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Autore: TheSlavicShadow    12/12/2021    0 recensioni
C'era un'idea. Stark ne è informato. Si chiamava "Progetto Avengers". La nostra idea era di mettere insieme un gruppo di persone eccezionali sperando che lo diventassero ancor di più. E che lavorassero insieme quando ne avremmo avuto bisogno per combattere quelle battaglie per noi insostenibili. [Nick Fury]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aprile/Maggio 2009

 

Aveva passato la notte nella sua vecchia stanza. Era totalmente vuota. Non c’era più nulla che appartenesse alla sua vecchia vita tra quelle mura, a parte i mobili. Tutta la casa era quasi così, svuotata della maggior parte delle cose che le erano appartenute, a cui era stata abituata. 

Le aveva portate a Malibu. Le aveva portate a Manhattan. 

In quelle mura erano rimaste però le cose dei suoi genitori. I mobili e i soprammobili. Le tende che aveva sempre trovato orrende ma che non aveva mai tolto, neppure dopo la morte di sua madre. O tutte le ceramiche di cui sua madre era tanto orgogliosa. Quelle non le aveva mai spostate. Le aveva lasciate lì perché non le sembrava giusto spostarle. Appartenevano a quella casa e ai fantasmi del passato che la infestavano.

Ma aveva cancellato sé stessa da quella casa. Se ne era resa conto quando vi aveva soggiornato in occasione della Expo. Aveva minuziosamente svuotato la casa di tutto quello che le era appartenuto. 

Tranne dei ricordi. Perché in quella stessa stanza aveva passato dei momenti indimenticabili con Steve Rogers. La sua prima, la loro prima convivenza, era successa tra quelle mura. Tante cose erano successe tra quelle mura. 

Il loro primo bacio quando era ancora solo una ragazzina, e che non aveva portato a nulla. Solo al consolidarsi della loro amicizia e dei sentimenti che aveva sempre provato per quell’uomo. 

Avevano vissuto lì, erano diventati una coppia sempre lì, solo a seguito ad uno degli eventi più traumatici della sua vita. Perché poteva fare finta che non l’avesse mai toccata più di tanto, ma la morte dei suoi genitori era stato, lo era sempre, un trauma non da poco. Ritrovarsi orfana a 19 anni, per quanto fosse oppositiva con i suoi genitori come ogni adolescente che si rispetti, non era stato un colpo che aveva saputo attutire. Ma Steve era riuscito a rimetterla in piedi. Erano stati felici. Oh, se erano stati felici. Aveva passato dei mesi che definire spensierati sarebbe stato sbagliato. Erano stati dei mesi magnifici. Dei mesi in cui aveva potuto quasi toccare il cielo con un dito.

La morte di Jarvis era stato un altro colpo non indifferente, giusto quando si stava riprendendo del tutto e stava finalmente bene. Era stata felice in quei mesi in quella casa. C’era Steve, c’era Jarvis. Mancavano Howard e Maria, era una assenza pesante, ma era riuscita ad essere felice. Ma la morte del maggiordomo di famiglia, che le aveva fatto anche da padre in più di una occasione, era stata la goccia che aveva fatto straripare un vaso troppo pieno di emozioni, non tutte positive, che non era riuscita a controllare.

La sua vita era precipitata e non sapeva se si era in realtà mai ripresa sul serio. Con molta probabilità no. Aveva passato degli anni interi passando da un eccesso all’altro per cercare di stare bene, di riprendersi, ma non c’era stato verso di rimettersi davvero in carreggiata.

Poi c’era stato il suo viaggio di lavoro in Afghanistan. Da quella esperienza e tutto quello che ne era conseguito non si sarebbe mai ripresa, perché era alla fin fine tutto collegato. La sua vita davvero si poteva dividere in pre e post Afghanistan. Cercava di non pensarci. Cercava di dire a sé stessa che la sua vita non era cambiata. Ma erano tutte bugie che diceva a sé stessa per poter dormire la notte.

L’Afghanistan aveva portato delle conseguenze sia sulla sua mente che sul suo corpo. 

Aveva sempre saputo che Steve Rogers desiderava avere una famiglia. Dei piccoli biondissimi baby Rogers con cui riempire una casetta in periferia con la staccionata bianca e la bandiera americana in giardino, dove avrebbero grigliato ogni domenica e fatto grandi festeggiamenti per il 4 luglio. Lo aveva sempre preso in giro che quella era la sua casa ideale, e Steve le sorrideva con dolcezza quando lo diceva. 

