

Prima o poi dovrò incontrarlo.

Non posso evitarlo per sempre, purtroppo!

E va bene, Anya, comportati naturalmente, come se nulla fosse successo. Comportati come farebbe lui.

Sii Hiwatari.

Esatto Anya.

Agisci come farebbe lui.

Non dando la minima importanza a ciò che è successo.

So che si comporterà in questo modo, non dirà nulla sull’argomento, dando per scontato che sarò io a iniziare il discorso e pretendere delle spiegazioni.

Beh, stavolta non sarà così.

Sistemo di nuovo la borsa in spalla, prendo un profondo respiro e mi avvicino.








 

*** 



 

Sono riuscito a finire prima del tempo. Ho risposto a tutte le domande, seppur in alcune abbia scritto poco o cose di cui non sono poi tanto sicuro.

Non importa.

Non voglio il massimo dei voti.

Non è mai stato questo il mio obiettivo.

Voglio solo ottenere questo diploma, anche col punteggio minimo.

Avrei dovuto rivedere le risposte, ma una volta finito ho desiderato soltanto di uscire da quell’aula. Così ho consegnato e mi sono messo qui su questa panchina a fumare e controllare i messaggi ricevuti.

“Ciao…” sento dire da una voce alle mie spalle.

Ha finito anche lei, finalmente.

Non mi aspettavo venisse a salutarmi, in realtà. Mi chiedo come mai non sia uscita dal retro non appena mi ha visto.

“Ciao…” replico, alzando lo sguardo verso di lei.

Silenzio.

Ecco che mi stanno tornando in mente i pensieri di prima e ciò mi porta a distogliere lo sguardo per primo e fingo di fissare altrove.

“Ehm… Hai finito prima, wow” esordisce quasi sforzandosi di aprire una conversazione. “Io mi sono presa tutto il tempo e non sono riuscita…insomma…a rispondere a tutti i quesiti, spero di passarlo” conclude poi, fissando un punto del prato.

“Beh io ho risposto a tutto, ma non sono sicuro che sia tutto corretto” spiego brevemente.

E di nuovo il silenzio e sguardi persi nel vuoto.

Non credevo sarebbe stato così imbarazzante…

Cosa dovremmo fare? Chiarire? Chiarire cosa sia successo stanotte?

Beh, lo sappiamo entrambi cos’è successo.

Forse dovremmo capire perché è successo? O cosa abbia signif…

“Adesso devo tornare al lavoro, ciao!”.

Ma prima che questo pensiero possa prendere forma nella mia testa, lei se ne va, congedandosi con questa frase e questo “ciao” che risuona nella mia mente in modo strano.

Ma ciò che mi stranisce di più è stato il suo atteggiamento apparentemente distaccato. Come se non fosse successo niente.

Solo io sto pensando a quello che abbiamo fatto?

 

Insomma, non è da lei.

Come non è da me pensare e ripensare al fatto di essere andato a letto con una ragazza.

Il problema è che lei non è una ragazza.

Cioè, sì, è ovviamente una ragazza, ma non una qualsiasi.

E’ la madre di mia figlia.

Dannazione…















 

“E dunque aumentando il profitto di alcuni immobili, possiamo beneficiare del…”.

E’ pomeriggio e sono immerso in una delle solite stressanti e noiose riunioni. Per quanto io mi stia sforzando di seguire il discorso di questo dipendente, non riesco proprio a seguirne il filo logico. Sempre che ci sia! 

Di che diavolo sta parlando?

Avrei dovuto annullare questa riunione.

Ho già sprecato tutte le mie energie stamattina svolgendo quell’assurdo esame. Per non parlare del fatto che ho dormito circa tre ore stanotte. Ammetto che è stata una nottata intensa.

“Dunque, cosa ne pensa signor Hiwatari?” mi viene chiesto all’improvviso, mentre sono distratto da pensieri che esulano completamente dall’argomento della riunione.

Tutti mi osservano in attesa di una risposta.

Cosa ne penso?

beh..

Non ho voglia di parlare, come non ho voglia di stare qui.

“Che ho bisogno di un caffè!” asserisco con nonchalance, alzandomi e uscendo dalla sala riunioni, sotto lo sguardo costernato dei presenti.

Ho davvero bisogno di un caffè…














 

***












 

“Ecco a voi il vostro caffè!”.

Adagio delicatamente le due tazzine sul tavolo e una volta di ritorno al bancone, i miei occhi puntano casualmente verso le vetrine e scorgono, oltre le ampie finestre, una pericolosa figura umana in avvicinamento.

Sta per entrare qui dentro.

Oh no…

Non voglio vederlo.

Devo nascondermi!

In due o tre rapidi balzi, raggiungo la cucina e convinco Dana ad aiutarmi, nonostante lo sguardo seccato che mi sta riservando.

“Ti prego, va’ là e se ti chiede di me, dici che non mi hai vista, che sono andata via, non so, inventa qualcosa!” la supplico disperata.

