Libri > Altro
Segui la storia  |      
Autore: Il Professor What    09/12/2021    0 recensioni
[Dune]
[Dune]Vicki Pallister è rimasta bloccata sul pianeta desertico Dido per quasi due mesi, con solo un uomo malato e costretto a letto come compagno, e la costante minaccia di un misterioso straniero, Koquillion, che sostiene di proteggerli dalla gente del posto. Lei vuole solo andarsene - e non sa che sta per ottenere più di quanto potrebbe mai sperare.
Susan Foreman ha dei sogni, sogni di qualcosa che la chiama, una pietra gialla brillante. Suo nonno non vuole parlarne, hanno già abbastanza problemi da affrontare, essendo in fuga dal loro pianeta natale. Il loro viaggio li porta a Dido, o Arrakis come lo chiama il suo popolo, in cerca di un rifugio. Ma anche loro avranno più del previsto.
È iniziata.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Sandy! Sandy!”

Nessun suono venne dalle pareti rocciose, né dalla parte del deserto; nessun raspare o ansimare. L’eco della sua voce ripeté ancora il nome per una o due volte, ma poi si spense, fievole suono nella vastità del deserto di Dido.

Vicki Pallister si sedette sconsolata sui gradini dell’astronave. Doveva essere una di quelle giornate in cui Sandy dormiva fino a tardi, nella frescura della fenditura rocciosa, lontano dal sole rovente. Per un attimo, Vicki pensò di andare a fargli compagnia, ma poi rinunciò all’idea. Non le piaceva l’idea di andare a seppellirsi in una grotta, al buio, da sola; inoltre, Bennett poteva aver avuto bisogno di aiuto, e lei doveva restare vicina. Poi, ovviamente, c’erano i Didoniani, magari in agguato, pronti a reclamare un’altra vittima. Tutte ottime ragioni per restare nelle vicinanze.

Peccato che la ragionevolezza fosse una pessima arma contro la noia. Vicki non ne poteva più di questo pianeta desertico, dei corridoi distrutti della nave, della sabbia che si infilava ovunque, dell’acqua che estraeva ogni giorno con fatica dal pozzo. Non ne poteva più nemmeno della paura ormai diventata presenza costante delle sue giornate, compagna così abituale e solita che ormai non faceva più alcun effetto. Aveva pianto tutte le sue lacrime, e la rassegnazione ormai cominciava a sedimentarsi all’interno del suo cuore; in effetti, non fosse stato per Bennett e per Sandy, la ragazza avrebbe abbandonato il relitto ormai da tempo.

Più di ogni altra cosa, Vicki voleva andarsene, non importava dove. Voleva vedere un’altra faccia umana che non fosse Bennett, un altro cielo, un altro paesaggio, anche fosse stato un altro deserto. Voleva sentire di nuovo attorno a sé la presenza di persone, di vita brulicante e rumorosa, invece della pesante, marmorea solitudine delle infinite dune di sabbia e degli alti picchi montuosi. C’era stato un tempo in cui aveva desiderato restare lì, da sola, più di ogni altra cosa, ma ora quel tempo – il tempo del lutto – era passato. Era ora di tornare a vivere, e Vicki non vedeva l’ora.

Peccato che fosse l’unica. La nave di soccorso non sarebbe arrivata prima di minimo altri cinque giorni, e per essere uno che avrebbe avuto bisogno di un ospedale, Bennett sembrava essere straordinariamente calmo e tranquillo al riguardo. Vicki non riusciva a capire per quale ragione, fra loro due, la più annoiata sembrasse essere lei, quando era lui quello costretto a letto! Fosse stata al suo posto, lei avrebbe urlato e sbraitato, impaziente di lasciare la sua branda. Era sempre stata impetuosa, fin da piccola; sua madre usava soprannominarla “terremoto”. Il ricordo le portò una lacrima al viso, ma Vicki la scacciò subito, quasi con rabbia: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era deprimersi.

Decise di alzarsi e andare al pozzo ad attingere la razione d’acqua per la cena. I piedi affondarono morbidamente nella sabbia tiepida, i granelli risplendenti dei riflessi argentei delle paratie della nave. Ricordava ancora, Vicki, quando la prima volta si era fermata ad ammirare i giochi della luce sullo scafo del distrutto UK-201. Anche a pezzi, l’astronave conservava un’impronta dell’originale eleganza del suo design: la semplice forma a tubo, le ali inclinate verso l’alto, gli oblò curvi e dal vetro decorato, che ancora si muoveva sotto la mano di Vicki. Un tempo, bastava toccarlo per cambiare il paesaggio da vedere (utile antidoto alla monotonia dello spazio siderale), ma adesso, purtroppo, le batterie si erano scaricate. Erano morte anch’esse, come quasi tutto su questo maledetto pianeta.