Aveva accettato tutto quell’uomo. Aveva accettato la sua mancanza di istinto materno all’inizio, giustificata anche dalla giovane età, e aveva accettato la sua incapacità fisica poi di mettere al mondo dei figli. Glielo aveva detto che sarebbe rimasto con lei con o senza figli. Si poteva essere una famiglia anche così, solo loro due e i suoi robot. Non erano i figli che avrebbero cambiato quello che c’era tra loro. Glielo aveva detto una notte in quella stessa casa, dopo la Expo e Vanko, mentre avevano soggiornato a New York per qualche tempo prima di ritornarsene a Malibu. 

Invece i figli avevano alla fine cambiato tutto.

E per due anni lei non aveva smesso di pensarci. Era diventato un tarlo nella sua mente e la stava logorando. Anche perché lei non aveva fatto, come sempre, assolutamente nulla per risolvere il problema. Non ne aveva parlato con nessuno, cambiando sempre argomento se anche solo vagamente saltava fuori con le poche persone che ne erano a conoscenza. E ancora meno era andata in terapia. 

Era stata una gravidanza inaspettata, ma stranamente non indesiderata. E si era stupita anche di questo. Nonostante le avessero detto che le sue possibilità di concepire un figlio erano molto basse, avevano sempre avuto rapporti protetti. Non voleva rischiare nemmeno un po’ di mettere al mondo un essere umano che poi sarebbe cresciuto uno sbandato sicuramente avendo lei per madre. E Steve era molto preciso su questo e i loro rapporti erano sempre stati protetti. Se ci fosse stata anche solo una piccola possibilità di avere dei figli, dovevano deciderlo insieme e non lasciare tutto al caso, le diceva sempre. E come si poteva non amare un uomo che ti diceva così e lasciava a te la decisione finale? Steve aveva sempre rispettato la sua scelta di non volere dei figli. E forse era proprio per questo che aveva iniziato a cambiare lentamente idea e seppur sapesse che era quasi impossibile, non le faceva più ribrezzo l’idea di avere dei figli.

Il suo ciclo non era mai stato molto regolare. Da ragazzina non le veniva anche per mesi, causandole a volte qualche preoccupazione. Da ventenne quasi non ci pensava. E dopo l’Afghanistan si stupiva di averlo ancora. 

Si era alzata dal letto e aveva deciso che doveva farsi un caffè. Non aveva praticamente dormito tutta la notte. Tutti quei pensieri e il ricordo della battaglia non le permettevano di dormire. Tanto valeva iniziare la giornata, che sarebbe stata molto lunga. Già prevedeva l’arrivo di Pepper e Rhodes, e una lunga paternale da parte dell’uomo. 

Non si era stupita quando in cucina aveva sentito la radio accesa e l’odore di caffè già pronto. Se non aveva dormito lei, non aveva dormito nemmeno Steve Rogers. Probabilmente non avevano dormito nemmeno gli altri ma erano ancora nelle stanze degli ospiti. Natasha Romanoff aveva deciso di condividere la sua con Clint Barton ed era curiosa da morire di scoprire che tipo di relazione avessero. Anche solo per non pensare ai suoi di problemi.

Era rimasta sulla soglia, indecisa se entrare in cucina o battere in ritirata. 

Non era pronta per un nuovo confronto.

La sera prima lo aveva visto nuovamente sgretolarsi davanti ai suoi occhi con una semplice frase. E aveva battuto in ritirata. Non aveva ribattuto niente perché non c’era nulla che potesse davvero dire. Dimenticava sempre che la perdita non era soltanto sua, ma anche di Steve. 

Erano passati due anni e sembrava che nessuno dei due si fosse mosso davvero in avanti da quel giorno. 

Solo che vedere Steve Rogers in quella cucina a preparare nuovamente il caffè e la colazione era qualcosa di così familiare che voleva piangere. Erano troppe le emozioni che aveva tenuto imbottigliate negli ultimi giorni e non sapeva se sarebbe riuscita a trattenersi.

Era fatta di ferro. Gli Stark erano di ferro. Ma anche il ferro a volte si piegava, questo Howard si dimenticava sempre di dirglielo. Se si esercitava la giusta pressione, se si scaldava, anche il ferro si piegava e non tornava più lo stesso di prima.

“Quando hai fatto la spesa?” Aveva mosso qualche passo in cucina per avvicinarsi alla credenza in cui c’erano le tazze per la colazione. 

“E’ stato Fury. Ci ha fatto consegnare la spesa e ci ha consigliato di rimanere qui per qualche giorno. A quanto pare molte persone non sono contente di come siano andate le cose.” Non l’aveva guardata, ma almeno le aveva parlato normalmente. Stava preparando i pancakes e si rendeva conto solo adesso di quanto le era mancato anche tutto questo. 

Avere qualcuno con cui fare colazione, qualcuno che ti prepara la colazione. Dopo Steve non c’era mai stato nessuno con cui aveva davvero voluto sedersi e fare colazione. Non che avesse avuto davvero delle relazioni degne di nota negli ultimi due anni. 