“Si può sapere perchè?”.

“Non c’è tempo per spiegare!".

“Mio dio, con te ne succede una ogni giorno…” mormora acidamente, uscendo dalla cucina.








 

**** 








 

Non so il perché io abbia deciso di venire qui.

Volevo un caffè, è vero, ma avrei potuto benissimo prenderlo in una di quelle scadenti macchinette dell’azienda, o in un bar molto più vicino.

Invece, mi sono messo in macchina e, guidato da non so cosa, mi sono ritrovato qui di fronte a questa caffetteria.

Apro la porta principale, provocando quel fastidioso tintinnio che non ti fa mai passare inosservato e mentre raggiungo il bancone mi osservo in giro, alla ricerca di Sarizawa, anche se di lei non sembra esserci traccia. C’è solo quella burbera cameriera che mi osserva in modo minaccioso.

“Vuole ordinare?”.

E che ogni santa volta fa finta di non riconoscermi.

“Puoi chiamarmi Anya?”. Vado dritto al punto senza perdermi in troppi convenevoli, cosa che sembra infastidirla alquanto.

“Sei qui per ordinare il piatto forte di questo bar, ma mi dispiace, Anya non c’è!” conclude acida, iniziando a lucidare il bancone.

Ti sembro stupido forse? Ma decido di tenere per me questo commento.

“E dov’è?” domando seccato, fissando sospettoso verso la cucina.

“Non lo so, è dovuta andare via qualche ora fa, aveva delle cose da sbrigare, non so quando tornerà!” spiega in modo molto vago, facendo spallucce con aria innocente.

Fin troppo innocente.

Non lo so, non mi convince e il mio sguardo glielo sta comunicando.

I miei occhi si muovono insospettiti prima su di lei, poi sulla tendina che separa la cucina dal resto della sala, e di nuovo su di lei e poi ancora su quella tenda.

“Allora, vuoi ordinare qualcosa o no?” chiede con impazienza.

“No…” rispondo infine, con una nota risentita nel tono di voce, voltandole le spalle per andarmene con l’amara consapevolezza che sarebbe stato meglio bere quell’orribile caffè dell’ufficio e ritornare a quella noiosa riunione.








 

****







 

“Pericolo scampato!” mi avvisa Dana, avvicinandosi alla sottoscritta che se ne rimane ancora nascosta in un angolo della cucina, dietro il frigorifero.

Al suono di queste parole, tiro un respiro di sollievo, anche se ciò non mi aiuta a sentirmi più leggera.

“Perché ti nascondi da lui?” domanda quasi divertita. “Cos’è successo?”.

“E’ successo ciò che non doveva succedere…”. 










 

Più tardi nel pomeriggio vado a prendere Hope a scuola e insieme ci accingiamo a raggiungere casa. 

Durante la serata ricevo una email che mi avvisa di aver superato l’esame con 66 su 100. Un voto alquanto deprimente, lo so,  ma che comunque segna una minima vittoria. Ho avvisato tutti e hanno iniziato a mandarmi complimenti e congratulazioni via messaggi e telefonate sia Hilary, Yuri e Boris, che i miei genitori. Loro erano davvero contenti, tuttavia ho evitato di rivelare il voto esatto. Diciamo che sanno che ho preso 90, non avrei sopportato i commenti di mio padre a riguardo.

Quando si fanno le undici e la stanchezza prende il sopravvento, mi alzo dal divano, metto Hope a letto e mi dirigo in camera mia per godermi un po’ di meritato riposo.

Oggi è stata una giornata intensa.

Ma non ho il tempo di alzare le coperte, perchè uno strano rumore mi prende alla sprovvista.

Sbaglio o hanno suonato alla porta?

A quest’ora?

Indosso di nuovo la vestaglia e mi avvio a controllare se vi è qualcuno alla porta e, quando il mio occhio guarda attraverso lo spioncino, rimango impietrita.

E’ Kai.

“Chi è?” domando quasi stupidamente mordendomi la lingua.

“Sono io, apri la porta!” asserisce con voce seria e penetrante.

“Ma Kai, è tardi…”. Cerco di avanzare una scusa plausibile, anche se non serve a molto.

Io non voglio parlare con lui. Non adesso. Non a quest’ora.

Che palle…










 

***







 

Ero in un bar a bere una birra con Boris, quando all’improvviso non lo so, ho avuto una strana sensazione. Mi sono alzato mollandolo lì da solo, ho preso la macchina e sono venuto qui a casa di Anya.

Ho pensato: è da tutto il giorno che mi sfugge, non può fuggire se la trovo in casa.

“Puoi aprire? Devo dirti una cosa…” tento invano di convincerla.

E non capisco nemmeno io perché lo stia facendo. Non è da me pregare le persone.

Alla fine cede e la porta si apre.