Ci vollero solo pochi passi per arrivare al punto in cui la sabbia lasciava il posto alla pietra. Il pozzo era costruito sotto la parete montuosa, collegato alle sorgenti di un fiume che, a quanto pare, scendeva dall’altro lato della conformazione rocciosa: una delle tante cose Vicki avrebbe voluto esplorare (aveva sempre avuto un debole per le avventure). La carrucola elettrica era già pronta, e Vicki si stava preparando a calarla quando un suono non familiare le raggiunse le orecchie, facendola immobilizzare.

Bip-bip, bip-bip.

Il suo primo pensiero fu che la noia e la stanchezza le stessero giocando un brutto scherzo, che fosse frutto della sua immaginazione. Lo ricacciò e si mise in ascolto più attentamente.

Bip-bip, bip-bip.

Questa volta lo sentì in modo chiaro, distinto. Il cuore iniziò a batterle più forte, ma ancora Vicki non si mosse. La terza volta è quella buona, ripeteva suo padre, e se …

Bip-bip, bip-bip.

Vicki mollò tutto e corse verso la nave, superando con poche rapide falcate la distanza che la separava dalla porta del relitto. In fretta, si arrampicò sui gradini ed entrò in quella che un tempo era stato l’appartamento del capitano della nave, e che ora era la sua camera. Sulla parete di fronte a lei, dal lato opposto rispetto al suo letto, oltre il tavolo, si ergeva la massa scura della radio, con le sue lucette, lo schermo circolare del radar, la tastiera e il dispositivo di comunicazione – l’unico pezzo di equipaggiamento che lei e Bennett erano riusciti a staccare dalla sala di controllo distrutta. E proprio sullo schermo, una luce risplendeva a intermittenza, la pallida luce gialla quasi invisibile, a ritmo con il rumore del radar.

“Bennett! Bennett!”

Urlando per l’eccitazione, Vicki percorse il corridoio che separava la sua stanza da quella di Bennett, come al solito chiusa.

“Bennett!” urlò Vicki, battendo freneticamente sulla porta. “Sono atterrati! Fammi entrare!”

“Vieni” disse dall’interno una voce scura. Vicki obbedì ed entrò. Come al solito, Bennett era disteso in branda, avvolto nella sua divisa scura, la gamba rotta distesa, quella sana piegata in alto per garantirgli un appoggio. L’uomo dimostrava circa quarant’anni, e il viso abbronzato, scuro, era contornato da una folta barba nera. Gli occhi anch’essi scuri emergevano dagli scavati lineamenti del viso, profondi come il pozzo fuori dalla nave. Vicki non sapeva bene perché, ma le incutevano un po’ di timore: sembravano occhi abituati a conservare segreti.

“Bennett, la nave è atterrata! Sono qui! Ci riporteranno indietro! Non è meraviglioso?”

Lo sguardo che Bennett le lanciò sentendola smorzò subito il suo entusiasmo. “Non può essere la nave” commentò poi gelido l’uomo, abbassandole ancora di più il morale. Si era aspettata che Bennett fosse eccitato e felice quanto lei della notizia, che avrebbero condiviso la gioia di potersene finalmente andare … e chiaramente si era sbagliata. Però il suono arrivò di nuovo dalla sala di controllo, e Vicki trovò il coraggio per insistere.

“L’ho sentita chiaramente sul rilevatore, ascolta!”

Bennett obbedì, e dal suo sguardo Vicki capì che aveva sentito anche lui il rumore. Lo vide aggrottare la fronte e socchiudere gli occhi, pensieroso, preoccupato. “Deve trattarsi di un guasto … Deve … Hai parlato con loro via radio?”

“No, ho pensato prima di venirtelo a dire. Pensavo ti avrebbe fatto piacere, Bennett.”

“La nave non arriverà prima di tre giorni, e senza la nostra guida non sarebbe nemmeno capace di trovare Dido, lo sai bene” scandì Bennett con voce sonora, andando lentamente, come se parlasse con una bambina di tre anni. In altre circostanze, Vicki si sarebbe sentita offesa, ma considerato come stavano le cose, poteva darsi che Bennett parlasse così solo per il dolore della ferita e l’impazienza. Magari voleva essere sicuro prima di festeggiare.

“Ma si vede sullo schermo! Vieni a vedere, ti aiuto io” propose quindi Vicki. Bennett la osservò con attenzione, come valutando la proposta, ma poi ricacciò indietro la testa sul cuscino.

“L’hai sentita atterrare?” chiese.

“No, ma...”

“La nave non può essere atterrata in silenzio.”

“Deve averlo fatto! È solo arrivata in anticipo, tutto qui! La si vede chiaramente sullo schermo.”

“Qual è la sua posizione?”