“Le persone non sono mai contente, e non posso biasimarli questa volta. Midtown è stata distrutta e non ci sono neppure i colpevoli. Solo noi. O io, di solito. Finiscono sempre per prendersela con me alla fine.” Aveva versato il caffè in una tazza, spostandosi solo un po’ da Steve per prendere il latte dal frigo.

“Per forza, sei un civile che gioca a fare il supereroe.”

“Ancora con questa storia. Mi farai di nuovo la predica per Stoccarda? Fino a prova contraria alla fine vi ho salvato il culo a tutti, perché se fosse stato per i tuoi capi adesso saremmo tutti quanti cenere radioattiva.”

“No, stavolta nessuna predica. Quello che hai fatto ieri è stato da vera incosciente, ma se non fosse stato per te, come hai detto, non saremmo qui.” Aveva impiattato alcuni pancake su due piatti e li aveva portati al tavolo. “Mi fai compagnia?”

Lo aveva guardato e non sapeva più cosa fare, come fare. Era rassegnato come lei al fatto che non sapevano funzionare da persone sane e normali quando si trattava dell’altro.

“Sai che questo porterà altre battute ambigue da parte di Barton?” Si era seduta di fronte a lui, con il caffè ancora in mano, e lo aveva guardato. “Dovevamo davvero salvarlo?”

“E’ molto importante per Natasha.” Steve le aveva rivolto un leggero sorriso, ma non era spensierato. Era pensieroso. Era triste. Stare insieme aveva con molta probabilità risvegliato i ricordi anche in lui.

Era andato più avanti di lei. Aveva avuto una nuova relazione. Una nuova convivenza. Aveva cercato almeno una parvenza di normalità e stabilità. Non sapeva molto altro, ma sapeva che Steve Rogers aveva sicuramente messo tutto sé stesso per far funzionare al meglio la relazione con Sharon Carter. Fino a quando lei non era ricomparsa di nuovo nell'equazione. 

“Hai provato a sentire Sharon?”

“Non vuole proprio sentirmi più.” Aveva sospirato e l’aveva guardata. “Ha sempre avuto paura di un ritorno di fiamma, come lo definisce lei, e non vuole ascoltarmi.”

“Non è un ritorno di fiamma, vero?”

“Non lo so.” Si era passato una mano sul viso e l’aveva guardata con una tale intensità che le sembrava che tutto il suo corpo fosse scosso da qualcosa. “So solo che ero convinto di averti persa per sempre. Davvero questa volta. E’ successo troppe volte che tu fossi ad un passo dalla morte, ma in qualche modo sei sempre ritornata qui, da me. Stavolta eri fredda e non respiravi. E le emozioni hanno avuto il sopravvento. Non posso neppure arrabbiarmi con Sharon se non vuole più parlarmi. Tutto il mondo ha visto.”

“Non ho ancora avuto il coraggio di controllare i titoli dei giornali, e nemmeno il mio cellulare ad essere onesta. Sicuramente avrò almeno una dozzina di messaggi da parte di Rhodey, e altrettante telefonate da Johnny.” 

“Ah, è vero. Stai uscendo con lui.”

“Uscire è una parola grossa e dovresti saperlo anche tu.” Aveva sorriso un po’ e vedere anche il viso di Steve distendersi era confortante. “Lo sa anche lui di essere solo un rimpiazzo e nulla di più. Ti pare che posso avere una relazione seria con Johnny Storm?”

“Beh, stando ai titoli dei giornali siete una coppia molto discussa e affiatata.”

“Stronzate, come sempre. Ogni volta che finisco su qualche giornale diventano relazioni molto discusse e affiatate. Anche con te erano sempre uguali i titoli.”

“Tiberius Stone. Ritorno di fiamma?”

Aveva buttato la testa all’indietro, rilasciando un gorgoglio non ben definito, un misto di frustrazione e rassegnazione.

“Non stavo bene, ok? Doveva essere solo una cena di lavoro, non eravamo neppure da soli al ristorante quella sera. Ma non stavo bene e avevo bisogno di contatto fisico. Come suona patetico detto a voce alta.” Aveva nascosto il viso tra le mani e aveva sospirato. Non stava bene, decisamente. Era successo veramente pochissimo tempo dopo che Steve l’aveva lasciata. E quando Steve non c’era lei non sapeva più funzionare. 

“Adesso mi rendo conto che non me ne sarei dovuto andare e lasciarti da sola, ma non sapevo reagire diversamente.” Steve aveva parlato dopo diversi attimi di silenzio. Aveva parlato lentamente come se dovesse soppesare ogni parola che stava pronunciando. “Ma a mia discolpa posso solo dire che non stavo bene nemmeno io in quel periodo. Non sapevo cosa fare né con te né con me stesso e ho scelto la strada più breve alla fine.”

