Contro tempo

Spazio e tempo e loro e corse infinite: glielo ha predetto e promesso e ricordato.

Il Dottore corre sempre, corre da solo o con la mano intrecciata a un'altra mano - varia la forma e il colore e l'intensità della presa -, ma non si ferma mai. Corre verso le cose - prima che muoiano e spariscano e si annullino. Corre via dalle cose - dai suoi fantasmi e dai suoi errori e dai suoi segreti.

Corre anche River, in direzioni opposte e contrarie. Corre verso di lui, River. Corre via dai suoi incubi e dal suo passato e dalle favole che l'hanno come protagonista. Corre da lui, ma lui è sempre più lontano e lei è sempre più sfumata.

Corrono verso il finale.

Il Dottore odia i finali.

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River dice che le sue prime volte con lui sono le sue ultime volte con lei.

Falso. Il tempo non è lineare, è una matassa che si snoda e si attorciglia, che li imbriglia e li imbroglia nelle sue maglie.

Loro vi cadono dentro ogni volta un po' più a fondo e ogni volta è più difficile uscirne.

Il tempo non si ferma, non per loro. Il tempo non si riscrive, non per loro. Il tempo ticchetta da zero e più veloce, solo per loro.

È il loro bacio che fa ripartire l'universo. È il loro bacio che li avvicina un po' di più alla fine. È il loro bacio che spezza e ricompone e li costringe a correre ancora.

Il Dottore pensa che potrebbe baciarla fino alla fine del tempo, che potrebbe tenerla stretta fino alla fine dell'universo.

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Una volta ce la porta, alla fine dell'universo.

"Credevo odiassi i finali"

"Se qualcosa non finisce, nulla potrebbe mai ricominciare".

L'ha avuta altre volte questa conversazione e chissà quante ancora l'avrà. La differenza è che le altre volte è sincero. La differenza è che le altre volte ci crede, in quello che dice.

Loro non l'avranno un nuovo inizio e, a ogni incontro, a ogni pagina bianca lordata d'inchiostro, la fine è un giorno più vicina.

È una consapevolezza che gli rompe entrambi i cuori, gli fa sudare le mani e aggrovigliare lo stomaco. È una consapevolezza che lo fa morire.

La mette da parte, questa consapevolezza.

La mette da parte come fa con tutti gli altri scomodi pensieri che lo turbano e vogliono ricacciarlo nella disperazione più profonda.

La mette da parte e la bacia, lì, con l'universo che esplode in luci dai colori impronunciabili, le stelle che si ghiacciano e si frammentano, i buchi neri che inghiottono tutto. Loro lo guardano, questo spettacolo, dalla protezione sicura del TARDIS, dalla soglia sicura di casa.

La mette da parte e la attira a sé.

Fanno l'amore alla fine dell'universo, con il mondo che si ferma in un lungo e melanconico addio.

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Guardaci correre via, gli ha detto, e non osare cambiare una riga.

Il Dottore è tentato, tante, tante volte, ma mai come quando scopre chi è realmente.

Pensa a Amy e Rory, cui, forse, un giorno dovrà dire che la figlia non tornerà più a trovarli, che è morta per salvare tantissima gente, per salvare lui - un lui che non era lui, che non si fidava e non la conosceva, un lui che le ha spezzato il cuore.

. Non si può correre per sempre.

Lo sanno tutti, come tutti sanno che tutti muoiono. Non tutti lo accettano, come il Dottore non accetta che tutti muoiono.

Guardaci correre via, e lui lo fa, lo ha fatto, ma dopo? Cosa dovrà fare dopo, quando il tempo si sarà esaurito e non ci saranno più versioni più o meno giovani di lei da ammaliare, da portare via nel cuore della notte dalla sua cella, da impressionare, da amare?

Cosa dovrà fare quando non potrà più né correre, né guardare?