“N-non lo so … da qualche parte sulla montagna … credo” balbettò Vicki, rendendosi conto di quanto vaghe fossero le sue indicazioni. Forse avrebbe fatto bene a fermarsi un attimo a controllare il radar prima di precipitarsi da Bennett, avrebbe forse portato qualcosa in più per convincerlo. Per come si erano messe le cose ora, era chiaro non ci fosse riuscita.

“Senti, Vicki” cominciò Bennett, in tono condiscendente, ancora una volta “so quanto desideri andartene da questo pianeta. Entrambi vogliamo andarcene, ma non serve a niente alimentare le nostre speranze invano. Vai a contattare via radio la nave di salvataggio, e vedrai che ti sbagli.”

“Ma il segnale …”

“Te lo ripeto, deve essere stato un guasto. Magari dopo ci do un’occhiata, così vedo se è possibile ripararlo.”

Mogia mogia, Vicki fece per uscire. Una parte di lei sapeva che Bennett aveva ragione, ma era difficile rinunciare alla speranza, all’eccitazione dopo tanto tempo rinata. E comunque, c’era pur sempre la possibilità che ad avere ragione fosse lei.

“Vicki …” la voce di Bennett la fermò quando già aveva la mano sulla porta. “Stai attenta a Koquillion.”

Un brivido le corse giù lungo la schiena di lei a sentire quel nome. “Oggi non l’ho visto” si affrettò a dire, come a esorcizzare lo spettro che quel nome evocava.

“Sarà in giro da qualche parte. Ricorda che non sa nulla della nave di soccorso.”

“Lo so.”

“Quindi fai attenzione. Se lo scopre, ci ucciderà entrambi” concluse Bennett, abbassando lo sguardo per darle un’occhiata di avvertimento. Vicki dovette prendere un grosso respiro per uscire dalla stanza, e camminare indietro verso la radio. Si vergognava di avere così paura, ma dopo quello che era successo a suo padre e agli altri, sapeva che sarebbe stato stupido non averne. In ogni caso, al momento quel mostro era lontano; con un po’ di fortuna, lo sarebbe rimasto il tempo sufficiente perché lei potesse contattare i soccorsi e chiedere chiarimenti.

Con lo sguardo fisso sullo schermo, Vicki digitò i tasti per sintonizzarsi sulla frequenza dei soccorsi. Anche adesso che aveva disattivato il rumore di notifica, continuava a vedere la spia lampeggiante sullo schermo, sicura e precisa nel suo apparire e scomparire.

“Pianeta Dido a nave di soccorso, pianeta Dido a nave di soccorso. Rispondete, per favore. Passo” disse Vicki, quando la comunicazione fu finalmente pronta. Per qualche interminabile secondo, la cuffia le rimandò il fruscio dell’elettricità statica, ma poi emerse chiara una voce.

“Nave di soccorso al pianeta Dido. Vi riceviamo sulla linea due. Passo.”

“Siete qui? Siete atterrati? Passo.”

“Atterrati? Abbiamo ancora sessantanove ore di volo! Stiamo procedendo normalmente, dovremmo...

“Ma non … non è possibile. Cioè ...”

“Ora non preoccuparti, stiamo arrivando. Cercate di resistere ancora un po’, vi contatteremo per darvi indicazioni di recupero tra diciassette ore da adesso. Ripeto, diciassette ore. Interruzione contatto ora.”

“No, aspettate!”

“Passo e chiudo.”

Invano Vicki insistette perché restassero in linea: con un sonoro click, l’elettricità statica tornò a riempirle le orecchie, riportandola alla sua solitudine e lasciandola più confusa che mai. La luce sul radar continuava ad apparire e scomparire a ritmo regolare; magari era veramente un guasto, ma gli apparecchi sembravano essere tutti in ordine. Ma se non era un guasto, e qualcuno era atterrato, e non era la nave di soccorso, allora chi poteva essere? Certo non gli abitanti locali, e sicuramente non Koquillion! Forse … forse …

La curiosità ebbe la meglio, e con un ritrovato coraggio Vicki decise che sarebbe andata a vedere. A giudicare dal segnale, il luogo dove la nave era atterrata non era lontana; anzi, chiunque fosse arrivato aveva avuto l’accortezza (o la fortuna) di fermarsi vicino al pozzo. Anche fosse arrivato Koquillion, Vicki avrebbe fatto in tempo a vederlo e sarebbe tornata indietro in fretta; quanto a Bennett, avrebbe preso un dispositivo di comunicazione per stare sicura di essere raggiungibile. In fretta, Vicki si annotò la posizione su un foglio lì vicino, e uscì dal relitto. Stavolta, nel toccare la sabbia, i suoi piedi non affondarono: l’adrenalina la spinse a spiccare una corsa, gambe e braccia che ritrovavano una forza che non pensavano di avere.

Qualcuno era arrivato.

Non era più sola.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Il Professor What