“Siamo tossici uno per l’altro.” Aveva scosso la testa e lo aveva guardato ancora. “Mettiamo tutte le carte in tavola?” Aveva chiesto con titubanza e non sapeva nemmeno lei perché lo aveva chiesto. Ricordava ancora perfettamente il momento in cui aveva fatto il test di gravidanza. Aveva avuto un ritardo importante, ma non gli aveva dato molta importanza in un primo momento. Era sempre così il suo ciclo. Veniva quando voleva, senza seguire un calendario fisso.

“Avevi nausea in continuazione e vomitavi. Credevo fosse di nuovo avvelenamento per via del reattore arc. Anche perché solo pochi mesi prima ti avevo trovata in bagno più e più volte a vomitare e mi assicuravi che non eri affatto incinta.” 

“Come potevo essere incinta se hai sempre messo il preservativo? Spiegami questo.”

“Beh, a quanto pare per una volta aveva fallito in seguito, no?” Le aveva rivolto un timido sorriso, ma i suoi occhi non sorridevano. C’erano troppe emozioni profonde in quello sguardo e non era più sicura di voler continuare quella conversazione nonostante l’avesse iniziata lei.

“Ne ero felice, sai? Terrorizzata fino alle ossa, ma lo vedevo quasi come un miracolo. Era un miracolo.” Il test di gravidanza era stato più che positivo. La seconda lineetta rosa era da subito diventata molto marcata, con suo sommo orrore nel primissimo istante in cui l’aveva guardato. 

Era già incinta di 7 settimane quando aveva fatto la prima visita. Avevano sentito il cuore battere come un treno e aveva pianto. Aveva pianto come una sciocca guardando l’ecografia sullo schermo. Era un puntino. Era ancora così minuscolo che non aveva un filo di pancia e non aveva messo su nemmeno un grammo. Ma era lì. Era lì, sano e forte.

Aveva fatto subito dei progetti. Il ginecologo le aveva consigliato di non strafare, poteva capirlo. Lei si portava sempre fisicamente al limite. Aveva ascoltato il consiglio e come aveva promesso una volta a Steve, aveva abbandonato Iron Woman. Non stava neppure lavorando più sulle armature o sul migliorare il nuovo reattore. Si era concentrata su quel fagiolo che aveva nella pancia e stava progettando la nursery. Stava facendo ricerche su cosa dovesse avere per forza in casa per l’arrivo di un bambino. 

Mancava troppo tempo, era al solo inizio, ma voleva che fosse tutto pronto per tempo. 

“Ne ero felice anch’io. Tu eri radiosa e sembrava che camminassi sulle nuvole. Credo di non averti mai vista così serena come in quei mesi.”

Sarebbe stato un maschio. Lo avevano scoperto da soli guardando lo schermo. Steve le teneva la mano quando lo aveva sentito chiedere titubante se quello che vedeva era un pisellino. Aveva riso guardando il viso di Steve e gli aveva stretto la mano. Era a 15 settimane e tutto stava procedendo fin troppo bene. Non c’erano più le nausee e tutto stava procedendo bene. Il bambino cresceva e anche i suoi chili. 

Solo che se sei Natasha Stark devi sapere che le cose belle per te non vanno mai a buon fine.

Gli avevano dato un nome. Avevano deciso che sarebbe stato James Rogers-Stark, in onore dei loro migliori amici. Non avevano dovuto nemmeno discutere perché avevano le idee molto chiare sui nomi. 

Solo poche settimane dopo avergli dato un nome si era ritrovata in un lago di sangue mentre era tranquillamente seduta sul divano a lavorare sul tablet. Non c’erano state minacce di aborto. Stranamente la placenta era attaccata benissimo. Il bambino stava benissimo. Ma doveva sapere che nulla di bello sarebbe mai stato duraturo.

“Non ci voglio mai più passare, Steve. Non ci posso più passare.” Aveva abbassato lo sguardo perché non era sicura che sarebbe riuscita a trattenere le lacrime. Non ci riusciva mai quando le tornava in mente, e purtroppo succedeva spesso. “Stava andando tutto così bene e noi eravamo felici. Quasi metà gravidanza senza nemmeno un problema, non ti sembra troppo crudele così?”

Prima che se ne rendesse conto era tra le braccia di Steve. L’uomo la stringeva con forza e quello aveva rotto gli argini. Si era aggrappata a lui come se la sua vita dipendesse da quello, e si era sentita piccola e impottente come si era sentita all’epoca. 

Non c’era stato nulla da fare. Quando era arrivata in ospedale non c’era più battito e avevano solo dovuto aspettare. Non era nemmeno riuscita a piangere in quel momento. Era troppo sotto shock, e non era sicura nemmeno di ricordare cosa le avevano detto.