“Cosa vuoi a quest’ora?” chiede seccata mentre avanzo per entrare, nonostante lei non sembri molto incline a ricevermi.

“Sbaglio o mi stai evitando?” domando secco e conciso, fissandola dritta negli occhi.

“Io? evitando? No…” mente, fingendo di non capire.

“Credi che non sappia che oggi eri nascosta in cucina?” le faccio notare col tono di chi la sa lunga.

“Ti sbagli” mente ancora una volta, lasciando trapelare un certo nervosismo.

Ma il modo in cui la fisso fa crollare ogni suo tentativo di costruire un muro di difesa. “E va bene…forse sì, ti stavo evitando!” ammette colpevole, sospirando.

“Posso sapere il perché?" domando, forse ingenuamente.

Il suo sguardo quasi non crede alla mia domanda.

“Davvero, Kai? Vuoi davvero che te lo spieghi?”.

“E’ per ciò che è successo l’altra sera?”.

“Sì, ascolta Kai, io…io, insomma, è stato un errore!” sbotta all’improvviso, come se queste parole le avesse trattenute per troppo tempo. “Un terribile errore!” ci tiene a precisare.

E’ stato addirittura così terribile?

“Io non volevo che succedesse!”. Ma prima che io possa parlare è lei a mettere le mani avanti. “Sì, ok. Lo so, sono venuta io nella tua stanza! Se sono venuta con l’intenzione di fare quello? Non lo so! So solo che io, beh, ero lì, e tu eri lì e…grrr!”. Porta le mani alla testa con fare disperato, mentre io rimango lì in piedi a fissarla perplesso.“Non dici niente? In fondo sei tu che sei venuto per ‘parlare’” mi ricorda, mettendo tra virgolette l’ultima parola.

E’ vero, sono venuto qui per “parlare”, ma in realtà non sapevo cosa dire con precisione. Ho aspettato che facesse tutto lei, come al solito.

“Ascolta, voglio che facciamo finta che non sia successo. Davvero! Io non so come giustificare quello che abbiamo fatto. So solo che era da troppo tempo che io… Beh, gli ormoni, la tensione, non lo so! So solo che non doveva succedere e basta! Non voglio che si crei imbarazzo tra di noi. Abbiamo una figlia e dobbiamo agire in modo sensato e provare ad andare d’accordo per lei. Quindi, beh…possiamo fare finta che non sia successo niente?” propone infine, giungendo le mani in segno di supplica.

Me ne sono stato in silenzio tutto il tempo a fissarla e a cercare di seguire il filo logico del suo discorso. Ho pesato ogni singola parola e credo di essere giunto alla risposta che stavo cercando.

“Quindi volevi solo…scopare?” domando serio e pungente, con una nota leggermente infastidita, quasi come se la cosa mi disgustasse.

E queste parole la lasciano un po’ spiazzata, quasi come se per la prima volta la verità le fosse stata sbattuta in faccia.

“Io…ecco…probabilmente sì…” ammette in un fil di voce, quasi come se se ne vergognasse.

Ecco, era quello che volevo sapere.

Non sono sicuro se era ciò che volevo sentirmi dire, ma…non ha importanza.

“Ok, va bene” dichiaro in tono calmo, “Volevo solo sapere se anche per te era stata solo una scopata fine a se stessa, per non creare fraintendimenti!” spiego come se fosse una cosa ovvia.

“Sì…è stata solo una cosa fine a se stessa” ripete lei.

Cala il silenzio.

I nostri sguardi vagano in punti indefiniti dello spazio e quando il silenzio inizia a farsi pesante, decido che è ora di andare via.

“Dato che abbiamo chiarito, io vado…” annuncio, mettendo prima un piede e poi l’altro fuori dalla porta. E lo faccio lentamente, quasi come se ci fosse qualcosa a trattenermi. 

“Buonanotte!” saluta infine lei, chiudendo altrettanto lentamente la porta.

 

Non so, ma ho come l’impressione che non sia stato detto tutto, che ci siano delle parole e delle questioni lasciate in sospeso.

E’ una strana sensazione.

Credevo che venendo qui per chiarire si sarebbe risolto tutto.

Ma ho l’impressione che si siano solo complicate…























 

Holaaaa mi gente!

Ciao a tutti e ben ritrovati in questo capitolo partorito dopo mesi e mesi di agonia. Scusate ma ho avuto un blocco e ne ho sofferto parecchio, perchè il capitolo era nella mia testa ma non sapevo come scriverlo.

Ci sono riuscita infine, non so se bene o male. Mi sento un po’ arrugginita.

Il capitolo poi non era facile da scrivere, spero abbia un senso.

Lascio a voi i commenti, fatemi sapere. Non mi dilungo nelle spiegazioni, il capitolo penso (e spero) parli da sé. Cosa ne pensate di questo “chiarimento?”.

Ringrazio come sempre chi ancora mi segue!

 

Un abbraccio a tutti e alla prossima!

 
   
 
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