Solo una cosa aveva capito. Era stata colpa sua. Non l’avevano messa in questi termini, ma già alla prima visita avevano notato che il suo utero aveva dei problemi. Gentile ricordo lasciato dall’Afghanistan anche quello. L’infezione che aveva avuto in seguito al suo primo aborto aveva fatto danni. Yinsen l’aveva curata come meglio aveva potuto, ma erano in una caverna con a stento dell’acqua potabile. Era già tanto che fosse sopravvissuta.

Questa volta era in un ospedale all’avanguardia. Circondata da medici e infermieri. E Steve con lei che non aveva smesso di tenerle la mano per tutto il tempo. 

Partorire e sapere che non avrebbe avuto nulla da stringere in braccio era stato troppo per lei. Non lo pensava possibile. Credeva che non avrebbe mai avuto attaccamento verso qualcuno che in realtà non aveva ancora conosciuto. Per scaramanzia continuava a chiamare il bambino feto, come se rivolgersi a lui con un nome proprio potesse portare male. Aveva sempre avuto il terrore che quella gravidanza non arrivasse a termine. Non lo aveva mai detto a voce alta, men che meno a Steve. Ma ne aveva sempre avuto il terrore. 

Una gravidanza su tre si interrompe entro il primo trimestre, e fortunatamente erano fuori da quel lasso di tempo. Erano statistiche, e lei ragionava sempre con i numeri alla mano. Aveva motivi reali per avere dei timori, ma voleva essere fiduciosa nonostante tutto e lasciare le proprie paure solo per sé. Anche solo per non rovinare l’entusiasmo di Steve. 

Era felice e radioso. Le toccava una pancia che ancora non si vedeva affatto e sorrideva nel mentre. 

Era una cosa nuova per entrambi. Era uno step che non avevano proprio immaginato nella loro relazione, ma l’avevano presa meglio del previsto. 

Erano felici.

“Non è giusto, no.” Steve le aveva accarezzato i capelli e quella era stata la goccia che aveva aperto i suoi condotti lacrimali. Non aveva pianto tra le braccia di Steve da quel giorno in ospedale quando tutto era finito. Non se ne erano resi conto, ma già in quel momento qualcosa tra entrambi si era spezzato.

Dopo nemmeno tre mesi, Steve se ne era andato da Malibu. Lei non aveva fatto altro che passare tutto il suo tempo in officina, con spesso troppo alcool in corpo. E Steve si arrabbiava in continuazione. Odiava vederla così, le aveva detto. Odiava il fatto che non gli rivolgesse la parola per giorni per starsene da sola. La capiva, le aveva detto, capiva il suo dolore, ma lei era troppo sorda, completamente annebbiata dal proprio lutto per rendersi davvero conto che aveva rovinato la loro relazione.

Quello era un momento che avrebbero dovuto superare insieme. Ma lei non ce la faceva proprio. Non riusciva a parlarne. Non era riuscita a parlarne con Pepper quando la donna era corsa in ospedale. L’aveva mandata via a male parole. Non ne aveva parlato nemmeno con Rhodes, che era rimasto seduto con lei in officina per diverse ore in assoluto silenzio aspettando che lei si spostasse dall’ennesima armatura che aveva costruito. 

Si era chiusa nel suo stesso dolore e aveva permesso che rovinasse tutto.

Steve era stanco. Era distrutto. Era ferito. Aveva perso un figlio e lei non aveva visto questa parte della medaglia. Era stata tremendamente egoista, e quando aveva capito il reale danno, non era riuscita a dirgli nulla.

Lo aveva guardato in assoluto silenzio mentre se ne andava di casa. Era a pezzi, ma non era riuscita a fermarlo. Con molta probabilità sarebbe bastato anche un semplice “resta” e Steve avrebbe disfatto tutti i bagagli e sarebbe rimasto con lei. 

Avrebbero potuto superare tutto insieme se solo lei non fosse stata per l’ennesima volta la testa di cazzo che l’accusavano sempre di essere. Ci aveva pensato tante volte che sarebbe bastato anche solo telefonargli e scusarsi. Che avrebbe solo dovuto tirare fuori la testa dal culo e chiedere aiuto almeno a lui e non lasciarsi logorare lentamente dall’interno.

Ma non ci era riuscita.

Riusciva solo a pensare che era stata colpa sua e che sicuramente anche Steve sotto sotto la incolpasse di quello che era successo. Ma si era astenuta da qualsiasi lavoro faticoso, aveva preso tutte le vitamine in modo preciso. La sua alimentazione era stata impeccabile e ad orari umani. Era rilassata come non lo era stata forse mai in vita sua.

Era stato un miracolo che nessuno avesse venduto uno scoop simile ai giornali e che la storia non fosse mai venuta a galla. 

“Ogni tanto vado a trovarlo.” Steve aveva parlato pianissimo, continuando ad accarezzarle i capelli. Sembrava quasi che stesse cercando di calmare un animale spaventato. 

“Lo so, ho visto i fiori.” Gli avevano fatto un funerale privato e super blindato al cimitero di Long Island. Era una cosa che aveva dato conforto a Steve e lo aveva assecondato. Anche perché non era stata assolutamente in grado di ragionare in quel momento. Ricordava vagamente che in ospedale gli avessero chiesto cosa volessero farne, ed era stato Steve a rispondere e decidere. A lui aveva dato conforto quel gesto. A lei no. Odiava i funerali e i cimiteri, e non trovava mai alcun conforto in quelle cose. 

Ma era tornata a New York anche per quello e a volte, anche se raramente, si avventurava fino al cimitero ben camuffata e si piazzava di fronte alla piccola tomba sulla cui lapide avevano fatto incidere solo le iniziali. Restava a fissarla per ore. A volte sistemava i fiori che entrambi portavano. E in due anni non si erano mai incontrati in quel luogo. 

“Possiamo tornarci insieme la prossima volta.”

Non sapeva cosa avesse fatto più male nella frase appena pronunciata da Steve. Non sapeva se era la parola insieme o la possibilità di un momento futuro in cui ancora si sarebbero parlati. Non era nemmeno sicura che finita quella convivenza forzata ci sarebbero davvero stati motivi per parlarsi ancora. 

Non voleva sperarci di poter riavere Steve Rogers nella sua vita. Non le importava in che ruolo, ma non voleva sperarci perché se qualcosa fosse andato di nuovo storto sarebbe stato un altro duro colpo da incassare. E non ce la poteva fare in quel momento. Non dopo tutto quello che era successo sia negli anni che nelle ultime ore. 

La sua maschera avrebbe vacillato prima o poi, e la Stark figura che aveva costruito con tanta cura si sarebbe sgretolata se non faceva attenzione. Già adesso avrebbe dovuto affrontare tutta la shitstrom senza precedenti per quello che era successo a New York.

Chitauri, distruzione di mezza città, Steve Rogers che doveva essere Steve Rogers sempre.

“Non darmi speranze di un rapporto civile tra di noi. In questo istante ti direi di sì a qualsiasi cosa, ma domani saremo fuori di qui e dovrò affrontare l’opinione pubblica su tutto ciò che ho fatto negli ultimi 29 anni di vita. E non posso farcela a sopportare tutto.” Si era staccata solo lievemente da Steve, solo per poterlo guardare. “Tu sarai di nuovo inglobato da Fury e dai suoi ordini, ben protetto dallo S.H.I.E.L.D. e io sarò data in pasto ai giornalisti, perché tanto Tasha Stark ci è abituata, no?”

“Non è quello che voglio.”

“E pensi che ora Fury ti lascerà fare quello che vuoi tu?” Aveva sorriso e gli aveva accarezzato una guancia. Fino a quel momento non si era nemmeno resa conto di quanto agognasse avere un contatto fisico con quell’uomo. Era una cosa stupida. Razionalmente non avrebbe più dovuto desiderare una cosa simile, una simile vicinanza, ma quelli erano i momenti in cui si rendeva conto che di razionale lei non aveva nulla la maggior parte delle volte. La razionalità era qualcosa di cui amava convincersi, ma non le apparteneva davvero. 

“Non ho intenzione di ascoltare Fury dopo quanto è successo. Non sono la sua scimmia ammaestrata.”

“Non si direbbe.”

Steve le aveva sorriso. Un sorriso diverso dai precedenti. Sembravano essersi illuminati anche i suoi occhi. E faceva male. Ancora più male del previsto. Se solo la vita fosse stata un po’ più giusta con loro, non avrebbe mai perso quel sorriso. Sarebbe forse diventato ancora più luminoso e avrebbe fatto parte della sua vita ogni giorno. 

Aveva perso tutto quel giorno in ospedale. Tutta la gioia e la felicità le erano state portate via in un sol colpo ed era un colpo davvero troppo duro. 

“Mi dispiace non averti mai chiamato o cercato.”

“Avrei potuto farlo anch’io, Tasha.”

 

✭✮✭

 

Non potendo uscire di casa perché assediata dai giornalisti, Natasha aveva passato buona parte delle successive giornate rinchiusa nella sua vecchia officina. Aveva cercato di evitare quanto più possibile tutti gli abitanti momentanei della casa. Perché erano chiassosi ed impiccioni. Oppure la guardavano e sorridevano maliziosi. E non li sopportava. Le sembrava di essere quasi tornata ad essere una ragazzina al campus, togliendo però le feste ed il divertimento.

La colazione con Steve era stata interrotta dalla Vedova Nera che aveva finto un colpo di tosse mentre entrava in cucina. Non voleva nemmeno sapere quanto avesse davvero sentito di quella conversazione e per fortuna la donna aveva fatto finta di nulla. Non aveva chiesto il perché delle sue lacrime o di quell’abbraccio. Sapeva tutto. Ne era sicura che Steve le avesse raccontato tutto per filo e per segno, ma almeno aveva fatto finta che non fosse successo assolutamente nulla.

Clint Barton al contrario non aveva smesso di prenderli in giro da quando aveva fatto la sua entrata in cucina. Battute anche di pessimo gusto su che fine avrebbero fatto i gioielli di famiglia di Steve non appena fosse ritornato a Washington per riprendere tutte le proprie cose dall’appartamento di Sharon Carter. Voleva rispedirlo a Fury quanto prima, ma questo avrebbe implicato telefonargli e non lo voleva. 

Non voleva in quel momento avere alcun contatto reale con lo S.H.I.E.L.D. o chi per loro. Nessuno le aveva ancora chiesto cosa avesse davvero visto dall’altra parte del portale, ma sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a bussare alla sua porta. E lei avrebbe scansato tutti e sarebbe rimasta rintanata in quella officina anche per mesi se necessario.

La televisione continuava a parlare di New York, di loro - gli Avengers -, di lei e Steve. Era un loop continuo. Ogni maledettissimo canale parlava solo di quello.

C’erano persone molto scontente. Una piccola parte per ora, ma facevano sentire la loro voce e protestavano sotto la Stark Tower. Ovviamente sotto la Stark Tower. Dove andare se non sotto casa sua a farsi sentire per qualcosa su di cui lei non aveva assolutamente nessun potere. Non aveva avuto potere sull’arrivo di Loki. Sull’arrivo di Thor. Ancora meno sull’arrivo dei Chitauri e di tutto il resto. 

“Dovresti smettere di ascoltare il telegiornale.” Silenziosa come un gatto, Natasha Romanoff si era seduta sul divano accanto a lei e aveva appoggiato due tazze di caffè sul tavolino. 

“Ti ho invitata a sederti?” Aveva inarcato un sopracciglio nella direzione dell’altra donna e l’aveva guardata. La Romanoff sorrideva e sembrava stranamente rilassata, come se la distruzione del mondo fosse un lontanissimo ricordo. 

“No, ma avevo bisogno di allontanarmi dalla gara di testosterone del piano di sopra. I maschi sono proprio stupidi ogni tanto.” 

“Solo ogni tanto? Guarda lì. Ti pare una cosa da fare da parte di una persona dotata di cervello?” Aveva indicato con un gesto teatrale della mano l’ennesimo programma che parlava del bacio. L’unica cosa che importava del post distruzione era quel bacio. “O parlano del fatto che sarebbe colpa mia la distruzione di Manhattan o di questo bacio. Non si sta parlando di altro da tre giorni ed è insopportabile.”

“Dovresti infatti spegnere la tv. Non ti fa bene ascoltare tutto il tempo queste notizie.”

“Dovrei lavorare, ma non ne ho minimamente voglia in questo istante. Mi sono presa delle ferie senza avvertire nessuno. E non sto neppure rispondendo al telefono che sta continuando a squillare senza sosta.” Aveva buttato la testa all’indietro, appoggiandola sullo schienale e guardando il soffitto. Pepper era preoccupata e continuava a telefonarle. Rhodes idem. Johnny Storm voleva venire a trovarla e per un istante voleva vederlo accanto a Steve nella stessa stanza per vedere il testosterone schizzare alle stelle, ma era stata un adulto responsabile e gli aveva detto di non presentarsi assolutamente. Ne era seguita una scenata di gelosia e gli aveva attaccato il telefono in faccia. Non si sarebbe stupita se davvero si fosse presentato alla sua porta. 

“Di sopra Clint ha sfidato Thor in una partita di birra pong, e sta perdendo miseramente. Potrebbe essere un ottimo svago umiliarlo ancora.” 

“Voglio vedere Steve Rogers umiliato dal testosterone di Thor.”

“No, sta in disparte con Banner e ridono di Clint.” Le aveva sorriso e aveva preso una delle due tazze in mano. Aveva sorseggiato lentamente, godendo probabilmente anche lei della pace di quel luogo.

“Di un po’, che rapporto hai con Barton? Perché siete fin troppo ambigui, sappilo.” Aveva girato la testa verso l’altra donna e l’aveva osservata. Quella era la prima volta che sedevano sul divano insieme a quel modo. Da pari a pari, e senza complotti segreti sotto. Lo aveva sempre saputo e detto che se le circostanze del loro incontro fossero state diverse sarebbero potute essere amiche. 

“Solo amici e colleghi di lavoro, e puoi insinuare quello che vuoi, ma è davvero solo questo da parte di entrambi.”

“Non si smuovono mari e monti per un collega.” Aveva inarcato un sopracciglio, ma la stava in realtà prendendo in giro e basta. Rhodes per lei lo aveva fatto. Mai quanto Steve, ma lo aveva sempre fatto anche Rhodes. 

“Lo avrei fatto anche se si fosse trattato di Steve, dovresti saperlo.”

“Ho sempre saputo che avevate una tresca.”

Aveva visto la Vedova Nera scoppiare a ridere e quella era forse la prima volta che la vedeva ridere davvero. E non aveva potuto non sorridere di rimando. Un attimo di tranquillità e spensieratezza serviva a tutti.

“Preferisco i mori ai biondi. Non ho mai sfiorato Steve nemmeno con un dito, tranquilla. Magari solo spogliato con gli occhi un paio di volte.”

“Non è una mia proprietà e puoi farci quello che vuoi.”

“Voi due mi farete uscire pazza, lo sai? Tu non puoi capire quanto sia stressante lavorare con Steve Rogers, perché parla sempre e soltanto di te.”

“Dubito abbia parlato di me in questi anni.”

La donna l’aveva guardata con la faccia di una che aveva sentito il suo nome pronunciato troppe volte e le dava la nausea.

“Ogni volta che usciva una qualsiasi notizia su di te, quell’uomo era intrattabile. E si sfogava con me per lo più. A volte c’era anche Clint e te lo può confermare, ma era insopportabile. Visto che ora vi siete finalmente chiariti, forse, e dico forse perché abbiamo altri drammi all’orizzonte, avrò un po’ di pace.”

Steve parlava di lei. Sentirselo dire così non sapeva neppure lei come prenderlo. Ne era felice, era sempre felice di sapere che Steve non la poteva accantonare davvero. Ma era davvero sbagliato su molti livelli. Non avrebbero mai potuto costruire una relazione sana con nessuno se prima non tagliavano i ponti.

“Mi dispiace per Sharon, sai? La conosco da quando eravamo bambine praticamente, l’ho incontrata più volte, ma non siamo mai andate d’accordo. Entrambe volevamo l’attenzione di sua zia. Poi ci siamo totalmente perse di vista crescendo. Dovevo immaginare che anche lei fosse cresciuta con una cotta pazzesca per Steve Rogers.”

“Non poteva funzionare in ogni caso tra di loro. E’ troppo gelosa di qualsiasi cosa entri in contatto con Steve, anche un granello di polvere. Per forza sarebbero scoppiati prima o poi, e Steve ha dato il colpo di grazia.” 

“Wow, non pensavo che ti avrei mai sentita parlare sinceramente su qualcosa. Dobbiamo brindare a questo. Champagne?”

“Che esagerata.” Stranamente la donna le sorrideva ancora. Si era messa più comoda e continuava a tenere la tazza di caffè tra le mani. “Ma sarà divertente andare al lavoro adesso. Questi sono i motivi per cui vietano le relazioni tra colleghi.”

“Fury se lo merita.” Aveva agguantato la tazza di caffè e ne aveva bevuto subito un sorso molto generoso. Con la coda dell’occhio aveva visto Natasha Romanoff annuire lievemente. Ancora si chiedeva cosa esattamente fosse venuta a fare lì in officina. 

“Mi ha telefonato poco fa. Vuole che tu faccia un rapporto su cosa hai visto oltre il portale e io dovrei convincerti a scriverlo, ma so che non lo faresti nemmeno se ti puntassi una pistola alla tempia.”

“Sapevo che avevi un secondo fine. Lo hai sempre.” Aveva sbuffato, ma non si era mossa dal divano. Non si sarebbe mossa da lì nemmeno sotto tortura. Avrebbe tanto voluto andare davvero in qualche posto remoto per qualche tempo e non farsi trovare da nessuno. Restarsene da sola in una baita in montagna a non fare assolutamente nulla. Oppure starsene su una spiaggia dalla sabbia bianchissima a sorseggiare qualche cocktail.

Ma non poteva.

Quando quella reclusione forzata sarebbe finita, e sperava entro breve, sarebbe dovuta tornare subito al lavoro. La Stark Industries aveva bisogno di lei. E allo stesso modo la Stark Tower che aveva bisogno urgente di ristrutturazione.

“Pensi che gli Avengers lavoreranno ancora insieme?” Ci aveva pensato molte volte in quei giorni. Fury voleva mettere in piedi una squadra di supereroi. Non aveva letto tutto il progetto, ma a grandi linee poteva immaginare cosa fosse. E loro alla fine si erano uniti da soli per dare vita al suo progetto. Ognuno con un motivo personale di vendetta, ma si erano uniti e avevano sconfitto il nemico comune.

“Tu lo vorresti?” 

Aveva guardato la donna che le sedeva accanto e non sapeva nemmeno lei cosa rispondere a quella domanda.

 
   
 
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